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giovedì 28 marzo 2013

la canna fumaria del vicino provoca immissioni nocive? Va rimossa





PROPRIETA' E CONFINI
Cass. civ. Sez. II, Sent., 06-09-2011, n. 18262
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
C.M.    e                S.I.,  quali   comproprietari dell'immobile sito in (OMISSIS), convenivano in giudizio, innanzi al Giudice  di  Pace  di  Amalfi, i coniugi                 (Lpd)  ed           (Lpd), lamentando immissioni di fumo nell'immobile stesso, provenienti  dalla canna fumaria dell'appartamento di questi  ultimi;
chiedevano, quindi, la condanna alla eliminazione delle immissioni in quanto eccedenti il limite della normale tollerabilità.
I  convenuti  si costituivano e chiedevano il rigetto  della  domanda assumendo,  fra  l'altro,  che  il  loro  impianto  di  riscaldamento produceva  modestissime esalazioni che non invadevano  l'appartamento degli attori.
Con  sentenza n. 116/2000 il Giudice di Pace accoglieva  la  domanda, condannando i convenuti alla rimozione della canna fumaria, oltre  al pagamento  delle spese di lite. Avverso tale sentenza  i  soccombenti proponevano  appello  cui resistevano i coniugi         C.-    S..
Con sentenza 11.1.2005 il Tribunale di Salerno, sez. dist. di Amalfi, rigettava  l'appello condannando gli appellanti  al  pagamento  delle spese  processuali.  I  giudici di appello rilevavano:  la  nocività delle  immissione dalla canna fumaria, posta a  distanza  di  m.  3,50 senza  alcuna cautela tecnica, come accertato dal C.T.U., era "in  re ipsa";  non  rilevava,  quanto  alla distanza  della  canna  fumaria, l'applicabilità  del  D.P.R.  n.  1931  del  1970,  ai  comuni   con popolazione  superiore a 60.000.000, tenuto conto che il  Regolamento Edilizio  del Comune di Tramonti prevedeva la distanza minima  di  m.
10;  quanto all'eccepito difetto di legittimazione passiva di     A.     S.,  doveva  ritenersi che l'immobile ove era ubicata  la  canna fumaria  fosse  in  regime di comunione legale "in assenza  di  prova legale".
Proponevano ricorso per cassazione                (Lpd)  e     A.      S.  sulla  base di quattro motivi di ricorso.  Resistevano  con controricorso il       C. e la     S..Motivi della decisione
I ricorrenti deducono:
1)  violazione e falsa applicazione degli artt. 2719 e 179  c.c.,  in relazione   all'art.  360  c.p.c.,   nn.  3  e  5;  ed   insufficiente motivazione  per  mancato  esame  dell'atto  di  donazione  9.3.1995, prodotto  al fine di provare il difetto di legittimazione passiva  di           (Lpd),  non rientrando l'appartamento in  questione  nella comunione  legale dei beni tra coniugi; il giudice di  appello  aveva omesso di esaminare tale atto, limitandosi a rilevare che si trattava di copia fotostatica;
2)  violazione e falsa applicazione dell'art. 844 c.c., in  relazione all'art.  360  c.p.c., n. 3, e art. 132 c.p.c.,   n.  4,  e  vizio  di motivazione,  posto che dalla C.T.U. espletata, in assenza  di  altri elementi  probatori,  non  era  emerso  che  le  immissioni  di  fumo superassero  il  limite di normale tollerabilità;  3)  violazione  e falsa  applicazione  dell'art. 844 c.c.  in  relazione  all'art.  360 c.p.c.,  n. 5; insufficiente e contraddittoria motivazione, laddove il giudice di merito, nell'applicare detta norma, non aveva tenuto conto del  "preuso" dell'impianto di riscaldamento per cui è causa e della condizione   prettamente  agricola  della  zona  in  cui   era   sito l'immobile,  superando  dette  circostanze  facendo  riferimento   ai "veloci  mutamenti  della  società"  in  ordine  a  detta  vocazione agricola della zona;
4)  violazione di legge per inapplicabilità del D.P.R. n.  1931  del 1970;  difetto di prova sul carattere nocivo della immissioni nonchè carenza  di  motivazione  sul punto, posto che  la  prescrizione  del regolamento  edilizio  sulla distanza della fuoriuscita  di  fumi,non comportava  l'automatica sussistenza della lamentata intollerabilità delle immissioni.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
E'  sufficiente osservare che l'azione proposta attiene  ad  illecito extracontrattuale   in  quanto  tendente  alla   eliminazione   delle immissioni nocive lamentate sicchè legittimamente è  stata  proposta nei  confronti dei coniugi autori del danno ed utilizzatori del  bene di  provenienza  delle  immissioni,  non  rilevando  la  prova  della comunione legale del bene stesso.
Al  riguardo  la S.C. ha affermato che legittimati passivi,  rispetto all'azione  intentata ai sensi dell'art. 844 c.c.,   sono  gli  autori delle  immissioni, allorchè la domanda sia diretta a   respingere  il fatto di questi ultimi ed a farne cessare l'attività (Cfr. Cass.  n. 740/77; n. 2277/66).
La   seconda  censura  è  generica  ed  attiene,  comunque,  ad  una valutazione,  sul  supermento del limite  di  normale  tollerabilità delle  immissioni, riservata al giudice di merito, a  fronte  di  una motivazione  sul  punto immune da vizi logici  ed errori  di  diritto, come  avvenuto  nella specie. Il giudice di appello  ha  dato  conto, infatti,  sulla  base  della C.T.U., che la prossimità  della  canna fumaria  all'appartamento degli attori(distante  appena  tre  metri  e mezzo)  e l'uso della canna fumaria per il riscaldamento domestico  e per  la  cottura dei cibi, comportava il superamento di tale  limite, non rilevando che, in occasione dell'esperimento peritale,non fossero state constate immissioni di fumo a  causa della mancanza di vento. La terza e la quarta censura sono pure prive di fondamento, posto che il criterio  della priorità dell'uso dell'impianto,
previsto  dall'art. 844  c.c.,   comma  2, ha carattere sussidiario e facoltativo  e  che, pertanto,  il  giudice di merito non è tenuto a farvi  ricorso,  una volta  ritenuto  sulla base di altri accertamenti in fatto,  che  sia stata   superata   la  soglia  della  normale  tollerabilità   delle immissioni  anche  con  riferimento alla  violazione  della  distanza minima  della   canna  fumaria  rispetto  all'immobile  degli  attori, distanza  che  il  Regolamento edilizio  stabiliva  in  m.  10.  Tale violazione risulta correttamente apprezzata dal giudice assieme  agli ulteriori accertamenti emersi dall'indagine peritale per ritenere  le immissioni nocive e superiori al limite delle normale tollerabilità, considerato  che detta distanza minima mira ad evitare, comunque,  un danno  alla salubrità e sicurezza del fondo del vicino. Alla stregua di quanto osservato il ricorso va
rigettato. Consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.P.Q.M.
Rigetta   il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle  spese processuali che si liquidano in Euro 1.500,00 per onorari, oltre Euro 200,00 per spese.

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