Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 11-07-2012) 17-10-2012, n. 40611
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Propongono ricorso per Cassazione:
1. (Lpd);
2. (Lpd);
3. S.M.;
4. (Lpd);
5. (Lpd);
6. (Lpd);
7. (Lpd);
8. (Lpd);
9. (Lpd);
10. (Lpd);
11. (Lpd);
Avverso la sentenza della corte d'appello di Perugia che, in data 4 luglio 2011, aveva confermato la sentenza del Tribunale di Perugia che il 23 aprile 2009, aveva condannato (Lpd), SO. M., S.M., (Lpd), (Lpd), (Lpd), (Lpd), (Lpd), (Lpd), (Lpd), (Lpd), per associazione per delinquere (capo A) finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di rapine a mano armata, furti di vetture e falsificazione di documenti, (Lpd), .(Lpd) Cosimo ,.
(Lpd), (Lpd), (Lpd), (Lpd) per concorso nella tentata rapina presso il supermercato Pam di (OMISSIS) ai danni del furgone portavalori della Vigilanza Umbra, addetto al prelievo e al trasporto degli incassi dei vari esercizi commerciali compresi quelli di detto supermercato e nel tentato omicidio della guardia giurata Lo.
C. e di lesioni in danno di (Lpd), ritenuta per quest'ultima contestazione l'ipotesi di cui all'art. 82 c.p., ancora per detenzione e porto di armi, furto di autovetture e targhe (capi B) C) D) F) G), (Lpd) solo per i reati sub E) F) G) ( concorso nei furti). Ricorrono per Cassazione tutti gli imputati con motivi sostanzialmente analoghi che investono gli aspetti processuali e di merito della decisione.
In punto rito:
(Lpd), (Lpd), - (Lpd), (Lpd), (Lpd) e (Lpd) (quest'ultimo limitatamente all'ordinanza 30.3.2009) propongono ricorso per Cassazione avverso l'ordinanza dibattimentale del 13 giugno 2011 con la quale la Corte territoriale aveva respinto l'impugnazione avanzata nei confronti delle seguenti ordinanze rese in dibattimento dal Tribunale:
- ordinanza 28 gennaio 2010 con la quale era stata rigettata la richiesta di prova di proiettare in aula le registrazioni delle intercettazioni di immagini in cassetta VHS registrate alla Fiumara e Carige di Genova ordinanza 29 ottobre 2009, con la quale era stata rigettata l'eccezione circa l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dal maresciallo Ro. e dal maresciallo Pa.
concernenti il contenuto delle intercettazioni telefoniche ed ambientali effettuate nel corso del procedimento, poichè il loro esame era avvenuto prima ancora che le trascrizioni fossero depositate e perchè gli agenti di polizia giudiziaria erano stati esaminati sul contenuto delle conversazioni in dialetto sardo senza aver loro partecipato all'atto di indagine;
- ordinanza 22 febbraio 2010 che aveva respinto la richiesta di differire l'esame degli imputati per dare loro la possibilità di conoscere le trascrizioni peritale delle intercettazioni di conversazioni telefoniche ed ambientali e quindi la possibilità di difendersi dalle accuse;
- ordinanza 19 aprile 2010 con la quale il Tribunale aveva ammesso la produzione documentale del pubblico ministero riproducente i cosiddetti frames del GPS contenenti appunti effettuati dalla polizia giudiziaria che vi aveva trasfuso ipotesi investigative;
- ordinanza 30 marzo 2009 che aveva rigettato l'eccezione di nullità del decreto di giudizio immediato per violazione dell'art. 453 c.(Lpd) non essendo stati applicati i commi 1 bis e ter dello stesso articolo e per essere stata la richiesta avanzata oltre il termine perentorio di 180 giorni;
- ordinanza 14 settembre 2009 con la quale era stata rigettata la richiesta di trascrizione delle conversazioni intercettate in lingua sarda.
Lamentano i ricorrenti che la corte territoriale ha confermato le ordinanze senza una valida motivazione a fronte di specifiche circostanziate richieste della difesa (Lpd) propone ricorso per Cassazione sempre con riguardo all'ordinanza 13.6.2011 anche con riguardo al rigetto delle istanze di riapertura dell'istruttoria dibattimentale allo scopo di effettuare nuova perizia fonica sulla voce di (Lpd) in relazione all'arbitraria attribuzione avvenuta nel corso del dibattimento di primo grado. (Lpd) propone ricorso per Cassazione con riguardo a detta ordinanza in ordine al rigetto della richiesta di rinnovazione dell'esame del perito e dei consulenti e della richiesta di rinnovazione di perizia fonica relativa al suo riconoscimento vocale. Lamenta il ricorrente che il Tribunale ha dato credito alla consulenza del pubblico ministero, disattesa dal perito del Tribunale, che aveva fondato il suo riconoscimento vocale su un metodo sperimentale non ancora riconosciuto dalla comunità scientifica. Si duole del fatto che la corte territoriale con motivazione del tutto illogica e inaccettabile ha respinto le specifiche doglianze sul punto.
(Lpd) lamenta che dalla lettura del dispositivo della sentenza impugnata emerge per tabulas come non sia stato fatto alcun riferimento all'esito, a seguito del celebrato processo d'appello, dell'impugnazione proposta avverso la sentenza di primo grado da parte di tutti gli imputati, fatta eccezione per l' Or., del quale in riforma della pronuncia del Tribunale è stata disposta l'assoluzione. Tutti gli altri imputati vengono invece unicamente condannati al pagamento delle spese del grado e a quelle di mantenimento in carcere. Nel dispositivo non vi è infatti alcun riferimento nei loro confronti ad una conferma o ad una riforma della sentenza di primo grado. Tale omissione, secondo il ricorrente, ai sensi dell'art. 546 c.(Lpd) con particolare riferimento al comma tre, integra la specifica ipotesi di nullità o inesistenza della sentenza d'appello per mancanza o incompletezza radicale del dispositivo nei suoi elementi essenziali. Sostiene il ricorrente che a nulla rileva il fatto che la corte territoriale nella motivazione della sentenza abbia trattato la posizione del ricorrente e nella parte motiva abbia argomentato per la conferma nei suoi confronti della condanna di primo grado.
Nel merito in ordine al reato sub A) ( associazione per delinquere):
(Lpd), (Lpd), S.M., (Lpd) (Lpd), (Lpd), (Lpd), F.P. R. e (Lpd) con distinti ricorsi si dolgono che la sentenza impugnata è incorsa in violazione di legge e/o vizio della motivazione in ordine alla sussistenza della contestata associazione per delinquere. Lamentano che la Corte territoriale ha affermato la sussistenza di detta compagine richiamando principi di diritto scollegati dal caso concreto, 1 giudici d'appello hanno sostenuto di condividere l'orientamento dei giudici di legittimità, secondo il quale l'associazione per delinquere può sostanziarsi in una struttura esile i cui partecipanti possono fare reciproco, anche tacito, affidamento e che una volta individuati gli elementi indiziari, sulla base dei quali possa ragionevolmente affermarsi la cointeressenza di taluno nell'attività dell'associazione stessa e quindi la partecipazione alla vita di quest'ultima, non occorre anche la dimostrazione del ruolo specifico svolto da quel medesimo soggetto nell'ambito dell'associazione potendosi la partecipazione al sodalizio criminoso essere realizzata nei modi più svariati la cui specificazione non è richiesta dalla norma. Sostengano i ricorrenti che tali generiche affermazioni non risultano emendate neppure nella parte specifica relativa ai singoli componenti dove vengono indicati elementi "neutri" avvenuti in tempi diversi e lontani tra loro, con riferimento a personaggi collegati non ad un'associazione per delinquere ma eventualmente predisposti a commettere dei singoli reati programmati in maniera determinata. Sostengono quindi che non si è di fronte ad una pluralità di delitti programmati con la caratteristica peculiare dell'accordo associativo la cui natura è tendenzialmente aperta alla adesione da parte di terzi e permanente nella programmazione di un numero indeterminato di reati.
(Lpd) contesta la sua partecipazione evidenziando che non poteva essere il T. delle intercettazioni perchè in tale periodo si trovava in carcere. Si era infatti costituito nel maggio 2007 dove era rimasto fino al novembre 2007. Evidenzia che il Tribunale aveva fondato la sua identificazione sulle dichiarazioni del coimputato, dichiarazione che non erano però utilizzabili nei confronti del terzo ex art. 513 c.(Lpd), considerato che il M. aveva rifiutato di sottoporsi all'esame. La corte, evidentemente ritenendo corretta l'eccezione difensiva, non aveva fatto più riferimento a tale identificazione ma aveva apoditticamente affermato che il T. delle intercettazioni era il Me..
(Lpd), S.M. si dolgono anche della mancata concessione delle attenuanti generiche e dell'entità della pena.
(Lpd) lamenta in ogni caso la mancanza di motivazione in ordine alla sua partecipazione nella contestata associazione; lamenta inoltre la mancata esclusione dell'aggravante di cui all'art. 416 c.p., comma 5 e la mancata concessione delle attenuanti generiche.
(Lpd) contesta la valutazione dei fatti in ordine alla sua ritenuta partecipazione sottolineando che allo stesso non è attribuito alcun reato fine lamenta comunque la mancata esclusione dell'aggravante di cui all'art. 416 c.p., comma 5.
(Lpd) lamenta l'omessa pronuncia in ordine alla sua partecipazione nella contestata associazione, evidenzia che la corte territoriale non ha preso in considerazione la rilevante circostanza, indicata nei motivi di appello, che il ricorrente è stato monitorato per oltre un anno - dal febbraio 2007 all'aprile 2008 - e che in tutto il periodo non erano emersi elementi di contatto con gli altri presunti sodali; lamenta la mancata esclusione dell'aggravante di cui all'art. 416 c.p., comma 5.
(Lpd) contesta anche l'entità della pena.
In ordine ai reati sub B) C) D) E) F) G):
(Lpd) a mezzo del suo difensore, che ha presentato due distinti ricorsi, con riguardo alla tentata rapina lamenta che la corte d'appello non ha risposto alle argomentazioni indicate nei motivi d'appello; con riguardo al tentato omicidio lamenta mancanza di motivazione con riguardo al giudizio di idoneità degli atti; si duole della mancata concessione delle attenuanti generiche e delle eccessività della pena.
(Lpd), a mezzo dei suoi difensori che hanno presentato due distinti ricorsi, contesta la valutazione data dal giudice di merito al teste Gi. che lo ha riconosciuto come il conducente della vettura dalla quale erano usciti i due rapinatori armati e travisati.
Lamenta il ricorrente che la corte non ha tenuto in considerazione le intercettazioni telefoniche registrate la sera della rapina che dimostrerebbero che l'imputato non poteva trovarsi a (OMISSIS).
Richiama in particolare il contatto telefonico avvenuto con l'utenza in uso al P. alle ore 22,22 che aveva impegnato una cella di Roma nella zona in cui abitava il ricorrente. Si duole della mancata risposta in ordine al motivo d'appello nel quale veniva richiesta spiegazione circa il diverso trattamento operato nei confronti del coimputato M.. Si duole della mancata concessione delle attenuanti generiche e della eccessività della pena.
(Lpd) lamenta che l'unico elemento su cui la corte di merito ha fondato la sua responsabilità nella tentata rapina è costituito dalla consulenza fonica del pubblico ministero che non riveste alcun elemento di certezza. Lamenta inoltre che la sentenza nulla dice in ordine al ruolo tenuto dall'imputato nella realizzazione della tentata rapina e dei reati ad essa collegati.
(Lpd) con riguardo alla tentata rapina lamenta la mancanza di motivazione con riguardo alle specifiche doglianze difensive, contesta l'interpretazione data dalla corte territoriale alle captazioni ambientali. Eccepisce la singolare metodologia scientifica utilizzata per l'accertamento fonico delle intercettazioni con riguardo ai reati connessi alla tentata rapina (capi D) E) F) e G) sostiene che erroneamente ai giudici dell'appello hanno ritenuto la responsabilità concorsuale del ricorrente considerando che è stata esclusa la partecipazione del P. alla fase esecutiva della tentata rapina; in via subordinata lamenta la mancata applicazione del concorso anomalo, la mancata concessione delle attenuanti generiche e l'eccessività della pena.
(Lpd) contesta il riconoscimento della voce nelle conversazioni intercettate sottolineando come tale riconoscimento sia stato frutto esclusivo dell'affermazione degli operanti Pa. e Ro.. Contesta la valutazione data alle conversazioni intercettate e lamenta la mancanza di elementi certi circa il suo coinvolgimento nella tentata rapina idonei a collegare le schede telefoniche all'imputato che era stato controllato su altre utenze con esito negativo. Sottolineano inoltre come dal processo emerga un uso promiscuo delle schede telefoniche e quindi il fatto che una determinata scheda si muove in una determinata direzione non ha valore univoco a provare, come sostengono i giudici di merito, che sia stato l'imputato a spostarsi con essa. Contesta la ricostruzione dei fatti operata dalla corte territoriale e sottolinea come la corte d'appello, e in precedenza il Tribunale, sia stata omissiva con riguardo al ruolo del ricorrente nella tentata rapina in argomento, considerato anche che l'imputato in sede di dichiarazioni spontanee ha affermato che il giorno della rapina era in Sardegna a festeggiare il compleanno della moglie assieme a parenti e amici le cui generalità erano state indicate in una lista prodotta ed acquisita dal Tribunale all'udienza del 19 aprile 2010. Sul punto rileva che la corte ha omesso di pronunciarsi sull'istanza di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per sentire i testi indicati nella lista prodotta. Lamenta carenza di motivazione in ordine alla sussistenza del tentato omicidio sostiene che l'imputato è stato ritenuto responsabile in ordine ai reati di cui ai capi D) E) F) G) in modo apodittico. Contesta l'entità della pena la mancata concessione delle attenuanti generiche e la mancata motivazione in ordine all'aumento della contestata recidiva e per la ritenuta continuazione.
(Lpd) con riguardo alla tentata rapina evidenzia che non vi è agli atti alcun elemento in ordine alla sua partecipazione.
Contesta l'idoneità e l'univocità degli atti con riguardo al tentativo di omicidio. Lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche e l'entità della pena.
(Lpd) (so/o reati sub E) F I G) contesta la sussistenza delle aggravanti di cui all'art. 112 c.p., e art. 61 c.p., n. 2.
Devono essere respinti perchè infondati tutti i motivi di ricorso che investono aspetti processuali. In particolare deve respingersi l'eccezione sollevata da F.R. di nullità o inesistenza della sentenza d'appello per mancanza o incompletezza radicale del dispositivo nei suoi elementi essenziali. Il dispositivo - che nella sua essenza rappresenta l'applicazione del comando della legge al caso concreto - è incompleto e determina la nullità della sentenza soltanto quando manchino gli elementi idonei a identificare la statuizione del giudice. L'omessa esplicita conferma della sentenza di primo grado, nella ipotesi di riforma parziale, non comporta la nullità della sentenza d'appello quando, come nel caso in esame, attraverso l'interpretazione del dispositivo in correlazione con la motivazione, che ne costituisce la premessa, sia possibile ricostruire la statuizione del giudice. (cfr. Cass. N. 6848/1991).
Nel caso di specie la corte d'appello nella parte motiva ha espressamente affermato che la sentenza andava confermata con conseguente condanna degli appellanti con la sola esclusione di Or.Sa..
Devono essere respinti i motivi di ricorso presentati da B. A., (Lpd), S.M., (Lpd), (Lpd), (Lpd) (Lpd) e (Lpd)
quest'ultimo limitatamente all'ordinanza 30.3.2009) avverso l'ordinanza dibattimentale del 13 giugno 2011 con la quale la Corte territoriale aveva respinto l'impugnazione avanzata nei confronti delle ordinanze rese in dibattimento dal Tribunale in data: 28 gennaio 2010, 29 ottobre 2009, 22 febbraio 2010,19 aprile 2010, 30 marzo 2009,14 settembre 2009. I motivi che censurano le ordinanze dibattimentali rese dal primo giudice sono generici e comunque giuridicamente infondati. Riproducono infatti i motivi d'appello senza alcun riferimento alla motivazione della sentenza di secondo grado che ha fornito una risposta, specifica e giuridicamente corretta, ai motivi di gravame.
In ordine alle questioni sollevate in tema di inutilizzabilità delle intercettazioni va infatti ribadito che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, la prova è costituita dalle bobine o nastri contenenti la registrazione e non dalla relativa trascrizione, la quale è uno dei modi per rendere possibile la consultazione della prova (Cass. n. 47891/2004, rv 230569, Mauro; n. 10890/2006, rv 234103, Palazzoni). Costituisce, pertanto, semplice irregolarità non sanzionata la traduzione del linguaggio dialettale in lingua italiana. Gli errori, gli equivoci, i fraintendimenti eventualmente commessi dal perito nella trascrizione delle registrazioni del contenuto delle bobine non sono idonei a comprimere alcun diritto dell'imputato. Ciò che rileva ai fini del diritto della difesa è che, nell'espletamento della trascrizione siano osservati modi, forme e garanzie previsti per la perizia, in maniera che, attraverso il difensore o il consulente tecnico di parte, l'imputato possa svolgere osservazioni, precisazioni e richieste circa l'omessa o incompleta o non fedele trascrizione di parti di conversazioni ritenute rilevanti per la difesa. In ogni caso, la possibilità di estrarre copia delle trascrizioni e fare eseguire la trasposizione delle registrazioni su nastro magnetico (art. 268 c.(Lpd), u.c.), consente alla difesa di indicare al giudice del dibattimento specifiche inesattezze, incompletezze o omissioni pregiudizievoli per la difesa al fine di ottenerne la correzione e, comunque, al fine di allenare l'attenzione del giudice sulle mancanze o erroneità della trascrizione (cfr.
Cass. n. 9443/1993 rv 196011, Carnazza, n. 2732/2009, rv 242582, Scalise).
I nastri di registrazione restano a disposizione delle parti le quali hanno facoltà di ascoltarli e di farne eseguire la trasposizione su nastro magnetico. L'audizione dei nastri in dibattimento, così come la proiezione della registrazione di immagini è configurabile come semplice modalità operativa istruttoria che è esclusiva competenza del giudice valutare discrezionalmente (Cass., Sez. 1A, 16 gennaio 1995, n. 1079, rv. 201238; Cass., Sez. 2A, 4 novembre 2002, n. 9172, rv. 223703; Cass., Sez. 1A, 25 novembre 2008, n. 604, rv. 243176).
Deve aggiungersi che se è vero che in tema di intercettazioni telefoniche, il contenuto delle conversazioni intercettate può essere provato solo mediante la trascrizione delle registrazioni, è pur vero che il contenuto delle intercettazioni può essere richiamato nel corso di una deposizione testimoniale al fine di ricostruire il percorso investigativo degli operanti. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che la localizzazione mediante il sistema satellitare (c.d. GPS) degli spostamenti di una persona nei cui confronti siano in corso indagini, si traduce in una sorta di pedinamento, non assimilabile all'attività di intercettazione di conversazioni o comunicazioni (Sez. 4A, 29 gennaio 2007, n. 8871, Navarro; Sez. 5A, 7 maggio 2004, n. 24715, Massa, Sez. 6 n. 15396/2008). Si tratta di attività investigativa atipica che può entrare nella valutazione probatoria del giudice anche attraverso la testimonianza della polizia giudiziaria, così come è accaduto nel caso di specie e come accade ordinariamente per i classici pedinamenti.
Così come nessuna norma impedisce l'acquisizione dei c.d. frames del GPS che costituiscono mera riproduzione grafica dei dati risultanti dalla rilevazione satellitare effettuata dalla polizia giudiziaria e sulla quale avevano deposto i testi escussi.
I giudici di merito si sono attenuti a tali principi di cui hanno dato conto nei provvedimenti impugnati.
Con riguardo al mancato differimento dell'esame degli imputati, avanzata dalle difese in ragione del breve termine intercorso dal deposito delle intercettazioni telefoniche, deve rilevarsi che i giudici di merito, con una valutazione in fatto, incensurabile in questa sede, hanno ritenuto che il termine di undici giorni pieni doveva ritenersi adeguato, anche a fronte del cospicuo materiale da esaminare, tanto più ove si consideri che nel caso in esame gli imputati, in sede di trascrizione delle intercettazioni si erano avvalsi dei propri consulenti.
Anche il motivo di gravame attinente al termine di cui all'art. 453 c.(Lpd), comma 1 bis è privo di fondamento. Deve osservarsi che la Relazione al disegno di legge definisce "sollecitatorio" il termine di 180 giorni e che da quanto desumibile dai Lavori preparatori deve ritenersi che l'intenzione del legislatore era di limitare il rischio di scarcerazioni per decorrenza dei termini di custodia cautelare assegnando al procedimento una propria speditezza in presenza di una misura custodiale, in modo da imporre, alla parte pubblica, di completare le indagini prima dell'emissione della misura custodiale stessa al fine di poter celermente esercitare l'azione penale scaricando sulla fase dibattimentale la problematica della gestione dei termini di fase di carcerazione. L'istituto si basa infatti sul fumus commissi delicti derivante vuoi dal vaglio della fondatezza della misura da parte del giudice del riesame ovvero dalla acquiescenza da parte dell'interessato che non ha impugnato l'ordinanza custodiale davanti al giudice del riesame, e dunque su di una conferma esplicita o implicita circa la tenuta dell'ipotesi accusatoria quale espressasi con la misura restrittiva rimasta in atto.
Questa opinione ha trovato conferma nelle pronunce di questa Corte (Cass., Sez. 6A, 20 ottobre 2009, n. 41038, Sez. 1, Sentenza n. 2321 del 09/12/2009 Rv. 246036) che hanno deciso "che anche per i termini stabiliti dall'art. 453 c.(Lpd) nuovo comma 1 bis, introdotto con la novella del D.L. n. 92 del 2008, art. 2, va fatta applicazione, per identità di ratio e di scopo, del principio di diritto già affermato da questa Corte, a proposito del termine di 90 giorni di cui all'art. 454 c.(Lpd) (Cass., 41579/2007, Cerami; 26305/2004, Dentici). Ne consegue che, in presenza delle condizioni e dei presupposti, previsti dall'art. 453 c.(Lpd), primi tre commi, il termine di 180 giorni dall'esecuzione della misura, per il reato in relazione al quale la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare, ha natura tassativa per quanto riguarda il completamento delle indagini, ma ha natura ordinatoria, per quanto riguarda attiene alla presentazione della richiesta di giudizio immediato".
Deve poi sottolinearsi che, nella sussistenza delle condizioni di legge (evidenza della prova, perdurante sussistenza della misura cautelare, confermata dal giudice del riesame ex art. 309 c.(Lpd) ovvero non impugnata, avvenuto interrogatorio), la novella del 2008 ha reso obbligatorio il giudizio immediato, salvo che questo non pregiudichi gravemente le indagini. Devono essere respinti anche i ricorsi di (Lpd) e (Lpd) avverso l'ordinanza 13 giugno 2011 con riguardo al rigetto dell'istanza di riapertura dell'istruttoria dibattimentale allo scopo di effettuare nuova perizia fonica relativa al loro riconoscimento vocale. In tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in sede d'appello, l'art. 603 c.(Lpd) reca diversità di previsione, a seconda che si tratti di prove preesistenti o concomitanti al giudizio di primo grado, emerse in un diverso contesto temporale o fenomenico, ovvero di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio. Nel primo caso, il giudice d'appello deve disporre la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti; nel secondo, deve rinnovare l'istruzione, osservando i soli limiti del diritto alla prova e dei requisiti della stessa.
Con riguardo alla prima ipotesi, in considerazione del principio di presunzione di completezza dell'istruttoria compiuta in primo grado, la rinnovazione del dibattimento in appello è istituto di carattere eccezionale, al quale può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non potere decidere allo stato degli atti. Pertanto, in caso di rigetto della richiesta avanzata dalla parte, la motivazione potrà essere implicita e desumibile dalla struttura argomentativa della sentenza d'appello, con la quale si evidenzia la sussistenza di elementi sufficienti all'affermazione o alla negazione di responsabilità dell'imputato (Cass., Sez. 5A, 1 febbraio 2000, n. 01075, rie. Lavista, riv.
215772; Cass. Sez. 2A, 7 luglio 2000, n. 08106, ric. Accettala, riv.
216532; Cass., Sez. 5A, 8 agosto 2000, n. 08891, ric. Callegari, riv.
217209). Considerato, quindi, che nel giudizio di appello la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale, postulando una deroga alla presunzione di completezza della indagine istruttoria svolta in primo grado, ha caratteristica di istituto eccezionale, nel senso che ad essa può farsi ricorso quando appaia assolutamente indispensabile, cioè nel solo caso in cui il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti, ritiene il Collegio che, con riguardo alle censure avanzate dal B., il giudice di merito ha dimostrato in positivo, con spiegazione immune da vizi logici e giuridici, la sufficiente consistenza e l'assorbente concludenza delle prove già acquisite e, dall'altro, il ricorrente non ha dimostrato l'esistenza, nell'apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità concernenti punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate qualora si fosse provveduto all'assunzione di determinate prove in sede di appello, idonee a svalutare il peso del materiale probatorio raccolto e valutato.
Deve aggiungersi che l'identificazione dell'autore di una conversazione intercettata non richiede necessariamente l'espletamento di una perizia fonica, ma può essere assicurata anche in base ad altri elementi di prova. Non appare perciò contestabile la scelta operata dai giudici di merito di basarsi su altri criteri indiziari, fra l'altro ritenuti condivisibili da una giurisprudenza ampiamente consolidata (Cass. N. 9370 del 1994 Rv. 199913, N. 24438 del 2005 Rv. 231856, N. 38484 del 2007 Rv. 238042, N. 43409 del 2007 Rv. 237895, N. 16432 del 2008 Rv. 239523, N. 17619 del 2008 Rv.
239725, N. 18453/2012) ed in particolare su quello della ricognizione di voce da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria che avevano proceduto all'ascolto ed al riascolto delle conversazioni intercettate e da parte del perito trascrittore (dott. An. C.).
(Lpd) ha invece contestato che il Tribunale ha dato credito alla consulenza del pubblico ministero e ha fondato il suo riconoscimento vocale su un metodo sperimentale non ancora riconosciuto dalla comunità scientifica.
La doglianza non merita accoglimento. La Corte territoriale - così come il primo giudice - si è pienamente attenuta al principio secondo cui, "nel valutare i risultati di una perizia o di una consulenza tecnica occorre verificare la validità scientifica dei criteri e dei metodi di indagine utilizzati, allorchè essi si presentino come nuovi e sperimentali e perciò non sottoposti al vaglio di una pluralità di casi ed al confronto critico tra gli esperti del settore, si da non potersi considerare ancora acquisiti al patrimonio della comunità scientifica" (N. 8416 del 1993 Rv.
196264, N. 2751 del 1997 Rv. 208464; N. 834 del 2003 Rv. 227854 relative ad ipotesi di perizia eseguita, con metodo computerizzato, sui fotogrammi da telecamera a circuito chiuso). La sentenza impugnata, come già quella di primo grado, hanno dato, infatti, esauriente contezza non solo delle metodiche utilizzate - tendenti ad ottenere un'analisi obiettiva dei dati con comparazioni automatiche di suoni, ma anche delle ragioni per cui i criteri adottati e i metodi utilizzati sono stati ritenuti altamente apprezzabili.
La corte territoriale ha dato conto che non è stato possibile utilizzare il metodo "parametrico", essendo insufficiente il parlato a disposizione (circa 20 secondi di conversazione, estratta dalle intercettazioni ambientali numero 703, nella quale le parole attribuite all'imputato risultano però incomprensibili e numero 750 nella quale viene attribuita all' A. l'espressione "la dobbiamo lasciare qui" registrata il 14 aprile 2007), considerato che detto metodo, basato sull'estensione delle vocali, necessitava di un numero di fonemi più numeroso.
Ha così utilizzato il metodo denominato speaker recognition System elaborato da una società russa (Speech Technology Center, con sede in (OMISSIS), creata nel 1990) come metodo automatico di identificazione vocale, utilizzando il programma voice-net, che permette la comparazione della voce nota anche se si dispone di un campione di soli 16 secondi di durata. Il metodo permette il confronto in automatico dei suoni più che delle parole con la conseguenza che è possibile utilizzare anche il parlato risultato di incomprensibile significato. Il consulente ha avuto perciò a disposizione un campione di 25 secondi.
Nella prima consulenza tale campione è stato messo a confronto con un saggio proveniente da un'intercettazione che era stata disposta nel 2000, a carico del fratello dell'imputato, nel corso della quale fu captata una conversazione del ricorrente con la madre. Non erano disponibili saggi più recenti perchè l' A. si era reso latitante fin dal 2002. Il programma informatico ha confermato l'elevata probabilità che l'ignota voce registrata a (OMISSIS) fosse dell' A.. In particolare il programma ha dato come risultato della probabilità di errore nel caso che la voce fosse attribuita alla stessa persona ("falsa accettazione") una percentuale del 4,32% quindi minima, mentre l'errore sulla probabilità che la voce fosse attribuita a persone diverse ("falso rifiuto" è risultato notevolmente maggiore 30,28%.
Nella seconda consulenza, effettuata dopo che il ricorrente, in sede di perizia disposta dal tribunale, aveva rilasciato un saggio fonico, il programma ha dato come risultato una percentuale più elevata del "falso rifiuto" (31,66%) a fronte di una percentuale più bassa (1,36%) della "falsa accettazione". La probabilità di errore che la voce intercettata fosse dell' A. è stata ritenuta dal sistema estremamente bassa.
I giudici di merito hanno ritenuto il metodo attendibile perchè, in aggiunta ai riconoscimenti vocali soggettivi, compresi quelli effettuati dalla polizia giudiziaria che ha fatto riferimento al particolare timbro di voce che rendeva l'imputato riconoscibile, il sistema aveva effettuato una oggettiva comparazione dei dati interamente affidata al software, escludendo interpretazioni meramente soggettive.
Il valore probatorio attribuito alla conclusione peritale (e indipendentemente dai riconoscimenti soggettivi effettuati dalla polizia giudiziaria), realizzata a seguito di affidabile metodologia di ricerca, risulta, pertanto, incensurabile.
(Lpd), (Lpd), S.M., (Lpd) (Lpd), (Lpd), (Lpd), F.P. R. e (Lpd) hanno lamentato l'erronea applicazione della norma ex art. 416 c.p. e la manifesta illogicità della motivazione nella ricostruzione dei fatti dai quali è stato tratto il convincimento circa l'esistenza dell'associazione criminosa e l'appartenenza ad essa degli imputati. Tali doglianze sono fondate.
La punibilità del reato di cui all'art. 416 c.p. è incentrata sul semplice fatto dell'associarsi allo scopo di commettere reati. La giurisprudenza proprio al fine di evitare di punire la condotta consistente nel semplice accordo di commettere in futuro delitti richiede la sussistenza del requisito dell'organizzazione, sia pure in forma rudimentale, in quanto costituisce l'elemento che consente una concreta e sicura differenziazione con l'ipotesi del concorso di persone. L'elemento distintivo tra il delitto di associazione per delinquere e il concorso di persone nel reato continuato viene solitamente individuato nel carattere dell'accordo criminoso, che nel concorso si concretizza in via meramente occasionale ed accidentale, perchè diretto alla commissione di uno o più reati, con la realizzazione dei quali si esaurisce l'accordo e cessa ogni motivo di allarme sociale, mentre nel reato associativo risulta diretto all'attuazione di un più vasto programma criminoso, per la commissione di una serie indeterminata di delitti, con la permanenza di un vincolo associativo tra i partecipanti, anche indipendentemente e al di fuori dell'effettiva commissione dei singoli reati programmati. Ciò che consente e rende concretamente possibile la permanenza del programma è proprio l'elemento di un minimo di organizzazione. In altri termini, nel reato associativo è attraverso l'organizzazione strutturale che i partecipanti si predispongono alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti, nella consapevolezza di far parte di un sodalizio criminoso durevole e di essere disponibili ad operare per l'attuazione del progetto delinquenziale comune (cfr., Sez. 1, 31 maggio 1995, n. 8291, Barchiesi ed altri) In giurisprudenza accanto ad un orientamento che insiste prevalentemente sull'elemento dell'accordo nel reato associativo e che tende a svalutare il requisito dell'organizzazione (Sez. 1, 25 maggio 1990, n. 9823 Som; Sez. 6, 27 luglio 1985, n. 2894, Moscati; Sez. 1, 1 giugno 1983, n. 8263, Romeo), ve ne è un altro prevalente, al quale questo Collegio aderisce (Sez. 1, 9 novembre 1987, n. 6077, Montenegro; Sez. 6, 12 dicembre 1995, n. 4825, Meocci; Sez. 6, 25 settembre 1998, n. 10725, Villani; Sez. 1,11 marzo 1999, n. 6204, Controsceri; Sez. 1, 22 settembre 2006, n. 34043, D'Attis; Sez. 2,18 febbraio 2009, n. 21606, Radulovic; Sez. 5, 5 maggio 2009, n. 31149, Occioni; Sez. 6, 25 novembre 2010, n. 43656, Bartocci), che ritiene che anche nella fattispecie associativa semplice debba rinvenirsi l'elemento dell'organizzazione di uomini e mezzi, funzionale al perseguimento del comune programma criminoso, in quanto è questo l'elemento che giustifica l'autonomia del reato associativo rispetto ai reati fine. Infatti, l'assoluta mancanza di un supporto strumentale priverebbe il delitto del requisito dell'offensività, perchè non sarebbe idoneo a costituire una minaccia per il bene tutelato che è l'ordine pubblico. In sintesi per ritenere integrata un'associazione per delinquere è richiesto che siano dimostrati a) l'esistenza di un gruppo, i membri del quale siano aggregati consapevolmente per il compimento di una serie indeterminata di reati; b) l'organizzazione di attività personali e di beni economici per il perseguimento del fine illecito comune, con l'assunzione dell'impegno di apportarli anche in futuro per attuare il piano permanente criminoso; c) sotto il profilo soggettivo, l'apporto individuale apprezzabile e non episodico di almeno tre associati, che integri un contributo alla stabilità dell'unione illecita.
Nel suo provvedimento la Corte d'Appello ha del tutto svalutato il requisito dell'organizzazione, ma non ha neppure dato conto della esistenza del programma criminoso.
Si è limitata ad affermare che risultava evidente che la tentata rapina di (OMISSIS) era l'espressione di un modus operandi che presentava plurime analogie con altre rapine ascritte ad alcuni dei partecipanti i fatti delittuosi in questione e a soggetti che non avevano partecipato ai fatti violenti del (OMISSIS), considerato anche che non era stato sempre possibile individuare tutti i partecipanti alle singole rapine consumate. Analogie che secondo i giudici d'appello si erano sostanziate nell'uso di armi, reperibili senza particolari difficoltà, nell'uso di autovetture rubate da qualche componente del gruppo o, dalla presenza in loco di una persona in genere di origine sarda in grado di fornire utili indicazioni sull'obbiettivo da colpire, sui punti di osservazione, sulla presenza di telecamere e sui luoghi dove abbandonare le auto, sulla paziente attività di osservazione dei movimenti dei furgoni portavalori o di verifica dell'esistenza di apparati di sicurezza delle banche e degli uffici postali, ancora l'uso comune di cellulari "coperti", a fronte di quelli regolarmente intestati ai singoli, usualmente lasciati in (OMISSIS) per evitare di essere individuati, la provenienza dalla medesima area geografica con supporti in continente. Tali elementi attengono più alle modalità di esecuzione dei singoli episodi criminosi che alla prova della sussistenza di una compagine associativa.
In conclusione, le carenze rilevate nella sentenza impugnata attengono non solo alla mancata verifica della esistenza di un minimo di organizzazione, ma anche ad una carenza motivazionale relativa alla stessa esistenza di un programma comune ai presunti partecipi dell'associazione. La sentenza deve pertanto essere annullata con riguardo al reato associativo con rinvio alla Corte d'Appello di Firenze che dovrà conformarsi alle indicazioni contenute nella presente decisione. Restano assorbiti i residui motivi in ordine alla partecipazione soggettiva e all'entità della pena.
I ricorsi di (Lpd), (Lpd), (Lpd), (Lpd), (Lpd), (Lpd) con riguardo ai reati sub B) C) D E) F) e G) e (Lpd) con riguardo ai reati sub E) F) e G) devono essere respinti.
La sentenza impugnata ha ritenuto, con motivazione coerente e priva di vizi logici che gli imputati hanno concorso ad ideare la tentata rapina al PAM di (OMISSIS) partecipando attivamente all'attività preparatoria, seguita in diretta dagli inquirenti attraverso le intercettazioni telefoniche ed ambientali, il tracciato dei percorsi rilevati dal sistema GPS e dai tabulati dei telefonini utilizzati, con relative indicazioni delle celle via via agganciate e che SC. e ME. hanno partecipato anche alla fase esecutiva.
Il P., il F., l' A. e il B. si sono lamentati dei riconoscimenti vocali. Con riguardo alla posizione degli ultimi due deve richiamarsi quanto già indicato allorchè, nell'ambito di questa pronuncia, si è fatto riferimento a specifico motivo di ricorso.
Deve comunque rilevarsi che l'attendibilità di tali ricognizioni di tipo uditivo, come di ogni altra percezione affidata ai sensi, va apprezzata dal giudice, che deve rendere conto della sua valutazione;
ma ciò è per l'appunto quanto emerge dalla sentenza della Corte di appello, che ha fatto riferimento, per ogni imputato, a ulteriori elementi di conferma della esattezza della ricognizione espressa dagli operanti di p.g. sentiti come testimoni.
Ciò posto, va osservato in via generale che tutte le censure dedotte dai ricorrenti sulla mancanza di prova della loro identificazione nelle conversazioni intercettate, devono essere disattese, sia perchè nella sentenza impugnata vengono logicamente e puntualmente esposti per ogni posizione (cfr, per F. p. 55, per P. pag.
61 gli elementi idonei alla identificazione (anche al di là della ricognizione vocale), sia perchè i rilievi contenuti nei vari ricorsi attengono ad aspetti valutativi non esaminabili in sede di legittimità.
Infondate sono anche le censure avanzate da (Lpd). I giudici del merito hanno indicato una serie di elementi gravi, precisi e concordanti (esiti intercettazioni tracciati rilevati dai tabulati che hanno consentito di ricostruire passo passo i percorsi effettuati, da (OMISSIS) e di accertare che per tutto l'orario della rapina ed oltre le utenze "riservate", diverse da quelle personali, utilizzate dai rapinatori erano localizzate in (OMISSIS), rimanendo poi mute fino alla mattina del giorno successivo, intercettazioni nella autovettura del P., il riconoscimento del teste oculare Gi. che lo ha indicato come persona che si trovava alla guida dell'autovettura Lancia Thema dalla quale la sera del (OMISSIS) vide scendere due uomini armati) dai quali hanno desunto la responsabilità, a titolo di concorso, dell'imputato in ordine ai reati in argomento attraverso la partecipazione all'attività preparatoria ed esecutiva della rapina.
Si tratta di un percorso argomentativo logico e coerente per contestare il quale il ricorrente si limita a richiamare un contatto fra due utenze mobili personali avvenuto in (OMISSIS) senza considerare che la Corte territoriale ha sottolineato come è stato accertato che i rapinatori avevano in uso utenze riservate (c.d. Stojan) da utilizzare al posto di quelle personali, opportunamente lasciate nelle proprie abitazioni (cfr. pag. 62 sentenza impugnata).
Anche con riguardo a (Lpd) la Corte Territoriale ha indicato elementi gravi, precisi e concordanti intercettazioni ambientali che attestano anche la sua partecipazione al sopralluogo del 14 aprile 2007, la sua voce, inizialmente attribuita ad un sardo sconosciuto è stata riconosciuta da parte della polizia giudiziaria, intercettazioni telefoniche, presenza della sua autovettura Y10 di colore verde scuro nei pressi del Supermercato PAM con a bordo una persona con un passamontagna calato sul viso) Si tratta di un percorso argomentativo logico e coerente a fronte del quale il ricorrente si limita genericamente a prospettare una diversa valutazione dei fatti.
Deve aggiungersi che (Lpd), (Lpd), A. R., (Lpd), (Lpd), (Lpd) e (Lpd) (quest'ultimo limitatamente ai furti) rispondono dei reati in esame a titolo di concorso ex art. 110 c.p. e che il concorso di persone nel reato, in conformità alla teoria monistica, accolta dal legislatore ha una struttura unitaria nella quale l'azione tipica è composta dalle condotte dei compartecipi, sicchè gli atti dei singoli sono, al tempo stesso loro propri e comuni anche agli altri e di essi ciascuno risponde interamente. Nel paradigma dell'art. 110 c.p. sono infatti riunite tutte le ipotesi di partecipazione criminosa per la cui realizzazione non è richiesto il previo concerto fra tutti i partecipanti, ma è indispensabile un individuale apporto materiale o psichico di ognuno verso l'identico risultato da tutti perseguito e cioè l'evento criminoso avuto di mira. Con la conseguenza che attività costitutiva del concorso nel reato non è quindi solo quella rappresentata dalla partecipazione all'esecuzione materiale dello stesso, bensì anche quella riguardante la decisione e la preparazione del reato e la fornitura dei mezzi che ne consentano o ne facilitano la consumazione, perchè anche attraverso l'esplicazione di tale attività si viene a realizzare quell'associazione di diverse volontà costituenti altrettante cause coscienti produttrici dell'evento per effetto del quale ciascuno deve rispondere del risultato conseguito. Una volta accertato che un soggetto ha accettato e svolto il compito assegnatogli costui deve rispondere, non solo dei reati da lui commessi, ma anche del reato fine e degli altri reati strumentali, materialmente eseguiti dai complici che, a loro volta devono rispondere di quello o di quelli da lui commesso.
Correttamente la Corte Territoriale ha ritenuto sussistere gli estremi del concorso di persone nel reato anche nei confronti di coloro che hanno partecipato ad attività preparatorie di sopralluogo aventi ad oggetto il supermercato PAM bersaglio del tentativo di rapina.
Così come correttamente ha ritenuto sussistenti le aggravanti contestate essendo evidente il concorso nei furti delle auto, confessati da (Lpd), che erano finalizzati alla commissione della rapina.
Deve aggiungersi che come già affermato da questa Corte in numerosi precedenti, la responsabilità del compartecipe per il fatto più grave rispetto a quello concordato, materialmente commesso da un altro concorrente, integra il concorso ordinario (art. 110 c.p.), se il compartecipe ha previsto e accettato il rischio di commissione del delitto diverso e più grave; mentre configura il concorso anomalo (art. 116 c.p.), nel caso in cui l'agente, pur non avendo in concreto previsto il fatto più grave, avrebbe potuto rappresentarselo come sviluppo logicamente prevedibile dell'azione convenuta facendo uso, in relazione a tutte le circostanze del caso concreto, della dovuta diligenza (c.f.r., tra le molte, Sez. 6, n. 7388 del 13/01/2005, dep. 25/02/2005, Lauro). La responsabilità concorsuale resta esclusa, quindi, soltanto quando il reato diverso e più grave si presenti come un evento atipico, dovuto a circostanze eccezionali e del tutto imprevedibili, non collegabili in alcun modo al fatto criminoso su cui si è innestata l'azione di taluno dei correi nel reato originario, oppure quando si verifichi un rapporto di mera occasionalità idoneo ad escludere il nesso di causalità (c.f.r., tra le molte, Sez. 1, n. 7576 del 22/06/1993, dep. 03/08/1993, Rv.
194786).
Coerentemente con l'interpretazione di cui sopra, la Corte territoriale ha ritenuto l'inapplicabilità dell'art. 116 c.p. rientrando nella sfera di prevedibilità e di volontà dei partecipanti l'eventualità di un omicidio o tentato omicidio nel corso di una rapina a mano armata. Quanto al reato sub C) i motivi presentati da (Lpd), (Lpd) e M. T. investono, sotto il diverso profilo della idoneità ed univocità degli atti, la sussistenza del ritenuto tentato omicidio della guardia giurata Lo.Co..
Ai sensi dell'art. 56 c.p. risponde di delitto tentato chi compie atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere un delitto se l'azione non si compie o l'evento non si verifica. Come emerge dal tenore letterale della disposizione richiamata la definizione codicistica del delitto tentato fa leva sul duplice requisito della idoneità e dell'univocità degli atti.
Il requisito dell'idoneità ha natura oggettiva. L'idoneità va riferita alla commissione del delitto in questione. In altri termini l'idoneità dell'atto deve essere intesa come capacità potenziale, attitudine, congruità dell'atto rispetto alla realizzazione del delitto preso di mira. Il parametro di accertamento dell'idoneità consiste in un giudizio ex ante e in concreto c.d. prognosi postuma), cioè ci si deve collocare idealmente nella stessa posizione dell'agente all'inizio dell'attività criminosa, accertando se gli atti erano in grado, tenuto conto delle concrete circostanze del caso, di sfociare nella commissione del reato. Quanto al grado di idoneità necessario ai fini della configurazione del tentativo deve evidenziarsi che se il fondamento della punibilità del tentativo va ravvisato nell'esigenza di impedire la messa in pericolo del bene giuridico il grado di sufficienza dell'idoneità degli atti deve coincidere con la probabilità di verificazione dell'evento lesivo.
In altre parole per poter plausibilmente sostenere che gli atti di tentativo realizzati pongono in pericolo il bene protetto è necessario accertarne la rilevante attitudine a conseguire l'obiettivo.
L'art. 56 richiede anche il requisito dell'univocità o non equivocità degli atti per impedire un'eccessiva dilatazione dell'istituto del tentativo che si avrebbe qualora si punissero atti privi dell'attitudine ad esprimere una chiara direzione criminosa.
L'univocità deve essere considerata come caratteristica oggettiva della condotta, nel senso che gli atti posti in essere devono possedere in se stessi, guardati nel contesto in cui sono inseriti l'attitudine a denotare il proposito criminoso perseguito. L'esigenza di configurare l'univocità come caratteristica dell'azione non esclude però che la prova del fine delittuoso possa essere desunta in qualsiasi modo, facendo riferimento ai canoni probatori in materia di elemento soggettivo. Una volta conseguita anche aliunde la prova del dolo si deve però accertare se gli atti , considerati nella loro oggettività riflettano in maniera sufficientemente congrua la direzione verso il fine criminoso. Deve aggiungersi che la direzione finalistica dell'atto deve essere certa tanto sul piano materiale che su quello psicologico. Non può infatti dirsi univoco un comportamento che l'agente ponga in essere senza tendere a realizzarlo, ma soltanto accettando il rischio della sua verificazione. Applicando tali principi alla fattispecie in esame, va rilevato che la sentenza impugnata, con motivazione incensurabile nella presente sede, siccome conforme ai canoni della logica e della non contraddizione, ha ravvisato nel comportamento tenuto dai prevenuti gli estremi propri del tentativo di omicidio in danno del Lo..
La Corte d'Appello ha infatti dato conto che il Lo. bersaglio in movimento, fu attinto al braccio sinistro e al il giubbotto antiproiettile, all'altezza del collo e, anche ad ammettere che i primi dei dieci colpi sparati fossero dirette ad intimidire la guardia, appariva difficile ritenere che tale scopo fosse perseguito anche dopo che il Lo. aveva risposto al fuoco, scaricando i sei colpi del caricatore, tanto che se questi non avesse indossato giubbotto antiproiettile, ben diverse e più gravi sarebbero state le conseguenze.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di tutti i ricorrenti limitatamente al reato associativo, con rinvio alla Corte di Appello di Firenze per nuovo giudizio sul punto;
rigetta nel resto i ricorsi di (Lpd), (Lpd), (Lpd), (Lpd), (Lpd), -
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