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giovedì 28 marzo 2013

Il Comune deve risarcire i danni nel caso in cui si venga aggrediti da un cane randagio





RESPONSABILITA' CIVILE
Cass. civ. Sez. III, Sent., 23-08-2011, n. 17528
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con  sentenza del 12/2/2010 la Corte d'Appello di Napoli respingeva il gravame  interposto  dalla  sig.               P.R.  nei  confronti della  pronunzia  Trib. Torre Annunziata 14/5/2002 di  rigetto  della domanda  dalla medesima proposta nei confronti del Comune di (Lpd)  di risarcimento dei danni lamentati a seguito del sinistro  avvenuto  il (OMISSIS),   allorquando,   mentre  percorreva   la   locale    (OMISSIS)  alla guida del proprio ciclomotore Honda Vision,  veniva aggredita  da  un cane randagio che la faceva cadere  dal  motociclo, provocandole danni patrimoniali e non patrimoniali.
Avverso  la  suindicata pronunzia della corte di merito la       P. propone  ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi,  illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Comune di (Lpd).Motivi della decisione
Con   il   1  motivo  la  ricorrente  denunzia  violazione  e   falsa applicazione dell'art. 2907 c.c., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma  1,  n. 3, artt. 112, 113, 163 c.p.c., in riferimento  all'art. 360  c.p.c.,   comma  1,  n.  4;  nonchè  "contraddittoria,  erronea, insufficiente  ed  illogica  motivazione"  su  punto  decisivo  della controversia, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si  duole  che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto  essere stata  nel  caso contestata la mancata prevenzione del fenomeno  "del randagismo in sè, con totale avulsione dal fatto concreto",  laddove ha  agito  per  ottenere  il  risarcimento   dei  danni  lamentaci  in conseguenza del subito attacco da parte del cane randagio, e quindi a causa più generalmente del mancato controllo del randagismo.
Lamenta che il giudice di merito "avrebbe dovuto pronunciare su tutta la   domanda  dopo  aver  assolto  al  potere-dovere  di  qualificare giuridicamente  l'azione esperita e di attribuire il nomen  iuris  al rapporto  sostanziale  dedotto  in  giudizio,  anche  in  difformità rispetto alla prospettazione giuridica svolta nella domanda".
Con   il  3^  motivo  la  ricorrente  denunzia  violazione  e   falsa applicazione dell'art. 43 c.p., artt. 2051, 2043 c.c., D.Lgs. n.  285 del  1992,  artt.  3, 13, 50, L. n. 281 del 1991, artt.  2,  4,  L.R. Campania n. 36 del 1993, artt. 1, 5, 11, in riferimento all'art.  360 c.p.c.,    comma   1,   n.   3;  nonchè  "omessa,   insufficiente   e contraddittoria motivazione" su punto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si   duole  che  la  corte  di  merito  abbia  erroneamente  limitato l'indagine alla prevenzione del randagismo da parte del Comune  senza alcuna relazione con la tutela della pubblica incolumità.
Lamenta che i giudici di merito abbiano "ingiustificatamente separato il  fatto-custodia/condizioni della strada  dal fatto-aggressione  del cane   randagio",  e  che  la  corte  di  merito  abbia  omesso  ogni valutazione  in  merito  alla del pari lamentata  "pericolosità  del tracciato e del manto stradale di (OMISSIS)", oltre che  della "presenza del cane".
Si  duole  non essersi considerato che il Sindaco  ha, non già  quale ufficiale di governo bensì come rappresentante del Comune, il potere- dovere  di controllare che le A.S.L. svolga i poteri ad esse delegati in materia di randagismo.
I  motivi,  che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati nei termini di seguito indicati.
Come  questa Corte ha già avuto modo di porre in rilievo,  la  legge quadro  in  materia  di  animali  di  affezione  e  prevenzione   del randagismo  n.  281  del  1991  demanda  alle  Regioni   l'istituzione dell'anagrafe canina e l'adozione di programmi per la prevenzione  ed il controllo del randagismo.
Al  riguardo,  la  L.R.  Campania n.  36  del  1993  (successivamente abrogata  dalla  L.  n.  16 del 2001, ma nel  caso  ratione  temporis applicabile)   dispone  in  particolare  che  alla   sua   attuazione "provvedono,  nei  rispettivi ambiti di  competenza,  la  Regione,  i Comuni  e  le  USL,  con  la collaborazione  di enti  ed  associazioni protezionistiche, zoofile e animalistiche" (art. 1, comma 4).
Prevede  quindi  l'istituzione  dell'anagrafe  canina  (art.  3),  la realizzazione  di  vaccinazioni e controlli  sanitari  (art.  4),  la costruzione  di "rifugi municipali per cani" (già canili municipali) (art.  5),  il  controllo del randagismo (art. 7), la  promozione  di iniziative  di  informazione  e  di  educazione  (art.  10)   nonchè l'esplicazione di attività di vigilanza a mezzo (anche)  di  guardie zoofile comunali (art. 11).
Orbene,  emerge  già  alla stregua di tali  richiami  evidente  come compiti di organizzazione, prevenzione, e controllo (anche) dei  cani vaganti  (siano  essi  "tatuati", e cioè scomparsi  o  smarriti  dai proprietari,  ovvero "non tatuati") spettano  (pure)  ai  Comuni  (non può  pertanto condividersi quanto affermato da  Cass., 7/12/2005,  n. 27001),  tenuti  anch'essi, in correlazione con  gli  altri  soggetti pubblici   (e  non)  indicati  dalla  legge,  ad  adottare   concrete iniziative  e  assumere provvedimenti volti ad  evitare  che  animali randagi  possano  arrecare  danni  alle  persone  nel  territorio  di competenza (cfr. Cass., 28/4/2010, n. 10190).
Risulta  allora  non corretta la limitazione della domanda  nel  caso operata  dalla corte di merito al mero "dovere istituzionale di  ogni amministrazione  comunale di prevenire il randagismo",  nonchè  alla rilevanza  del  fenomeno alla mera attività di "accalappiamento  dei cani  randagi"; come del pari non corretta è l'affermazione  secondo cui  all'epoca  del  sinistro  de quo in  base  al  quadro  normativo all'epoca  vigente  siffatta  "funzione pubblica"  spettava  "in  via esclusiva"  all'unità sanitaria locale territorialmente competente", non   potendo  pertanto  avallarsi  la  ravvisata  irrilevanza  della verifica  circa la configurabilità della responsabilità del  Comune di (Lpd) in merito al sinistro de quo.
Atteso  che  risulta in effetti erronea ed apodittica la  limitazione della  disamina "al mero profilo della funzione pubblica svolta dalla P.A.,  atteso  che la stessa corte di merito da atto  in  motivazione come  l'oggetto della pretesa della odierna ricorrente sia costituito dal  risarcimento  dei danni lamentati  in conseguenza  del  sinistro, dalla  considerazione anche di tale (aspetto della) domanda non  può dunque  prescindersi, spettando ai giudici di merito dare la corretta qualificazione  dell'ipotesi di responsabilità nel caso  ricorrente, se   quella  generale  ex  art.  2043  c.c.,  ovvero  un'ipotesi   di responsabilità  speciale aggravata ex art. 2051  c.c.  o  art.  2052 c.c.,   a  tale  stregua  compiendo quella  valutazione  nella  specie adombrata  ma  poi  in effetti non compiuta, in ragione  della  -come detto-ravvisata relativa irrilevanza ai fini della
decisione.
Va  al  riguardo  osservato  che in caso  di  ravvisata  integrazione dell'ipotesi   generale  di  responsabilità   aquiliana   non   può prescindersi dal rilievo che, come da questa Corte  anche recentemente precisato,   la   P.A.  è  responsabile  per  i  danni   causalmente riconducibili  alla  violazione  dei comportamenti  dovuti,  i  quali costituiscono  limiti  esterni  alla sua  attività  discrezionale  e integrano la norma primaria del neminem laedere di cui all'art.  2043 c.c.  (cfr., con riferimento a diversa ipotesi, Cass., 27/4/2011,  n. 9404).
In  presenza di obblighi normativi la discrezionalità amministrativa invero  si  arresta, e non può essere invocata per  giustificare  le scelte operate nel peculiare settore in considerazione.
Va  altresì posto in rilievo che il modello di condotta cui la  P.A. è  tenuta  postula  l'osservanza di  un  comportamento  informato  a diligenza  particolarmente qualificata, specificamente  in  relazione all'impiego  delle  misure e degli accorgimenti idonei  ai  fini  del relativo  assolvimento, essendo essa tenuta ad evitare  o  ridurre  i rischi   connessi   all'attività  di   attuazione   della   funzione attribuitale.
Comportamento  cui  la  P.A. è d'altro canto  tenuta  già  in  base all'obbligo di buona fede o correttezza, quale generale principio  di solidarietà  sociale  -che  trova  applicazione  anche  in  tema  di responsabilità extracontrattuale- in base al quale  il  soggetto  è tenuto   a  mantenere  nei  rapporti  della  vita  di  relazione   un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e  di avviso  nonchè  volto  alla salvaguardia dell'utilità  altrui  -nei limiti dell'apprezzabile sacrificio-, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità in ordine ai falsi affidamenti anche  solo colposamente  ingenerati nei terzi (cfr. Cass., 20/2/2006,  n.  3651;
Cass.,  27/10/2006,  n.  23273; Cass.,  15/2/2007,  n.  3462;  Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/7/2007, n. 16315; Cass., 30/10/2007, n. 22860;  Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056. Da ultimo cfr.  Cass., 27/4/2011, n. 9404).
Condotta che ove tardiva, carente o comunque inidonea provoca  o  non impedisce  la lesione di quei diritti ed interessi la cui  tutela  è propriamente  rimessa al corretto e tempestivo esercizio  dei  poteri "attribuiti per l'assolvimento della funzione (cfr. Cass., 25/2/2009, n. 4587. V. anche Cass., Sez. Un., 27/7/1998, n. 7339).
A  tale stregua, in caso di concretizzazione del rischio che la norma violata tende a prevenire, la considerazione del comportamento dovuto e della condotta mantenuta assume allora decisivo rilievo, e il nesso di  causalità che i danni conseguenti a quest'ultima  astringe rimane invero  presuntivamente provato (cfr. Cass., Sez. Un., 11/1/2008,  n. 584;  Cass.,  Sez.  Un.,  11/1/2008, n. 582.  E,  da  ultimo,  Cass., 27/4/2011, n. 9404).
Alla   fondatezza  -nei  suindicati  termini-  dei  motivi  consegue, assorbiti  gli altri con i quali la ricorrente denunzia violazione  e falsa  applicazione dell'art. 2909 c.c., artt. 101, 190, 281  quater, 342, 343, 345 c.p.c., in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3,  nullità del procedimento per violazione dell'art. 112 c.p.c., in riferimento  all'art. 360 c.p.c.,  comma 1, n. 4;  nonchè  "fittizia, omessa,   contraddittoria,   erronea,   insufficiente   ed   illogica motivazione"  su  punto decisivo della controversia,  in  riferimento all'art.  360 c.p.c.,  comma 1, n. 5 (2^ motivo); violazione  e  falsa applicazione degli artt. 75, 100, 101, 159, 82, 83, 85, 88, 167, 168, 180,  182 c.p.c, in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1,  n.  3, nullità  dei  procedimenti e delle sentenze di 1^  e  2^  grado,  in riferimento  all'art.  360  c.p.c.,  comma  1,  n.  4  (4^
  motivo);
violazione  e  falsa applicazione degli artt. 88, 91, 92  c.p.c.,  in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, c.p.c., nullità  del procedimento  per  violazione dell'art. 112  c.p.c.,  in  riferimento all'art.  360  c.p.c., comma 1, n. 4; nonchè omessa  motivazione  su punto  decisivo  della  controversia,  in  riferimento  all'art.  360 c.p.c.,   comma  1, n. 5 (5^ motivo), l'accoglimento in relazione  del ricorso,  con rinvio alla Corte d'Appello di Napoli che,  in  diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo dei suesposti principi applicazione.
Il  giudice  del  rinvio provvedere anche in ordine  alle  spese  del giudizio di cassazione.P.Q.M.
La   Corte  accoglie il 1^ ed il 3^ motivo di ricorso,  assorbiti  gli altri. Cassa in relazione l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di Napoli,  in diversa composizione.


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