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Al lavoratore spetta il "ticket" se il turno finisce dopo l'ora dei pasti o non riesce a rientrare in tempo a casa |
Il diritto sussiste tanto nel caso in cui durante la fascia oraria concordata il dipendente sia impegnato nel lavoro, quanto nell'ipotesi in cui abbia terminato di lavorare, ma i tempi di percorrenza non gli consentano di raggiungere l'abitazione |
TRASPORTO PUBBLICO E IN GENERE
Cass. civ. Sez. lavoro, 25-06-2009, n. 14941
Cass. civ. Sez. lavoro, 25-06-2009, n. 14941
Svolgimento del processo
Trenitalia
spa chiede l'annullamento della sentenza pubblicata il 20 febbraio
2006, con la quale la Corte d'appello di Lecce, riformando la sentenza
di primo grado ha dichiarato il diritto del dipendente P.C. ad ottenere
l'equivalente economico di un buono pasto per ogni giornata di lavoro
nella quale abbia osservato i turni 6.00- 14.00 e 14.00-22.00 nel
periodo dal 1 gennaio 1999 al 31 maggio 2001 e per ogni giornata di
lavoro in cui abbia effettuato il turno 13.00- 21.00 nel periodo da 1
giugno 2001 al 31 gennaio 2004, oltre rivalutazione ed interessi e con
condanna al pagamento di metà delle spese e compensazione dell'altra
metà.
Con l'unico motivo di ricorso Trenitalia denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.,
in relazione all'art. 27, comma 1, lett. c), nn. 1 e 2 del ccnl
1996-1999, nonchè dell'art. 19, comma 1, lett. c), del contratto
collettivo aziendale del gruppo Ferrovie dello Stato del 16 aprile 2003 e
di ogni altra norma di principio in materia di interpretazione delle
disposizioni collettive di diritto comune e dei contratti in genere.
Nonchè omessa ed insufficiente motivazione circa punti decisivi della
controversia.
Il P. si e costituito con
controricorso, chiedendo il rigetto dell'impugnazione e proponendo
ricorso incidentale contro il capo della decisione che ha compensato per
metà le spese del giudizio.
Il P. ha depositato una memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c..
Il difensore di Trenitalia ha depositato dopo la discussione a sua volta una nota scritta.
Motivi della decisione
P.
è un lavoratore con orario a turni. I turni nel corso di una giornata
lavorativa sono tre. Ha lavorato per un primo periodo (1 gennaio 1999-31
maggio 2001) nel primo turno (6.00-14.00) o nel secondo turno di
servizio (14.00-22.00).
Nel periodo successivo
(1 giugno 2001-31 gennaio 2004) i turni sono stati modificati ed egli
ha lavorato nel primo turno (6.00-13.00) e nel secondo (13.00-21.00).
Chiede
il pagamento dei buoni pasto in modo diversificato: nel primo periodo,
per ogni giornata di lavoro tanto nel primo turno che nel secondo turno.
Per il secondo periodo solo per le giornate in cui ha lavorato nel secondo turno.
Il
fondamento della richiesta è nell'art. 27, comma 1, lett. c), nn. 1 e 2
del ccnl 1996-1999, nonchè dell'art. 19, comma 1, lett. c), del
contratto collettivo aziendale del gruppo Ferrovie dello Stato del 16
aprile 2003.
Tale normativa prevede che il
personale addetto ai turni ha diritto al servizio mensa o, se manca la
mensa, a servizi sostitutivi (ristoranti convenzionati), o se anche
questi mancano, ad un ticket del valore di 6,20 Euro, "quando inizia o
termina il turno in orari che, tenendo conto dei tempi di percorrenza,
non gli consentano di consumare il pasto presso la propria abitazione
(dimora) nelle fasce orarie concordate (12.00-14.00 e 19.00-21.00)." Il
quesito di diritto posto dalla società ricorrente è: "se risulta
conforme agli artt. 1362 e 1363 c.c., l'interpretazione
dell'art. 27, comma 1, lett. c), nn. 1 e 2 del ccnl 1996-1999, nonchè
dell'art. 19, comma 1, lett. c), del contratto collettivo aziendale del
gruppo Ferrovie dello Stato del 16 aprile 2003 che riconosca il diritto
del dipendente al buono pasto quando il turno lavorativo ricomprenda
interamente una delle fasce orario concordate per il pasto." La tesi
della società ricorrente per cassazione è che il diritto sussiste solo
quando il turno di lavoro sia terminato, ma il lavoratore a causa dei
tempi di percorrenza non sia in grado di raggiungere casa entro le fasce
orarie concordate per la consumazione dei pasti. Mentre egli non
avrebbe alcun diritto quando durante tali fasce è impegnato nel lavoro.
La
tesi del lavoratore, disattesa dal giudice di primo grado, ma condivisa
dalla Corte d'Appello, è di segno contrario: il diritto sussiste tanto
nel caso in cui durante la fascia oraria concordata il lavoratore sia
impegnato nel lavoro, quanto nel caso in cui abbia terminato di
lavorare, ma i tempi di percorrenza non gli consentano di raggiungere
casa entro tale fascia oraria.
Di conseguenza
si è ritenuto che il diritto sussiste, in relazione al primo periodo,
quando egli ha svolto il primo turno (6.00-14.00) e quando ha svolto il
secondo turno (14.00-22.00) perchè il lavoro gli ha impedito di
rientrare a casa per consumare nel primo caso il pranzo, nel secondo la
cena.
Per il secondo periodo invece sussiste solo per il secondo turno (13.00-21) che gli ha impedito di consumare a casa la cena.
Conseguentemente
il lavoratore non ha formulato alcuna richiesta in relazione al primo
turno, che, terminando in tale periodo alle 13.00, gli consentiva di
rientrare a casa per consumare il pranzo entro la fascia concordata
(12.00-14.00).
Poichè la sentenza è stata
pubblicata prima del 2 marzo 2006, non si applicano le molteplici
modifiche del codice di procedura civile introdotte dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40.
I particolare non si applica il nuovo testo dell'art. 360 c.p.c.,
n. 3, che consente il ricorso per cassazione anche per "violazione o
falsa applicazione norme ... dei contratti e accordi collettivi
nazionali di lavoro".
Il sindacato della Corte
di cassazione rimane pertanto circoscritto all'eventuale violazione
delle norme di ermeneutica contrattuale dettate dall'art. 1362 e ss.
c.c., o alla sussistenza di un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5.
Il motivo di ricorso è unico e ricomprende entrambi i vizi, perchè denunzia congiuntamente la violazione degli artt. 1362 e 1363 c.c., e dall'altro la "omessa e insufficiente motivazione della controversia".
Con
riferimento al vizio di violazione o falsa applicazione di norma di
legge, deve sottolinearsi che il ricorso denunzia la violazione del
canone della letteralità di cui all'art. 1362 c.c., assumendo che nel testo su indicato "non si reperisce alcun elemento lessicale a suffragio della tesi della sentenza".
L'affermazione
è apodittica. La sentenza della Corte d'Appello motiva puntualmente la
sua ricostruzione del significato delle parole e, attraverso di esse,
della comune intenzione delle parti, rilevando che il dato centrale
indicato dalla previsione contrattuale per fruire del ticket è
l'impossibilità per il lavoratore di effettuare la consumazione del
pasto nella propria abitazione a causa dell'orario di lavoro in cui è
impegnato e che il riferimento ai (empi di percorrenza vale solo quando
ciò rilevi a tal fine, e cioè quando il lavoro non sia ancora iniziato o
sia terminato e comunque sia impossibile per il lavoratore pranzare o
cenare a casa per la distanza tra l'abitazione e il lavoro.
Sul
punto questa Corte si è già espressa. Esaminando un caso identico e una
decisione di identico contenuto della medesima Corte di Appello, si è
rilevato che la lettura difforme proposta dalla ricorrente per
cassazione non è consentita in sede di legittimità, non essendo emerse
violazioni dei canoni legali di ermeneutica contrattuale ed essendo la
motivazione coerente ed equilibrata nei vari elementi che ne compongono
la struttura argomentativa" (Cass., sentenza n. 2738 del 2007).
Nelle
note di udienza la ricorrente sottolinea che quella sentenza non si è
pronunciata sulla violazione del canone della interpretazione
sistematica. Ciò non corrisponde al contenuto della sentenza, che, a ben
leggerla, ha escluso la violazione non solo del canone della
interpretazione letterale ma di qualsiasi canone ermeneutico. Peraltro,
la non equivocità della soluzione basata sulla lettera della previsione
esclude il ricorso a canoni ulteriori.
In ogni
caso, il canone suppletivo proposto è basato sul raffronto tra il
trattamento riservalo al P. in qualità di turnista e il trattamento
riservato al "personale addetto alla condotta e scorta dei treni", per
il quale è previsto il ticket quando "è in servizio in un periodo che
comprende interamente la fascia 11.30-14.30 e/o la fascia 18.30-21.30".
Secondo la società ricorrente questa previsione specifica indicherebbe
che per i turnisti il diritto al ticket per il servizio prestato in
coincidenza con le fasce non sussiste.
Ma, a
parte la evidente discriminazione tra situazioni simili che una tale
soluzione interpretativa comporterebbe, deve sottolinearsi che la
specificità della prescrizione trova una spiegazione nel fatto che in
questo caso la fascia di orario indicata è diversa da quella ordinaria,
indicata in precedenza, per fruire dei pasti (11.00-15.00 e
18.00-22.00). Questa diversità spiega la necessità della esplicitazione
di una previsione che altrimenti rimane interna alla norma generale. Il
ricorso principale pertanto deve essere respinto Il ricorso incidentale è
invece fondato. La Corte ha motivato la compensazione per metà delle
spese, con il fatto che vi sarebbe stata "parziale reciproca soccombenza
delle parti". In effetti, però, la Corte d'Appello ha accolto
integralmente la domanda del lavoratore (che, si ricordi, in coerenza
con la lettura della normativa, non ha formulato alcuna richiesta in
relazione al primo turno nel secondo periodo, che, terminando alle
13.00, gli consentiva di rientrare a casa per consumare il pranzo entro
la fascia concordata (12.00-14.00).
P.Q.M.
La
Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale ed accoglie il
ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso
accolto e rinvia alla Corte d'Appello di Bari, anche per le spese di
questo giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 aprile 2009.
Depositato in Cancelleria il 25 giugno 2009
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