Se il cane "di quartiere" fa danni, non paga il Comune ma l'Asl per l'omessa vigilanza |
L'abolizione delle Usl troncò ogni legame con l'ente locale: è l'azienda sanitaria che deve accalappiare i randagi e pagare eventuali risarcimenti. Ma stavolta le pretese delle vittime dell'incidente stradale sforano il tetto del giudizio secondo equità |
CASSAZIONE CIVILE
Cass. civ. Sez. III, 27-03-2009, n. 7544
Cass. civ. Sez. III, 27-03-2009, n. 7544
Svolgimento del processo
1.
- Con sentenza del 28 aprile 2005 il Giudice di Pace di Pozzuoli, nel
giudizio vertente tra F.A. e C.G.S. da un lato e il Comune di Pozzuoli
dall'altro ed avente ad oggetto risarcimento danni per lesioni e danni
materiali a seguito di un incidente stradale, cagionato dall'impatto di
una autovettura con una "cane di quartiere", ha dichiarato la carenza di
legittimazione passiva della ASL Na/(OMISSIS) e la responsabilità del
Comune di Pozzuoli occorso a F.A. e a C.G.S., in ordine ai danni
riportati e sopra descritti.
2. - In punto di
fatto, con atto di citazione, ritualmente notificato al Comune di
Pozzuoli, in data 17.04.2003, F.A. e C. G.S. convennero in giudizio il
Comune, onde ottenere il risarcimento danni materiali e lesioni,
cagionati a loro dire da un grosso cane randagio, che si era scontrato
con la vettura su cui essi si trovavano e di proprietà del F.A..
Instauratosi
il giudizio, il Comune, nel costituirsi, chiedeva di chiamare in causa
la ASL/NA (OMISSIS), che a sua volta, costituendosi, chiedeva di
chiamare in garanzia la s.p.a. Ras, che rimaneva, a dire del giudice,
contumace.
All'esito dell'espletata istruttoria il Giudice di Pace emetteva la sentenza, non notificata, indicata in epigrafe.
Avverso
questa decisione insorge con ricorso notificato il 13 giugno 2006 al
F.A. e alla Ras e il 14 giugno 2006 alla ASL/NA (OMISSIS) il Comune di
Pozzuoli, limitando il suo ricorso alla domanda del F. A. (p. 7
ricorso).
Resistono con controricorso la ASL/NA(OMISSIS) e la Ras s.p.a..
Motivi della decisione
Nell'unico
ed articolato motivo (violazione e falsa applicazione della L.R.
Campania 24 novembre 2001, n. 16, artt. 5 e 6, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3;
insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c.,
n. 5) il Comune, in sintesi, sostiene la esclusiva responsabilità della
ASL. Infatti, a suo dire, sarebbe compito della ASL attuare "il
servizio di accalappiamento dei cani vaganti e il loro trasferimento
presso i canili pubblici" e, a conforto del suo assunto richiama la
decisione di questa Corte n. 27001/05.
Afferma,
inoltre, il Comune che per errore è stata dichiarata la contumacia
della RAS s.p.a., che invece si era regolarmente costituita: censura
condivisa dalla RAS a p. 3 del controricorso Il presente ricorso è
inammissibile.
Di vero, la domanda originaria
proposta avanti al Giudice di pace conteneva la richiesta di condanna
del Comune al pagamento di euro 1.100 per i danni riportati dall'auto di
proprietà del F.A. e della somma ritenuta equa dal giudicante per le
lesioni subite da C.G.S..
Per effetto del cumulo di domande (ex art. 10 c.p.c.) si eccede il limite di cui all'art. 113 c.p.c., comma 2.
Ne
consegue che la sentenza impugnata andava soggetto ad appello e non già
a ricorso per cassazione, a nulla valendo la limitazione del ricorso
del Comune nei confronti del capo di essa che ha visto la condanna del
F.A..
Data la inammissibilità del ricorso
nessun'altra deduzione contenuta negli atti dell'attuale fascicolo di
ufficio può essere esaminata.
Segue la soccombenza nelle spese, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara
inammissibile il ricorso e condanna il Comune di Pozzuoli ricorrente al
pagamento delle spese a favore di ciascuna delle parti resistenti nella
misura di Euro 500,00 per onorari e Euro 100,00 per spese oltre spese
generali ed accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 27 marzo 2009
RESPONSABILITA' CIVILE - SANITA' E SANITARI
Cass. civ. Sez. III, 03-04-2009, n. 8137
Cass. civ. Sez. III, 03-04-2009, n. 8137
Svolgimento del processo
1.1.
Con sentenza in data 25-3/30-5-2005, il giudice di pace di Pozzuoli -
decidendo sulla domanda proposta da D.L.V. e A.M. per il risarcimento
dei danni subiti dal figlio minore D.L.A. a seguito del morso di un cane
randagio, avvenuto in data (OMISSIS) in una strada del comune di
(OMISSIS) - dichiarava la responsabilità in solido dei convenuti Comune
di POZZUOLI e ASL NA (OMISSIS) distretto (OMISSIS) in ordine alla
causazione dell'evento dannoso in oggetto e, a titolo di risarcimento
danni, li condannava, con riparto nella misura del 50% ciascuno,
manlevando ASL NA (OMISSIS) per il titolo di garanzia prestato dalla
R.A.S. s.p.a., a pagare in favore di D.L.V. e A.M., nella qualità di
esercenti la potestà genitoriale, la somma di Euro 1.500,00 oltre
interessi legali dall'evento al soddisfo, nonchè al rimborso delle spese
del giudizio.
Per quanto qui interessa il giudice di pace motivava il proprio convincimento sulla base delle seguenti considerazioni:
nella specie ricorreva una situazione di randagismo, regolata dalla L. 14 agosto 1991, n. 281,
che demanda alle regioni di emanare proprie leggi per l'istituzione
dell'anagrafe canina, per il risanamento dei canili comunali e per
l'adozione di un programma per il randagismo; in particolare preposto
alla tutela della salute pubblica e dell'ambiente era il Servizio
Sanitario delle USL, oggi ASL; le ASL, dopo il riordino della disciplina
in materia sanitaria, erano diventate soggetti giuridici autonomi,
inseriti nell'organizzazione sanitaria regionale, pur non avendo
completamente reciso i legami con l'ente territoriale nel cui ambito
operavano; infatti residuavano in capo al comune, ai sensi del D.Lgs. n. 502 del 1992, art. 3, comma 14,
la definizione delle linee di indirizzo nell'ambito della
programmazione regionale e la verifica dell'andamento generale
dell'attività di vigilanza da parte del sindaco, il quale operava come
rappresentante dell'organo territoriale e non quale ufficiale del
governo; di modo che andava affermata la responsabilità del Comune di
Pozzuoli accanto a quello della ASL NA (OMISSIS) distretto (OMISSIS),
nel cui ambito territoriale si era svolto l'evento dannoso.
1.3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Comune di POZZUOLI svolgendo due motivi.
Si è costituita la R.A.S., depositando controricorso, peraltro notificato tardivamente.
Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli altri intimati.
Motivi della decisione
2.
Preliminarmente va dichiarata l'inammissibilità del controricorso della
R.A.S.. Invero il ricorso introduttivo risulta notificato all'intimata
compagnia di assicurazione presso il difensore costituito nel giudizio
di merito (avv. Giovanni Feola) in data 13-7-2006 ed è pertanto da
questa data che decorre il termine di cui all'art. 370 c.p.c.,
comma 1. Risulta, invece, che il controricorso è stato consegnato per la
notifica all'ufficiale giudiziario in data 19-10-2006 e, quindi,
successivamente alla scadenza di detto termine, pur avuto riguardo alla
sospensione per il periodo feriale.
Tuttavia la resistente ha partecipato alla discussione orale in udienza.
3.1.
Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione della
L.R. Campania 24 novembre 2001, n. 16, artt. 5 e 6, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione della L. 14 agosto 1991, n. 281, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2051 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all'art. 360 c.p.c.,
n. 5. In particolare il ricorrente Comune rileva la propria carenza di
legittimazione rispetto all'azione risarcitoria, atteso che, in base
alla normativa regionale della Campania, il controllo del randagismo è
affidato ai servizi veterinari della ASL competente per territorio;
lamenta, quindi, che la statuizione, oltre a presentare una motivazione
assolutamente insufficiente, sia del tutto errata.
2.2. Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell'art. 360 c.p.c.,
n. 5. A tal riguardo il ricorrente lamenta che la decisione impugnata
abbia deciso ultra petita, dal momento che nell'atto introduttivo del
giudizio la domanda risultava limitata alla somma di Euro 1.032,21 e,
comunque, “secondo il prudente ed equitativo apprezzamento del sign.
Giudice di Pace adito ai sensi dell'art. 113 c.p.c., comma 2”.
4.1. Va preliminarmente esaminato il secondo motivo di ricorso, giacchè
esso propone una questione che si rivela strettamente connessa alla
preliminare verifica dell'ammissibilità dell'impugnazione e dei limiti
del sindacato consentito in questa sede.
Invero
- per quanto la condanna sia stata pronunciata per l'importo di Euro
1.500,00 oltre interessi legali dall'evento al soddisfo - nella specie
si versa in ipotesi di giudizio secondo equità pronunciato dal giudice
di pace a norma dell'art. 113 c.p.c., comma 2. Si rammenta, in
conformità alla consolidata giurisprudenza di questa S.C., che per
determinare il valore di una causa incardinata dinanzi al giudice di
pace, al fine di stabilire se debba essere decisa secondo equità, ai
sensi dell'art. 113 c.p.c., in quanto non eccedente l'importo
di Euro 1.100,00 (in precedenza, L. 2.000.000), occorre avere riguardo
alle norme che disciplinano la competenza per valore contenute negli
artt. da 10 a 14 e 16 e 17 c.p.c., (ex plurimis, Cass. civ., Sez. 2^,
28/08/2000, n. 11203; Cass. civ., Sez. 3^, 22/01/2003, n. 968).
Orbene, nel caso di specie, non solo il petitum originario (cui ex art. 5 c.p.c.,
occorre fare riferimento ai fini della determinazione della competenza)
risultava espressamente limitato alla somma di Euro 1.032,21 e,
comunque, alla somma da determinarsi “secondo il prudente ed equitativo
apprezzamento del sign. Giudice di Pace adito ai sensi dell'art. 113 c.p.c.,
comma 2”, ma anche le conclusioni finali - come riportate nell'epigrafe
della impugnata sentenza - confermano che la domanda era circoscritta
entro il limite normativamente affidato al criterio equitativo del
giudice di pace, stante l'espressa richiesta di “pagamento della somma
di Euro 1.100,00” e dovendo la richiesta alternativa di “quell'altra
(somma) ritenuta di giustizia” intendersi riferita all'importo
inferiore, altrimenti ritenuto di spettanza.
Da
tale premessa deriva un duplice ordine di conseguenze. Invero -
trattandosi di sentenza pronunciata prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, su una domanda espressamente contenuta entro il limite di valore di cui all'art. 113 c.p.c.,
comma 2, - da un lato, l'unico mezzo ordinario di impugnazione è il
ricorso per cassazione, oltre che per i motivi previsti dai numeri uno e
due dell'art. 360 c.p.c., anche (con riferimento al n. 3,
dello stesso articolo) per violazioni della Costituzione, delle norme
comunitarie di rango superiore, dei principi generali dell'ordinamento e
della legge processuale (con riferimento all'art. 360 c.p.c.,
n. 4), nonchè, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n.
206 del 2004, dei principi informatori della materia (Cass. civ., Sez.
Unite, 16/03/2007, n. 6074); dall'altro lato, essendo stata la stessa
sentenza emessa per un importo eccedente tale limite, avuto riguardo
all'importo della sorte capitale e al cumulo degli interessi ante
causam, risulta ammissibile e fondato il motivo di ricorso, con cui si
deduce il vizio di ultrapetizione.
Valga
considerare che il giudizio di equità attiene alle regole sostanziali da
applicare alla controversia, restando, invece, fermo l'obbligo di
osservanza delle norme processuali. In particolare costituisce ius
receptum che il giudizio di equità ex art. 113 c.p.c., comma 2, non può sottrarsi all'osservanza del principio di carattere processuale espresso dall'art. 112 c.p.c.,
non solo con riferimento alla domanda, ma anche alle eccezioni sulle
quali il giudice non può pronunciarsi d'ufficio qualora si tratti di
eccezioni in senso proprio. Pertanto l'inosservanza da parte del detto
giudice del principio procedimentale di corrispondenza tra il chiesto ed
il pronunciato (art. 112 c.p.c.) integra un vizio della
sentenza denunciabile con il ricorso per cassazione (Cass. civ., Sez.
3^, 03/09/1998, n. 8762; conf., con riguardo al giudizio di equità del
conciliatore, Cass. 4 maggio 1992 n. 5240).
Nella
specie risulta da quanto sopra esposto che il giudice di pace ha
violato la indicata regola procedimentale, non essendosi mantenuto
nell'ambito della precisa richiesta della parte.
L'esposto motivo va, pertanto, accolto.
2.2.
Le considerazioni che precedono - siccome limitate al profilo della
quantificazione del danno - non esonerano dall'esame dell'altro motivo
di ricorso: questo, infatti, seppure inammissibile per la parte che
denuncia l'insufficienza della motivazione, può e, anzi, deve trovare
ingresso in questa sede, nella misura in cui - attraverso la formale
deduzione della violazione della normativa in materia di randagismo -
pone in discussione, non tanto l'imputabilità concreta del fatto dedotto
in giudizio, quanto piuttosto la sussistenza di una condizione, per
così dire “a monte”, rispetto alla trattazione del merito della causa,
attinente alla legitimatio ad causam.
Si
rammenta che, mentre il difetto (o la sussistenza) di effettiva
titolarità attiva o passiva del rapporto sostanziale non può essere
dedotto come motivo di ricorso per cassazione contro le sentenze emesse
dal giudice di pace ai sensi dell'art. 113 c.p.c., comma 2,
comportando una disamina ed una decisione attinente al merito della
controversia, il controllo circa la legitimatio ad causam, esercitabile
d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, si risolve nell'accertare
se, secondo la prospettazione del rapporto controverso data dall'attore,
questi ed il convenuto assumano, rispettivamente, la veste di soggetto
che ha il potere di chiedere la pronuncia giurisdizionale e di soggetto
tenuto a subirla, onde il relativo difetto (di legitimatio ad causam
appunto) è deducibile come motivo di ricorso per cassazione avverso le
sentenze emesse secondo equità dal giudice di pace, risultando detto
giudice tenuto (come detto) all'osservanza delle norme processuali ed
alla verifica in specie della regolare costituzione del relativo
rapporto (cfr. Cass. civ., Sez. 1^, 20/11/2003, n. 17606; Cass. civ.,
Sez. 3^, 01/03/2004, n. 4121).
Ciò posto, si
osserva che, nella specie, si verte, secondo la prospettazione attorea,
in un'ipotesi di risarcimento danni conseguente ad un fenomeno di
randagismo. Trattasi di materia regolata nell'ambito della legge -
quadro 14 agosto 1991, n. 28 (come, peraltro, evidenziato nella stessa
sentenza impugnata) da leggi regionali; in particolare la legge 24
novembre 2001, n. 16 della regione Campania ha affidato le relative
competenze ai servizi veterinari delle A.S.L. (che, a mente dell'art. 5,
lett. c), della legge regionale, “attivano il servizio di
accalappiamento dei cani vaganti ed il loro trasferimento presso i
canili pubblici”).
Va aggiunto che l'impugnata
sentenza non ha individuato una specifica responsabilità del Comune di
Pozzuoli in relazione al fatto concreto, ma, piuttosto, ha fatto
discendere la legittimazione del medesimo comune da un generico “legame”
con la ASL operante nel territorio, desumendolo dai compiti assegnati
al sindaco D.Lgs. n. 502 del 1992, ex art. 3, comma 14, “al
fine di corrispondere alle esigenze sanitarie della popolazione” di
definizione, nell'ambito della programmazione regionale, delle linee di
indirizzo per l'impostazione programmatica e di verifica dell'andamento
generale dell'attività.
Senonchè, in seguito al riordino del servizio sanitario conseguente al D.Lgs. n. 502 del 1992,
risulta reciso il “cordone ombelicale” fra Comuni e USL (così Corte
cost., 24/06/2003, n. 220) con la trasformazione delle unità sanitarie
locali in aziende sanitarie locali e con il mutamento della
configurazione giuridica di queste ultime, non più strutture operative
dei comuni, ma aziende dipendenti dalla regione, strumentali per
l'erogazione dei servizi sanitari di competenza regionale. Ne consegue
che la locale azienda sanitaria doveva essere considerata soggetto
giuridico autonomo rispetto al Comune di Pozzuoli.
In
tale prospettiva questa stessa sezione - con riferimento ad una
controversia di risarcimento danni verificatisi successivamente alla
soppressione delle USL e fondata sull'omessa vigilanza sui cani randagi,
affidata dalla L.R. 3 aprile 1985, n. 12, art. 6, regione Puglia alla
competenza dei servizi sanitari delle unità sanitarie locali - ha già
avuto modo di affermare (con sentenza in data 7 dicembre 2005, n. 27001)
il principio, applicabile mutatis mutandis anche al caso all'esame,
secondo cui la legittimazione passiva spetta alla locale azienda
sanitaria, succeduta alla USL, e non al Comune, sul quale, perciò, non
può ritenersi ricadente il giudizio di imputazione dei danni dipendenti
dal suddetto evento.
L'accoglimento anche del
primo motivo e, quindi, dell'intero ricorso comporta la cassazione
dell'impugnata sentenza e il rinvio della causa ad altro giudice di pace
di Pozzuoli, che provvederà anche sulle spese del presente grado.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia anche
per le spese del giudizio di cassazione ad altro giudice di pace di
Pozzuoli.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2009.
Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2009
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