LAVORO (RAPPORTO DI)
Cass. civ. Sez. lavoro, 25-02-2010, n. 4623
Cass. civ. Sez. lavoro, 25-02-2010, n. 4623
Svolgimento del processo
1. Con ricorso al Tribunale di Brescia, in funzione di giudice del lavoro, O.D. domandava, nei confronti dell'INPS, l'accertamento del suo diritto ad usufruire di due permessi giornalieri retribuiti, ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 33, e D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, e quindi doppio rispetto a quello ordinario, essendo padre di due gemelli riconosciuti portatori di "handicap in situazione di gravità", di età inferiore ai tre anni. Esponeva di avere chiesto al proprio datore di lavoro di poterne usufruire, ma si era visto negare il beneficio poichè l'Istituto aveva escluso specificamente il suo diritto, sicchè, vanamente esperita la procedura amministrativa, aveva infine proposto l'azione in giudizio. Costituitosi l'INPS, il Tribunale rigettava la domanda con sentenza del 21 luglio 2004. 2. Tale decisione veniva confermata dalla Corte d'appello di Brescia, che, con sentenza del 22 febbraio 2006, respingeva il gravame proposto dall' O. rilevando: a) che persisteva l'interesse dell'appellante ad ottenere una decisione dichiarativa del diritto da lui dedotto - pur avendo i suoi figlioli intanto compiuto i tre anni di età - in vista di una eventuale tutela risarcitoria; b) la domanda, peraltro, non era fondata, poichè il Legislatore aveva previsto la moltiplicazione dei permessi per l'allattamento in caso di parto plurimo, ma, significativamente, non aveva inserito una analoga disposizione per l'ipotesi di pluralità di bambini portatori di inabilità; c) in generale, l'interesse del lavoratore a svolgere una prestazione alleviata in ragione di particolari esigenze di famiglia doveva comunque contemperarsi con l'interesse del datore di lavoro ad ottenere una prestazione lavorativa apprezzabile e con quello dell'ente previdenziale a sopportare un costo non eccessivo, come era confermato, del resto, dalla prevista limitazione del permesso per allattamento in caso di orario lavorativo inferiore alle sei ore; d) non poteva ravvisarsi alcuna ingiustificata disparità rispetto all'ipotesi di più figli disabili di diverse età - per la quale era pacificamente ammesso il cumulo dei permessi - stante la diversità delle situazione e considerata, altresì, la facoltà del lavoratore di astenersi completamente dalla prestazione prolungando il congedo parentale.
3. Di questa sentenza il lavoratore domanda la cassazione deducendo tre motivi di impugnazione. L'Istituto resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente, ai fini della verifica della legitimatio ad causam nella controversia (che si impone anche in questa sede in mancanza di esplicite statuizioni al riguardo: cfr. Cass., sez. un., n. 26019 del 2008), osserva la Corte che la domanda proposta in giudizio si riferisce specificamente al provvedimento dell'ente previdenziale relativo alla richiesta preventiva di riconoscimento della fruibilità dei permessi previsti dalla L. n. 104 del 1992, art. 33. In generale, il contenuto di tale provvedimento si sostanzia nell'autorizzazione preventiva al datore di lavoro (o nel suo diniego) a compensare le somme eventualmente corrisposte a tale titolo con i contributi obbligatori dovuti all'INPS, al cui carico è posto l'onere finanziario dei benefici; sussiste, perciò, la legittimazione passiva dell'Istituto in relazione alla pretesa del soggetto interessato di riconoscimento del diritto, allorchè - come nella specie - la domanda concerna il diniego di tale autorizzazione preventiva.
2. Il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, e del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, nonchè la violazione di principi costituzionali (artt. 3, 30, 31, 32, 36 e 38 Cost.). In particolare, con il primo motivo, osserva che il permesso di due ore al giorno è finalizzato all'assistenza di ciascun bambino con handicap grave e deve perciò raddoppiarsi, necessariamente, ove i bambini da assistere siano due, così come viene previsto nell'ipotesi di parto plurimo per i riposi di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 39, e osserva che un meccanismo di cumulo dei permessi - già riconosciuto dalla giurisprudenza nell'ipotesi di lavoratore disabile maggiorenne (cumulo di permessi giornalieri e permessi mensili) - viene correntemente applicato dallo stesso Istituto, in virtù di un parere espresso al riguardo dal Consiglio di Stato, in relazione ai permessi di tre giorni al mese per familiari handicappati di età superiore ai tre anni; con il secondo motivo, rileva che la contraria interpretazione adottata dalla sentenza impugnata finisce per sottomettere l'interesse alla salute del bambino, cui - nel bilanciamento con gli altri interessi in gioco, fra cui quello del datore di lavoro e quello dell'ente previdenziale - la giurisprudenza costituzionale riconosce una tutela prioritaria; con il terzo motivo, osserva che l'esclusione del doppio permesso giornaliero determinerebbe una irragionevole disparità rispetto all'ipotesi di più figli handicappati di età superiore ai tre anni, per la quale - come sopra indicato - l'Istituto riconosce la cumulabilità. 3. Il ricorso è fondato.
3.1. La L. 5 febbraio 1992, n. 104 (legge-quadro per l'assistenza, l'integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate) prevede, all'art. 33, agevolazioni per i lavoratori che assistono soggetti portatori di handicap (la cui condizione deve essere accertata mediante le commissioni mediche previste dall'art. 4 della stessa L. n. 104 del 1992: cfr., ex plurimis, Cass. n. 8436 del 2003).
In particolare, il comma 2, dispone che la lavoratrice madre o, in alternativa, il lavoratore padre, anche adottivi, possono chiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del periodo di astensione facoltativa, di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino.
Questa disposizione è stata recepita nel D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151, art. 42, comma 1, recante il testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma della L. 8 marzo 2000, n. 53, art. 15.
Per tale permesso (che l'art. 42, comma 1, cit. definisce "riposo giornaliero retribuito") è dovuta un'indennità, a carico dell'ente assicuratore, pari all'intero ammontare della retribuzione, che viene anticipata dal datore di lavoro e viene portata a conguaglio con gli apporti contributivi dovuti all'ente (art. 43, comma 1, del T.U.); il periodo di permesso è computato nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità (art. 43, comma 2, e art. 34, comma 5, del T.U.).
3.2. Sul piano sistematico, come le Sezioni unite di questa Corte hanno precisato con la sentenza n 16102 del 2009, la configurazione giuridica delle posizioni soggettive riconosciute dalla L. n. 104 del 1992, art. 33, e i limiti del relativo esercizio all'interno del rapporto di lavoro, devono essere individuati alla luce dei numerosi interventi della Corte costituzionale, che - collocando le agevolazioni in esame all'interno di un'ampia sfera di applicazione della legge, diretta ad assicurare, in termini quanto più possibile soddisfacente, la tutela dei soggetti svantaggiati, destinata a incidere sul settore sanitario e assistenziale, sulla formazione professionale, sulle condizioni di lavoro, sulla integrazione scolastica - ha tuttavìa precisato la discrezionalità del Legislatore nell'individuare le diverse misure operative finalizzate a garantire la condizione del disabile mediante la interrelazione e la integrazione dei valori espressi dal disegno costituzionale (cfr. Corte cost. n. 406 del 1992; id., n. 325 del 1996).
In questa ottica, la misura prevista dall'art. 33, comma 2, deve intendersi come razionalmente inserita in un ampio complesso normativo - riconducibile ai principi sanciti dall'art. 3 Cost., comma 2, e dall'art. 32 Cost., - che deve trovare attuazione mediante meccanismi di solidarietà che, da un lato, non si identificano esclusivamente con l'assistenza familiare e, dall'altro, devono coesistere e bilanciarsi con altri valori costituzionali.
Può osservarsi, al riguardo, che l'agevolazione è diretta non tanto a garantire la presenza del lavoratore nel proprio nucleo familiare, quanto ad evitare che il bambino handicappato resti privo di assistenza, di modo che possa risultare compromessa la sua tutela psico-fisica e la sua integrazione nella famiglia e nella collettività, così confermandosi che, in generale, il destinatario della tutela realizzata mediante le agevolazioni previste dalla legge non è il nucleo familiare in sè, ovvero il lavoratore onerato dell'assistenza, bensì la persona portatrice di handicap (cfr. Corte cost. n. 19 del 2009). Una configurazione siffatta, d'altronde, è in linea con la definizione contenuta nella Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, approvata il 13 dicembre 2006, là dove la finalità comune dei diversi ordinamenti viene identificata nella piena ed effettiva partecipazione nella società su una base di eguaglianza con gli altri, nonchè con la nuova classificazione adottata nel 1999 dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, che ha definito la disabilità come difficoltà all'espletamento delle "attività personali" e alla "partecipazione sociale" (cfr. Cass., sez. un., n. 16102 del 2009, cit.).
3.3. L'efficacia di questa tutela si realizza anche mediante una regolamentazione del contratto di lavoro in cui è parte il familiare della persona tutelata, là dove il riconoscimento di diritti in capo al lavoratore è in funzione del diritto del soggetto svantaggiato a ricevere assistenza.
Per l'ipotesi di lavoratori che assistono figli "con handicap in situazione di gravità", il Legislatore, in ragione della concomitanza degli implicati valori di rilievo costituzionale (quali l'esigenza del bambino di ricevere un'assistenza continua e adeguata dai propri genitori, l'interesse del datore di lavoro a ricevere la prestazione e la compatibilità economica delle prestazioni assistenziali con la generale funzione di assicurazione sociale svolta dall'Istituto), ha definito con esattezza l'agevolazione spettante prevedendo il diritto della madre-lavoratrice, o del padre-lavoratore, a fruire, in alternativa al prolungamento del congedo parentale, di permessi giornalieri di due ore per il bambino di età sino a tre anni. In tal modo, la norma in esame esprime una precisa scelta di valori che è collegata alla primaria necessità di assistenza secondo uno "standard" orario - all'interno della giornata di lavoro - commisurato alla presenza di un bambino disabile e che si realizza con la previsione di un più esteso arco temporale di tutela, in caso di opzione per la non sospensione del rapporto lavorativo, rispetto all'ipotesi del bambino senza handicap; scelta che risulterebbe evidentemente vanificata ove si escludesse che, in ipotesi di pluralità di bambini con handicap, spetta un permesso giornaliero di due ore per ciascun bambino, che si configurerebbe in tal caso una evidente alterazione rispetto al predetto parametro (due ore al giorno per ogni bambino) e, peraltro, si determinerebbe una irragionevole disparità, in senso del tutto opposto alla intentio legis, rispetto all'ipotesi di pluralità di bambini non svantaggiati, per i quali viene espressamente prevista dall'art. 41 del T.U. la moltiplicazione dei periodi di riposo giornaliero (sì che i genitori di due bambini senza handicap fruirebbero di quattro ore al giorno, mentre per due bambini con handicap spetterebbero solo due ore). D'altra parte, il cumulo di permessi è consentito - come riconosce lo stesso Istituto - fra permessi giornalieri (per bambini "con handicap grave" sino a tre anni di età) e permessi mensili di tre giorni (oltre tale età) e, dunque, a maggior ragione esso si giustifica in relazione alla necessità di assistere durante la stessa giornata due bambini con disabilità, entrambi di età inferiore a tre anni.
3.4. La configurazione del predetto parametro (due ore al giorno di riposo per ciascun bambino) in base alla norma in esame, così intesa, resiste alle osservazioni contenute nella sentenza impugnata, con riguardo all'ipotizzato "svuotamento" della prestazione di lavoro. Basti considerare che la lavoratrice, o il lavoratore, potrebbe optare per il prolungamento del congedo parentale sino a tre anni - secondo un diritto potestativo esplicitamente riconosciuto dalla stessa norma - e, in tal caso, il rapporto di lavoro resterebbe sospeso e la prestazione sarebbe del tutto assente, con un più rilevante pregiudizio anche per il datore di lavoro (oltre che per la lavoratrice, o il lavoratore, che subirebbe la decurtazione della retribuzione secondo quanto previsto dall'art. 34, comma 2, del T.U. e dovrebbe sopportare anche la perdita di professionalità conseguente al distacco dal lavoro). Nè potrebbe rilevare, in proposito, la previsione dell'art. 39, comma 1, del T.U., secondo cui "il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore", che è riferita, esclusivamente, ai riposi giornalieri della madre - durante il primo anno di vita del bambino (non portatore di disabilità) -, che sono frazionati in dipendenza dell'esigenza dell'allattamento, ed è evidentemente incompatibile con la necessità dell'assistenza continuativa richiesta dalla presenza di bambini "con handicap in situazione di gravità".
In quest'ultima ipotesi, dunque, il bilanciamento dei diversi interessi coinvolti non può che avvenire secondo l'indicato parametro, che presuppone la prevalenza dell'interesse del bambino e la tutela, prioritaria, del suo sviluppo e della sua salute quali diritti fondamentali dell'individuo (ex art. 3 Cost., comma 2, e art. 32 Cost.), sì che, alla luce di una interpretazione della L. n. 104 del 1992, art. 33, comma 2, orientata alla complessiva considerazione di tale prevalente tutela, deve riconoscersi il diritto della lavoratrice madre, o del lavoratore padre, di figli “con handicap in situazione di gravità” ad usufruire, in alternativa al prolungamento fino a tre anni del congedo parentale, di due ore di permesso giornaliero retribuito per ciascun bambino sino al compimento del terzo anno di vita (e quindi di un permesso doppio in caso di figli gemelli, entrambi con handicap grave).
4. In conclusione, il ricorso è accolto. La sentenza impugnata va perciò cassata e, decidendosi la causa nel merito ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 2, va dichiarato il diritto del ricorrente ad usufruire di un permesso giornaliero di due ore retribuite per ciascuno dei due figli e fino al compimento del terzo anno di vita dei medesimi.
5. La complessità della questione induce a compensare fra le parti le spese dell'intero processo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara il diritto di O.D. ad usufruire di un permesso giornaliero di due ore retribuite per ciascun figlio e fino al compimento del terzo anno di vita dei due figli. Compensa le spese dell'intero processo.
Così deciso in Roma, il 28 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2010
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