Translate

venerdì 8 gennaio 2016

Consiglio di Stato: AGENTI E FUNZIONARI DI PUBBLICA SICUREZZA - IMPIEGO PUBBLICO - SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE PER IL PERSONALE DI PUBBLICA SICUREZZA




AGENTI E FUNZIONARI DI PUBBLICA SICUREZZA - IMPIEGO PUBBLICO
SOSPENSIONE DEL PROCEDIMENTO DISCIPLINARE PER IL PERSONALE DI PUBBLICA SICUREZZA
Cicchese Roberta
Cons. Stato (Ad. Plen.) Sent., 29 gennaio 2009, n. 1
FONTE
Corriere Merito, 2009, 4, 447
Sommario: La vicenda contenziosa - Il contrasto di giurisprudenza - Le ragioni dell'interpretazione estensiva - Le ragioni dell'interpretazione restrittiva e le argomentazioni della ordinanza di rimessione - La soluzione della Plenaria - I precedenti
La vicenda contenziosa
Un commissario della Polizia di Stato, dopo aver conosciuto il contenuto del rapporto informativo annuale e aver verificato la valutazione sfavorevole ivi formulata nei suoi confronti, alla presenza di alcuni colleghi, strappa il documento e lo butta in un posacenere, incendiandolo con un accendino per distruggerlo completamente.
Venti giorni più tardi, l'autore dei fatti viene convocato dalla polizia giudiziaria per essere interrogato in relazione al reato di cui all'art. 490 del codice penale, il quale, sotto la rubrica “soppressione, distruzione e occultamento di atti veri”, punisce la condotta di “chiunque, in tutto o in parte, distrugge, sopprime o occulta un atto pubblico o una scrittura privata veri ...”.
Nella stessa data gli viene notificato l'avvio del procedimento disciplinare.
Quest'ultimo si conclude con l'irrogazione della sanzione disciplinare della deplorazione, provvedimento avverso il quale il dipendente propone ricorso al T.A.R. Liguria.
L'indagine penale, invece, si chiude, in tempo successivo alla irrogazione della sanzione disciplinare, con un provvedimento di archiviazione.
Il giudice adito accoglie il ricorso ritenendo fondata l'assorbente censura di violazione dell'art. 11 del D.P.R. 25 ottobre 1981, il quale, in materia di “sanzioni disciplinari per il personale di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti” stabilisce che “... quando l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato”.
In particolare, il giudice di primo grado ha ritenuto che la nozione di procedimento penale vada intesa in senso lato, ricomprendendovi anche la fase delle indagini preliminari ed ha, di conseguenza, affermato che, nel caso in esame, si era verificata quella contemporanea pendenza del procedimento penale e di quello disciplinare che la norma mira ad evitare.
Il contrasto di giurisprudenza
La sentenza è stata appellata dall'amministrazione, che ha propugnato una interpretazione restrittiva della disposizione contenuta nell'art. 11 del D.P.R 737/1981, secondo la quale l'espressione “essere sottoposto a procedimento penale” va intesa nel senso che la sospensione del procedimento penale deve essere disposta solo a favore del dipendente nei cui confronti sia stata esercitata l'azione penale ai sensi degli articoli 60 e 405 del codice di procedura penale.
In sostanza gli eventi a partire dai quali deve aver luogo l'interruzione del procedimento disciplinare sono la richiesta di rinvio a giudizio, la richiesta di giudizio immediato, la richiesta di decreto penale di condanna, la richiesta di applicazione della pena ex art. 447, primo comma, c.p.p. ovvero la richiesta di citazione in giudizio, a norma dell'art. 555 c.p.p.
La quarta sezione del Consiglio di Stato, con ordinanza n. 5001 del 16 ottobre 2008, ha rimesso il ricorso all'Adunanza Plenaria, avendo rilevato che in materia di interpretazione dell'art. 11 del D.P.R. 737/1981 esiste un contrasto giurisprudenziale.
Sia la tesi affermata dal giudice di primo grado, che quella propugnata dall'amministrazione appellante, infatti, risultano sostenute in giurisprudenza ed i due filoni interpretativi, ricorrenti in decisioni di primo e di secondo grado, determinano nell'operatore una sostanziale incertezza sull'effettiva portata della norma.
Le ragioni dell'interpretazione estensiva
L'indirizzo secondo il quale deve essere accolta una nozione ampia di procedimento penale, comprensivo della fase delle indagini preliminari, ritiene che l'art. 11 abbia una funzione di garanzia per il dipendente sottoposto ad indagini. Tale funzione andrebbe raccordata con l'art. 653 del codice di procedura penale, il quale attribuisce alla sentenza penale di assoluzione efficacia di giudicato nel giudizio di responsabilità disciplinare davanti alle pubbliche autorità quanto all'accertamento che il fatto non sussiste e che l'imputato non lo ha commesso”.
Ne discenderebbe che “... non ha senso quindi distinguere, agli effetti dell'applicazione dell'art. 11 del D.P.R. n. 737/1981, all'interno del processo penale le fasi procedimentali di istruttoria ed indagine indirizzate verso un soggetto determinato rispetto al momento di inizio formale dell'azione penale, poiché in entrambi i casi ricorre l'"eadem ratio” sottesa all'art. 11, che è quella di prevenire antinomie fra gli esiti del procedimento penale e di quello disciplinare e di consentire all'inquisito di avvalersi della pronunzia assolutoria a discarico dell'addebito di trasgressione del codice disciplinare.”(Cons. Stato, sez. VI, 6 ottobre 2005, n. 5421).
Un ulteriore argomento viene ricavato dall'art. 61 del codice di procedura penale, il quale estende alla persona sottoposta ad indagini preliminari i diritti e le garanzie previsti per l'imputato, statuendo altresì che al sottoposto ad indagini “si estende ogni altra disposizione relativa all'imputato, salvo sia diversamente stabilito”.
Da tale disposizione si è ricavato “... un principio di carattere ordinamentale che parifica i diritti e le garanzie dell'inquisito, quale sia la fase del procedimento penale in cui esso sia coinvolto. Detto principio esplica, quindi, effetto anche in ordine al diritto dell'indagato di veder subordinata, secondo quanto stabilito dall'art. 653 c.p.p., la definizione del giudizio disciplinare all'esito del giudizio penale, per ciò che attiene all'insussistenza del fatto addebitato ed alla mancata commissione dello stesso” (Cons. Stato, sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3777).
La differente interpretazione condurrebbe, irragionevolmente, a favorire proprio i soggetti più gravemente sospettati.
Mentre a questi ultimi, infatti, verrebbero ascritti immediatamente i fatti di reato per cui si indaga, con conseguente sospensione dei termini del procedimento disciplinare, nei confronti di coloro che si trovino in fase indagatoria il procedimento disciplinare proseguirebbe (Cons. Stato, n. 5421/2005 cit., T.A.R. Trentino Alto Adige, Bolzano, 17 luglio 2006, n. 301).
Ulteriore argomento viene rinvenuto nella giurisprudenza formatasi in tema di interpretazione dell'art. 91 del D.P.R. n. 3 del 1957, in tema di sospensione cautelare dal servizio dell'impiegato civile sottoposto a procedimento penale, secondo la quale per l'adozione della misura cautelare della sospensione dal servizio non è necessaria la ricorrenza delle situazioni processuali previste dagli artt. 60, 405 e 416 c.p.p., essendo sufficiente la mera attività istruttoria del giudice penale per fatti ascritti al pubblico dipendente (cfr. il richiamo alla sentenza della VI sezione del Consiglio di Stato n. 398 del 27 gennaio 2003).
Altre pronunce, infine, sottolineano come la struttura del rinvio alle norme penali contenuta nell'art. 11 imponga un recepimento pieno della terminologia propria di quel settore del diritto, nel quale esiste una chiara distinzione tra “procedimento” e “processo”, essendo riservata “quest'ultima espressione alle fasi del procedimento posteriori all'esercizio dell'azione penale” (Cons. Stato, sez. VI, 11 luglio 2008, n. 3488, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 2 aprile 2008, n. 596).
Le ragioni dell'interpretazione restrittiva e le argomentazioni della ordinanza di rimessione
Il diverso orientamento ritiene che proprio l'intervenuta modifica delle norme processualpenalistiche fa sì che l'esistenza di un procedimento penale possa ritenersi tecnicamente sussistente solo con riferimento alla fase processuale in senso proprio e cioè con riferimento al momento in cui il dipendente assume la qualità di imputato.
Ne deriva l'irrilevanza, ai fini della sospensione del procedimento disciplinare, del mero esperimento di indagini preliminari e della semplice iscrizione nel registro degli indagati.
In particolare si è rilevato come l'informazione di garanzia di cui all'art. 369 c.p.p. non possa ritenersi equivalente ad un atto di contestazione del reato, atteso che la stessa “mira soltanto a salvaguardare i diritti e le facoltà difensive dell'indagato e spiega dunque effetto solo nei rapporti interni tra questi ed il P.M.”
L'ordinanza di rimessione, dopo aver esposto le argomentazioni utilizzate nei due diversi filoni giurisprudenziali, individua argomenti ulteriori a favore dell'una e dell'altra tesi.
In particolare, la Sezione, ribadito come la tesi estensiva abbia il pregio di apparire la più idonea a prevenire antinomie fra gli esisti dei due procedimenti e di consentire all'inquisito di beneficiare della pronuncia di assoluzione, atteso che in tale caso il procedimento disciplinare non verrebbe neppure aperto, rileva che la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, pronunciando sul ricorso n. 35522/2004 in data 27 luglio 2007 (Stavropoulus c. Grecia), ha affermato che la presunzione di innocenza, contenuta nell'art. 6, comma 2, della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, vincola l'autorità che procede disciplinarmente alla ricostruzione del fatto operata dal giudice penale, anche se in forma dubitativa, a favore dell'imputato.
A favore della tesi restrittiva, l'ordinanza di rimessione rileva come, ove non vengano applicate misure cautelari nell'ambito del procedimento penale, l'amministrazione che deve attivare il procedimento disciplinare spesso non è proprio a conoscenza della contemporanea pendenza di una indagine penale, cosicché non ha la materiale possibilità di sospendere il procedimento interno. Tale interpretazione è rafforzata dal contenuto dell'art. 129 delle disposizioni di attuazione del codice penale, il quale prevede che il pubblico ministero, quando esercita l'azione penale nei confronti di un pubblico dipendente, “informa l'autorità da cui l'impiegato dipende, dando notizia dell'imputazione”. Proprio l'esistenza di un obbligo di informativa farebbe presumere che l'operatività della sospensione è collegata all'acquisizione della qualità di imputato.
Da ultimo l'ordinanza rileva come la possibile lunga durata delle indagini preliminari, considerata congiuntamente ai tempi di conclusione del processo penale, porta ad un eccessiva attenuazione della finalità punitiva e preventiva dell'azione disciplinare.
La soluzione della Plenaria
La decisione della Plenaria, premessa un'attenta e critica ricostruzione degli orientamenti contrapposti, è nel senso di ritenere che l'art. 11 si riferisca ad una ipotesi di pendenza in senso tecnico del processo penale.
Afferma infatti la sentenza che “...presupposto ostativo all'attivazione o alla prosecuzione del procedimento disciplinare è l'esercizio dell'azione penale e la conseguente assunzione della veste di imputato del soggetto al quale è attribuito il fatto di rilevanza penale”.
Un primo argomento a favore della tesi sostenuta viene tratto dall'art. 117 del T.U. delle disposizione concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato approvato con il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, il quale, in un'ottica di interpretazione sistematica, viene considerato una possibile norma integrativa dell'art. 11.
L'art. 117 dispone che “qualora per il fatto addebitato all'impiegato sia stata iniziata azione penale il procedimento disciplinare non può essere promosso fino al termine di quello penale e, se già iniziato, deve essere sospeso”.
L'utilizzabilità della norma in chiave interpretativa viene fatta discendere, innanzi tutto, dalla circostanza che il rapporto d'impiego del personale della Polizia di Stato è ascrivibile ai rapporti di lavoro che si svolgono in regime di diritto pubblico, nonché dalla considerazione che l'art. 31 dello stesso D.P.R. 737/1981 esplicitamente prevede l'applicazione del testo unico sugli impiegati civili dello stato - appunto il D.P.R: 3/1957 - per quanto non previsto in materia di disciplina e di procedura, previa valutazione di compatibilità delle norme.
Nel caso in esame l'indeterminatezza della dizione usata dall'art. 11 - “viene sottoposto a procedimento penale” - integra, a giudizio della Plenaria, proprio il tipo di lacuna che legittima l'applicazione della norma più generale, alla cui compatibilità con le specificità della disciplina non si oppone alcun argomento. Il momento in cui il procedimento disciplinare deve essere sospeso, dunque, è quello in cui viene esercitata l'azione penale.
Sempre sotto il profilo sistematico la decisione rileva come, da un punto di vista della correttezza del procedimento ermeneutico, sia necessario interpretare l'art. 11 alla luce delle vigenti norme del codice di procedura penale, entrate in vigore nel 1988.
In particolare si osserva come, poiché la sospensione del procedimento disciplinare deve durare fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato, aderendo alla tesi estensiva si giungerebbe alla sostanziale non punibilità, in sede disciplinare, di fatti che, originariamente oggetto di indagine, vengano archiviati in fase di indagine preliminare.
In tale caso, infatti, l'azione penale in senso tecnico non viene proprio esercitata e in mancanza di una sentenza definitiva, che non può materialmente intervenire, il procedimento disciplinare resterebbe sospeso sine die con sostanziale estinzione della potestà punitiva disciplinare.
La decisione passa, quindi, ad analizzare gli argomenti utilizzati dall'orientamento cui non ritiene di aderire. In particolare, viene sottoposta a critica l'affermazione secondo la quale la necessità di sospendere il procedimento disciplinare fin dalla fase delle indagini preliminari deriverebbe dalla necessità di evitare antinomie tra l'esito dei due diversi procedimenti e consentirebbe al dipendente sottoposto ad indagini di avvalersi in sede disciplinare della pronuncia assolutoria.
Osserva la decisione come le uniche pronunce assolutorie che spiegano efficacia vincolante nel processo penale sono quelle di assoluzione con formula piena divenute definitive. In tali casi infatti viene accertata o la non sussistenza del fatto o la non commissione dello stesso ad opera dell'imputato. L'efficacia spiegata da tale tipo di pronuncia nel procedimento disciplinare si spiega in quanto nelle ipotesi suddette il fatto materiale integrante l'infrazione manca del tutto.
Le sentenze assolutorie con formula diversa, per contro, si limitano ad escludere la rilevanza penale di un fatto del quale resta ferma la valutabilità in termini disciplinari, il cui piano di apprezzamento è ovviamente non coincidente con quello della pretesa punitiva dello Stato.
D'altra parte gli articoli 653 del c.p.p. e 211 delle relative disposizioni di attuazione hanno fatto venire meno il principio della c.d. pregiudiziale penale, in precedenza stabilita dall'art. 3 dell'abrogato codice di procedura.
Da tale ricostruzione si rileva come gli esiti eventualmente diversi dei due procedimenti e le conseguenti antinomie ravvisabili ex post - sostanzialmente nel caso in cui il procedimento disciplinare si concludesse con l'irrogazione della sanzione prima della conclusione del processo penale mentre quest'ultimo terminasse con una pronuncia assolutoria - potranno essere eliminate dall'amministrazione che, in autotutela, provvederà a ritirare l'atto di irrogazione della sanzione. Ove la p.a. non proceda d'ufficio o su istanza dell'interessato, quest'ultimo potrà reagire giudizialmente impugnando il diniego espresso o la condotta omissiva davanti al giudice amministrativo.
La sentenza si segnala per la chiarezza e la completezza delle argomentazioni e colma, probabilmente, qualche lacuna motivazionale della tesi da essa preferita, la quale ancorché ampiamente seguita in giurisprudenza aveva finora ricevuto un approfondimento meno completo di quella opposta.
I precedenti
Cons. Stato, sez. VI, 29 luglio 2008, n. 3777
Ai fini dell'applicazione dell'art. 11 del D.P.R. n. 737 del 1981, non ha senso distinguere, all'interno del processo penale, la fase relativa alle indagini preliminari da quella in cui viene formalmente esercitata l'azione penale, atteso che in entrambe le ipotesi ricorre la medesima necessità di evitare antinomie tra gli esisti del procedimento penale e di quello disciplinare, nonché di consentire all'inquisito di avvalersi della pronuncia assolutoria a discarico dell'addebito di violazione del codice disciplinare. La pretesa di operare una distinzione tra le due fasi contrasta con la nozione unica di “procedimento penale” fissata dal codice vigente di procedura penale ed è conforme al modello processuale accusatorio cui questo si ispira e all'interno del quale sono chiaramente disciplinate e descritte le nozioni di procedimento e di processo penale.
Cons. Stato, sez. VI, 23 maggio 2006, n. 3069
L'art. 11 del D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, recante norme sulle sanzioni disciplinari per il personale dell'amministrazione della pubblica sicurezza, va interpretato nel senso che presupposto ostativo alla prosecuzione del procedimento disciplinare è soltanto l'esercizio dell'azione penale, la quale ha inizio nel momento in cui il soggetto indagato acquista la veste di imputato. Nel corso delle indagini preliminari non si verifica, pertanto, sospensione del procedimento amministrativo.

Nessun commento: