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venerdì 8 gennaio 2016

Cassazione - RSPP e Datore di lavoro: criteri di attribuzione delle responsabilità




INFORTUNI SUL LAVORO   -   OMICIDIO COLPOSO   -   SENTENZA PENALE
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 01-12-2009) 04-02-2010, n. 4917
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Il (OMISSIS), P.M., dipendente della società CO.SE.ME. S. r. I., durante il turno di lavoro notturno (22,00-6,00), mentre era intento alle operazioni di pulizia all'interno di un silo contenente grano in fase di svuotamento - realizzato mediante la progressiva fuoriuscita del grano stesso per gravita a mezzo di una tramoggia posizionata sul fondo del silo - ad un certo punto era venutosi a trovarsi disteso sulla superficie granaria sulla quale si muoveva, e, non percependo il progressivo assorbimento del suo corpo all'interno della massa di grano, era rimasto poi completamento coperto dal grano decedendo per asfissia causata dall'ostruzione delle vie respiratorie intasate dal grano. Per tale fatto, veniva tratto a giudizio F.G.F., quale legale rappresentante della predetta società CO.SE.ME. S.r.l., con l'accusa di omicidio colposo, ai sensi degli artt. 40 e 589 c.p., commesso, secondo l'addebito, con colpa generica (negligenza, imprudenza, imperizia) nonchè con violazione di specifiche norme antinfortunistiche la cui inosservanza aveva determinato, secondo l'ipotesi accusatoria, la caduta del P. dall'alto, dopo che questi si era introdotto nel silo dall'apertura superiore, al fine di procedere poi alla pulizia delle pareti dell'impianto, servendosi di una scala; all'imputato veniva contestata anche la recidiva specifica infraquinquennale. All'esito del dibattimento, il Tribunale di Foggia condannava l'imputato, previa concessione delle attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alle aggravanti contestate, alla pena ritenuta di giustizia per il delitto, pronunciava declaratoria di estinzione per prescrizione in ordine alla contravvenzione di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, artt. 4 e 21, D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 22, comma 1, e D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 89, ed assolveva il F. dalle altre contravvenzioni relative a violazioni del D.P.R. n. 547 del 1955, contestate con il capo di imputazione, per insussistenza di fatto; l'imputato veniva altresì condannato al risarcimento dei danni in favore delle costituite parti civili da liquidarsi in separata sede.
Secondo la dinamica dell'infortunio quale ricostruita dal Tribunale, l'evento si era verificato non con le modalità descritte nel capo di imputazione (precipitazione dall'alto), bensì perchè il P. - il quale stava svolgendo lavoro di pulizia all'interno del silo per la rimozione dei residui del grano, durante la contemporanea fase di svuotamento che si realizzava mediante la fuoriuscita del grano stesso per gravita a mezzo di una tramoggia posizionata sul fondo del silo - era venuto a trovarsi ad un certo punto disteso sulla superficie granaria, per essersi assopito o perchè colto da malore, e non aveva percepito il progressivo assorbimento del suo corpo all'interno della massa di grano dalla quale era rimasto poi completamente coperto: il P. era quindi deceduto per asfissia acuta avendo avuto gli orifizi nasale ed orale intasati dal grano. In sostanza, il piano di calpestio, il "pavimento", sul quale si muoveva il P., era rappresentato dalla massa di grano, che degradava lentamente per effetto dello svuotamento, composta da chicchi di grano che potevano essere ingeriti e potevano ostruire le vie aeree fino al soffocamento (pagg. 15 e 16 della sentenza di primo grado).
L'affermazione di colpevolezza per l'omicidio colposo nei confronti del F. veniva ancorata dal Tribunale alla posizione dell'imputato quale garante dell'incolumità fisica dei lavoratori che il datore di lavoro esplica in base all'art. 2087 c.c. (per il cui disposto, l'imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatoti di lavoro), nonchè alla omessa valutazione concreta del rischio specifico in relazione alle modalità di svolgimento del lavoro espletato dall'operaio rimasto vittima dell'infortunio; in particolare, il Tribunale osservava che: a) l'imputato aveva incaricato l'ing. Pa.
M. per l'individuazione dei fattori di rischio e per l'elaborazione delle misure di prevenzione e delle procedure di sicurezza, ed il citato professionista aveva quindi depositato una sua relazione il (OMISSIS); b) in detta relazione non era stata esaminata la specifica mansione svolta dagli operai all'interno dei silos e pertanto era stata omessa qualsiasi valutazione dei rischi collegabili alla stessa; c) il Pa. aveva dichiarato di non essere stato informato di detta attività e di non aver quindi potuto dare disposizioni in merito; d) nelle mansioni svolte dal P. erano ravvisabili rischi valutabili, evitabili e prevedibili, tenuto conto, in particolare, delle seguenti circostanze: le caratteristiche strutturali del silo, l'altezza delle sue pareti, l'esistenza di un unico varco di accesso sistemato in cima al silo, la presenza nel silo di grano ammassato in grado di formare una superficie compatta che costituiva il piano di calpestio sul quale il lavoratore svolgeva la sua opera; e) doveva inoltre considerarsi che la massa di grano, sulla cui superficie si muoveva il lavoratore, degradava lentamente per effetto dello svuotamento ed era composta da chicchi che, se ingeriti, potevano ostruire le vie respiratorie fino al soffocamento; f) il lavoratore svolgeva le sue mansioni in ore notturne, in assoluto isolamento, all'interno di un contenitore che non avrebbe potuto abbandonare in fretta e scarsamente illuminato; g) le operazioni di pulizia consistevano in brevi attività - pulitura con la scopa della sporgenza interna della cella - con lunghi intervalli di tempo di inattività (di circa trenta minuti); h) a fronte di siffatti e molteplici elementi di rischio il datore di lavoro aveva l'obbligo di predisporre le dovute misure precauzionali:
ad esempio, assicurare l'assistenza di altro lavoratore posizionato all'esterno del silo presso il varco di accesso, oppure munire il lavoratore di un mezzo di collegamento con l'esterno o di un congegno di allarme idoneo a segnalare eventuali situazioni di difficoltà all'interno del silo.
A seguito di gravame dell'imputato, la Corte d'Appello di Bari confermava l'affermazione di colpevolezza, riducendo peraltro la pena inflitta dal primo giudice pur ribadendo il giudizio di sola equivalenza tra le attenuanti generiche e le aggravanti. Quanto alla ritenuta colpevolezza dell'imputato, la Corte distrettuale dava atto del convincimento così espresso, richiamando le considerazioni già svolte dal Tribunale, ritenendole del tutto condivisibili, ed aggiungendo ulteriori argomentazioni che possono così riassumersi:
a) non sussisteva la denunciata nullità per l'asserita violazione del principio di correlazione tra contestazione e sentenza - nonostante la diversa ricostruzione della dinamica dell'infortunio operata dal Tribunale, rispetto a quella prospettata con il capo di imputazione, e nonostante, altresì, la ritenuta insussistenza delle contravvenzioni addebitate con riferimento alle ipotizzate violazioni del D.P.R. n. 547 del 1955, motivata con l'accertata mancanza del nesso di causalità tra le violazioni stesse e l'evento - posto che non si era verificata alcuna concreta lesione del diritto di difesa:
tra l'altro, con il capo di imputazione erano stati addebitati anche profili di colpa generica, e il Tribunale era pervenuto ad una diversa ricostruzione del fatto storico (escludendo l'ipotesi della caduta del P.) proprio a seguito di precise sollecitazioni difensive; b) contrariamente all'assunto dell'appellante non risultava da alcun atto del processo che l'ing. Pa. fosse stato informato delle concrete operazioni di pulizia delle celle granarie, di tal che, in proposito, il F., quale datore di lavoro - perfettamente a conoscenza delle caratteristiche del luogo, del tempo e di ogni altra circostanza rilevante, relativamente allo svolgimento di quel particolare lavoro - era venuto meno al suo obbligo di informazione: la delega rilasciata all'ing. Pa. non poteva esonerare il F. dal fornire tutte le informazioni in suo possesso circa gli aspetti rilevanti per la protezione dei lavoratori; c) in sostanza il F. non aveva comunicato all'ing. Pa. il contenuto delle mansioni di pulitura delle pareti del silo, pur conoscendone tutte le modalità di svolgimento, così impedendo la redazione di un documento di valutazione dei rischi effettivamente idoneo a prevenire eventi lesivi i danno dei lavoratori: qualsiasi persona di media intelligenza si sarebbe reso conto della oggettiva situazione di pericolo derivante dalle mansioni di pulitura delle celle granarie svolte dal P.; d) l'affermazione dell'appellante, secondo cui l'ing. Pa. aveva esaminato l'attività di pulitura delle celle granarie ed aveva considerato il rischio non sussistente, costituiva mera deduzione difensiva sfornita di qualsiasi concreto riscontro: in particolare, l'ing. Pa. non aveva fatto mai riferimento, nella sua relazione, alle operazioni di pulizia delle celle granarie; e) a parte le misure di protezione già ipotizzate dal Tribunale, sarebbe stato possibile evitare l'evento semplicemente impiegando due operai contestualmente nella cella granaria: ciò avrebbe consentito, in caso di malore o di un colpo di sonno di uno dei due, che l'altro operaio potesse tempestivamente intervenire; f) l'incidente non si era verificato dunque per una imprevedibile fatalità: "esso poteva e doveva essere prevenuto e lo sarebbe stato nel caso di un puntuale rispetto delle norme del D.Lgs. n. 626 del 1994 richiamate nell'editto di accusa" (così testualmente a pag. 8 della sentenza di appello); g) alcuna risultanza poteva infine suffragare l'affermazione difensiva circa l'asserita abnormità del comportamento del lavoratore, in mancanza di qualsiasi elemento idoneo ad accreditare l'ipotesi che il P. si fosse addormentato, dovendo attribuirsi pari dignità alla tesi che il P. avesse avuto un malore.
Ha proposto ricorso per cassazione il F., a mezzo del difensore, riproponendo le tesi già sottoposte ai giudici di merito, e denunciando violazione di legge e vizio motivazionale con diffuse argomentazioni che possono così sintetizzarsi: 1) violazione del principio di correlazione, per aver il Tribunale prima, e la Corte d'Appello poi, fondato il giudizio di colpevolezza unicamente su un fatto diverso e mai contestato, essendo stato escluso che la morte del lavoratore potesse essere stata conseguenza di una caduta dall'alto, ed essendo stato escluso il nesso di causalità tra le contravvenzioni contestate ai capi b), c), d) ed e) dell'imputazione e l'evento; inoltre sarebbe risultato compromesso anche il concreto esercizio del diritto di difesa, avendo il consulente di parte della difesa rivolto la sua attenzione alla dinamica dell'infortunio quale descritta nel capo di imputazione; 2) erronea valutazione delle risultanze processuali, avendo omesso la Corte di merito di considerare che il F. aveva predisposto tutte le misure di sicurezza attraverso l'incarico conferito all'ing. Pa. con esplicita e dettagliata delega per l'individuazione dei fattori di rischio e l'elaborazione delle misure di prevenzione e protezione in ordine ai rischi, nonchè per l'informazione e la formazione dei lavoratori; di tal che il F. aveva sempre considerato che i rischi inerenti alle varie attività svolte fossero soltanto quelli indicati nella relazione redatta dall'ing. Pa.; inoltre durante il turno di lavoro, nel corso del quale si era verificato l'incidente "de quo", vi era un capoturno il quale era addetto al controllo dei singoli operai ed alla verifica dell'andamento delle operazioni di svuotamento delle celle granarie: queste, peraltro, non presentavano alcuna caratteristica di pericolosità, e lo stesso "pavimento" di grano non comportava alcun rischio data la lentezza del deflusso del grano; 3) errata valutazione delle risultanze processuali, alla luce dei principi enunciati nella giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite, in ordine alla ritenuta sussistenza del nesso di causalità, non essendovi alcuna certezza che l'evento non si sarebbe verificato ove fossero state poste in essere dall'imputato le condotte indicate dalla Corte d'Appello; 4) l'infortunio in argomento sarebbe inquadrabile nell'ipotesi del caso fortuito, essendosi verificato in conseguenza di un comportamento del lavoratore del tutto imprevedibile ed eccezionale; 5) la Corte territoriale avrebbe reso motivazione contraddittoria laddove ha confermato l'affermazione di colpevolezza nei confronti del F., pur escludendo, nel contempo, la sussistenza del nesso causale tra le violazioni addebitate ai capi b), c), d) ed e) dell'imputazione e la morte del lavoratore; 6) l'ing. Pa. aveva ricoperto la carica di responsabile del servizio di prevenzione e protezione per più anni, aveva effettuato numerose riunioni in tema di sicurezza anche con i lavoratori, i quali avevano col la borato alla predisposizione della relazione sulla valutazione dei rischi: non sarebbe quindi credibile che il F. avesse taciuto su alcuni aspetti del ciclo produttivo e che l'ing. Pa. non avesse mai sentito parlare delle mansioni relative alla pulitura dei silos; 7) non sarebbe stata raggiunta la soglia di certezza della colpevolezza dell'imputato, al di là di ogni ragionevole dubbio; 8) omessa motivazione in ordine alla richiesta dell'appellante di assoluzione con formula ampia in ordine alla contravvenzione di cui al capo F) della rubrica; 9) omessa motivazione, infine, in ordine alla richiesta difensiva di un giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche sulla contestata aggravante. Il ricorrente ha poi depositato motivi nuovi ex art. 585 c.p.p., comma 4, ribadendo le argomentazioni svolte con il ricorso a sostegno delle dedotte censure.
Il ricorrente ha poi depositato motivi nuovi svolgendo ulteriori considerazioni a sostegno del proposto ricorso.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere rigettato per le ragioni si seguito indicate.
La denunciata violazione del principio di correlazione è priva di fondamento. Innanzi tutto mette conto sottolineare che i giudici di merito, quanto alla dinamica dell'incidente, laddove hanno escluso che l'assorbimento del corpo del P. all'interno della massa di grano potesse essere stato causato da un caduta - ricollegando invece detta situazione ad un assopimento o ad un malore dell'operaio - hanno aderito alla tesi prospettata proprio dalla difesa dell'imputato; di tal che, è del tutto fuori luogo sostenere ora che sarebbe stata preclusa all'imputato una concreta ed adeguata linea difensiva in relazione ad una dinamica del fatto in parte diversa rispetto a quella ipotizzata con il capo di imputazione; si è trattato di circostanze fattuali in ordine alle quali l'imputato ha avuto ampia possibilità di difesa, per cui deve escludersi la configurabilità della eccepita nullità: nella giurisprudenza di legittimità è stato invero condivisibilmente affermato che "il precetto dell'art. 521 c.p.p., comma 1, che enuncia il principio della correlazione tra accusa e sentenza va inteso non in senso "meccanicistico formale", ma in funzione della finalità cui è ispirato, quella cioè della tutela del diritto di difesa; ne consegue che la verifica dell'osservanza di detto principio non può esaurirsi in un mero confronto letterale tra imputazione e sentenza, occorrendo che ogni indagine in proposito venga condotta attraverso l'accertamento della possibilità per l'imputato di difendersi in relazione a tutte le circostanze del fatto" (in termini, "ex plurimis", Sez. 6^, n. 618/96 - ud 8/11/95-RV. 20337).
Quanto alla posizione di garanzia del F. va innanzi tutto sottolineato che, per come accertato in sede di merito, l'ing. Pa. era stato incaricato dell'individuazione dei fattori di rischio e dell'elaborazione delle misure di prevenzione e delle procedure di sicurezza. Il detto professionista aveva predisposto una relazione nella quale però non era stata esaminata la specificità della mansione svolta dagli operai all'interno dei silos e pertanto aveva omesso ogni valutazione dei rischi collegabili alla stessa.
Orbene, nell'impugnata sentenza è stato precisato che l'ing. Pa. aveva dichiarato di non essere a conoscenza di tale lavorazione: dunque, in assenza di informazioni rilevanti che avrebbero dovuto essere fornite da persone informate, "in primis" il datore di lavoro, l'ing. Pa. non aveva mai fatto riferimento, nella sua relazione, all'operazione di pulizia delle celle granarie.
Di tal che l'omessa previsione, da parte dell'ing. Pa., dei rischi correlati alle operazioni di pulizia all'interno delle celle granarie, è pienamente riconducibile al F. il quale era perfettamente a conoscenza delle caratteristiche del luogo, del tempo e delle più rilevanti circostanze concernenti lo svolgimento del lavoro di pulizia all'interno dei silos, cosi come puntualmente e dettagliatamente posto in evidenza dai giudici di seconda istanza.
Nel ricorso (in particolare cfr. pagg. 21-23) vengono indicati elementi di mera presunzione circa la conoscenza da parte del Responsabile per la sicurezza, ing. Pa., delle modalità di pulizia delle celle granarie;
l'affermazione del ricorrente, secondo cui l'ing. Pa. avrebbe considerato priva di rischi l'attività di pulizia delle pareti interne dei silos, costituisce dunque mera asserzione difensiva, non essendo stato allegato alcun concreto elemento di riscontro, individuabile in specifici atti processuali, da cui poter desumere che al Pa. fossero state riferite tutte le informazioni utili per la valutazione dei rischi connessi alla pulizia delle pareti dei silos. Il ricorrente non è riuscito quindi a scalfire l'affermazione della Corte d'Appello secondo cui il Pa. ignorava tali aspetti del ciclo produttivo, affermazione ancorata alla deposizione dello stesso Pa.; d'altra parte se nella relazione concernente il piano di sicurezza vi fosse stata una parte dedicata specificamente all'attività di pulizia delle celle granarie, una tale circostanza sarebbe stata certamente evidenziata dal ricorrente il quale invece ha concluso sul punto con un'affermazione caratterizzata da mere congetture, così testualmente esprimendosi:
"...se nella Relazione sulla valutazione dei rischi nulla si osserva al riguardo, significa, evidentemente, che nessun rischio era stato ritenuto per quella particolare mansione, qualora, ovviamente, svolta secondo i canoni della normale diligenza." (pag. 23 del ricorso). Il F. avrebbe dovuto controllare la relazione predisposta dall'ing. Pa. onde poter segnalare al detto professionista quelle attività del ciclo produttivo eventualmente ignorate (come poi in concreto si è verificato) nella valutazione dell'attività aziendale ai fini della pianificazione dei rischi. L'omissione di tale controllo vale a concretizzare un evidente profilo di colpa.
Come correttamente sottolineato dai giudici del merito, l'adozione di una delle misure di prevenzione ipotizzate dai giudici stessi (assistenza nell'operazione di pulizia da parte di un secondo operaio, al fianco del P. oppure affacciato all'imbocco del silo, ovvero l'utilizzazione da parte dell'operaio P. di un congegno di allarme idoneo a segnalare all'esterno una situazione di pericolo o di difficoltà all'interno del silo) avrebbe scongiurato l'evento con elevato grado di credibilità razionale, in quanto avrebbe reso possibile un tempestivo soccorso. E l'aver omesso di fare assistere il P. da altro lavoratore, posto all'ingresso del vano di accesso al silo, è un profilo di colpa espressamente contestato al F. al punto 2) del capo di imputazione quale trascritto dallo stesso ricorrente a pag. 2 del ricorso.
Nè vale ad escludere la responsabilità del F. la presenza in azienda di un capoturno addetto alla vigilanza ed al controllo durante il turno di pulizia delle celle granarie, cui ha fatto accenno il ricorrente nel ricorso e nei motivi nuovi: innanzi tutto, non sono state indicate, nè dimostrate, le modalità di detto controllo; in secondo luogo, lo stesso ricorrente ha dato atto di una vigilanza comunque certamente non costante avendo nel ricorso (pag.
12) fatto riferimento ad un "capoturno che vigilava ad intervalli più o meno regolari".
Alcuna contraddittorietà motivazionale è riscontrabile poi laddove il F. è stato assolto per insussistenza del fatto dalle contravvenzioni di cui ai capi B), C), D) ed E) di imputazione, e condannato invece per il reato di omicidio colposo: è sufficiente ricordare in proposito che le violazioni coperte da assoluzione erano state contestate con riferimento all'ipotesi iniziale di caduta dall'alto dell'operaio, poi tralasciata (come si è innanzi ampiamente detto), mentre per la violazione di cui al capo F) è stata invece pronunciata declaratoria di prescrizione; per tale contravvenzione la Corte di merito ha ritenuto insussistente la prova evidente dell'innocenza dell'imputato, evocando profili di colpevolezza laddove ha affermato testualmente che "l'incidente poteva e doveva essere prevenuto e lo sarebbe stato nel caso di un puntuale rispetto delle norme del D.Lgs. n. 626 del 1994 richiamate nell'editto di accusa": orbene, la violazione del D.Lgs. n. 626 del 1994 Ã¨ proprio quella contestata al capo F) dell'imputazione. Di tal che non può nemmeno in alcun parlarsi di omessa motivazione in ordine al mancato accoglimento della richiesta di una formula di proscioglimento nel merito anche per la contravvenzione di cui al capo F).
Giova poi porre in rilievo che l'affermazione di colpevolezza dell'imputato - al quale con il capo di imputazione erano stati contestati profili di colpa generica oltre che specifica - è stata ancorata anche alla disposizione di cui all'art. 2087 c.c.. Orbene, così facendo i giudici di merito si sono posti in assoluta sintonia con il consolidato indirizzo interpretativo affermatosi nella giurisprudenza di questa Corte secondo cui "l'art. 2087 c.c. ha carattere generale e sussidiario, di integrazione della specifica normativa antinfortunistica, con riferimento all'interesse primario della garanzia della sicurezza del lavoro. Il dovere di sicurezza si realizza o attraverso l'attuazione di misure specifiche imposte tassativamente dalla legge o, in mancanza, con l'adozione dei mezzi idonei a prevenire ed evitare i sinistri, assunti con i sussidi dei dati di comune esperienza, prudenza, diligenza, prevedibilità, in relazione all'attività svolta" (in termini, "ex plurimis", Sez. 4^, n. 3439 del 12/02/1997 Ud. - dep. 15/04/1997 - Rv. 208524; conf: Sez. 4^, n. 12230 del 12/01/2005 Ud. - dep. 30/03/2005 - Rv. 231142). Il richiamo effettuato dal Tribunale, prima, e dal giudice di appello, poi, all'art. 2087 c.c., per fondare la penale responsabilità dell'imputato, appare, come detto, del tutto corretto. Invero, tale articolo da un lato contiene un principio generale, di cui la legislazione in materia di prevenzione e di assicurazione degli infortuni sul lavoro costituisce applicazione specifica, dall'altro ha valore integrativo rispetto a tale legislazione e costituisce norma di chiusura del sistema antinfortunistico. In altre parole, può dirsi che in tema di infortuni sul lavoro non occorre, per configurare la responsabilità del datore, che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni stessi, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure ed accorgimento imposti all'imprenditore dall'art. 2087 c.c. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore (in proposito cfr. Sez. 4^, n. 13377 del 28/09/1999 Ud. - dep. 24/11/1999 - Rv. 215537: "in tema di infortuni sul lavoro non occorre, per configurare la responsabilità del datore di lavoro, che sia integrata la violazione di specifiche norme dettate per la prevenzione degli infortuni stessi, essendo sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato a causa dell'omessa adozione di quelle misure ed accorgimenti imposti all'imprenditore dall'art. 2087 c.c. ai fini della più efficace tutela dell'integrità fisica del lavoratore).
Nè può accendersi alla tesi sostenuta dal ricorrente secondo cui l'infortunio "de quo" sarebbe riconducibile a caso fortuito a ad una condotta anomala dello stesso lavoratore rimasto vittima dell'incidente, essendo stato enunciato da questa Corte il seguente, condivisibile, principio di diritto: "le prescrizioni poste a tutela del lavoratore sono intese a garantire l'incolumità dello stesso anche nell'ipotesi in cui, per stanchezza, imprudenza, inosservanza di istruzioni, malore od altro, egli si sia venuto a trovare in situazione di particolare pericolo" (in termini, Sez. 4^, n. 114/86, ud. 6/5/1985, RV. 171538); in materia, si veda anche Sez. 4, n. 4784 del 13/02/1991 Ud. (dep. 27/04/1991) Rv. 187538, secondo cui "in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, le norme assolvono all'esigenza primaria di evitare eventi lesivi dell'incolumità fisica dei lavoratori anche in caso di rischi derivanti da distrazione o disaccortezza dei subordinati e la colpa dell'infortunato è configurabile solo quando la condotta del lavoratore sia del tutto anomala, esorbitante dal procedimenti di lavoro cui egli è addetto oppure si traduca nell'inosservanza, da parte sua, di precise disposizioni antinfortunistiche o di ordini esecutivi.
Per quel che riguarda, infine, la denuncia di vizio motivazionale in ordine al diniego del giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, trattasi di censura manifestamente infondata. Ed invero, la Corte territoriale ha diminuito la pena inflitta dal primo giudice ed ha ritenuto di dover confermare il giudizio di equivalenza tra attenuanti ed aggravanti (all'imputato era stata contestata anche la recidiva specifica ed infraquinquennale), previo espresso richiamo ai criteri direttivi indicati nell'art. 133 c.p.: orbene, la Corte stessa ha così dimostrato di aver valutato globalmente tutti gli elementi rilevanti ai fini del trattamento sanzionatorio, esprimendo al riguardo una valutazione insindacabile in questa sede perchè, alla luce di quanto appena detto, priva di qualsiasi connotazione di illogicità.
Al rigetto del ricorso segue, per legge, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 1 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 4 febbraio 2010
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INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 16-12-2009) 15-01-2010, n. 1834
Fatto - Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

OSSERVA
G.C. - imputato, nella qualità di Ingegnere responsabile del servizio di protezione e prevenzione per designazione ricevuta dal titolare della ditta Riveco s.p.a., del delitto di lesioni colpose gravi verificatesi in data 28/8/2002 in danno dell'operaio - dipendente P.L., quando costui, effettuando in orario notturno, in assenza di luce artificiale e di cinture di sicurezza le operazioni di posizionamento dei ganci di un carrello elevatore all'estremità di un tubo metallico per gasdotto sovrapposto ad altri in quinta fila, perdeva l'equilibrio, precipitando da un'altezza di mt 3,15 dal suolo - è stato, con sentenza del 24/6/2005, assolto dal Tribunale di Trapani, in composizione monocratica, con la formula "per non aver commesso il fatto". In accoglimento del gravame proposto dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale della stessa città, la Corte di Appello di Palermo ha, con sentenza del 20/6/2007, in riforma di quella assolutoria, affermato la colpevolezza dell'imputato in ordine al reato ascrittogli, condannandolo, ritenute le concesse attenuanti generiche equivalenti alla contestata aggravante, alla pena ritenuta di giustizia, con concessione del beneficio di cui all'art. 163 c.p..
Avverso tale sentenza ha, per mezzo del difensore, proposto ricorso per cassazione il G., deducendo a sostegno i seguenti motivi:
- violazione di legge, per avere la Corte territoriale, interpretando erroneamente le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 626 del 1994, ritenuto che l'Ing. G., in forza della designazione ricevuta dal titolare dell'impresa, fosse investito ture proprio della quota di responsabilità derivatagli dal designante, dimenticando però che esso imputato non era un dipendente dell'impresa, ma un professionista esterno che collaborava con l'imprenditore, senza però sostituirsi allo stesso, nell'assolvimento degli obblighi che a quest'ultimo per legge competono in materia di prevenzione degli infortuni in ambiente di lavoro.
- Vizio logico della motivazione, nella parte in cui i giudici di secondo grado, nel valutare il documento di analisi dei rischi, elaborato dall'Ing. G. su incarico del titolare dell'impresa "Riveco", avevano ritenuto di individuare a suo carico la condotta colposa nell'omissione della previsione dello specifico rischio connesso alla attività di movimentazione manuale dei tubi. Ciò - ha sostenuto il ricorrente - movendo dalla considerazione che esso G., non avendo ricevuto alcuna segnalazione dal coordinatore del cantiere, cui è affidata la diretta sorveglianza sul sito produttivo, non era censurabile per l'omessa valutazione dei rischi che non riguardavano attività di pertinenza della ditta delegante e che, oltretutto, non erano stati portati a sua conoscenza.
Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
Il giudice di primo grado, ritenuta pacificamente acquisita la prova sulla materialità del fatto e sul rapporto di causalità tra violazione della specifica disposizione antinfortunistica ed evento mortale, ha risolto la questione, in questa sede ancora in contestazione, dell'attribuzione della condotta colposa in senso favorevole alla tesi difensiva.
Il primo giudice, infatti, ha escluso la responsabilità penale dell'imputato, condividendo la deduzione difensiva, con la quale era stato prospettato che l'omessa considerazione, nel piano di sicurezza elaborato dal G., del rischio, connesso alle manovre di movimentazione dei tubi per gasdotto dal piazzale antistante il capannone al suo interno, non poteva assumere rilievo penale, in quanto la manovra di aggancio dei tubi anzidetti non comportava necessariamente la salita sulla catasta formata dagli stessi, onde nessun obbligo di informazione poteva esigersi dall'imputato su un rischio non preventivabile e, oltretutto, non comunicatogli dal titolare della società, M.A., che lo aveva designato responsabile del servizio di prevenzione e protezione per lo stabilimento di (OMISSIS) ove era avvenuto l'infortunio.
Accogliendo quella deduzione difensiva, il primo giudice, tuttavia, non ha considerato che, la designazione - ai sensi del D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626, art. 4, comma 4, lett. a), - dell'Ing. G. quale responsabile del servizio prevenzione e protezione ha posto quest'ultimo in una specifica posizione nei confronti dei beneficiari delle norme antinfortunistiche, competendogli l'osservanza dei compiti dettagliatamente elencati nel successivo art. 9 e, tra essi, l'obbligo dell'individuazione dei fattori di rischio e delle misure di prevenzione da adottare. Nel fare ciò, il responsabile del servizio opera per conto del datore di lavoro, il quale è persona che giuridicamente si trova nella posizione di garanzia, poichè l'obbligo di effettuare la valutazione e di elaborare il documento contenente le misure di prevenzione e protezione, in collaborazione con il responsabile del servizio, fa capo a lui in base al cit. D.Lgs., art. 4, commi 1, 2 e 6, tanto è vero che il medesimo decreto non prevede nessuna sanzione penale a carico del responsabile del servizio, mentre, all'art. 89 punisce il datore di lavoro per non avere valutato correttamente i rischi.
Il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è, in altri termini, una sorta di consulente del datore di lavoro ed i risultati dei suoi studi e delle sue elaborazioni, come pacificamente avviene in qualsiasi altro settore dell'amministrazione dell'azienda, vengono fatti propri dal datore di lavoro che lo ha scelto, con la conseguenza che quest'ultimo delle eventuali negligenze del consulente è chiamato comunque a rispondere.
Orbene, secondo lo schema originario del decreto, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione è figura che non si trova in posizione di garanzia, in quanto la responsabilità fa capo al datore di lavoro.
Senonchè tale schema originario ha subito nel tempo una evoluzione, che ha indotto il legislatore ad introdurre con il D.Lgs. n. 195 del 2003 una norma (con l'art. 8 bis) che prevede la necessità in capo alla figura del responsabile del servizio di prevenzione e protezione di una qualifica specifica.
La modifica normativa ha comportato in via interpretativa una revisione della suddetta figura, nel senso che il soggetto designato "responsabile del servizio di prevenzione e protezione", pur rimanendo ferma la posizione di garanzia del datore di lavoro, possa, ancorchè sia privo di poteri decisionali e di spesa, essere ritenuto corresponsabile del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa che egli avrebbe avuto l'obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere, nel sistema elaborato dal legislatore, che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l'adozione, da parte del datore di lavoro, delle necessarie iniziative idonee a neutralizzare detta situazione.
Quanto sopra vale a destituire di giuridico fondamento l'assunto proposto in ricorso nell'interesse dell'imputato, secondo cui nulla avrebbe potuto fare il G. per eliminare i rischi connessi alla movimentazione dei tubi, giacchè il rischio di caduta da una catasta di essi non era preventivabile, in quanto la manovra di aggancio non comportava la salita sui tubi e nessuna segnalazione di rischi del genere era stata a lui comunicata.
Ritiene il Collegio che le censure muovano da un'interpretazione del disposto del D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 9, e, più in generale, delle regole che presidiano la responsabilità per condotta omissiva in materia di infortuni sul lavoro, assolutamente non condivisibile e correttamente disattesa, pertanto, dalla Corte di Appello.
L'opzione esegetica sottesa al ricorso postula invero che, laddove non vi siano poteri di amministrazione attiva in materia di adeguamento dei luoghi di lavoro, e segnatamente di intervento e di spesa, non possa, perciò solo, esservi responsabilità per colpa in connessione al verificarsi di un infortunio, laddove, a giudizio del Collegio, salvo verifiche della situazione fattuale determinatasi in concreto, può al più essere vero il contrario.
Con particolare riguardo alle funzioni che il D.Lgs. n. 626 del 1994, art. 9, riserva al "responsabile del servizio di prevenzione e protezione", l'assenza di capacità immediatamente operative sulla struttura aziendale non esclude che l'inottemperanza alle stesse - e segnatamente la mancata individuazione e segnalazione dei fattori di rischio delle lavorazioni e la mancata elaborazione delle procedure di sicurezza, nonchè di informazione e formazione dei lavoratori - possa integrare un'omissione "sensibile" tutte le volte in cui un sinistro sia oggettivamente riconducibile a una situazione pericolosa ignorata dal responsabile del servizio. Per altro verso, considerata la particolare conformazione concepita dal legislatore per il sistema antifortunistico, con la individuazione di un soggetto incaricato di monitorare costantemente la sicurezza degli impianti e di interloquire con il datore di lavoro, deve, come si è detto, presumersi che, ove una situazione di rischio venga dal primo segnalata, il secondo assuma le iniziative idonee a neutralizzarla.
Posto dunque che i giudici di secondo grado si sono mossi nell'ambito di tale pista interpretativa, che è l'unica aderente alla lettera e allo spirito della norma, oltre che compatibile con le linee generali dell'ordinamento, non resta che verificare se sussistano le illogicità motivazionali denunciate con il secondo mezzo di impugnazione.
Va, a questo punto, ricordato che, in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine all'affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire - nell'ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato - se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, se abbiano analizzato il materiale istruttorio facendo corretta applicazione delle regole della logica, delle massime di comune esperienza e dei criteri legali dettati in tema di valutazione delle prove, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.
In tale prospettiva, con tranquillante uniformità, si afferma che la Corte di cassazione non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione di merito, nè può stabilire se questa propone la migliore ricostruzione delle vicende che hanno originato il giudizio, ma deve limitarsi a verificare se la giustificazione della scelta adottata in dispositivo sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento". Orbene, il sindacato sulla motivazione della sentenza in questa sede impugnata, condotta in base ai criteri innanzi enunciati, impone di ritenerla esente da vizi.
Escluso, sulla scorta della prospettiva ermeneutica innanzi enunciata, che il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, non potesse, in ragione delle funzioni attribuitegli, essere chiamato a rispondere dell'infortunio, il giudice di merito è invero pervenuto all'affermazione della responsabilità dell'imputato all'esito di una valutazione rigorosa del materiale istruttorio, nonchè sulla base di un percorso argomentativo coerente, segnatamente risolvendo i nodi essenziali dell'apprezzamento demandatogli in maniera conforme alle regole della logica, a quelle di valutazione probatoria e alle massime di comune esperienza.
In particolare, carattere decisivo, nella formazione del commento dei giudici di appello ha assunto la considerazione che la movimentazione dei tubi costituiva una fase antecedente ma prescindibile, al loro avvio nelle linee di lavorazione interne al capannone industriale della Riveco; nonchè il rilievo che i, G., per la qualifica rivestita, non poteva ignorare, appunto perchè prodromica, ciclo di lavorazione e ripetuta costantemente, i rischi connessi alla fase di movimentazione, specie qualora il prelievo riguardava una catasta di tubi che poneva il superiore ad un'altezza da terra tale da costituire una potenziale situazione di pericolo per l'incolumità degli operai addetti alla movimentazione.
L'esito negativo dello scrutinio su, vizio di legge e su quello motivazionale legittima in conclusione, il rigetto del ricorso, cui segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Udienza pubblica, il 16 dicembre 2009.
Depositato in Cancelleria il 15 gennaio 2010

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