Corte dei Conti Sicilia Sez. App., Sent., (ud. 09/11/2023) 09-11-2023, n. 59
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte dei conti
Sezione Giurisdizionale d'Appello per la Regione Siciliana
composta dai signori magistrati:
dott. Vincenzo Lo Presti - Presidente-relatore
dott. Salvatore Chiazzese - Consigliere
dott. Guido Petrigni - Consigliere
dott. Giuseppe Colavecchio - Consigliere
dott. Francesco Albo - Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di appello, in materia di pensioni, iscritto al n. (...)del registro di Segreteria e promosso da omissis, C.F. omissis, nato a omissis (omissis) il omissis e residente in omissis (omissis), in via omissis n. omissis, rappresentato e difeso dall'avv.
contro
l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede territoriale in Siracusa (SR), in Corso Gelone n. 90;
l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), in persona del legale rappresentante pro-tempore, con sede nazionale in Roma, in via Ciro il Grande n. 21;
l'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (INPS), in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dagli avv.ti Tiziana Giovanna Norrito e. Gino Madonia dell'Avvocatura regionale dell'INPS ed elettivamente domiciliato in Palermo, in via M. Toselli n. 5;
per la riforma della sentenza n. 687/2020, emessa dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione siciliana il 19-11-2020.
Esaminati gli atti e documenti di causa.
Uditi, all'udienza del 9 novembre 2023, l'Avv. Emanuele Amoroso, delegato dall'avv. Paolo Celli, per l'appellante, e l'Avv. Tiziana Giovanna Norrito, per l'INPS.
Svolgimento del processo
Il sig. omissis, titolare della pensione n. omissis, premesso di essere cessato dal servizio in data 20.4.2018 con qualifica di Vice Questore Aggiunto r.e. della Polizia di Stato, e di essersi arruolato a far data dal 15.3.1982 nel Corpo della Polizia di Stato, con ricorso proposto innanzi al Giudice di primo grado, lamentava che, all'atto della liquidazione della pensione, l'Ente previdenziale, sulla scorta del c.d. PA04 rilasciato dalla Prefettura di Siracusa, avesse applicato, per il calcolo della c.d. quota retributiva, la più sfavorevole aliquota prevista dall'art. 44 del D.P.R. n. 1092 del 1973 per il personale civile; risultante nel caso di specie al 0,3935 % (segnatamente per la c.d. quota A, di anni 13, mesi 10, al 0,32278 %, e per la quota B, di anni 3, mesi 7, quella 0,07072%), anziché quella prevista dall'art. 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973 - pari al 44.
Per tale motivo il sig. omissis, nel ricorso, chiedeva di accertare e dichiarare il diritto ad avere applicata l'aliquota del 44%, ai sensi e per gli effetti dell'art. 54 D.P.R. n. 1092 del 1973, sul proprio trattamento.
L'INPS, costituitosi in giudizio, chiedeva il rigetto del ricorso in quanto il ricorrente:
- non possedeva lo status di militare e, pertanto, non poteva reputarsi destinatario del regime di cui all'art. 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973;
- non era applicabile alla fattispecie l'aliquota del 44% per il calcolo della "quota retributiva" delle pensioni spettanti a tutti i militari, nei casi d'anzianità utile ricompresa, alla data del 31.12.1995, tra i 15 ed i 18 anni, poiché tale disposizione era rivolta esclusivamente al personale che, per motivi indipendenti dalla propria volontà, era stato costretto ad abbandonare il servizio non avendo raggiunto i vent'anni di servizio.
In subordine, eccepiva la prescrizione quinquennale dei ratei antecedenti il quinquennio.
Con la sentenza impugnata il Giudice di primo grado respingeva il ricorso in quanto, ai sensi del citato articolo 54, comma 1, il beneficio del calcolo della pensione, con l'aliquota del 44 per cento della base pensionabile, è riconosciuto solo in favore del militare (che cessi dal proprio servizio, ove ricorrano le condizioni di cui alla suindicata norma) mentre tale status non può riconoscersi agli appartenenti alla Polizia di Stato, la quale ultima, a seguito della L. n. 121 del 1981, è stata smilitarizzata divenendo, a far data dal 25 giugno 1982, un'amministrazione civile ad ordinamento speciale.
Pertanto, poiché il ricorrente, alla data di cessazione dal servizio, intervenuta il 20 aprile 2018, non era un militare ma un appartenente alla Polizia di Stato, in suo favore non potevano trovare applicazione le invocate disposizioni normative, trattandosi di norme pensionistiche che riguardano il personale assoggettato all'ordinamento "militare".
Nell'appello, interposto avverso la citata sentenza n. 687/2020, l'appellante insisteva nell'applicabilità della disciplina di cui al predetto art. 54 anche in favore del personale della Polizia di Stato da ritenersi, a tal fine, equiparato al personale militare.
Concludeva, quindi, insistendo per la riforma della sentenza gravata e per il riconoscimento dell'aliquota di cui all'art. 54, comma 1, del TU 1092/1973.
Successivamente, con Ordinanza n. 23/A/2022, questa Corte rilevava che, tra la data di presentazione dell'atto di appello e la trattazione del presente giudizio, era entrata in vigore la L. n. 234 del 2021 che:
- all'art. 1, comma 101, aveva disposto che: "Al personale delle Forze di Polizia ad ordinamento civile, in possesso, alla data del 31.12.1995, di un'anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, effettivamente maturati, si applica, in relazione alla specificità riconosciuta ai sensi dell'art. 19 della L. n. 183 del 2010, l'art. 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973, ai fini del calcolo della quota retributiva della pensione da liquidare con il sistema misto, con applicazione dell'aliquota del 2,44% per ogni anno di servizio utile";
- all'art. 1, comma 102, aveva quantificato la spesa correlata all'applicazione del comma 101 per le annualità dal 2022 in poi.
Rilevava, altresì, che ciò appariva in piena adesione - alla giurisprudenza delle Sezioni Riunite della Corte dei conti intervenute in sede nomofilattica con le sentenze n. 1/2021/QM e n. 12/2021/QM (secondo cui nei riguardi del personale militare, in possesso al 31.12.1995 di un'anzianità contributiva inferiore a 18 anni e cessato dal servizio in epoca successiva con anzianità ben maggiori, va applicata, per il calcolo della quota retributiva della pensione mista, l'aliquota annua del 2,44%).
Ciò premesso, considerava che, con ordinanza n. 85 del 23 novembre 2021, la Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti per la Puglia aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 23, comma 5 della L. n. 121 del 1981 per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui, nel prevedere che al personale della Polizia di Stato - per quanto non previsto dalla stessa legge - si applicassero, in quanto compatibili, le norme relative agli impiegati civili dello Stato, non aveva esteso l'applicazione dell'art. 54, commi 1 e 2, del TU 1092/1973, riservata ai militari, anche al personale della Polizia di Stato, appartenente al comparto "sicurezza" ad ordinamento civile.
Per tali ragioni, sospendeva la trattazione del giudizio in attesa della pronuncia della Corte Costituzionale sulla predetta questione di legittimità costituzionale.
Con memoria del 30-05-2022, la difesa dell'appellante insisteva nella richiesta di applicazione dell'art. 54, a far data dal pensionamento del ricorrente, ovvero, in via subordinata, a far data dal 01.01.2022 giusta applicazione dell'articolo 1, commi 101 e 102, della L. 30 dicembre 2021, n. 234.
Con memoria del 05-07-2022, l'appellato insisteva per il rigetto dell'appello o, in subordine, per l'accoglimento dello stesso all'applicazione dell'aliquota del 44% in ragione di anno a decorrere dall'entrata in vigore della legge di bilancio 2021.
Quindi, l'appellante, a seguito della pubblicazione dell'Ordinanza della Corte Costituzionale n. 36/2023, resa nel giudizio di legittimità costituzionale relativo all'art. 23, comma 5, della L. 1 aprile 1981, n. 121 presentava istanza di fissazione d'udienza per la prosecuzione del giudizio.
Con la citata Ordinanza n. 36/2023, la Corte costituzionale ha osservato che:
- successivamente al deposito dell'ordinanza di rimessione, è intervenuto l' art.1, comma 101, della L. n. 234 del 2021 ove è prevista l'applicazione dell'aliquota del 2,44 per cento per ogni anno utile anche al personale delle forze di polizia ad ordinamento civile, in possesso, alla data del 31 dicembre 1995, di un'anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, effettivamente maturati:
- essendo mutato il quadro normativo in cui si inserisce la norma censurata, spetta al rimettente la valutazione dell'incidenza di tale sopravvenuta normativa sulla fattispecie oggetto del giudizio a quo;
- "...peraltro, questa Corte, investita con ordinanza di rimessione dallo stesso giudice a quo, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 4, della L. 15 dicembre 1990, n. 395 (Ordinamento del Corpo di polizia penitenziaria), sollevata, in riferimento all'art. 3 Cost., nella parte in cui non prevede che i criteri di calcolo del trattamento pensionistico, riferito alla quota retributiva della pensione, previsti dall'art. 54, commi 1 e 2, del D.P.R. n. 1092 del 1973, siano estesi in favore del personale della Polizia penitenziaria (sentenza n. 33 del 2023)...".
Per tali ragioni, ha disposto la restituzione degli atti al rimettente per un nuovo esame della rilevanza e della non manifesta infondatezza della sollevata questione di legittimità costituzionale.
Quindi, a seguito di apposita istanza di parte appellante, è stata fissato l'odierna udienza, nel corso della quale, le parti preesenti hanno insistito nelle rispettive conclusioni.
Motivi della decisione
Oggetto del giudizio è la pretesa dell'appellante alla rideterminazione del suo trattamento pensionistico, quale ex appartenente della Polizia di Stato cessato dal servizio con un'anzianità contributiva di oltre 20 anni, con l'applicazione alla quota retributiva della pensione dell'aliquota annua del 2,445% secondo l'interpretazione dell'art. 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973 fatta dall'organo nomofilattico di questa Corte anziché di quelle applicate dall'INPS ex art. 44 dello stesso D.P.R. n. 1092 del 1973 relative agli impiegati civili.
La disposizione citata stabilisce, ai primi due commi, che "...La pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo.
La percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo...".
Dal tenore letterale del testo su richiamato è evidente che si tratta di norma previdenziale di favore, e dunque di stretta interpretazione, che è dettata, in maniera inequivoca, in favore del personale militare.
Il ricorrente, alla data di cessazione dal servizio, non era più un militare, bensì un membro della Polizia di Stato, ovvero appartenente ad una Forza di Polizia ad ordinamento civile, non destinataria della normativa in esame.
Infatti, la L. n. 121 del 1981 recante "Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza" all'art. 3, co. 1, ha previsto che "L'Amministrazione della pubblica sicurezza è civile ed ha un ordinamento speciale", all'art. 23, comma 1, ha disposto che "Il Corpo delle guardie di pubblica sicurezza e il Corpo di polizia femminile sono disciolti", mentre al successivo comma 3 ha previsto che "I ruoli del personale ... che esplica funzioni di polizia ... assumono la denominazione di ruoli della Polizia di Stato"; inoltre, al comma 5, è previsto che "Al personale appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, per quanto non previsto dalla presente legge, si applicano, in quanto compatibili, le norme relative agli impiegati civili dello Stato".
La suddetta smilitarizzazione del disciolto corpo della Guardie di pubblica sicurezza ha avuto decorrenza dal 25/06/1982, data di entrata in vigore del D.P.R. 24 aprile 1982, n. 335 recante "Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia" in attuazione della delega in materia recata dall'art. 36 L. n. 121 del 1981.
A partire dalla suddetta data, quindi, non è revocabile in dubbio che gli appartenenti alla Polizia di Stato hanno uno status di personale civile ad ordinamento speciale; ciò vale anche per la disciplina previdenziale per cui, non sussistendo una normativa speciale che richiami quella del personale militare, non può trovare applicazione al personale della Polizia di Stato l'art. 54 D.P.R. n. 1092 del 1973, il quale si riferisce esclusivamente al personale militare che, ai sensi del D.Lgs. n. 66 del 2010 recante il Codice dell'ordinamento militare, è costituito dal personale delle Forze Armate (Esercito Italiano, Marina Militare, Aeronautica Militare), da quello dell'Arma dei Carabinieri, nonché, in forza dell'art. 1 D.Lgs. n. 68 del 2001, da quello del Corpo della Guardia di finanza.
In tal senso si è espressa in modo costante la giurisprudenza contabile che ha ripetutamente escluso l'applicabilità dell'art. 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973 al personale della Polizia di Stato (cfr. C. conti, ex multis: Sez. d'App. Reg. siciliana, sent. 63/2021, Sez. giur. Reg. siciliana, sent. 152/2020, Sez. giur. Abruzzo sent. 98/2021, Sez. giur. Lombardia, sent. 147/2020, Sez. giur. Puglia, sent. 234/2020, Sez. giur. Toscana, sent. 443/2019 e 66/2021, Sez. giur. Lazio, sent. 87/2021; Sez. giur. Piemonte, sent. 47/2021; Sez. giur Sardegna, sent. 29/2021) non potendosi estendere gli effetti della norma di favore del citato art. 54 e, dunque, di stretta interpretazione, al personale civile che non ne è destinatario.
In altri termini la perdita dello status militare per il personale del disciolto Corpo delle guardie di sicurezza ha avuto anche effetti sulla individuazione della disciplina previdenziale di riferimento che ora è costituita da quella del personale ad ordinamento civile, salvo che specifiche disposizioni di legge prevedano diversamente, cosa non presente nella fattispecie.
Inoltre, la giurisprudenza della Corte costituzionale, con riferimento alla differenza di disciplina fra il personale delle forze di polizia ad ordinamento civile e il personale militare, ha argomentato che tale diversità non è irragionevole in quanto anche all'attualità persiste una "strutturale diversità tra i rispettivi status che determina differenti soluzioni sul piano normativo e che è all'origine della dicotomia nelle discipline previdenziali fra impiego civile e impiego militare presente nel D.P.R. n. 1092 del 1973" (cfr. Corte cost., sent. n. 270/2022).
Ciò comporta che non appare irragionevole la diversa disciplina previdenziale della Polizia di Stato da quelle del personale ad ordinamento militare in quanto "il legislatore ha operato, nell'esercizio della sua ampia discrezionalità in materia ... mirati ed espliciti allineamenti di disciplina senza che, per ciò, venga meno la generale non comparabilità del trattamento pensionistico del personale a ordinamento civile con quello a ordinamento militare" (cfr. Corte cost., sent. n. 33/2023).
Conseguentemente nella stessa pronuncia il Giudice delle leggi ha concluso che "Il più favorevole trattamento riservato al personale militare - quanto al calcolo della quota retributiva della pensione nel sistema cosiddetto misto della riforma del 1995, come risultante dal combinato disposto dell'art. 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973 e dell'art. 1, comma 12, della L. n. 335 del 1995, nell'interpretazione accolta dalla citata giurisprudenza delle sezioni riunite della Corte dei conti - non può assurgere a tertium comparationis, idoneo a implicare, sul piano della conformità all'art. 3 Cost., la necessaria estensione fin dall'epoca della smilitarizzazione (e quindi ex tunc) di tale normativa speciale al personale della Polizia penitenziaria.
Si ha, quindi, che questa differenziazione, riconducibile al generale diverso regime pensionistico del personale civile e di quello militare, non lede il principio di eguaglianza" (cfr. Corte cost., sent. n. 33/2023). Tali conclusioni relative alla disciplina previdenziale della Polizia penitenziaria possono essere applicate direttamente anche al personale della Polizia di Stato e alla disciplina di riferimento sopra richiamata.
Su tale materia, però, di recente è intervenuta la L. 30 dicembre 2021, n. 234 (Legge di bilancio 2022) che all'art. 1, commi 101 e 102, testualmente recita: "Al personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile, in possesso, alla data del 31 dicembre 1995, di un'anzianità contributiva inferiore a diciotto anni, effettivamente maturati, si applica, in relazione alla specificità riconosciuta ai sensi dell'articolo 19 della L. 4 novembre 2010, n. 183, l'articolo 54 del testo unico di cui al D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, ai fini del calcolo della quota retributiva della pensione da liquidare con il sistema misto, con applicazione dell'aliquota del 2,44 per cento per ogni anno utile" comma 101; "Per l'attuazione del comma 101, è valutata la spesa di 28.214.312 Euro per l'anno 2022, 32.527.983 Euro per l'anno 2023, 36.764.932 Euro per l'anno 2024, 39.840.709 Euro per l'anno 2025, 43.000.596 Euro per l'anno 2026, 46.384.574 Euro per l'anno 2027, 49.248.807 Euro per l'anno 2028, 51.927.173 Euro per l'anno 2029, 54.721.616 Euro per l'anno 2030 e 57.468.417 Euro a decorrere dall'anno 2031" comma 102.
La legge di bilancio, dunque, ha esteso il trattamento pensionistico del personale militare, da calcolarsi in base all'art. 54 del D.P.R. n. 1092 del 1973 (nell'interpretazione datane dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti con le sentenze n. 1/2021/QM e n. 12/2021/QM), al "personale delle forze di polizia ad ordinamento civile", cui il ricorrente è appartenuto.
Ciò premesso, occorre stabilire se detta normativa sopravvenuta incida o meno sulle pensioni già in corso di erogazione e sui processi attualmente pendenti.
Al riguardo, è stato correttamente osservato che la formulazione letterale del comma 101 citato sembra destinare il beneficio pensionistico esclusivamente a coloro che sono transitati e che transiteranno in quiescenza a decorrere dal 1 gennaio 2022, in ossequio al principio di irretroattività della legge civile ex art. 11 disp. prel. del c.c. ma che, per converso, il successivo comma 102, nel fissare gli stanziamenti annui necessari alla copertura della nuova spesa, perimetra la platea dei destinatari includendovi anche il personale già cessato dal servizio, per il quale risulta calcolato l'onere economico nel decennio 2022-2031 (come confermano i lavori preparatori della legge e segnatamente la Relazione tecnica illustrativa, allegata agli Atti parlamentari).
Sulla questione, questo Giudice ritiene di aderire alla soluzione cui è pervenuta la II Sez. di App. di questa Corte con la sentenza n. 41/2022 (confermata altresì dalle pronunce della medesima sez. n. 114/2022 e della I Sez. App. n. 45/2022 e n. 454/2021 nonché da Sez. giur. Regione Siciliana, sent. n. 399/2022, Sez. giur. Campania n. 138/2022 e Sez. giur. Lombardia n. 97/2022).
In detta sentenza n. 41/2022, è stato rilevato che "tra il comma 101 e il comma 102 si apre un divario che né l'interpretazione letterale né quella logica sono in grado di ridurre a unità: il comma 101 chiude la porta dello ius superveniens ai pensionati; il comma 102 apre a tale opzione", e che "... Il principio di irretroattività della legge, sancito dall'art. 11 delle "preleggi, .... può essere derogato "a condizione che la retroattività trovi adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza e non si ponga in contrasto con altri valori e interessi costituzionalmente protetti" (Corte cost., sent. n. 263 del 2002; ex plurimis, Corte cost., sentt. n. 136 del 2001; n. 374 del 2000 e n. 229 del 1999)". Con riferimento ai rapporti di durata (come quello pensionistico), la ragionevolezza del principio di irretroattività comporta che ".... la legge nuova non possa essere applicata, oltre ai rapporti giuridici esauritisi prima della sua entrata in vigore, anche a quelli sorti anteriormente e ancora in vita se, in tal modo, si disconoscano gli effetti già verificatisi nel passato o si venga a togliere efficacia, in tutto o in parte, alle conseguenze attuali o future di un fatto compiuto. E, tuttavia, "la legge nuova è applicabile ai fatti, agli status e alle situazioni esistenti o sopravvenute alla data della sua entrata in vigore, ancorché conseguenti ad un fatto passato, quando essi, ai fini della disciplina disposta dalla nuova legge, debbano essere presi in considerazione in sé stessi, prescindendosi totalmente dal collegamento con il fatto che li ha generati, in modo che resti escluso che, attraverso tale applicazione, sia modificata la disciplina giuridica del fatto generatore" (Cass. civ., Sez. I, sentenza 3 luglio 2013 n. 16620).
Di conseguenza, il diritto ad una pensione legittimamente attribuita ben può subire gli effetti di discipline più restrittive introdotte da leggi sopravvenute, laddove il parametro di ragionevolezza è stato rinvenuto anche nella salvaguardia degli equilibri di bilancio e di contenimento della spesa previdenziale (Corte cost. n. 446 del 2002). Analogamente, nuove norme migliorative dei trattamenti di quiescenza possono ritenersi costituzionalmente compatibili, purché incidano sui futuri ratei a decorrere dalla data di entrata in vigore dello jus superveniens e siano adeguatamente supportate da ragioni di tutela di interessi costituzionalmente protetti. In entrambi i casi, i confliggenti interessi di rango costituzionale trovano composizione nel principio di "retroattività temperata".
Pertanto, "....da un lato è stato possibile risalire all'intenzione del legislatore di ristabilire un'armonia nel sistema previdenziale proprio del comparto difesa e sicurezza, sicuramente compromessa dalla rilettura dell'art. 54, offerta dalle Sezioni riunite, in attuazione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost.; dall'altro, trattandosi di una scelta legislativa di "estensione" di una norma già esistente ma palesemente circoscritta al solo personale militare, deve rimarcarsi che la legge non può che disporre che per il futuro, dovendosi escludere che il legislatore abbia voluto risolvere singole controversie, e ridimensionare, al tempo stesso, l'impatto economico deteriore che l'innovazione legislativa possa provocare. L'esigenza di evitare disparità di trattamento deve, dunque, contemperarsi con un bene-interesse di rango costituzionale, di equilibrio dei bilanci (artt. 81, 117 e 119 Cost.). L'unica soluzione idonea a offrire un compromesso compatibile con il delineato assetto costituzionale (e a risolvere l'antinomia sopra indicata) è, conclusivamente, quella di ritenere che la rivalutazione della quota retributiva dei trattamenti pensionistici in esame, sulla base del "nuovo" coefficiente annuo del 2,44%, non possa che spiegare i suoi effetti sui ratei da liquidare a decorrere dal 1.01.2022".
Questo Giudice concorda con tale lettura che assegna alla disposizione dell'art. 1, commi 101 e 102 della L. n. 234 del 2021 una sorta di retroattività temperata in quanto "la descritta soluzione esegetica appare pienamente conforme ai dettami costituzionali e idonea a rendere applicabile la norma ai giudizi in corso, nei limiti operativi sopra indicati".
Peraltro, tale interpretazione ha ricevuto l'avallo esplicito della Corte costituzionale che, nella richiamata sent. n. 33/2023, ha affermato "giustamente il rimettente ha ritenuto che tale disposizione, entrata in vigore il 1 gennaio 2022, trovi applicazione non retroattiva, nel senso che la riliquidazione del trattamento pensionistico opera solo a partire dal rateo di gennaio 2022" (cfr. Corte cost., sent. n. 33/2023).
Pertanto, l'appello deve essere parzialmente accolto e, in riforma della sentenza impugnata, deve essere dichiarato, il diritto del ricorrente alla riliquidazione della pensione in godimento, ma soltanto a partire dal 01.01.2022, determinando la quota calcolata con il sistema retributivo tenendo conto dell'effettivo numero di anni di anzianità maturati al 31.12.1995 e con l'applicazione del relativo coefficiente per ogni anno utile, pari al 2,44% annuo, secondo il criterio elaborato dalle Sezioni Riunite con le sentenze n. 1 e 12 del 2021. Sui maggiori ratei, spettanti a partire dal 01.01.2022, è dovuta la maggior somma tra rivalutazione monetaria e interessi legali, dalla maturazione fino al soddisfo.
La complessità e la novità della questione trattata inducono a disporre la compensazione integrale delle spese di lite ai sensi dell'art. 31, co. 3 c.g.c.
Non vi è luogo a provvedere sulle spese di giustizia, in relazione al principio di gratuità posto per le cause previdenziali dalla L. n. 533 del 1973.
P.Q.M.
La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale d'appello per la Regione siciliana, definitivamente pronunciando,
- accoglie parzialmente l'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, dichiara il diritto dell'appellante alla riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento con l'attribuzione, per la quota calcolata con il sistema retributivo, del coefficiente di rendimento del 2,44% annuo a decorrere dal 1 gennaio 2022;
- condanna l'INPS alla corresponsione del trattamento pensionistico così come riliquidato nonché al pagamento delle differenze dei ratei arretrati dal 1 gennaio 2022, che vanno maggiorate degli interessi nella misura legale e della rivalutazione monetaria ex art. 167, co. 3, c.g.c. e art. 21, co. 2, disp. att. c.g.c., con decorrenza dalla data di scadenza di ciascun rateo e sino al pagamento;
- compensa le spese di giudizio.
dispone con decreto
che a cura della Segreteria venga apposta l'annotazione di cui al comma 3, di detto art. 52, nei riguardi della parte privata.
Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 9 novembre 2023.
Depositata in Cancelleria il 9 novembre 2023.
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