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sabato 16 dicembre 2023

TAR 2023-"Con ricorso notificato a mezzo di posta elettronica certificata il 30 giugno 2020 e depositato il 23 luglio 2020, l'interessato ha impugnato il decreto irrogativo della sanzione espulsiva e gli atti presupposti e connessi, deducendo, in sintesi, le seguenti censure"

 


T.A.R. Lazio Roma Sez. V, Sent., (ud. 19/04/2023) 11-12-2023, n. 18596 

 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio 

(Sezione Quinta) 

ha pronunciato la presente 

SENTENZA 

sul ricorso numero di registro generale 5963 del 2020, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato  

contro 

Ministero della Giustizia, in persona del Ministro in carica, rappresentato e difeso ex lege dall'Avvocatura Generale dello Stato, e presso gli uffici della medesima domiciliato per legge in Roma, alla via dei Portoghesi n. 12; Ministero della Giustizia - Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, in persona del Capo del Dipartimento pro tempore, non costituito come tale in giudizio; 

per l'annullamento 

1. del decreto nr. -OMISSIS- del 9 marzo 2020, notificato in data 12 marzo 2020, nella parte in cui dispone "la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio", con decorrenza dalla data del 5 gennaio 2018, data dell'avvenuto arresto e del consequenziale decreto di sospensione cautelare obbligatoria n. -OMISSIS- dell'8 gennaio 2018; 

2. della comunicazione di avvio del procedimento di cui si ignorano estremi e contenuto, non essendo mai stata notificata al ricorrente; 

3. di ogni altro atto o provvedimento preordinato, connesso o conseguente ivi e per quanto lesivo dei diritti e degli interessi del ricorrente 

Visti il ricorso e i relativi allegati; 

Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero della Giustizia; 

Visti tutti gli atti della causa; 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 19 aprile 2023 il dott. Leonardo Spagnoletti e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale; 

Svolgimento del processo - Motivi della decisione 

Il ricorrente, già assistente capo della Polizia penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di -OMISSIS-, attinto da misura di custodia cautelare domiciliare e sospeso dal servizio, con sentenza del Tribunale di -OMISSIS- n. -OMISSIS- de 22 gennaio 2019 è stato condannato alla pena di anni tre di reclusione, con pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici e estinzione del rapporto d'impiego per i delitti di cui agli artt. 81 cpv., 110. 314 comma 1 e 479 in relazione all'art. 476 comma 2 del codice penale. 

1.1 Con ordinanza n. -OMISSIS- del 30 maggio 2019 la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall'interessato avverso la sentenza di condanna. 

1.2 Con decreto n. -OMISSIS- del 30 maggio 2019 è stata confermata la sospensione dal servizio, e con atto del 9 luglio 2019 è stato avviato il procedimento disciplinare, conclusosi dopo il conforme parere della Commissione centrale di disciplina reso nell'adunanza dell'11 novembre 2019 e con motivazione depositata il 27 febbraio 2020, con il decreto del Capo del Dipartimento nr. -OMISSIS- del 9 marzo 2020, notificato in data 12 marzo 2020, di irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione dall'impiego con decorrenza dal 5 gennaio 2018, data di esecuzione della misura cautelare custodiale domiciliare. 

2. Con ricorso notificato a mezzo di posta elettronica certificata il 30 giugno 2020 e depositato il 23 luglio 2020, l'interessato ha impugnato il decreto irrogativo della sanzione espulsiva e gli atti presupposti e connessi, deducendo, in sintesi, le seguenti censure: 

1. Violazione del termine perentorio per la conclusione del procedimento disciplinare, per essere stato violato il termine massimo di duecentosettanta giorno tra la data di conoscenza della sentenza penale di condanna (30 gennaio 2019) e il provvedimento conclusivo del procedimento penale (9 febbraio 2020) emanato dopo duecentottantatrè giorni dall'indicato dies a quo. 

2. Violazione del termine massimo di novanta giorni tra un atto e l'altro del procedimento disciplinare., dato l'intervallo temporale tra l'instaurazione del procedimento (9 luglio 2019) e l'udienza della Commissione di disciplina (11 novembre 2019). 

Eccesso di potere per contraddittorietà, irragionevolezza, difetto di proporzionalità, perché la condanna penale non comporta alcun automatismo quanto all'irrogazione della massima sanzione disciplinare espulsiva, dovendosi sviluppare in sede procedimentale amministrativa "…una completa e autonoma valutazione della fattispecie concreta e del suo disvalore sul piano deontologico, tenendo conto della versione dei fatti fornita dallo stesso ricorrente in sede di procedimento disciplinare e fornendo una motivazione puntuale e approfondita delle ragioni che hanno determinato l'irrogazione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio" 

Violazione del diritto di difesa, perché l'interessato "…non ha potuto partecipare attivamente alla fase decisoria della procedura de qua, non potendo difendere la propria posizione giuridica e di impiego". 

Violazione dell'art. 5 della L. n. 97 del 2001 - Eccesso di potere per difetto di motivazione - Mancato avvio del procedimento, in relazione al difetto di proporzionalità tra condotta e sanzione irrogata e all'omessa comunicazione di avvio del procedimento. 

2.1 Nel giudizio si è costituito il Ministero della Giustizia con atto di mero stile in data 24 luglio 2020. 

2.2 Con atto depositato il 30 agosto 2021 l'interessato ha rinunciato all'istanza cautelare, che non aveva potuto aver corso in assenza della domanda di fissazione dell'udienza di discussione depositata soltanto il 20 luglio 2021, e di tanto il Collegio ha preso atto nella camera di consiglio dell'9 settembre 2021. 

2.3 All'udienza pubblica del 19 aprile 2023 il ricorso è stato discusso e riservato per la decisione. 

3. Il ricorso in epigrafe è destituito di fondamento giuridico e deve essere rigettato. 

3.1 Nel caso di specie è incontestato e ammesso dallo stesso interessato che oltre alla pena detentiva per gravissimi fatti di reato commessi nell'esercizio delle pubbliche funzioni sia stata irrogata anche la pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, rispetto alla quale il provvedimento di destituzione assume valenza meramente esplicativa di un effetto estintivo ex lege del rapporto d'impiego, costituendo "…diretta e automatica conseguenza della sentenza di condanna…" (TAR Lazio, Roma, Sez. V, 10 ottobre 2022, n. 12860). 

L'irrogazione della pena accessoria ha natura costitutiva di "…una immanente condizione di inidoneità all'impiego…senza che la Pubblica Amministrazione abbia potere sul punto trattandosi di statuizione giurisdizionale…il legislatore ha inteso accordare all'interesse pubblico un più forte strumento di tutela…costituito, appunto, dalla obbligatoria decadenza dall'impiego del pubblico ufficiale, che consegue automaticamente alla pronuncia della predetta condanna…(ed anzi)…l'applicabilità della disciplina di cui agli artt. 9 e 10 L. n. 19 del 1990 - che prevedono il previo procedimento disciplinare in ogni caso, escludendo l'applicabilità di sanzioni espulsive dal pubblico impiego in via automatica - non è possibile nei casi in cui la perdita dell'impiego consegua come effetto automatico di una sanzione penale accessoria, senza la necessità di un procedimento disciplinare" (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. 1 stralcio, 9 settembre 2022 n. 11761). 

Come evidenziato, infatti, da consolidata giurisprudenza amministrativa "L'amministrazione, in presenza di una sentenza penale di condanna con irrogazione della pena accessoria dell'interdizione perpetua dai pubblici uffici, non può fare altro che disporre la cessazione dal servizio del dipendente pubblico condannato, con un provvedimento che non ha carattere né costitutivo, né discrezionale, ma che è vincolato ed è dichiarativo di uno status conseguente al giudizio penale definitivo nei confronti del dipendente" (Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2010 n. 7734; vedi anche id., 9 dicembre 2002, n. 6669, secondo cui "…l'affermazione del principio della ineluttabilità del procedimento disciplinare, non concerne le pene accessorie di carattere interdittivo: qui, infatti, la risoluzione del rapporto di impiego costituisce solo un effetto indiretto della pena accessoria comminata in perpetuo (e salve le ipotesi di indulto, grazia o riabilitazione che costituiscono accidenti futuri ed incerti rispetto alla tendenziale stabilità che caratterizza le pene in esame), che impedisce, ab externo, il fisiologico svolgersi del sinallagma fra prestazioni lavorative e controprestazioni pubbliche L'amministrazione, in presenza di una sentenza penale di condanna con comminazione di pena accessoria interdittiva, non può fare altro che disporre la cessazione dal servizio con un provvedimento che non ha carattere né costitutivo, né discrezionale, venendo in rilievo bensì un atto vincolato, dichiarativo di uno status conseguente al giudizio penale definitivo nei confronti del dipendente (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 28 settembre 2001, n. 5163; sez. V, 23 aprile 1998, n. 468, Cons. reg. sic., 3 aprile 2000, n. 173)" 

3.2 La circostanza che l'Amministrazione abbia inteso procedimentalizzare il provvedimento irrogativo della sanzione espulsiva non può valere a revocare il dubbio la piena legittimità e doverosità del medesimo, ciò che rende irrilevanti le violazioni del termine finale e del termine intermedio, poiché in sede di riedizione non potrebbe che emanarsi altro provvedimento di identico contenuto, come anche la affatto generica doglianza relativa alla pretesa violazione del diritto di difesa procedimentale - l'interessato ammette di aver avuto notifica in data 15 luglio 2019 dell'atto di contestazione degli addebiti, e quella concernente il preteso difetto di proporzionalità - poiché la motivazione dà puntualmente conto che la condotta, estrinsecata in fatti di reato di estrema gravità, è del tutto incompatibile con i doveri di fedeltà e rettitudine richiesti ad un pubblico impiegato. 

4. In conclusione il ricorso in epigrafe deve essere rigettato. 

5. Sussistono nondimeno giusti motivi per dichiarare compensate tra le parti le spese del giudizio, attesa la natura formale e di mero stile degli atti defensionali dell'Amministrazione. 

P.Q.M. 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta. 

Spese compensate. 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. 

Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente. 

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 aprile 2023 con l'intervento dei magistrati: 

Leonardo Spagnoletti, Presidente, Estensore 

Rosaria Palma, Primo Referendario 

Virginia Arata, Referendario 


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