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domenica 17 marzo 2024

Corte d’Appello 2023- Nel caso che occupa, l'odierno appellante risulta aver contratto la patologia per la quale già gli è stata riconosciuta la dipendenza da causa di servizio in ragione dell'incidente sopra descritto: in altri termini, egli ha riportato lesioni riconducibili al mero adempimento dei suoi compiti istituzionali, e non anche ad un "evento" (di cui al comma 563 dell'art. 1 L. n. 266 del 2005) verificatosi "nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari".

 




Corte d'Appello Roma Sez. lavoro, Sent., 16-11-2023

Fatto - Diritto P.Q.M.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DI APPELLO DI ROMA

SEZIONE LAVORO E PREVIDENZA

composta dai Signori Magistrati

Dott. Guido ROSA - Presidente est. -

Dott.ssa Francesca DEL VILLANO ACETO - Consigliere -

Dott.ssa Bianca Maria SERAFINI - Consigliere -

all'esito dell'udienza del 9 novembre 2023 ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile in grado di appello iscritta al n. 1967 del Ruolo Generale Affari Contenziosi del 2020 , vertente

TRA

S.S., elettivamente domiciliato, in Scafati (SA), alla Via Leonardo Da Vinci n. 5, presso lo studio degli avv.ti Massimiliano Caldarelli e Carmelina Alterio, che lo rappresentano e difendono in virtù di procura in calce al ricorso in appello.

- APPELLANTE -

E

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato domiciliato ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12

- APPELLATO -

Oggetto:- appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma n. 3591/2020 depositata il 23.06.2020


Svolgimento del processo - Motivi della decisione


Con il ricorso di primo grado l'attuale appellante ha concluso chiedendo: " accogliere il ricorso ed annullare, per l'effetto, il rigetto comunicato con nota del 31.10.2019; b) accertare e dichiarare il diritto del S.S. allo status di vittima del dovere o di soggetto equiparato alle vittime del dovere ed all'attribuzione dei benefici economici e non economici ad esso connessi; c) condannare, per l'effetto, il Ministero della Difesa al pagamento della speciale elargizione, pari ad Euro 2.000,00 per ogni punto di percentuale di invalidità, per un totale pari ad Euro 190.000,00, atteso che la lesione è pari a 95 punti di invalidità complessiva, oltre perequazione, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal 01.01.2006, data di entrata in vigore della legge, all'effettivo soddisfo, o in quella maggiore o minore somma che il Giudice riterrà equa e satisfattiva anche con l'ausilio di un CTU che sin da ora si richiede; d) condannare, altresì, il Ministero resistente al pagamento dell'assegno vitalizio previsto in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad esse equiparati pari ad Euro 500,00 mensili a far data dal 01.01.2006, data di entrata in vigore della legge che ha riconosciuto il beneficio, ad oggi, per un totale pari ad Euro 84.000,00, pari a 168 mensilità, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla suindicata data all'effettivo soddisfo e da durare a vita o in quella maggiore o minore somma che il Giudice riterrà equa e satisfattiva; e) condannare, inoltre, il Ministero della Difesa al pagamento dello speciale assegno vitalizio previsto in favore delle vittime del dovere e dei soggetti ad esse equiparati pari ad Euro 1.033,00 mensili a far data dal 01.01.2006, data di entrata in vigore della legge che ha riconosciuto il beneficio, ad oggi, per un totale pari ad Euro 173.544,00, pari a 168 mensilità, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla suindicata data all'effettivo soddisfo e da durare a vita o in quella maggiore o minore somma che il Giudice riterrà equa e satisfattiva; f) con vittoria dispese, diritti ed onorari del giudizio con attribuzione ai sottoscritti procuratori antistatari".

A fondamento delle pretese i difensori del ricorrente allegavano in fatto: " Il ricorrente ha prestato servizio militare di leva nel 1993 presso il 225 RGT. "F. Arezzo" in Arezzo; 2. In data 26.05.1993, nell'espletamento di un servizio di vigilanza ad infrastrutture civili e militari e di tutela della pubblica incolumità, denominato "Sgombero poligono", subiva gravissime lesioni personali; 3. Il ricorrente aveva il compito, insieme ad altri commilitoni, di vigilare un'intera area nella quale si stavano svolgendo operazioni di addestramento con uso di armi di vario tipo e doveva impedire l'eventuale passaggio di altri militari e dei civili al fine di evitare che si verificassero lesioni alle persone; 4. In particolare, mentre attraversava, a bordo del veicolo militare AR 76, la zona interessata dalla missione per raggiungere la propria postazione di vigilanza, denominata "Chimera 7", come da prospetto dello schema di vigilanza che si allega, l'autista del citato veicolo, a causa di un malfunzionamento dei freni, più volte denunciato, perdeva il controllo del mezzo il quale si ribaltava e cadeva in un dirupo; 5. in seguito a tanto il ricorrente subiva le seguenti lesioni personali: "Trauma cranico. Note ansioso reattive", come si evince dal verbale redatto dalla CMO di Caserta, che si offre in comunicazione; 6. tale episodio si verificava in attività di servizio e nell'espletamento delle funzioni di istituto e generava lesioni in conseguenza di un intervento effettuato dal sig. S. mentre lo stesso era intento a svolgere servizio di vigilanza ad infrastrutture civili e militari, come si evince dalla dichiarazione di lesione traumatica, che si allega; 7. le suindicate infermità venivano riconosciute dipendenti da causa  di  servizio  con Decreto del Ministero della Difesa n. 404 del 23.09.2010, che si produce; 8. il ricorrente, con lettera del 02.03.2017, che si versa in atti, chiedeva, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1 comma 563 e 564 della L. n. 266 del 2005 e del D.P.R. n. 243 del 2006, il riconoscimento dello status di vittima del dovere o di soggetto ad essa equiparato e l'attribuzione dei benefici economici e non economici connessi; 9. il Ministero resistente espletava una accurata istruttoria dalla quale emergeva che l'evento si verificava durante procedure operative, predisposizioni logistiche e attività addestrative, come da Rapporto Circostanziato dell'Istituto Geografico Militare, che si allega; 10. il Ministero della Difesa….con nota del 31.10.2019…… respingeva l'istanza del ricorrente perché il diritto sarebbe prescritto".

Si costituiva il Ministero della Difesa contestando le avverse pretese, ed eccependo in via preliminare l'avvenuta prescrizione delle pretese attoree, stante la richiesta di benefici da pagarsi periodicamente ed afferenti ad eventi risalenti al 1993. Tutto ciò premesso concludeva chiedendo di dichiararsi l'inammissibilità del ricorso, in quanto afferente a crediti prescritti, e comunque infondato in fatto e in diritto, con vittoria di spese di lite.

Con la sentenza gravata il Tribunale ha così ritenuto: " Nel caso in esame anche l'azione volta ad accertare la sussistenza del diritto al riconoscimento dello status di vittima del dovere soggiace al termine di prescrizione decennale, che decorre dal momento in cui può essere azionato, e quindi, dalla riconducibilità del danno all'evento che lo ha causato. Orbene, alla luce della documentazione prodotta in atti, il ricorrente risulta affetto da patologia dipendente da  causa  di  servizio , riportante una gravità pari a 95 punti percentuali complessivi. Si osserva che il riconoscimento della sussistenza del nesso di causalità tra l'incidente avvenuto in servizio, in data 26.5.1993, e le patologie riscontrate fosse già rilevabile alla data del 13.1.1997. In tale data infatti lo stesso ricorrente, a fronte della dichiarazione di lesione traumatica versata in atti, presentava domanda per ottenere agevolazioni contributive dovute a  causa  di  servizio , da cui si rileva che vi fosse piena consapevolezza circa il rapporto causale. Alla luce di ciò, il ricorrente avrebbe potuto e dovuto far valere il proprio diritto al riconoscimento dello status di vittima del dovere a decorrere dall'entrata in vigore della L. n. 266 del 2005 e del D.P.R. attuativo n. 243/2006, ossia dal 1 gennaio 2006, entro il 1 gennaio 2016. Il ricorrente ha tuttavia inoltrato la domanda amministrativa solo in data 12.6.2017, mentre il decreto di riconoscimento della pensione privilegiata dal 13.1.1997 espressamente menziona il già avvenuto riconoscimento della  causa  di  servizio  in data 31.5.1993. Poiché quindi il ricorrente avrebbe dovuto attivarsi quantomeno nel termine di 10 anni dall'entrata in vigore della norma che ha esteso questa disciplina di favore anche ai soggetti tra i quali rientra il ricorrente (appartenenti alle forze dell'ordine che hanno subito infortunio sul lavoro per ottenere il riconoscimento dello status e la relativa speciale elargizione), non può pertanto che ritenersi estinto per intervenuta prescrizione il diritto del ricorrente ad agire per ottenere i benefici richiesti, stante il decorso del termine decennale ex art. 2946 c.c. Ne consegue il rigetto del ricorso".

Con atto di appello il S. ha censurato la decisione sotto plurimi profili, specie quanto alla prescrittibilità dello status di vittima del dovere e della decorrenza della prescrizione dei benefici, concludendo per la riforma della pronuncia e l'accoglimento delle originarie conclusioni.

Si è costituito il Ministero della Difesa resistendo all'appello chiedendone il rigetto. All'udienza odierna la causa è stata decisa come da dispositivo.

Il primo giudice ha ritenuto fondata l'eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero della Difesa, rilevando che la domanda amministrativa era pervenuta al Ministero ben oltre 10 anni dalla entrata in vigore della L. n. 266 del 2005; la locuzione "status" di vittima del dovere doveva considerarsi atecnica in quanto non contemplata dall'art. 1, commi 563 e 564, L. n. 566 del 2005, mentre la Suprema Corte qualifica la posizione giuridica del richiedente non quale "status" bensì come diritto soggettivo, in quanto tale soggetto a prescrizione.

Con il primo motivo il S. ha censurato la decisione nella parte in cui ha accolto l'eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero della Difesa e ribadendo la sussistenza di tutti i presupposti di legge per il riconoscimento dello status di vittima del dovere e dei conseguenti benefici.

Si sostiene, nell'articolato motivo, che né la L. n. 266 del 2005 né il D.P.R. n. 243 del 2006 indicano in alcun modo i termini preclusivi per la presentazione della domanda amministrativa; la domanda dell'interessato non è un presupposto indefettibile per il riconoscimento dello status e dei diritti di vittima del dovere, ben potendo il Ministero competente procedere alle dovute concessioni d'ufficio, previa istruttoria, ai sensi dell'art. 3, comma 2, D.P.R. n. 243 del 2006, ed è inconcepibile che un diritto possa prescriversi nonostante giorno per giorno si rinnovi la possibilità della concessione d'ufficio; iii) la giurisprudenza di legittimità riconosce la natura assistenziale ai diritti della vittima del dovere, e dal riconoscimento di tale natura assistenziale non possono che discendere l'indisponibilità e la imprescrittibilità del riconoscimento e dei benefici de quibus ex art. 2934 comma 2 c.c.

Sul punto rileva la Corte che la questione di diritto relativa alla prescrizione del diritto all'accertamento dello status di vittima del dovere, ovvero di soggetto equiparato alla vittima del dovere, può dirsi ormai risolta ad opera della giurisprudenza di legittimità, che, con orientamento cui hanno fatto seguito svariate pronunce conformi anche della Sezione Lavoro della Corte di appello di Roma (ex multiis sentenza n. 2228/2023, sentenza n. 1994/2023, sentenza n. 1737/2023, sentenza n. 4516/2022) che qui si richiamano ai sensi dell'art. 118 disp. att. c.p.c., ha ritenuto che "La condizione di vittima del dovere, tipizzata dall'art. 1, commi 563 e 564, della L. n. 266 del 2005, hanatura di "status", cui consegue l'imprescrittibilità dell'azione volta al suo accertamento, ma non dei benefici economici che in tale "status" trovano il loro presupposto, quali i ratei delle prestazioni assistenziali previste dalla legge" (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17440 del 30/05/2022).

In particolare, la Suprema Corte ha rilevato che: a) le Sezioni Unite hanno interpretato le norme di cui all'art. 1, commi 563 e 564, L. n. 266 del 2005 chiarendo che esse istituiscono "un diritto di natura prevalentemente assistenziale volto a prestare un ausilio a chi abbia subito un'infermità o la perdita di una persona cara a causa della prestazione di un servizio in favore di amministrazioni pubbliche da cui siano derivati particolari rischi", diritto che "non rientra nello spettro di diritti e doveri che integrano il rapporto di lavoro subordinato dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche", ma "si colloca fuori e va al di là di tale rapporto, contrattualizzato o meno che esso sia, potendo riguardare anche soggetti che con l'amministrazione non abbiano un rapporto di lavoro subordinato ma abbiano in qualsiasi modo svolto un servizio" (Cass. S.U. n. 23300 del 2016, Cass. S.U. n. 22753 del 2018); b) si tratta quindi di provvidenze che trovano causa nella morte o nell'infermità permanente di chi, anche indipendentemente da un rapporto d'impiego con una pubblica amministrazione, abbia prestato un servizio a beneficio della collettività da cui siano derivati e concretizzati in loro danno particolari rischi, e, dunque, di un servizio che a sua volta costituisce adempimento di un dovere nell'interesse della collettività (art. 2 Cost.); c) le provvidenze in esame rientrano nell'ambito della tutela di cui all'art. 38 Cost., norma che, nel riferirsi all'idea di "sicurezza sociale" e nell'ipotizzare soltanto due modelli tipici della medesima, uno dei quali fondato unicamente sul principio di solidarietà (primo comma) e l'altro suscettibile di essere realizzato mediante strumenti mutualistico-assicurativi (secondo comma), "non esclude tuttavia, e tantomeno impedisce, che il legislatore ordinario delinei figure speciali nel pieno rispetto dei principi costituzionalmente accolti" (Corte cost. n. 31 del 1986): se è vero che la disciplina delle provvidenze dettate per le vittime del dovere può legittimamente considerarsi come una delle possibili "figure speciali di sicurezza sociale", la cui ratio va individuata nell'apprestare peculiari ed ulteriori forme di assistenza per coloro che siano rimasti vittima dell'adempimento di un dovere svolto nell'interesse della collettività, non si possono non ravvisare nella situazione giuridica istituita dal legislatore tutti i presupposti dello status, valendo la categoria di "vittima del dovere" a differenziare una particolare categoria di soggetti al fine di apprestare loro un insieme di benefici previsti dalla legge e riepilogati dall'art. 4, D.P.R. n. 243 del 2006; d) nel sistema così delineato, la domanda dell'interessato deve considerarsi pur sempre condicio sine qua non per il riconoscimento della condizione di "vittima del dovere", non potendo attribuirsi alla disposizione regolamentare di cui all'art. 3, D.P.R. n. 243 del 2006 (che statuisce che "in mancanza di domanda si può procedere d'ufficio") alcuna valenza derogatoria ad un principio che, per gli status activae processualis, ha valenza di diritto di libertà costituzionalmente garantito: in altri termini, l'imprescrittibilità della pretesa discende ex se dalla riconosciuta natura di status della condizione di vittima del dovere e non già da una inesistente facoltà dell'amministrazione di attribuirla d'ufficio; e) peraltro, l'imprescrittibilità dell'azione volta all'accertamento dello status di vittima del dovere non si estende ai benefici economici che in tale status trovano il loro presupposto.

Posta la imprescrittibilità del diritto all'accertamento dello status di vittima del dovere, ritiene la Corte che, in ogni caso, difettino nel caso di specie i presupposti per il riconoscimento di tale diritto, come previsti dalla normativa applicabile.

Come è noto, le disposizioni di cui all'art. 1, commi 563 e 564, L. n. 266 del 2005 hanno esteso i benefici previsti in favore delle vittime della criminalità e del terrorismo a tutte quelle che vengono considerate vittime del dovere, così definiscono tale seconda categoria:- nel comma 563: "Per vittime del dovere devono intendersi i soggetti di cui all'art. 3 della L. 13 agosto 1980, n. 466, e in genere, gli altri dipendenti pubblici deceduti o che abbiano subito un'invalidità permanente in attività di servizio o nell'espletamento delle funzioni di istituto per effetto diretto di lesioni riportate in conseguenza di eventi verificatisi: a) nel contrasto ad ogni tipo di criminalità; b) nello svolgimento di servizi di ordine pubblico; c) nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari; d) in operazioni di soccorso; e) in attività di tutela della pubblica incolumità; f) a causa di azioni recate nei loro confronti in contesti di impiego internazionale non aventi, necessariamente, caratteri di ostilità"; - nel comma 564, che amplia ulteriormente l'area: "Sono equiparati ai soggetti di cui al comma 563 coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegue il decesso in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da  causa  di  servizio  per le particolari condizioni ambientali od operative". Il comma successivo affida ad un regolamento da emanare entro novanta giorni il compito di disciplinare "i termini e le modalità per la corresponsione delleprovvidenze" in discorso. A sua volta il regolamento - poi emanato con D.P.R. 7 luglio 2006, n. 243 - non si è limitato a disciplinare termini e modalità, ma ha compiuto una serie di precisazioni in ordine alla definizione dei concetti di benefici, provvidenze e missioni.

"… Da tale quadro normativo si ricava che il legislatore ha ritenuto di intervenire, a protezione delle vittime del dovere, con due diverse disposizioni della L. n. 266 del 2005, individuando, nel comma 563, talune attività che, ritenute dalla legge pericolose, nel caso in cui abbiano comportato l'insorgenza di infermità, possono automaticamente portare ad attribuire alle vittime i benefici quali vittime del dovere; elencando, nel comma 564, i 'soggetti equiparati', ossia coloro che non abbiano riportato le lesioni o la morte in una delle attività - enumerate nelle lettere dalla a) alla f) sopra richiamate - che il legislatore ha ritenuto per loro natura pericolose, ma in altre attività che pericolose lo fossero o lo fossero diventate per circostanze eccezionali …" (Cass. Sez. U, Sentenza n. 6214 del 24/02/2022; conforme Cass. Sez. lavoro, 31/07/2020, n. 16571).

Per ormai consolidata giurisprudenza di legittimità, ai sensi delle lett. a) e b) del comma 563 è sufficiente che l'evento dannoso si sia verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità, o dello svolgimento di un servizio di ordine pubblico, senza che occorra un rischio specifico ulteriore a quello insito nelle ordinarie attività istituzionali, necessario, invece, per le ipotesi previste dal successivo comma 564, ove è richiesta l'esistenza o il sopravvenire di circostanze o eventi straordinari.

In epoca recente la Suprema Corte ha ribadito che " … Sul significato da attribuire alle indicate previsioni normative sono intervenute più volte le Sezioni Unite di questa Corte (in ultimo, nelle more della presente decisione, Cass., sez. un. nr. 6214 e successive del 24 febbraio 2022) cogliendo il tratto differenziale delle due previsioni nel fatto che mentre l'una (il comma 563) elenca una serie di attività, ritenute dalla legge pericolose, che possono automaticamente condurre all'attribuzione dei benefici quali vittime del dovere, qualora, nel loro espletamento, siano conseguiti eventi lesivi - non richiedendosi la presenza d'un rischio specifico diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali (Cass., sez. un., nr. 10791 del 2017) - l'altra (il comma 564) individua quelle "attività che pericolose lo (siano) o lo (siano) diventate per circostanze eccezionali" (in motiv., ex plurimis, Cass., sez. un. nr. 12862 del 2020) …" (Cass. Sez. L, Sentenza n. 17436 del 2022 conforme Sez. L, Sentenza n. 11012 del 2022).

A fronte di tale quadro normativo e giurisprudenziale, le deduzioni dell'appellante ricostruiscono gli eventi significando che :- " In data 26.05.1993, nell'espletamento di un servizio di vigilanza ad infrastrutture civili e militari e di tutela della pubblicaincolumità, denominato "Sgombero poligono", subiva gravissime lesioni personali; 3. Il ricorrente aveva il compito, insieme ad altri commilitoni, di vigilare un'intera areanella quale si stavano svolgendo operazioni di addestramento con uso di armi di variotipo e doveva impedire l'eventuale passaggio di altri militari e dei civili al fine dievitare che si verificassero lesioni alle persone; 4. In particolare, mentre attraversava,a bordo del veicolo militare AR 76, la zona interessata dalla missione per raggiungerela propria postazione di vigilanza, denominata "Chimera 7", come da prospetto dello schema di vigilanza che si allega, l'autista del citato veicolo, a causa di unmalfunzionamento dei freni, più volte denunciato, perdeva il controllo del mezzo ilquale si ribaltava e cadeva in un dirupo "sottolineatura del redattore.

Per la sussistenza del richiesto status, invero implicitamente l'appellante sostiene necessariamente che nel caso di specie sarebbe configurabile l'ipotesi di cui al comma 563 dell'art. 1 L. n. 266 del 2005 cit., in quanto - circostanza pacifica - il S. si trovava "in servizio comandato di vigilanza ad infrastrutture civili e militari".

Tuttavia lo stesso appellante riconduce l'evento lesivo all'incidente del veicolo militare sul quale si trovava, al fine di attraversare le zona interessata alla missione, per recarsi alla postazione di vigilanza dove avrebbe dovuto svolgere il servizio, mai in concreto iniziato, considerato che "l'autista del citato veicolo, a causa di un malfunzionamento dei freni, più volte denunciato, perdeva il controllo del mezzo il quale ribaltava e cadeva in un dirupo".

Orbene, va subito evidenziato che la giurisprudenza ha da tempo chiarito che il concetto di "vittima del dovere" presenta caratteristiche speciali rispetto al genus della  causa  di  servizio  e che, per il sorgere del diritto alla speciale elargizione prevista dalla legge per le vittime del dovere, non basta che l'evento letale o invalidante sia connesso all'espletamento di funzioni d'istituto, ma occorre pure che il rischio affrontato vada oltre quello ordinario connesso all'attività di istituto (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 giugno 2006 n. 4042; Sez. IV, 12 marzo 2001, n. 1404; Sez. IV, 18 gennaio 1997 n. 11). Dalle disposizioni normative sopra richiamate risulta, infatti, che la speciale elargizione riconosciuta alle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata, ed estesa dal legislatore anche alle c.d. vittime del dovere, presuppone che il fatto lesivo da cui si origina la relativa pretesa si connoti per un quid pluris rispetto all'ordinario adempimento dei compiti di istituto da parte del pubblico dipendente. Diversamente opinando, si dovrebbe arrivare alla conclusione di ritenere che qualsiasi lesione riportata dal pubblico dipendente nell'adempimento dei propri compiti istituzionali, anche in contesti ambientali non connotati da una particolare pericolosità, purché eziologicamente connessa al servizio prestato, legittimi il soggetto leso a richiedere, oltre al riconoscimento della dipendenza della lesione da  causa  di  servizio  (ai fini della concessione dell'equo indennizzo e del trattamento pensionistico), la speciale elargizione prevista per le vittime del dovere, con una ingiustificata duplicazione delle forme di risarcimento del danno (cfr. anche Corte di appello Milano sentenza n. 1220/2021).

Nel caso che occupa, l'odierno appellante risulta aver contratto la patologia per la quale già gli è stata riconosciuta la dipendenza da  causa  di  servizio  in ragione dell'incidente sopra descritto: in altri termini, egli ha riportato lesioni riconducibili al mero adempimento dei suoi compiti istituzionali, e non anche ad un "evento" (di cui al comma 563 dell'art. 1 L. n. 266 del 2005) verificatosi "nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari".

Tali conclusioni sono confortate dalla giurisprudenza della Suprema Corte, che ha avuto modo di rilevare che la disposizione di cui al comma 563 dell'art. 1 L. n. 266 del 2005 "non prevede la presenza di un rischio specifico diverso da quello insito nelle ordinarie funzioni istituzionali, bastando soltanto che l'evento dannoso si sia verificato nel contrasto di ogni tipo di criminalità o nello svolgimento di servizi di ordine pubblico (Cass. S.U. n. 10791 del 2017). Ciò, d'altra parte, non significa chequalunque infermità contratta "nella vigilanza ad infrastrutture civili e militari"ovvero "in attività di tutela della pubblica incolumità" sia di per sé sola sufficiente aguadagnare a chi ne è portatore lo status di "vittima del dovere": come correttamente rilevato dai giudici di merito, l'equiparazione con i soggetti di cui all'art. 3, L. n. 466 del 1980, in tanto può avere un significato logicamente e normativamente coerente in quanto la "vigilanza ad infrastrutture civili e militari" e le "attività di tutela dellapubblica incolumità" costituiscano oggetto di funzioni istituzionali cheordinariamente comportino una speciale pericolosità e l'assunzione di rischiqualificati rispetto a quelli in cui può incorrere la restante platea dei dipendentipubblici" (Cass. Sez. L sentenza n. 29204/2021). Aggiunge la Corte che "Né può sostenersi che, così interpretato, si aggiungerebbe alle fattispecie di cui al comma 563 una specificazione che il legislatore ha piuttosto introdotto nel comma successivo: alcontrario, è proprio la lettura del comma 564 che avvalora tale conclusione, dal momento che, equiparando ai soggetti di cui al comma 563 "coloro che abbiano contratto infermità permanentemente invalidanti o alle quali consegua il decesso, in occasione o a seguito di missioni di qualunque natura, effettuate dentro e fuori dai confini nazionali e che siano riconosciute dipendenti da  causa  di  servizio  per le particolari condizioni ambientali od operative", conferma semmai che la ricorrenza di "particolari condizioni ambientali od operative" può attrarre nel novero delle vittime del dovere anche soggetti che non siano ordinariamente incaricati di funzioni istituzionali caratterizzate da speciale pericolosità e dall'assunzione di rischi qualificati" (sentenza n. 29204/21 cit.)

In definitiva, secondo l'interpretazione della Suprema Corte, la norma di cui al richiamato art. 1, lungi dal voler indiscriminatamente estendere la qualifica di "vittime del dovere" a tutti coloro che riportino infermità dipendenti da  causa  di  servizio, ha inteso piuttosto delimitare servizi ed attività ordinariamente connotati da una speciale pericolosità e dall'assunzione di rischi qualificati rispetto a quelli propri della generalità dei pubblici dipendenti ed equiparare ad essi anche altre attività che tale pericolosità ordinariamente non possiedono ma che possono in concreto diventare tali per "particolari condizioni ambientali od operative".

Non è sufficiente, dunque, ai fini della configurabilità dell'ipotesi di cui al comma 563 dell'art. 1 L. n. 266 del 2005, rilevare che S.S. ha riportato la patologia sopra indicata nello svolgimento di una "attività di vigilanza a strutture militari", attività per altro non potuta iniziare considerato che l'incidente è avvenuto prima che potesse raggiungere la postazione dove era stato comandato, dovendo altresì emergere la "ricorrenza, entro detta attività di vigilanza, dell'assunzione di un rischio qualificato dalla speciale pericolosità, rispetto a quello proprio della generalità dei dipendenti pubblici" svolgenti il medesimo servizio (Cass. Sez. L sentenza n. 6850/2023).

Rischio qualificato da speciale pericolosità che, nel caso di specie, non risulta neanche allegato e comunque assente.

Alla stregua di tali considerazioni, ed assorbita ogni ulteriore questione, l'appello deve essere respinto mentre la sentenza impugnata, sia pure con motivazione diversa rispetto a quella adottata dal giudice di prime cure, deve essere confermata.

In ragione della parziale fondatezza dell'appello e dell'essere la presente pronuncia di rigetto fondata su motivazioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado, si ritengono sussistenti i presupposti per la compensazione integrale delle spese di lite del grado.

In considerazione del tipo di statuizione emessa, deve infine darsi atto della sussistenza in capo all'appellante delle condizioni processuali richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall'art. 1 comma 17 L. 24 dicembre 2012, n. 228, per il raddoppio del contributo unificato, pur se condizionata alla debenza del contributo inizialmente dovuto.


P.Q.M.


La Corte rigetta l'appello. Compensa integralmente fra le parti le spese del grado. Sussistono le condizioni oggettive richieste dall'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento da parte dell'appellante dell'ulteriore importo del contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2023.

Depositata in Cancelleria il 16 novembre 2023.


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