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lunedì 4 luglio 2011

Cassazione ".Investimento pedone..il conducente del veicolo deve essere in grado di prevedere anche le imprudenze o le trasgressioni degli altri...."


Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 29-04-2011) 09-06-2011, n. 23309Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
C.A.  ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe con la  quale  la corte di appello, parzialmente riformando in melius  la sentenza di primo grado solo relativamente alla durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente  di  guida, l'ha  riconosciuto colpevole del reato di omicidio colposo  aggravato dalla   violazione  della  normativa  sulla  circolazione   stradale, commesso alla guida della propria autovettura con l'investimento  del pedone          B.L..
Nessun  dubbio sussisteva, secondo il giudicante,  in ordine al  nesso di  causalità tra l'incidente e la morte del pedone, sopraggiunta in ospedale  qualche  giorno dopo, pur in assenza di  consulenza  medico legale.  Ciò  in  ragione delle gravi lesioni riportate  dal  pedone nell'occorso,  ricoverato  già  in prognosi  riservata  nel  reparto rianimazione.  Nessun rilievo doveva riconoscersi  ad  una  patologia preesistente  da  cui risultava affetto  il      B.,  giacchè  tale patologia, laddove esistente, non escludeva che causa primaria  della morte erano state proprio le lesioni riportate  nell'incidente.
Si  doveva  ravvisare  l'imprudenza del pedone  nell'attraversamento, effettuato senza considerare la presenza sulle strisce pedonali di un voluminoso  automezzo che interdiva la visuale ai  veicoli provenienti dall'opposto  senso di marcia, onde il pedone, nell'intraprendere  la manovra,  aggirando detto veicolo, avrebbe dovuto  prestare attenzione e  non  procedere "a passo svelto" senza considerare la  presenza  di veicoli.
Tuttavia,  ciò  non  escludeva  la "colpa"  dell'imputato,  giacchè questi, proprio per la presenza delle strisce pedonali, doveva essere avvertito  della  possibile presenza di pedoni,  che  avrebbe  dovuto imporre  una  particolare  cautela  e  l'ulteriore   riduzione   della velocità  tenuta  (pur, per vero, affatto elevata:  tale  velocità, determinata in 38 chilometri orari, era contenuta nel limite di legge previsto  nei  centri urbani, ma doveva ritenersi non  adeguata  alla situazione concreta).
La  pena  era  stata  contenuta  nei minimi  edittali  (sei  mesi  di reclusione) e non poteva essere ulteriormente ridotta.
In  particolare, non potevano concedersi le attenuanti generiche  con giudizio di prevalenza, in ragione della particolare importanza della norma  cautelare violata (regole di condotta da seguire nei confronti dei  pedoni). Nè poteva concedersi l'attenuante del risarcimento del danno, giacchè il risarcimento della compagnia di assicurazione  non risultava  tale  da consentire di ritenere integralmente  riparati  i danni subiti dai congiunti del deceduto.
Con il ricorso si censura la decisione sotto diversi profili.
In   primo   luogo,  si  deduce  la  contraddittorietà  e  manifesta illogicità dell'affermato giudizio di sussistenza del nesso  causale tra  il  sinistro  e  la  morte  del pedone,  per  non  essere  stato adeguatamente  considerato  il rilievo della  patologia  preesistente (ipertensione   arteriosa)  da  cui  doveva  ritenersi   affetto   il      B..
In  secondo  luogo, analogo vizio viene articolato  in  relazione  al riconosciuto  addebito  di  colpa, sostenendosi  che  l'automobilista aveva  tenuto  una adeguata condotta di guida, mentre  l'investimento era    da   ricondurre   in   toto   all'improvvida   modalità    di attraversamento, da ritenere imprevedibile.
Infine  si  censura il trattamento dosimetrico, sia  per  il  mancato riconoscimento dell'attenuante del risarcimento del danno,  a  fronte dell'avvenuto risarcimento ad opera dell'assicurazione,  da  ritenere satisfattivo tanto che non vi era stata costituzione di parte civile;
sia per il mancato giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche, che  si  assume  doveroso in ragione della ritenuta  imprevedibilità della condotta della vittima e della condotta complessivamente tenuta dall'automobilista.
Si insta, quindi, per l'annullamento.Motivi della decisione
Il ricorso è infondato.
Va  ricordato che la ricostruzione di un incidente stradale nella sua dinamica  e  nella  sua eziologia - valutazione  delle  condotte  dei singoli  utenti  della strada coinvolti, accertamento delle  relative responsabilità, determinazione dell'efficienza causale  di  ciascuna colpa  concorrente - è rimessa al giudice di merito ed  integra  una serie  di  apprezzamenti di fatto che  sono sottratti al sindacato  di legittimità  se  sorretti  da adeguata  motivazione  (Sezione  4,  5 dicembre  2007,  Proc. Rep. Trib. Forlì in  proc.  Benelli;  nonchè, Sezione 4, 12 dicembre 2008, Spinelli), Qui risulta che il giudicante ha fatto buon governo dei propri poteri valutativi, nel ricostruire l'incidente e il nesso causale tra questo e  la  morte,  nel non trascurare i profili di colpa del pedone,  nel l'apprezza  re,  peraltro,  la violazione cautelare  specifica  della conducente  
dell'autoveicolo,  eziologicamente  rilevante   per   la verificazione dell'incidente.
Va  allora  rimarcato,  in  premessa, che,  poichè  le  norme  sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per fare fronte a situazioni di pericolo, anche quando  siano determinate da altrui comportamenti irresponsabili, la fiducia di  un conducente  nel  fatto che altri si attengano alle  prescrizioni  del legislatore,  se  mal  riposta,  costituisce  di  per  sè   condotta negligente.
In  altri  termini,  il conducente risponde anche   dei  comportamenti altrui,  sia pure non corretti, quando essi rappresentino prevedibili eventi   nella   circolazione  stradale.   In   questa   prospettiva, correttamente    non    è   stata   esclusa    la    responsabilità dell'automobilista (in colpa) pur a fronte della condotta  dell'altro utente  della  strada  (parimenti  in  colpa),  essendo  pacifica  la prevedibilità di una condotta quale quella nello specifico tenuta da quest'ultimo,   tale   che   avrebbe   potuto   e   dovuto    imporre all'automobilista  di  tenere  conto di  detta  situazione  prima  di impegnarsi nella manovra contestata (per riferimenti, cfr. Sezione 4, 14 febbraio 2008, Notarnicola ed altro).
Quanto detto consente di ritenere corretto il rilievo attribuito  dal giudicante alla condotta del pedone, come ricostruita.
Venendo poi all'addebito di colpa contestato all'imputato.
Al  riguardo,  come è noto, le norme che presiedono il comportamento del  conducente  del veicolo, oltre a quelle  generiche  di  prudenza, cautela   ed   attenzione,  sono  principalmente  quelle  rinvenibili nell'art.  140 C.d.S., che pone, quale principio generale informatore della   circolazione,  l'obbligo  di  comportarsi  in  modo  da   non costituire  pericolo o intralcio per  la circolazione ed in  modo  che sia  in  ogni  caso  salvaguardata la  sicurezza  stradale,  e  negli articoli   seguenti,   laddove   si   sviluppano,   puntualizzano   e circoscrivono le specifiche regole di condotte.
Tra  queste  ultime,  di rilievo, con riguardo  al  comportamento  da tenere  nei  confronti dei pedoni, sono quelle dettagliate  nell'art. 191  C.d.S.,  che  trovano il loro pendant nel  precedente  art.  190 C.d.S.,  che,  a  sua  volta,  dettaglia  le  regole  comportamentali cautelari e prudenziali che deve rispettare il pedone.
In  questa  prospettiva,  rileva la regola  prudenziale  e  cautelare fondamentale  che  deve presiedere al comportamento  del  conducente, sintetizzabile nell'"obbligo di attenzione" che questi deve tenere al fine  di  "avvistare"  il  pedone  sì  da  potere  porre  in  essere efficacemente gli opportuni (rectius,  i necessari) accorgimenti  atti a prevenire il rischio di un investimento.
Il  dovere  di  attenzione del conducente teso  all'avvistamento  del pedone  trova il suo parametro di riferimento (oltre che nelle regole di  comune e generale prudenza) nel richiamato principio generale  di cautela   che  informa  la  circolazione  stradale  e  si  sostanzia, essenzialmente,   in   tre   obblighi  comportamentali:   quello   di ispezionare  la  strada dove si procede o  che si sta  per  impegnare;
quello  di  mantenere un costante controllo del veicolo  in  rapporto alle  condizioni  della  strada e del traffico;  quello,  infine,  di prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in  modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri  utenti della  strada  (in  particolare,  proprio  dei  pedoni)  (cfr.,   per riferimenti,  Sezione  4,  gennaio 1991, Del  Frate;  Sezione  4,  12 ottobre 2005, Leonini; Sezione 4, 13 ottobre 2005, Tavoliere).
Trattasi  di  obblighi comportamentali posti a carico del  conducente anche  per la prevenzione di eventuali comportamenti irregolari dello stesso   pedone  (qui  astrattamente  ipotizzabili  e   in   concreto verificatisi in ragione della modalità di attraversamento  da  parte del  pedone, "a passo svelto", pur in un contesto locale ove  per  la presenza del veicolo ingombrante parcheggiato in corrispondenza delle strisce  pedonali  poteva essere interdetta la  visuale  completa  da parte  dei  conducenti dei veicoli che percorrevano la strada),  vuoi genericamente  imprudenti (tipico il caso del pedone che  si  attarda nell'attraversamento,  quando  il  semaforo,  divenuto  verde,  ormai consente  la  marcia  degli  automobilisti),  vuoi  violativi   degli obblighi  comportamentali  specifici, dettati  dall'art.  190  C.d.S. (tipico,  quello dell'attraversamento della carreggiata al 
di  fuori degli  appositi attraversamenti pedonali; altrettanto tipico,  quello dell'attraversamento  stradale passando anteriormente  agli  autobus, filoveicoli  e  tram in sosta alle fermate). Il conducente,  infatti, ha,  tra  gli  altri,  anche  l'obbligo  di  prevedere  le  eventuali imprudenze  o  trasgressioni degli altri utenti  della  strada  e  di cercare  di prepararsi a superarle senza danno altrui (v. Sezione  4, 30  novembre 1992, Cat Berrò).
Ne  discende  che  il conducente del veicolo può  andare  esente  da responsabilità, in caso di investimento del pedone, non per il  solo fatto  che  risulti accertato un comportamento colposo (imprudente  o violativo  di una specifica regola comportamentale) del  pedone  (una tale  condotta  risulterebbe concausa dell'evento lesivo,  penalmente non  rilevante per escludere la responsabilità del conducente:  cfr. art.  41  c.p.,   comma  1), ma occorre che  la  condotta  del  pedone configuri,   per  i  suoi  caratteri,  una  vera  e   propria   causa eccezionale, atipica, non prevista nè prevedibile, che sia stata  da sola sufficiente  a produrre l'evento (cfr. art. 41 c.p., comma 2).
Ciò  che  può ritenersi solo allorquando il conducente del  veicolo investitore (nella cui condotta non sia ovviamente ravvisabile  alcun profilo  di colpa, vuoi generica vuoi specifica) si sia trovato,  per motivi  estranei  ad ogni suo obbligo di  diligenza,  nella  oggettiva impossibilità  di  "avvistare" il pedone e  di osservarne,  comunque, tempestivamente  i  movimenti,  attuati  in  modo  rapido,  inatteso, imprevedibile.  Solo  in  tal  caso, in  vero,  l'incidente  potrebbe ricondursi  eziologicamente proprio esclusivamente alla condotta  del pedone,  avulsa totalmente dalla condotta del conducente ed  operante in assoluta autonomia rispetto a quest'ultima.
Tale  situazione, interruttiva del nesso di causalità, qui non  può porsi,  vuoi perchè il pedone ha comunque iniziato l'attraversamento praticamente sulle strisce, ma anche perchè, comunque, non è emersa alcuna   situazione  di  imprevedibilità  nell'apprezzamento   della presenza del pedone. Giustamente ha evidenziato il giudice di  merito che  vuoi  la  presenza delle strisce pedonali,  vuoi  il  parcheggio irregolare del veicolo "voluminoso" in corrispondenza di tali strisce avrebbero  dovuto imporre all'automobilista particolare  cautela  non essendo  "imprevedibile"  la  presenza di  un  pedone  nella  fase  di attraversamento.
In  questa  prospettiva, la censura è di merito e  inaccoglibile  in questa sede.
Correttamente   e  ampiamente  giustificato  è  il   profilo   della sussistenza del nesso causale tra l'Incidente e la morte. Del  resto, in  caso di omicidio colposo, la presenza (qui rappresentata comunque come  eventuale) di una patologia preesistente da  cui sia affetto  la vittima  di  un  incidente stradale non ha normalmente  l'effetto  di interrompere   il  nesso  causale  rispetto  alla  condotta   colposa produttiva  dell'evento, giacchè di regola non è  estraneo  all'area di rischio innescata da tale condotta lesiva.
Nella  specie,  il giudice di merito ha del resto  soffermato  la  sua attenzione  in  modo  affatto illogico sulla gravità  delle  lesioni riportate dal pedone nel l'occorso, tanto da imporre il suo  ricovero in rianimazione.
Corretto   e   incensurabile  è  il  diniego   dell'attenuante   del risarcimento del danno.
Vale  il  principio  secondo  cui,  ai  fini  della  configurabilità dell'attenuante  di cui all'art. 62 c.p.,  n. 6, il  risarcimento  del danno  deve  essere  integrale,  comprensivo,  quindi,  della  totale riparazione  di ogni effetto dannoso e la valutazione in ordine  alla corrispondenza  tra transazione  e danno spetta al giudice,  che  può anche  disattendere,  con  adeguata motivazione,  ogni  dichiarazione satisfattiva resa dalla parte  lesa (Sezione 4, 22 maggio 2009, Usai).
Qui,  il  giudicante  ha  spiegata la  ragione  per  cui  non  poteva affermarsi  che il risarcimento fosse integralmente satisfattivo  dei danni e il relativo apprezzamento non può essere qui rinnovato.
Del resto, per affermare il contrario, non basterebbe valorizzare  il dato della mancata costituzione di parte civile, ove si consideri che la giurisprudenza attribuisce al giudice di  negare l'attenuante anche in presenza di dichiarazione satisfattiva della parte lesa.
Inaccoglibile  è  il  motivo  sul  giudizio  di  comparazione  delle attenuanti.
Il  giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti non  è  censurabile in sede di legittimità qualora  il  giudice  di merito  abbia  giustificato la soluzione adottata con la  indicazione degli   elementi  ritenuti  prevalenti  ai  fini  del   giudizio   di comparazione,  anche se non abbia confutato tutte le deduzioni  delle parti volte a conseguire una diversa valutazione comparativa di tutte le  circostanze  del  reato.  In questa  prospettiva,  le  statuizioni relative  al  giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti  ed attenuanti, effettuato in riferimento ai criteri di cui all'art.  133 c.p.,  sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico (Sezione 6, 8 luglio 2009, Abruzzese ed  altri).
Qui,  il  giudicante  ha  motivato il giudizio  di  sola  equivalenza evidenziando,  in  modo  affatto illogico, la gravità  della  regola cautelare  violata  e  apprezzando, del resto, in   modo  compiuto  il complessivo trattamento sanzionatorio.
Al  rigetto  del  ricorso segue ex art. 616 c.p.p., la  condanna  del ricorrente al pagamento delle spese processuali.P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle  spese processuali.

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