Consiglio di Stato, Sezione Quarta,
Sentenza n. 3582 del 13/06/2011
FATTO
Il signor [#################] ha impugnato,
chiedendone la riforma, la sentenza con la quale il T.A.R. del Veneto ha
dichiarato improcedibile il ricorso dallo stesso proposto avverso il diniego
opposto dal Comune di Venezia a un’istanza di concessione edilizia in variante a
titolo abilitativo in precedenza rilasciatogli.
A sostegno dell’impugnazione, ha dedotto
l’errata valutazione della asserita acquiescenza e della conseguente
improcedibilità del ricorso (desunta dalla mancata impugnazione di successiva
concessione in variante rilasciata a favore del medesimo istante).
Di conseguenza, l’appellante ha riproposto come
segue le censure non esaminate dal giudice di primo grado:
1) violazione dell’art. 8 della legge 25 marzo
1982, nr. 94, e dell’art. 79 della legge regionale 27 giugno 1985, nr. 61;
eccesso di potere per carenza di presupposti e difetto di motivazione (stante
l’intervenuta formazione di “silenzio-assenso” sull’istanza di variante già
anteriormente all’impugnato diniego);
2) violazione dell’art. 79, l.r. nr. 61 del
1985; eccesso di potere per violazione della procedura, carenza di presupposti e
difetto di motivazione (stante la mancata acquisizione del parere della
Commissione Edilizia comunale);
3) eccesso di potere per travisamento dei fatti,
illogicità e contraddittorietà, carenza di presupposti; eccesso di potere per
perplessità e difetto di motivazione (non rispondendo al vero che l’originaria
concessione prevedeva l’impegno alla demolizione di alcuni manufatti
preesistenti);
4) violazione degli artt. 1 e segg., l.r. nr. 1
del 1982 e successive modifiche e integrazioni; eccesso di potere per illogicità
e contraddittorietà; eccesso di potere per difetto di istruttoria e di
motivazione (in relazione alla motivazione nel merito del diniego di variante).
Si è costituito il Comune di Venezia,
opponendosi all’accoglimento dell’appello e concludendo per la conferma della
sentenza di primo grado.
All’udienza del 10 maggio 2011, la causa è stata
trattenuta in decisione.
DIRITTO
1. L’odierno appellante, signor
[#################], ha ottenuto nel 1986 dal Comune di Venezia una concessione
edilizia, ai sensi della legge regionale del Veneto 12 gennaio 1982, nr. 1, per
ampliamento di fabbricati a uso produttivo, oggetto di condono a seguito di
separata domanda.
Successivamente, con istanza del 25 luglio 1987
egli ha chiesto una variante alla predetta concessione edilizia, denegatagli dal
Comune con provvedimento del 3 novembre 1988, oggetto di impugnazione in primo
grado dinanzi al T.A.R. del Veneto.
Con il presente appello, l’istante censura la
sentenza con la quale il T.A.R. adito ha dichiarato l’improcedibilità del
ricorso sul rilievo che in epoca successiva, e segnatamente in data 29 agosto
1989, su sua richiesta gli è stata rilasciata una ulteriore concessione edilizia
in variante, ritirata e mai impugnata.
2. Ciò premesso, l’appello è infondato e va
conseguentemente respinto.
3. Ed invero, ai fini che qui interessano non è
rilevante la questione – su cui si sofferma parte appellante – se la nuova
istanza di variante esitata dall’Amministrazione con la concessione del 1989
concernesse le medesime opere già oggetto della precedente istanza del 1987,
ovvero opere in tutto o in parte diverse, in quanto il thema decidendum
sostanziale del giudizio è costituito dall’affermazione dell’illegittimità
dell’obbligo di demolire alcuni manufatti preesistenti, che secondo il Comune
ostava all’accoglimento dell’originaria richiesta di variante.
Orbene, risulta per tabulas che tale obbligo di
demolizione è stato positivamente riaffermato nel provvedimento concessorio del
1989, che pertanto sul punto ha ribadito l’orientamento in tal senso espresso
dall’Amministrazione (sia pure accompagnandolo ad un assenso alla richiesta di
variante, anziché a un diniego come in precedenza); di modo che appare evidente
che l’annullamento del diniego impugnato in prime cure non produrrebbe alcuna
utilità all’istante, sopravvivendo in ogni caso il nuovo e autonomo
provvedimento che lo obbliga a demolire i predetti manufatti.
Infatti, contrariamente a quanto pure assume
l’appellante, il citato provvedimento concessorio non può considerarsi in parte
qua meramente confermativo del diniego precedente, seguendo a nuova istanza e a
nuova istruttoria condotta dall’Amministrazione (abbia avuto quest’ultima o meno
a oggetto i medesimi interventi richiesti con l’istanza del 1987).
Pertanto, va più precisamente rilevato che
l’improcedibilità dell’azione è dovuta a tale intervenuto mutamento della
situazione di fatto e di diritto, e quindi a sopravvenuta carenza di interesse
(e non ad acquiescenza, come affermato dal primo giudice).
4. In ogni caso, si rileva ad abundantiam che il
ricorso introduttivo è anche infondato nel merito.
4.1. Innanzi tutto, è infondato il primo motivo
di censura, col quale si assume che l’impugnato diniego sarebbe intervenuto in
un momento in cui sull’istanza di variante si era già formato il
“silenzio-assenso” a norma dell’art. 79 della legge regionale del Veneto 27
giugno 1985, nr. 61.
Al riguardo, giova richiamare i pregressi
orientamenti di questo Consiglio di Stato, secondo cui:
a) l’art. 8 del decreto legge 23 gennaio 1982,
nr. 9, convertito con modificazioni nella legge 25 marzo 1982, nr. 94, che
prevede il formarsi della c.d. concessione tacita per il silenzio assenso,
decorso il termine di novanta giorni dalla presentazione della domanda senza che
sia intervenuto e comunicato il provvedimento motivato con cui viene negato il
rilascio, costituisce uno strumento eccezionale rispetto alla disciplina
generale e, pertanto, ha un campo di applicazione ben definito ai soli
interventi di edilizia residenziale, diretti alla costruzione di abitazione ed
al recupero del patrimonio abitativo esistente ed ha avuto in origine carattere
transitorio con efficacia temporale, dapprima limitata al 31 dicembre 1984 e con
successive leggi prorogata al 31 dicembre 1991, sino all’entrata in vigore della
legge 17 febbraio 1992, nr. 179, con cui la disciplina della concessione tacita
è stata definitivamente acquisita nell’ordinamento con norma di regime (cfr.
Cons. Stato, sez. V, 28 dicembre 2001, nr. 6438; id., 28 febbraio 1995, nr.
295);
b) quanto al citato art. 79, l.r. nr. 61 del
1985, nella parte in cui prescrive l’attestazione del progettista per la
formazione del silenzio-assenso su domanda di concessione di costruzione, esso
va letto in sintonia col citato art. 8, d.l. nr. 9 del 1982, le cui disposizioni
sono state qualificate “norme fondamentali di riforma economico-sociale”, sicché
la previsione va a sua volta limitata ai soli interventi di edilizia
residenziale (cfr. Cons. Stato, sez. V, 19 febbraio 1997, nr. 173; id., 1
febbraio 1995, nr. 156).
4.2. Del pari infondato è il secondo motivo di
doglianza, col quale si assume l’illegittimità del diniego per mancata
acquisizione del prescritto parere della Commissione Edilizia comunale.
Sul punto, va osservato:
- che il gravato provvedimento richiama
testualmente il “parere” espresso dalla Commissione Edilizia in data 11 marzo
1988;
- che lo stesso appellante ammette che il
progettista è stato sentito dalla Commissione, di modo che in ogni caso questa
risulta aver conosciuto e delibato la richiesta di intervento in variante.
4.3. Vanno respinti, infine, il terzo e il
quarto motivo, con i quali la parte appellante censura nel merito le statuizioni
negative dell’Amministrazione sulla richiesta di variante.
Infatti, come evidenziato (e documentato)
dall’Amministrazione convenuta, l’originaria concessione edilizia nr. 1418 del
1984 era effettivamente “condizionata”, essendo stata subordinata dalla
competente Sottocommissione Edilizia alla demolizione di alcuni manufatti
preesistenti.
Di conseguenza, del tutto congruo e ragionevole
risulta il successivo diniego di variante motivato col non essere stato assolto
tale dovere di demolizione (che, a quanto pare, non risulta ottemperato fino a
tutt’oggi, come dimostrato dal riproporsi della questione anche a proposito
della successiva concessione in variante del 1989).
5. In conclusione, alla luce dei rilievi che
precedono s’impone una pronuncia di reiezione dell’appello e di conferma della
sentenza impugnata.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono
liquidate equitativamente in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe
proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.
Condanna l’appellante al pagamento, in favore
del Comune di Venezia, delle spese del presente grado di giudizio, che liquida
in euro 3000,00 oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita
dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio
del giorno 10 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:
Gaetano Trotta, Presidente
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Guido Romano, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
Sandro Aureli, Consigliere
Raffaele Greco, Consigliere, Estensore
Guido Romano, Consigliere
Andrea Migliozzi, Consigliere
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 13/06/2011
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