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sabato 23 febbraio 2013

TAR:"La ricorrente insorge perché sia l'annullato il diniego, opposto al menzionato assistente della Polizia di Stato, di usufruire dei permessi previsti dall'art. 40 D.Lgs. n. 151 del 2001, il provvedimento con il quale l'Amministrazione ha disposto il recupero dei permessi dallo stesso usufruiti in via di fatto, nonché per il risarcimento del danno."


T.A.R. Veneto Venezia Sez. I, Sent., 18-02-2013, n. 244
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il presente ricorso è stato proposto, a mente dell'art. 38 del D.Lgs. n. 198 del 2006, dal consigliere delegato per le pari opportunità del comune di (Lpd) a favore dell'assistente della Polizia di Stato (Lpd) (Lpd), in servizio presso la Questura (Lpd), gabinetto di Polizia scientifica.
La ricorrente insorge perché sia l'annullato il diniego, opposto al menzionato assistente della Polizia di Stato, di usufruire dei permessi previsti dall'art. 40 D.Lgs. n. 151 del 2001, il provvedimento con il quale l'Amministrazione ha disposto il recupero dei permessi dallo stesso usufruiti in via di fatto, nonché per il risarcimento del danno.
La parte ricorrente sostiene che la motivazione del provvedimento di diniego dei richiesti benefici costituisce un atto discriminatorio in danno del citato assistente della Polizia di Stato.
Al riguardo la p.a. ha motivato il rigetto dei richiesti benefici e la conseguente richiesta di recupero di quelli già effettuati, mutuando, nella normativa interna ( circolare ministeriale 17 dicembre 2009), il parere al riguardo rilasciato dalla 1 sezione del Consiglio di Stato in data 17 dicembre 2009, che, discostandosi dalla costante e recente giurisprudenza civile ed amministrativa, ha interpretato la norma in argomento ( art.40 D.Lgs. n. 151 del 2001 cit.) in termini riduttivi, ossia ritenendo che il previsto beneficio competa, in via alternativa, soltanto nel caso che entrambi i genitori svolgano attività lavorativa dipendente, mentre, nel caso di madre casalinga, i precipui compiti ad essi affidati comprenderebbero anche quello di accudire e tutelare il bambino, così che non verrebbe ravvisata la possibilità di concedere il richiesto beneficio al marito lavoratore.
Ritiene il Collegio che la questione così articolata configuri, senza dubbio, una chiara evenienza discriminatoria, tale da legittimare l'intervento sostitutivo previsto e disciplinato dall'art. 38 D.Lgs. n. 151 del 2001 citato.
E' evidente, inoltre, che così interpretata la norma presenterebbe il fianco a sicure censure di illegittimità costituzionale perché verrebbe a limitare, in modo arbitrario e non altrimenti giustificabile, i diritti dei cittadini che, pur svolgendo una attività di sicura rilevanza sociale, verrebbero, in tali casi e per ciò solo, discriminati per la mancata retribuzione della stessa.
Tale evenienza discriminatoria riguarderebbe non solo le "casalinghe", ma, più in generale, qualsiasi cittadino che svolga attività di volontariato ( privato o pubblico) in strutture umanitarie o sociali, ovvero in organizzazioni prive di fine di lucro, il cui impegno, anche rilevante, non può certo definirsi come " lavoro dipendente".
La recente giurisprudenza ha reagito a tale costruzione dogmatica ed ha equiparato, ai fini che nella presente vicenda interessano, il lavoro casalingo a quello dipendente, secondo una interpretazione evolutiva dell'elemento fattuale in sintonia e conformemente al dato costituzionale ( art, 2 e 3 della Carta).
La vicenda oggetto del presente scrutinio, però, presenta peculiari singolarità procedurali che, sottolineate dalla difesa erariale, non possono non essere esaminate dal Collegio.
In effetti la prima istanza avanzata dall'assistente della Polizia di Stato onde usufruire dei permessi in argomento è datata 12 ottobre 2011.
L'Amministrazione avviava, quindi, la conseguente attività istruttoria e, nelle more di una sua definizione, il citato operatore di polizia, presentava, in data 7 dicembre 2011, un'analoga istanza.
Con Provv. 20 dicembre 2011, comunicato all'interessato in pari data, l'Amministrazione respingeva la richiesta.
Questi presentava, in data 17 febbraio 2012, una ulteriore ed analoga istanza, producendo, a conforto della domanda, una favorevole pronuncia del Tribunale di Venezia, in funzione di Giudice del Lavoro, nei termini di cui alla domanda già avanzata.
In data 23 febbraio 2012 l'Amministrazione ribadiva all'istante le ragioni del diniego già comunicate con il Provv. 20 dicembre 2011.
In data 10 aprile 2012 il Consigliere provinciale di (Lpd) alle pari opportunità chiedeva ed otteneva un incontro con il dirigente l'Ufficio di Polizia per il giorno 4 maggio 2012.
Nell'occasione l'Amministrazione restava ferma sulle proprie originarie decisioni.
Né migliore sorte ha ottenuto la produzione di un parere legale al riguardo formulato dall'Avvocato (Lpd) (Lpd).
Così solo in data 7 luglio 2012 veniva avviato, per delega dell'assistente (Lpd), dal Consigliere di pari opportunità del comune di (Lpd), il ricorso giurisdizionale per censurare la nota ministeriale in epigrafe indicata e datata 23 maggio 2012 che integralmente confermava quella comunicata al diretto interessato in data 20 aprile 2012, riproduttiva, peraltro, dell'analoga risposta negativa del 20 dicembre 2011.
E' quasi superfluo sottolineare come la questione riguardi, all'evidenza, un preteso interesse legittimo non soddisfatto dall'Amministrazione.
E', inoltre, pacifico ed incontrovertibile che la lesione della indicata posizione giuridica soggettiva dell'assistente (Lpd), si è determinata già in data 20 dicembre 2011 con la partecipazione a quest'ultimo del rigetto della istanza in argomento e la conseguente consapevolezza dell'effetto lesivo.
Tale negativa evenienza, pertanto, doveva essere oggetto di reclamo negli usuali e noti termini decadenziali.
Né di contro può legittimamente sostenersi che tale termine sia soggetto ad una indiscriminata dilatazione a causa della reiterazione di successive istanze con medesimo oggetto e motivazione, atteso che, come è noto, in questi casi l'istanza, meramente riproduttiva delle precedenti, non riattiva, né rimette in termini l'interessato, avendo le repliche della p.a., natura meramente confermativa di precedenti determinazioni ( Cons.St., sez. VI, 11 maggio 2007, n.2315).
Solo aspetti fattuali innovativi, che nel caso di specie non soccorrono, possono comportare una diversa fisionomia e natura della nuova istanza, così che, al riguardo, anche il persistente diniego è frutto di una nuova e distinta attività valutativa della p.a. che, pregiudicando una diversa situazione soggettiva, può essere autonomamente censurata, sempre e comunque nel termine decadenziale previsto dall'ordinamento ( cons. St., sez.V, 4 marzo 2008, n.797).
Allora, alla luce delle suesposte considerazioni il Collegio non può che dichiarare la irricevibilità del ricorso per tardività, atteso che il ricorso risulta, come detto, attivato in data 7 luglio 2011, mentre il pregiudizio patito deve allocarsi al giorno 20 dicembre 2011.
Né, di contro, può sostenersi che la questione giudiziaria riguarda l'autonoma posizione giuridica fatta valere dal consigliere ricorrente, atteso che questi svolge una mera attività sostitutiva per la tutela di un pregiudizio discriminatorio cagionato a terzi e che, quindi, è la situazione lesiva originaria quella oggetto di scrutinio da parte il Collegio e non già un nuovo, diverso ed ipotetico interesse di cui il predetto sarebbe titolare.
Non a caso l'art. 38 D.Lgs. n. 151 del 2001 citato prevede che il pregiudizio non sia solo potenziale, ma sia reale ed attuale :" ...Qualora vengano poste in essere discriminazioni ", con ciò confermando la natura sussidiara dell'intervento giudiziario che, peraltro, preclude, a cagione della delega al riguardo rilasciata, quello del diretto interessato.
Diversamente opinando verrebbe pregiudicato il principio di certezza e definizione delle situazioni giuridiche con la p.a. perché un tardivo intervento sostitutivo sarebbe utile a riaprire, in qualsiasi momento, una situazione già definita.
Analogalmente irricevibile è la richiesta di risarcimento del danno, astrattamente configurabile anche quale autonoma azione rispetto a quella di annullamento.
Al riguardo, in disparte l'insegnamento contenuto nella decisione dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 2011, la domanda, anche in questo caso, è tardiva rispetto alla previsione decadenziale di cui al terzo comma dell'art. 30 cpa,
Sussistono giustificate ragioni, esposte in motivazione, per compensare le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto (Sezione Prima)
definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara irricevibile per tardività.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese di lite.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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