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Min.Lavoro: rilascio patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici
La
Direzione Generale per l'Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro,
della Salute e delle Politiche Sociali, con la lettera prot. n.
25/III/0016913 del 6 novembre 2009, ha fornito alcuni chiarimenti in
merito alla sentenza della Corte Costituzionale n.250/2009, con la
quale si dichiarava la illegittimità costituzionale dell'art. 287 del D.L.vo n. 152/2006,
nella parte in cui prevede il rilascio dei patentini per la conduzione
degli impianti termici da parte dell'Ispettorato Provinciale del lavoro.
In particolare, la Direzione evidenzia il fatto che "in
attesa delle determinazioni che verranno assunte dal competente ufficio
legislativo, nella logica di assicurare la continuità dell'azione
amministrativa, si ritiene che le procedure già avviate in merito agli
esami per il conseguimento del patentino ed del rilascio debbano essere
portate a termine".
Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali
Nota 6-11-2009 n. 25/I/III/0016913 Rilascio patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici (D.Lgs. n. 152/2006, articolo 287) - Sentenza n. 250 del 2009 della corte costituzionale. Emanata dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Direzione generale per l'attività ispettiva. |
Nota 6 novembre 2009, n. 25/I/III/0016913 (1).
Rilascio patentino di abilitazione alla conduzione di impianti termici (D.Lgs. n. 152/2006, articolo 287) - Sentenza n. 250 del 2009 della corte costituzionale.
(1) Emanata dal Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, Direzione generale per l'attività ispettiva.
Alle
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Direzioni regionali e provinciali del lavoro
|
Al
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Comando Carabinieri per la tutela del lavoro
|
All'
|
Ispettorato regionale del lavoro di Palermo
|
All'
|
Ispettorato regionale del lavoro di Catania
|
Alla
|
Provincia autonoma di Trento
|
Alla
|
Provincia autonoma di Bolzano
|
Loro sedi
| |
A
riscontro delle richieste di chiarimento pervenute in ordine al
rilascio del patentino di abilitazione alla conduzione di impianti
termici (articolo 287 del D.Lgs. n. 152/2006), si ritiene opportuno precisare quanto segue.
L'articolo 287, comma 1, del D.Lgs. n. 152/2006
prevede che "Il personale addetto alla conduzione degli impianti
termici civili di potenza termica nominale superiore a 0,232 MW deve
essere munito di un patentino di abilitazione rilasciato
dall'Ispettorato provinciale del lavoro, al termine di un corso per
conduzione di impianti termici, previo superamento dell'esame finale".
Al
riguardo la corte costituzionale con sentenza n. 250 del 2009 ne ha
dichiarato l'illegittimità costituzionale limitatamente alle parole
“rilasciato dall'Ispettorato provinciale del lavoro, al termine di un
corso per conduzione di impianti termici, previo superamento dell'esame
finale” ritenendo che trattasi di funzione amministrativa in materia
riservata alla competenza regionale.
Tanto
premesso, in attesa delle determinazioni che verranno assunte dal
competente ufficio legislativo, nella logica di assicurare la continuità
dell'azione amministrativa, si ritiene che le procedure già avviate in
merito agli esami per il conseguimento del patentino ed al relativo
rilascio debbano essere portate a termine.
Il Direttore generale per l'attività ispettiva
Dott. Paolo Pennesi
D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 287
SENTENZA N. 250
ANNO 2009
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Francesco AMIRANTE Presidente
- Ugo DE SIERVO Giudice
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
- Giuseppe FRIGO “
- Alessandro CRISCUOLO “
- Paolo GROSSI “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 267, comma 4 lettere a) e c),
269, commi 2, 3, 7 e 8, 271, 281, comma 10, 283, 284 e 287 del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
promossi dalle Regioni Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia con
ricorsi notificati l’8, il 10 e il 13 giugno 2006, depositati in
cancelleria il 10, il 15, il 16 ed il 20 giugno 2006 ed iscritti ai nn. 68, 70, 73 e 76 del registro ricorsi 2006.
Visti
gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri,
nonché gli atti di intervento dell’Associazione italiana per il World
Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, della Biomasse Italia s.p.a. ed altre;
uditonell’udienza pubblica del 19 maggio 2009 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile per la Regione Calabria, Fabio Lorenzoni per la Regione Piemonte, Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna, Fabrizio Lofoco per la Regione Puglia, Alessandro Giadrossi per l’Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) – Onlus, e gli avvocati dello Stato Fabrizio Fedeli
e Sergio Fiorentino per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.
– Con il ricorso iscritto al n. 68 del registro ricorsi del 2006, la
Regione Calabria ha impugnato il decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152 (Norme in materia ambientale) nel suo complesso, nonché in relazione
a numerose specifiche disposizioni.
La
ricorrente, preliminarmente, riferisce che il citato decreto
costituisce l’esercizio da parte del Governo della delega conferitagli
dal Parlamento con la legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo
per il riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in
materia ambientale e misure di diretta applicazione). Illustra, quindi,
il procedimento seguito per l’emanazione del citato d.lgs. n. 152 del
2006, affermando come esso avrebbe disatteso i principi ispiratori della
delega e, in particolare, il principio di leale cooperazione tra Stato,
Regioni ed enti locali.
Dopo
aver censurato l’illegittimità costituzionale dell’intero decreto
delegato proprio in conseguenza dei vizi del procedimento di formazione,
la Regione Calabria, impugna le singole disposizioni.
Tra queste, vengono censurati alcuni articoli inseriti nella parte quinta del decreto, recante norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera.
La
ricorrente sostiene che in tale materia sussisterebbe una
compenetrazione di titoli di competenza dello Stato e delle Regioni da
ravvisarsi, in via prevalente, nella “tutela dell’ambiente”, ma anche
nella “tutela della salute”.
L’esigenza
di tenere in adeguato conto anche tale ultima competenza e di garantire
un ruolo di primo piano alle Regioni nella tutela dell’aria
dall’inquinamento era ben presente nella normativa anteriore al decreto
impugnato e, in particolare, nel d.P.R. 24
maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779,
82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità
dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di
inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’art. 15
della L. 16 aprile 1987, n. 183), ora abrogato dall’art. 280 del d.lgs.
n. 152 del 2006. L’art. 4 del citato d.P.R.,
infatti, prevedeva che tale tutela spettasse alle Regioni che la
esercitavano nell’ambito dei principi posti dalla legislazione statale e
attribuiva loro una serie di competenze.
«Anche
in considerazione di questo riferimento ‘storico’», la ricorrente
censura le disposizioni con le quali il legislatore delegato avrebbe
introdotto una disciplina procedimentale di estremo dettaglio non
giustificata dall’esigenza di predisporre standard di tutela uniformi.
In
particolare, l’art. 269 regolerebbe il rilascio al gestore di un
impianto, da parte dell’autorità competente, dell’autorizzazione alle
emissioni in atmosfera in modo così dettagliato da vincolare sotto ogni
profilo la legge regionale che disciplina l’attività dell’autorità
competente.
Il
comma 2 della censurata disposizione individuerebbe, addirittura, lo
schema di un modulo per la presentazione delle istanze. Il comma 3
regolerebbe nel dettaglio le attività che presiedono al rilascio
dell’autorizzazione, privando le Regioni di ogni margine di modulazione e
prevedendo l’esercizio di un potere sostitutivo da parte dello Stato
senza le garanzie predisposte dall’art. 120 Cost. e senza contemplare la
previa diffida ad adempiere.
Il
comma 7, poi, stabilirebbe termini eccessivamente e «inutilmente»
rigidi per il rilascio dell’autorizzazione; infine, detterebbe una
disciplina di estremo dettaglio per il caso di modifiche all’impianto,
vincolando in modo assoluto l’attività normativa e amministrativa delle
Regioni.
Analogamente,
anche l’art. 284 regolerebbe in modo analitico la denuncia di
installazione o modifica di un impianto termico civile, privando le
Regioni della possibilità di calibrare i procedimenti in relazione alle
peculiarità dei propri territori e alle esigenze di tutela della salute
degli abitanti. Ciò determinerebbe l’illegittimità costituzionale della
citata disposizione, nonché dell’Allegato IX alla parte quinta a cui
l’art. 284 rinvia e «che ne costituisce una ulteriore specificazione».
L’art. 267, comma 4, lettera a), contrasterebbe con gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119, quinto comma, Cost., nonché con il principio di leale collaborazione. Infatti
esso, nel prevedere la possibilità per il Ministro dell’ambiente di
promuovere misure atte a favorire la produzione di energia da fonti
rinnovabili e sviluppare tecnologie pulite, consentirebbe allo Stato –
oltretutto senza alcuna partecipazione regionale – di realizzare
«interventi diretti di ordine finanziario sul territorio» in materie di
competenza concorrente, quali il governo del territorio, la tutela della
salute, nonché di competenza residuale, quale la «produzione
non-nazionale di energia».
È censurato, altresì, l’art. 281, comma 10, per violazione degli artt. 3, 117, terzo comma,
e 118 Cost., sotto il profilo della ragionevolezza, nella parte in cui
subordina all’intesa con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro
della salute la possibilità, per le Regioni, di adottare provvedimenti
generali in presenza di particolari situazioni di rischio sanitario o di
zone che richiedano particolare tutela ambientale. L’imposizione
dell’intesa, secondo la ricorrente, priverebbe le Regioni della propria
responsabilità di governo del territorio e di tutela della salute dei
cittadini, accentrando in capo allo Stato compiti di cui esso non è più
titolare a seguito della costituzionalizzazione del principio di sussidiarietà.
Infine,
la Regione Calabria deduce illegittimità costituzionale dell’art. 287
per contrasto con l’art. 117, terzo comma, Cost. e, «a monte», con
l’art. 76 Cost., in relazione all’art. 1, comma 8, della legge n. 308
del 2004. La disposizione censurata disciplina l’abilitazione del
personale addetto alla conduzione degli impianti termici civili di
potenza termica superiore a 0.232 MW. In tal modo, essa sottrarrebbe
alle Regioni una competenza di dettaglio riconducibile alla materia
della “tutela della salute” e della “tutela e sicurezza del lavoro”.
Inoltre, si priverebbero le Regioni di una funzione ad esse conferita dall’art. 84, lettera b),
del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 (Conferimento di funzioni
e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali,
in attuazione del capo I della L. 15 marzo 1997, n. 59).
2.
– Anche la Regione Piemonte, con il ricorso iscritto al n. 70 del 2006
del registro ricorsi, ha impugnato il d.lgs. n. 152 del 2006 nel suo
complesso – per le modalità di emanazione e per l’impostazione della
disciplina in esso contenuta – nonché in relazione a singole
disposizioni.
La ricorrente censura, tra l’altro, la parte quinta del decreto per
violazione degli artt. 3, 5, 76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 Cost.,
nonché per violazione «dei principi di leale collaborazione,
ragionevolezza, adeguatezza, differenziazione, sussidiarietà, buon
andamento della P.A. anche sotto l’aspetto della violazione di principi e
norme del diritto comunitario e di convenzioni internazionali».
L’impostazione
di tale disciplina incorrerebbe in tre rilievi. Innanzitutto,
disattenderebbe il criterio fissato dalla legge delega di operare una
revisione della normativa concernente le emissioni dei gas inquinanti in
atmosfera alla luce della disciplina comunitaria e, in particolare,
della direttiva 2001/81/CE del 23 ottobre 2001 (Direttiva del Parlamento
europeo e del Consiglio relativa ai limiti
nazionali di emissione di alcuni inquinanti atmosferici). Il decreto
rispetterebbe solo alcuni profili della normativa comunitaria e non
prevedrebbe il necessario aggiornamento delle prescrizioni e dei valori
limite rispetto all’evoluzione tecnologica. Inoltre, non sarebbe
adeguatamente considerata la relazione tra tutela ambientale e
disciplina dell’energia e degli impianti termici, che sarebbe di
competenza concorrente. Infine, subirebbero una generale compressione le
competenze pianificatorie e programmatorie delle Regioni.
Con specifico riferimento alle singole disposizioni, la ricorrente censura, innanzitutto, l’art. 267, comma 4, lettera a), del d.lgs. n. 152 del 2006, in quanto, nel prevedere le attività volte alla adozione
di misure per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili,
non contemplerebbe alcun coinvolgimento delle Regioni.
La lettera c) del medesimo comma, inoltre, prevederebbe uno specifico utilizzo dei “certificati verdi” non contemplato dalla legge delega che, all’art. 1, comma 9, lettera g),
n. 2), indicava solo il prolungamento del loro periodo di validità. In
tal modo, inoltre, sarebbero precluse eventuali diverse politiche
regionali incentivanti dell’uso delle fonti energetiche rinnovabili.
L’art.
269, comma 7, nell’introdurre un periodo di validità
dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera, ne fisserebbe una
durata sproporzionata (15 anni) la quale bloccherebbe
ingiustificatamente la possibilità di un adeguamento degli impianti in
relazione al progresso tecnologico certamente più rapido.
Al
contempo, non sarebbe prevista la possibilità, per l’autorità
competente, di modificare le prescrizioni dell’autorizzazione in
relazione all’evoluzione delle tecnologie, con ciò determinando una
limitazione dei poteri pubblici di controllo e di miglioramento della
qualità dell’aria, in violazione del criterio direttivo fissato
dall’art. 1, comma 8, lettere d) ed h), della legge delega.
In
tal modo sarebbe, altresì, pregiudicata la possibilità, per le Regioni,
di modulare l’attività amministrativa relativa al rilascio delle
autorizzazioni e ai programmi di tutela in relazione alle differenti
realtà locali, in violazione dei principi di sussidiarietà, leale
collaborazione e buon andamento della p.a.
La
disciplina dettata dall’art. 271 e dai relativi allegati con riguardo
alla fissazione dei valori limite di emissione degli impianti e alle
prescrizioni sarebbe del tutto carente, in quanto rinvierebbe a
provvedimenti da emanarsi successivamente all’entrata in vigore del
decreto delegato. Inoltre, i valori fissati negli allegati al decreto
medesimo riproporrebbero quelli stabiliti nel 1988, da ritenere oramai
del tutto superati. La loro riproposizione vanificherebbe le attività di
maggior tutela nel frattempo poste in essere dalle Regioni, non essendo
previsto che esse possano mantenere in vigore le proprie specifiche
discipline più restrittive, con ciò determinando un peggioramento delle
condizioni ambientali.
In
tal modo, sarebbero del tutto trascurati i principi di differenziazione
e sussidiarietà «nella loro potenzialità evolutiva», nonché il
principio di leale collaborazione, in contrasto con la finalità di
tutela dell’ambiente.
L’art.
281, comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006, nel subordinare il potere
delle Regioni di introdurre valori limite e prescrizioni più severi di
quelli fissati dal decreto alla previa intesa con il Ministro
dell’ambiente e con il Ministro della salute e alla condizione che «ciò
risulti necessario al conseguimento dei valori limite e dei valori
bersaglio della qualità dell’aria», comprimerebbe ingiustificatamente la
competenza delle Regioni, impedendo loro di attuare interventi
migliorativi, per soddisfare esigenze ulteriori rispetto a quelle
fissate a livello statale (come previsto dalla sentenza n. 407 del 2002 di questa Corte).
La
ricorrente denuncia poi gli artt. 284 e 287 per contrasto con l’art. 76
Cost., in quanto violerebbero il criterio direttivo posto dall’art. 9,
lettera g), della legge delega il quale poneva tra le finalità
della nuova regolamentazione quella della semplificazione e della
certezza normativa. Entrambe le norme censurate contrasterebbero,
altresì, con l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto introdurrebbero
una disciplina di dettaglio nella materia dell’energia, «senza peraltro
pervenire ad aggiornata ed univoca regolamentazione di settore».
Infatti,
nel caso di installazione o modifica di un impianto termico civile di
potenza termica nominale superiore al valore soglia, è prevista la
trasmissione di apposita denuncia all’autorità competente, perpetuandosi
le disposizioni poste dalla legge 13 luglio 1966, n. 615 (Provvedimenti
contro l’inquinamento atmosferico), senza prevederne l’integrazione con
quelle derivanti dalla normativa energetica di cui al d.P.R.
26 agosto 1993, n. 412 (Regolamento recante norme per la progettazione,
l’installazione, l’esercizio e la manutenzione degli impianti termici
degli edifici ai fini del contenimento dei consumi di energia, in
attuazione dell’art. 4, comma 4, della L. 9 gennaio 1991, n. 10), il
quale richiede, oltre al libretto di centrale, anche la scheda
identificativa dell’impianto. Mancherebbe, inoltre, il coordinamento e
l’integrazione con il decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 192
(Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al rendimento energetico
nell’edilizia), che recepisce la normativa comunitaria in materia di
rendimento energetico nell’edilizia e prevede che le Regioni legiferino
in materia di certificazione energetica e di ispezioni sugli impianti.
2.1
– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri,
rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, il quale ha
eccepito l’inammissibilità del ricorso per tardività della notifica del
medesimo, nonché l’infondatezza delle censure, riservando a successive
memorie la completa illustrazione della posizione del Governo.
2.2 – È intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) – Onlus a sostegno delle censure di legittimità
costituzionale prospettate dalla Regione Piemonte. Dopo aver sostenuto
l’ammissibilità del proprio intervento nel giudizio, il WWF svolge
articolate argomentazioni sulle varie disposizioni censurate.
2.3 – Sono, altresì, intervenute ad opponendum la Società Italiana Centrali Termoelettriche – SICET s.r.l., la Biomasse Italia s.p.a., la Ital Green Energy s.r.l. e la ETA – Energie Tecnologie Ambiente s.p.a,
in persona dei rispettivi rappresentanti legali, «per resistere al
ricorso» presentato dalla Regione Piemonte. Tali società, dopo aver
argomentato sulla propria legittimazione ad intervenire nel giudizio,
hanno contestato in modo analitico le censure svolte dalla Regione
ricorrente.
3.
– La Regione Emilia-Romagna, con il ricorso iscritto al n. 73 del
registro ricorsi del 2006, ha censurato numerose disposizioni del d.lgs.
n. 152 del 2006, contestandone la legittimità costituzionale.
La
ricorrente premette di aver già proposto un ricorso (il n. 56 del 2006)
avverso talune disposizioni del citato decreto per le quali riteneva
urgente chiedere la sospensione. In sede di delibera di tale ricorso,
tuttavia, la Regione si era espressamente riservata di impugnare altre
disposizioni ritenute lesive delle proprie attribuzioni costituzionali.
Ciò
posto, la ricorrente, dopo aver richiamato le censure svolte nel
precedente atto introduttivo avverso i vizi procedurali che
inficerebbero l’intero decreto delegato, censura alcune singole
disposizioni del medesimo.
Con particolare riguardo alla parte quinta, recante norme
in materia di tutela dell’aria e di riduzione delle emissioni in
atmosfera, la Regione Emilia-Romagna sostiene che l’art. 281, nel
subordinare alla previa intesa con il ministero l’adozione di atti
generali che stabiliscono valori limite di emissione e prescrizioni più
severi rispetto a quelli fissati dalla normativa statale, invaderebbe le
competenze regionali di programmazione e pianificazione. Infatti,
secondo quanto affermato dalla Corte, la tutela dell’ambiente
costituirebbe un «valore costituzionale» che delinea una “materia
trasversale” in ordine alla quale ben potrebbero manifestarsi competenze
diverse di spettanza regionale. Se compete allo Stato fissare il punto
di equilibrio tra diversi interessi costituzionalmente protetti, ciò
dovrebbe avvenire con normative di principio e non già imponendo alle
Regioni l’adozione di specifici strumenti pianificatori o di dover
sottostare al nulla osta da parte dell’autorità amministrativa. Ciò
costituirebbe una indebita restrizione degli
strumenti della Regione per perseguire obiettivi di miglioramento
dell’ambiente – «con indiretta violazione dell’art. 9 Cost.» –
attraverso l’esercizio delle competenze legislative e amministrative
riconosciute dalla Costituzione alle Regioni, determinando anche una
compressione delle funzioni loro attribuite dall’art. 84 del d.lgs. n.
112 del 1998.
Ciò
sarebbe confermato anche dal decreto legislativo 18 febbraio 2005, n.
59 (Attuazione integrale della direttiva 96/61/CE relativa alla
prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento), il quale, all’art.
8, consente di prescrivere, nelle autorizzazioni integrate ambientali,
misure più rigorose per assicurare la tutela della qualità dell’aria.
Inoltre le Regioni, nel rispetto della normativa comunitaria e, in
particolare, della direttiva 2001/80/CE relativa ai grandi impianti di
combustione e non ancora recepita dallo Stato, potrebbero adottare
provvedimenti volti a restringere i limiti di emissione.
La
ricorrente impugna, inoltre, l’art. 287 il quale, nel disporre che il
“patentino” di cui deve essere munito il personale addetto alla
conduzione di impianti termici civili di potenza termica nominale
superiore a 0.232 MW sia rilasciato dall’Ispettorato provinciale del
lavoro, contrasterebbe con l’art. 118 Cost. Esso, infatti, priverebbe le
Regioni di una competenza amministrativa ad esse conferita dall’art. 84
del d.lgs. n. 112 del 1998.
Violerebbe,
inoltre, l’art. 76 Cost., in quanto disattenderebbe i limiti della
delega che prescrive il rispetto del riparto di competenze fissato dal
decreto da ultimo citato.
L’art.
287, nella parte in cui dispone che la disciplina dei corsi e degli
esami per cui è subordinato il rilascio del patentino sia stabilita con
decreto ministeriale, lederebbe l’art. 117, quarto comma, Cost. in
quanto invaderebbe la competenza residuale delle Regioni in materia di
formazione professionale.
Infine, la Regione censura l’Allegato IV alla parte quinta del decreto e, in particolare, la parte I, punto 4, lettera z), del medesimo.
Tale
parte dell’allegato, infatti, nell’escludere l’autorizzazione di cui
all’art. 272 per determinati impianti, utilizzerebbe, con riguardo agli
allevanti di bestiame, un criterio irragionevole privo di alcuna
relazione con le emissioni in atmosfera. Esso, infatti, farebbe
riferimento non al numero di capi di bestiame presenti nell’azienda, ma
solo alla estensione del terreno di cui essa
dispone e in cui sono utilizzati gli effluenti, comportando che anche
gli allevamenti di ingenti dimensioni, i quali producono un
significativo impatto sull’ambiente in termini di emissioni in
atmosfera, non sarebbero soggetti ad alcuna autorizzazione.
La
disposizione impugnata, pertanto, contrasterebbe con gli artt. 3 e 9
Cost., in quanto il criterio derogatorio utilizzato sarebbe
irragionevole e lesivo degli interessi ambientali in cura alla Regione;
con l’art. 76 Cost., in quanto, per le medesime ragioni, contrasterebbe
con i criteri direttivi della delega; infine, con l’art. 117, quarto
comma, Cost., in quanto vanificherebbe le politiche di tutela ambientale
della Regione nell’ambito dell’agricoltura e della zootecnia.
3.1 – Anche in tale giudizio è intervenuta l’Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia) – Onlus, chiedendo che sia dichiarata
l’illegittimità delle medesime disposizioni impugnate dalla Regione
Emilia-Romagna.
4.
– Anche la Regione Puglia, con ricorso iscritto al n. 76 del registro
ricorsi del 2006, ha impugnato numerose disposizioni del d.lgs. n. 152
del 2006.
Tra
gli altri, la ricorrente censura l’art. 281, comma 10, il quale
prevede, per l’adozione dei piani o programmi e per il rilascio delle
autorizzazioni da parte delle Regioni o Province autonome, la necessità
di un’intesa con il Ministro dell’ambiente e con il Ministro della
salute allo scopo di fissare limiti più restrittivi alle emissioni. Tale
disposizione violerebbe l’art. 76 Cost., perché contrasterebbe con i
principi e criteri direttivi della delega, nonché gli artt. 117, terzo
comma, e 118 Cost. per la «assoluta preponderanza dei poteri
riconosciuti» al Ministro dell’ambiente al quale sarebbe assegnato un
ruolo preminente anche con finalità di controllo sulle competenze
regionali, in violazione del principio di sussidiarietà,
differenziazione e adeguatezza.
La
Regione chiede, pertanto, che sia dichiarata l’illegittimità
costituzionale di tale disposizione, previa sospensione della sua
esecuzione, ai sensi dell’art. 9 della legge 5 giugno 2003, n. 131
(Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla
L.Cost. 18 ottobre 2001, n. 3).
4.1 – È intervenuta in giudizio l’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, a sostegno delle censure svolte dalla ricorrente.
5. –
In prossimità dell’udienza pubblica, le Regioni Calabria,
Emilia-Romagna e Puglia, nonché il WWF, hanno depositato memorie
conclusive.
Considerato in diritto
1. – Le Regioni Calabria, Emilia-Romagna, Piemonte e Puglia hanno
impugnato numerose disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006,
n. 152 (Norme in materia ambientale), tra cui l’art. 267, comma 4,
lettera a) (Regioni Calabria e Piemonte); l’art. 267, comma 4, lettera c)
(Regione Piemonte); l’art. 269, commi 2, 3, 7 e 8 (Regioni Calabria e
Piemonte); l’art. 271 «in relazione agli Allegati» (Regione Piemonte);
l’art. 281, comma 10 (Regioni Calabria, Piemonte, Emilia – Romagna e
Puglia); l’art. 283 (Regione Piemonte); l’art. 284 (Regioni Calabria e
Piemonte); l’art. 287 (Regioni Calabria, Piemonte ed Emilia – Romagna);
la Parte I, punto 4, lettera z), dell’Allegato IV alla Parte quinta (Regione Emilia – Romagna); l’Allegato IX alla Parte V (Regione Calabria).
Le ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 3 (Regioni Calabria
ed Emilia-Romagna), 5 (Regione Piemonte), 9 (Regione Emilia-Romagna), 76
(tutte le ricorrenti), 114 (Regione Piemonte), 117, terzo comma (tutte le ricorrenti, con riguardo alla Regione Regione
Emilia-Romagna senza espressa indicazione), 117, quarto comma (Regioni
Calabria ed Emilia-Romagna), 118 (tutte le ricorrenti), 119, quinto
comma (Regione Calabria), e 120 della Costituzione (Regione Calabria);
sono altresì evocati i principi di leale collaborazione (tutte le
ricorrenti), sussidiarietà (Regioni Calabria, Piemonte, Puglia) e buon
andamento della pubblica amministrazione (Regione Piemonte).
È opportuno riservare a separate decisioni l’esame delle censure che le
ricorrenti hanno mosso ad altre disposizioni del d.lgs. n. 152 del
2006, per affrontare in questa sede le sole doglianze che investono,
secondo quanto appena precisato, la parte quinta del decreto impugnato,
con riguardo alle norme in materia di tutela dell’aria e di riduzione
delle emissioni in atmosfera.
L’omogeneità della materia trattata consente la riunione del ricorsi, perché essi siano decisi con un’unica sentenza.
2. – L’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) Onlus è intervenuta nei giudizi promossi dalle Regioni Emilia-Romagna, Piemonte e Puglia.
Nel ricorso promosso dalla Regione Piemonte sono altresì intervenute Biomasse Italia s.p.a., Società Italiana Centrali Termoelettriche-SICET s.r.l., Ital Green Energy s.r.l. e ETA Energie Tecnologie Ambiente s.p.a.
Questi interventi sono inammissibili.
Il giudizio di costituzionalità delle leggi promosso in via d’azione è, infatti, configurato come svolgentesi
esclusivamente tra soggetti titolari di potestà legislativa, fermi
restando, per i soggetti privi di tale potestà, i mezzi di tutela delle
loro posizioni soggettive, anche costituzionali, di fronte ad altre
istanze giurisdizionali ed eventualmente anche di fronte a questa Corte
in via incidentale (fra le molte sentenze n. 405 del 2008 e n. 469 del 2005).
3. – In via preliminare deve essere rigettata l’eccezione di
inammissibilità sollevata dall’Avvocatura dello Stato con riguardo al
ricorso promosso dalla Regione Piemonte in ragione della asserita tardività
della notifica dell’atto introduttivo. Premesso, infatti, che anche nei
giudizi in via principale vige il principio della scissione fra il
momento in cui la notificazione deve intendersi effettuata nei confronti
del notificante rispetto al momento in cui essa si perfeziona per il
destinatario dell’atto (sentenze n. 300 del 2007 e n. 477 del 2002),
è agevole rilevare che, nel caso di specie, la notifica è stata
effettuata tempestivamente dalla Regione, in quanto il ricorso risulta
spedito a mezzo posta in data 12 giugno 2006, e dunque nel termine di 60
giorni dalla pubblicazione del decreto legislativo impugnato, avvenuta
il 14 aprile 2006.
4. – Ancora in via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità delle
censure formulate dalla Regione Piemonte avverso gli artt. 267, comma 4,
lettera a), 269, comma 7, 271, 281, comma 10, 284 e 287 del
d.lgs. n. 152 del 2006, con riferimento agli artt. 5 e 114 Cost. e «con
riguardo a principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni
internazionali», poiché del tutto prive di motivazione (tra le molte,
sentenze n. 25 del 2008 e n. 430 del 2007).
Per la medesima ragione, è palesemente inammissibile l’impugnazione,
sempre da parte della Regione Piemonte, dell’art. 283, che viene
meramente indicato tra le disposizioni oggetto di ricorso, senza che ne
consegua lo svolgimento di alcuna censura.
Il ricorso della Regione Piemonte è, inoltre, inammissibile quanto
all’impugnazione dell’art. 271 «in relazione agli Allegati», poiché tale
disposizione non è espressamente indicata tra le norme che la Giunta
regionale, per mezzo di apposita delibera, ha ritenuto di sottoporre al
controllo di questa Corte, adempiendo al proprio onere a tale riguardo (sentenze n. 98 del 2007 e n. 533 del 2002):
il generico riferimento all’intera Parte quinta del d.lgs. n. 152 del
2006, contenuto in tale delibera, assume, infatti, il necessario grado
di determinatezza ai fini dell’individuazione dell’oggetto delle censure
(sentenza n. 367 del 2007)
solo grazie allo «specifico rilievo» subito dopo riservato all’elenco
delle disposizioni oggetto di doglianza, tra le quali non figurano né
l’art. 271 né gli allegati. Tale disposizione risulta pertanto
selezionata dalla difesa tecnica della Regione, anziché dall’organo
politico a ciò preposto.
Parimenti, le censure proposte dalla Regione Emilia-Romagna avverso
l’art. 287 sono ammissibili con esclusivo riguardo al comma 1 di tale
disposizione, al quale soltanto si riferisce, espressamente, la delibera
della Giunta regionale.
Infine, sono inammissibili, in quanto basate su parametri che non
attengono al riparto delle competenze tra Stato e Regioni (tra le molte,
sentenze n. 216 del 2008 e n. 116 del 2006),
le censure svolte dalla Regione Piemonte avverso l’art. 269, comma 7,
con riguardo al “principio di buon andamento della pubblica
amministrazione”; dalla Regione Calabria avverso l’art. 281, comma 10,
con riferimento all’art. 3 Cost.; dalla Regione Emilia Romagna avverso
il medesimo art. 281, comma 10, con riferimento all’art. 9 Cost.; ancora
dalla Regione Emilia-Romagna avverso la Parte I, punto 4, lettera z),
dell’Allegato IV alla Parte quinta, con riferimento nuovamente agli
artt. 3 e 9 della Costituzione: in nessuno di tali casi la parte
ricorrente provvede ad illustrare in modo specifico per quale via la
denunciata lesione di tali parametri costituzionali si risolva in una
menomazione delle proprie competenze.
4.1. – Tale conclusione va ribadita con riguardo alle censure regionali
basate sull’art. 76 Cost., le quali a propria volta richiedono, per
essere ammissibili, che la lamentata violazione dei principi e dei
criteri direttivi enunciati dalla legge delega, da parte del legislatore
delegato, sia suscettibile di comprimere le attribuzioni regionali (sentenza n. 503 del 2000).
Detto requisito di ammissibilità non è soddisfatto dal ricorso della
Regione Piemonte nella parte avente ad oggetto l’art. 267, comma 4,
lettera c). La disposizione
stabilisce che i certificati verdi maturati a fronte di energia prodotta
ai sensi dell’art. 1, comma 71, della legge 23 agosto 2004, n. 239
(Riordino del settore energetico, nonché delega al Governo per il
riassetto delle disposizioni vigenti in materia di energia), «possono
essere utilizzati per assolvere all’obbligo
di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 16 marzo 1999, n. 79,
solo dopo che siano stati annullati tutti i certificati verdi maturati
dai produttori di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili così
come definite dall’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo n. 387 del 2003».
La ricorrente contesta che tale disposizione ecceda i limiti imposti dall’art. 2, comma 9, lettera g),
n. 2, della legge 15 dicembre 2004, n. 308 (Delega al Governo per il
riordino, il coordinamento e l’integrazione della legislazione in
materia ambientale e misure di diretta applicazione), il quale avrebbe
consentito il solo prolungamento fino a dodici anni del periodo di
validità dei certificati verdi, e non l’introduzione di «una modalità di
utilizzo» di essi. Tuttavia, la censura non si accompagna alla
necessaria indicazione della specifica competenza regionale che ne
risulterebbe offesa e delle ragioni di tale lesione, sicché essa va
ritenuta inammissibile, a prescindere dall’intervenuta abrogazione
dell’art. 1, comma 71, della legge n. 239 del 2004 da parte dell’art. 1,
comma 1120, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (Disposizioni per la
formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge
finanziaria 2007).
Il medesimo vizio di inammissibilità colpisce la censura mossa, ai
sensi dell’art. 76 Cost., dalla Regione Piemonte con riguardo agli artt.
284 e 287 in tema di impianti termici, sulla base del rilievo per cui
tali disposizioni tradirebbero le esigenze di «semplificazione e
certezza normativa» imposte dalla legge delega. La suddetta doglianza,
oltre ad avere carattere generico, nuovamente manca di configurare una
lesione della sfera di competenza regionale: il mero richiamo all’omesso
coordinamento della norma impugnata con il decreto legislativo 19
agosto 2005, n. 192 (Attuazione della direttiva 2002/91/CE relativa al
rendimento energetico nell’edilizia), in tema di rendimento energetico
nell’edilizia non vale a chiarire per quale ragione la pretesa lacuna
formale potrebbe menomare le attribuzioni regionali.
Priva di motivazione, e pertanto inammissibile, è l’impugnazione, da
parte della Regione Emilia-Romagna, della Parte I, punto 4, lettera z), dell’Allegato IV alla Parte quinta per violazione dell’art. 76 Cost., motivata dalla asserita
lesione degli «interessi ambientali in cura alla Regione» e dal
contrasto con i principi direttivi fissati dalla legge di delega: la
mancata specificazione di quali principi enunciati dal legislatore
delegante sarebbero stati violati impedisce di scrutinare il merito
della censura.
Parimenti inammissibile è, infine, l’impugnazione, da parte della
Regione Puglia, dell’art. 281, comma 10, in riferimento all’art. 76
Cost., atteso che la ricorrente non indica quali «principi generali
richiamati dalla legge delega» sarebbero stati violati nel caso di
specie.
5. – Passando ad esaminare il merito delle censure, vengono
innanzitutto in considerazione quelle relative all’art. 267, comma 4,
lettera a), il quale stabilisce che, al fine di promuovere
l’impiego di energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, «potranno
essere promosse dal Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio
di concerto con i Ministri delle attività produttive e per lo sviluppo e
la coesione territoriale misure atte a favorire la produzione di
energia elettrica tramite fonti rinnovabili ed al contempo sviluppare la
base produttiva di tecnologie pulite, con particolare riferimento al
Mezzogiorno».
La Regione Calabria sostiene che tale disposizione consentirebbe allo
Stato di realizzare «interventi diretti di ordine finanziario» sul
territorio regionale, in violazione dell’art. 119, quinto comma, Cost.,
nonché della competenza concorrente regionale in materia di governo del
territorio e di tutela della salute (art. 117, terzo comma, Cost.) e di
quella residuale in materia di «produzione non nazionale di energia»
(art. 117, quarto comma, Cost.); peraltro, il difetto «di ogni
coinvolgimento regionale» comporterebbe, altresì, la lesione del
principio di leale cooperazione.
A propria volta, la Regione Piemonte lamenta il mancato «coinvolgimento
esplicito» dell’istanza regionale nella determinazione del contenuto di
tali misure.
Le questioni non sono fondate.
Esse si basano, infatti, sull’erroneo presupposto interpretativo per il quale la disposizione censurata prevederebbe
l’adozione, da parte dello Stato, di atti che si sovrappongano alla
sfera di competenza regionale e ne ledano l’autonomia finanziaria. Tale
lettura non è in alcun modo confortata dalla lettera della disposizione
oggetto di ricorso, che si limita ad impegnare lo Stato alla promozione
dell’energia da fonti rinnovabili per mezzo di non meglio determinate
«misure», la cui natura e il cui contenuto – allorché vengano adottate – non potranno che conformarsi all’attuale assetto delle competenze costituzionali di Stato e Regioni.
Tra queste, non vi è dubbio che spicchi la competenza concorrente
regionale in materia di produzione, trasporto e distribuzione nazionale
dell’energia, mentre la Corte ha già escluso la configurabilità di una
competenza residuale concernente l’assetto asseritamente locale del sistema energetico (sentenza n. 383 del 2005);
parimenti non si può escludere che le misure “promosse” dallo Stato
possano lambire l’ambito riservato al governo del territorio, piuttosto
che l’autonomia finanziaria della Regione, pur in un contesto
finalistico che parimenti attiva le competenze nazionali in tema di
tutela dell’ambiente e di tutela della concorrenza (sentenza n. 88 del 2009):
sarà, perciò, necessario che l’intervento dello Stato sia rispettoso di
siffatti limiti, anche con riguardo all’introduzione di forme di
coinvolgimento della Regione. In tal modo interpretata, la disposizione
impugnata si sottrae alle censure sopra esposte.
6. – L’art. 269 disciplina l’autorizzazione di cui debbono munirsi gli
impianti che producono emissioni in atmosfera. La Regione Calabria
impugna i commi 2, 3, 7 ed 8 di tale disposizione, che viene censurata
anche dalla Regione Piemonte, ma con riferimento al solo comma 7.
Con una prima doglianza, che investe tutti i commi impugnati, la
Regione Calabria lamenta che essi recherebbero norme di dettaglio nelle
materie della tutela della salute e del governo del territorio, ove, ai
sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., è riservata allo Stato la sola
determinazione dei principi fondamentali.
La questione non è fondata.
L’art. 269, dopo avere enunciato, al comma 1, il principio per il quale
gli impianti che producono emissioni sono soggetti, salvo specifiche
eccezioni, ad un regime autorizzatorio,
provvede a disciplinare, tra l’altro, il procedimento di rilascio del
titolo e la sua efficacia nel tempo. Si tratta di disposizioni riguardo
alle quali, accanto alla tutela dell’ambiente – finalità verso cui
converge l’intero impianto del codice – possono ravvisarsi le competenze
relative alla tutela della salute, in quanto potenzialmente compromessa
dagli agenti inquinanti che vengono rilasciati dagli impianti, e quelle
concernenti il governo del territorio, con riferimento
all’installazione ed al trasferimento degli impianti sul territorio
regionale: del resto, non si è mai dubitato del ruolo particolarmente
significativo che la stessa legislazione nazionale ha attribuito alle
Regioni ai fini del contrasto dell’inquinamento atmosferico, fin dagli
artt. 101 e 102 del d.P.R. 24 luglio 1977,
n. 616 (Attuazione della delega di cui all’art. 1 della L. 22 luglio
1975, n. 382), e successivamente in forza del d.P.R.
24 maggio 1988, n. 203 (Attuazione delle direttive CEE numeri 80/779,
82/884, 84/360 e 85/203 concernenti norme in materia di qualità
dell’aria, relativamente a specifici agenti inquinanti, e di
inquinamento prodotto dagli impianti industriali, ai sensi dell’art. 15
della L. 16 aprile 1987, n. 183), ora abrogato dall’art. 280 del d.lgs.
n. 152 del 2006, con i limiti ivi indicati. Tale ruolo trova conferma
nella conservazione, in capo alla Regione o all’ente da essa indicato, del potere di rilasciare l’autorizzazione prevista dall’art. 269 (art. 268, comma 1, lettera o).
Se, tuttavia, la riconduzione della disposizione censurata alla
competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente
esclude in radice che la Regione possa contestarne il carattere
dettagliato, in ogni caso i commi impugnati di tale disposizione,
quand’anche inquadrati nella prospettiva delle competenze concorrenti
sopra ricordate, appaiono espressivi di principi fondamentali della
materia: secondo tale linea di giudizio questa Corte ha già riconosciuto che le corrispondenti disposizioni del d.P.R.
n. 203 del 1988 determinavano i soli «presupposti minimali» per il
rilascio del titolo, né la normativa oggetto dell’odierno controllo di
costituzionalità si discosta da siffatto limite.
In particolare, il comma 2 non tratteggia, come vorrebbe la ricorrente,
«un modulo da predisporre per la presentazione delle istanze», ma
determina i requisiti dai quali non è consentito prescindere in sede di
domanda di autorizzazione, ciascuno dei quali
finalizzato a garantire la necessaria verifica delle condizioni,
determinate dal legislatore nazionale, che consentono l’installazione o
il trasferimento dell’impianto; il comma 3 formula il principio per il
quale l’autorità competente, ai fini del rilascio dell’autorizzazione,
indice una conferenza di servizi e ne scandisce le fasi, per il tramite
dell’indicazione di termini rispondenti ad esigenze di semplificazione
amministrativa e di celerità, anche «al fine di evitare (…) che nel
territorio nazionale si creino disparità di trattamento fra impresa e
impresa» (sentenza n. 101 del 1989).
Per tale ragione le disposizioni ora richiamate non possono ritenersi di mero dettaglio (sentenza n. 364 del 2006).
Le medesime considerazioni appena svolte concernono anche il comma 8,
che, disciplinando il procedimento da osservarsi ove si intenda
modificare l’impianto, appare speculare al procedimento di rilascio
dell’autorizzazione e risponde alla medesima esigenza di articolare
unitariamente tale attività secondo principi che assicurino l’osservanza
dei criteri stabiliti dalla normativa nazionale.
Il comma 7, infine, determina in quindici anni la durata
dell’autorizzazione, così esprimendo un’evidente scelta di principio che
sintetizza l’interesse dell’impresa a proseguire nell’attività con la
necessità di una nuova verifica circa la ricorrenza delle condizioni a
tal fine richieste.
6.1. – La Regione Calabria impugna, poi, il solo comma 3 dell’art. 269,
in relazione all’art. 120 Cost., poiché esso, in assenza della diffida
ad adempiere, consentirebbe al Ministro dell’ambiente di sostituirsi
alla competente autorità locale nel rilascio dell’autorizzazione,
quando, scaduti i termini assegnati alla prima per provvedere,
l’interessato ne faccia espressa richiesta, senza assicurare idonee
garanzie procedimentali all’ente sostituito.
La questione non è fondata.
Occorre, innanzitutto, rilevare che la censura si incentra non già
sulla configurazione del potere sostitutivo in sé, ma sul preteso
difetto di siffatte garanzie. Per tale ragione, non è necessario in
questa sede interrogarsi sulla effettiva
applicabilità dell’art. 120 Cost. al potere sostitutivo previsto dalla
disposizione impugnata, posto che tale norma costituzionale attiene
all’esercizio straordinario di tale funzione da parte del Governo,
mentre «lascia impregiudicata l’ammissibilità e la disciplina di altri
casi di interventi sostitutivi, configurabili dalla legislazione di
settore, statale o regionale» (sentenza n. 43 del 2004):
infatti, in entrambi i casi, la legge è tenuta ad apprestare congrue
garanzie procedimentali per l’esercizio del potere sostitutivo, in
conformità al principio di leale collaborazione, sicché, pur
prescindendo dall’espresso richiamo dell’art. 120 Cost. operato dalla
ricorrente, la censura deve ritenersi comunque rivolta a contestare la
carenza di tali garanzie.
Sotto questa prospettiva, un analogo meccanismo sostitutivo, regolato dall’art. 7 del d.P.R. n. 203 del 1988, è già stato ritenuto da questa Corte non contrastante con la Costituzione con la citata sentenza n. 101 del 1989.
Nell’attuale quadro costituzionale di riparto delle competenze, e con
riguardo alla disposizione censurata, va ugualmente osservato che essa
può e deve interpretarsi in un senso rispettoso dell’autonomia
decentrata, dal momento che vi si prevede espressamente che il gestore
notifichi la richiesta di intervento sostitutivo all’autorità locale
competente, e che, comunque, il Ministro dell’ambiente provveda,
«sentito il Comune interessato». Tali adempimenti debbono ritenersi
finalizzati a porre l’ente sostituito in grado di evitare la
sostituzione attraverso un autonomo adempimento, ed in ogni caso di
partecipare ed interloquire nel procedimento di sostituzione.
6.2. – La Regione Piemonte impugna il solo comma 7 dell’art. 269, nella
parte in cui stabilisce un’efficacia temporale dell’autorizzazione di
quindici anni ritenuta «assolutamente sproporzionata» alla luce
dell’accelerato «processo di rinnovamento tecnologico degli impianti»,
senza nel contempo disciplinare il potere decentrato, originariamente
attributo dall’art. 11 del d.P.R. n. 203 del
1988, di modificare le prescrizioni dell’autorizzazione in seguito
all’evoluzione della migliore tecnologia disponibile, nonché
all’evoluzione della situazione ambientale.
Sarebbero così compromesse le attribuzioni regionali in punto di
rilascio del titolo, in violazione dei principi di sussidiarietà e leale
collaborazione. Per altro profilo, la ricorrente denuncia la difformità
della disposizione impugnata rispetto ai principi e criteri direttivi
enunciati dalla legge delega (art.1, comma 8, lettere d ed h), in quanto essa
comporterebbe «una limitazione e non un accrescimento dei poteri
pubblici di controllo e degli obiettivi generali di miglioramento della
qualità dell’aria attraverso l’adozione delle migliori tecnologie
disponibili».
Le censure non sono fondate, giacché si basano su un erroneo presupposto interpretativo.
La ricorrente muove, infatti, dal convincimento secondo cui il
legislatore delegato, nel determinare l’arco temporale esauritosi il
quale l’autorizzazione necessita di essere rinnovata, avrebbe nel
contempo e per ciò stesso privato l’amministrazione competente del
potere di vigilare, durante tale periodo, sull’esercizio dell’impianto,
allo scopo di assicurarne costantemente la corrispondenza a quanto reso
possibile dall’evoluzione della migliore tecnologia disponibile e a
quanto reso necessario dall’evoluzione della situazione ambientale.
Tale lettura, senza venire imposta dalla lettera della disposizione
impugnata, renderebbe incongrua la disciplina normativa
dell’autorizzazione alle emissioni in atmosfera rispetto ad una marcata
linea di tendenza, maturata sul terreno del diritto comunitario, volta a
garantire un costante e progressivo adeguamento delle prescrizioni
concernenti gli impianti inquinanti all’evoluzione tecnologica: in tema
di autorizzazione integrata ambientale (la quale, pur sostituendosi
all’autorizzazione di cui all’art. 269, ai sensi dell’art. 267, comma 3,
concerne anch’essa la tutela, tra l’altro, dall’inquinamento
atmosferico), l’art. 13 della direttiva 15 gennaio 2008, n. 2008/1/CE,
che ha sostituito l’analogo art. 13 della direttiva 24 settembre 1996,
n. 96/61/CE (Direttiva del Consiglio sulla prevenzione e la riduzione
integrate dell’inquinamento), prescrive un riesame delle condizioni del
titolo, ogni qual volta le migliori tecniche disponibili abbiano
registrato sostanziali cambiamenti che consentano di ridurre
notevolmente le emissioni senza imporre costi eccessivi.
Ugualmente, l’art. 13 della direttiva 28 giugno 1984, n. 84/360/CE
(Direttiva del Consiglio concernente la lotta contro l’inquinamento
atmosferico provocato dagli impianti industriali), abrogata con effetto
dal 30 ottobre 2007, ma vigente al tempo
della promulgazione del d.lgs. n. 152 del 2006, comporta l’adozione, a
livello nazionale, di misure adeguate per adattare progressivamente gli
impianti esistenti alla migliore tecnologia disponibile, pur tenuto
conto dell’opportunità di evitare costi eccessivi per gli impianti.
Stanti tali premesse, ed entro un contesto normativo finalizzato ad
assicurare un adeguato grado di tutela dell’ambiente, apparirebbe
manifestamente irragionevole il congelamento delle condizioni
dell’autorizzazione, quanto alle prescrizioni relative all’impianto, per
un periodo di quindici anni, quando la sempre più rapida evoluzione
della tecnologia avrebbe invece consentito, nel frattempo, di ricorrere
ad adattamenti tecnici idonei ad una più efficace salvaguardia
dell’ambiente, senza nel contempo implicare costi sproporzionati
rispetto all’utilità conseguita. Del resto, l’esigenza di tutelare
l’affidamento dell’impresa circa la stabilità delle condizioni fissate
dall’autorizzazione è certamente recessiva a fronte di un’eventuale
compromissione, se del caso indotta dal mutamento della situazione
ambientale, del limite «assoluto e indefettibile rappresentato dalla
tollerabilità per la tutela della salute umana e dell’ambiente in cui
l’uomo vive» (sentenza n. 127 del 1990).
Essa, inoltre, non può prevalere sul perseguimento di una più efficace
tutela di tali superiori valori, ove la tecnologia offra soluzioni i cui
costi non siano sproporzionati rispetto al vantaggio ottenibile: un
certo grado di flessibilità del regime di esercizio dell’impianto,
orientato verso tale direzione, è dunque connaturato alla particolare
rilevanza costituzionale del bene giuridico che, diversamente, ne
potrebbe venire offeso, nonché alla natura inevitabilmente, e spesso
imprevedibilmente, mutevole del contesto ambientale di riferimento.
Difatti, il solo potere dell’autorità competente a rilasciare
l’autorizzazione, che viene espressamente riservato dal legislatore alla
fase del rinnovo della stessa (art. 271, comma 9), attiene
all’introduzione di valori limite di emissione più rigorosi, rispetto a
quelli fissati dall’Allegato I alla Parte quinta del d.lgs. n. 152 del
2006, da parte della normativa regionale di cui al comma 3 dell’art. 271
e dai piani e programmi relativi alla qualità dell’aria.
La disposizione censurata non deve, pertanto, essere interpretata, come
ritiene invece la ricorrente, nel senso che essa reca un divieto, per
l’autorità competente al rilascio dell’autorizzazione, di modificare,
durante il periodo quindicennale di validità del titolo, le prescrizioni
della stessa concernenti gli impianti, in
base all’evoluzione della migliore tecnologia disponibile e della
situazione ambientale: entro tali limiti, la questione avente ad oggetto
l’art. 269, comma 7, non è fondata.
7. – L’art. 281, comma 10, impugnato da tutte le ricorrenti, stabilisce
che «fatti salvi i poteri stabiliti dall’articolo 271 in sede di
adozione dei piani e dei programmi ivi previsti e di rilascio
dell’autorizzazione, in presenza di particolari situazioni di rischio
sanitario o di zone che richiedano una particolare tutela ambientale, le
Regioni e le Province autonome, con provvedimento generale, previa
intesa con il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e con
il Ministro della salute, per quanto di competenza, possono stabilire
valori limite di emissione e prescrizioni, anche inerenti le condizioni di costruzione o di esercizio degli impianti, più severi di quelli fìssati
dagli allegati al presente titolo, purché ciò risulti necessario al
conseguimento del valori limite e dei valori bersaglio di qualità
dell’aria».
La
Regione Calabria ritiene lesi gli artt. 117, terzo comma, e 118 Cost.,
poiché la Regione sarebbe stata «spogliata della (propria)
responsabilità di governo del territorio e della salute dei consociati».
La
Regione Piemonte lamenta che si sia compressa la possibilità di
interventi regionali di carattere migliorativo dei livelli statali.
La
Regione Emilia-Romagna stima lesi gli artt. 117 e 118 Cost., poiché la
necessità dell’intesa restringe i poteri della Regione di tutelare
l’ambiente, anche derogando in melius
ai livelli determinati dallo Stato. Tali poteri sarebbero stati
riconosciuti dall’art. 84 del d.lgs. n. 112 del 1998, dall’art. 8 del
decreto legislativo 18 febbraio 2005, n. 59 (Attuazione integrale della
direttiva 96/61/CE relativa alla prevenzione e riduzione integrate
dell’inquinamento), e dalla direttiva comunitaria n. 2001/80/CE del 23
ottobre 2001 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio
concernente la limitazione delle emissioni nell’atmosfera di taluni
inquinanti originati dai grandi impianti di combustione), in tema di
grandi impianti di combustione.
La
Regione Puglia, la quale avanza anche istanza di sospensione della
disposizione in esame, deduce la violazione degli artt. 117, terzo
comma, e 118 Cost., con riferimento anche al principio di sussidiarietà,
a causa «della assoluta preponderanza dei poteri riconosciuti al Ministro dell’ambiente».
Le questioni non sono fondate.
Il d.lgs. n. 152 del 2006 riconosce alle Regioni un ampio margine di intervento, al fine di conferire esecuzione e talora di rendere
eventualmente più severa la disciplina statale concernente
l’inquinamento atmosferico: in particolare, l’art. 271, comma 3, affida a
Regioni e Province autonome la determinazione dei valori limite di
emissione all’interno di quelli indicati dalla normativa nazionale;
l’art. 271, comma 4, ammette l’introduzione in sede decentrata di valori
limite di emissione e di prescrizioni più restrittivi rispetto agli standard
statali, per mezzo dei piani e dei programmi previsti dall’art. 8 del
decreto legislativo 4 agosto 1999, n. 351 (Attuazione della direttiva
96/62/CE in materia di valutazione e di gestione della qualità dell’aria
ambiente), e dall’art. 3 del decreto legislativo 21 maggio 2004, n. 183
(Attuazione della direttiva 2002/3/CE relativa all’ozono nell’aria),
purché ciò sia necessario al conseguimento dei valori limite e dei
valori bersaglio di qualità dell’aria. Inoltre, la disposizione da
ultimo citata stabilisce che «fino alla emanazione
dei suddetti programmi», continuano ad applicarsi i valori di emissione
e le prescrizioni contenute nei piani di cui all’art. 4 del d.P.R. n. 203 del 1988.
L’art. 271, comma 9, infine, legittima l’imposizione al singolo
impianto di condizioni ancora più rigide in sede di rilascio e di
rinnovo dell’autorizzazione.
Il ruolo e l’ampiezza delle funzioni affidate alle Regioni vanno perciò
apprezzati alla luce dell’assetto complessivo del decreto legislativo
impugnato e non possono viceversa divenire oggetto, come vorrebbero le ricorrenti, di una valutazione parcellizzata sulla base di una sola tra le disposizioni di cui esso si compone.
L’art. 281, comma 10, si inserisce in tale più ampio contesto di
valorizzazione delle competenze regionali, aprendo un ulteriore campo di
intervento alle Regioni, in presenza di situazioni di rischio sanitario
o di zone che richiedano una particolare tutela ambientale, ma nel
contempo ne subordina la relativa azione all’intesa con il Ministro
dell’ambiente e con il Ministro della salute.
Nel concorso della competenza esclusiva dello Stato in materia di
tutela dell’ambiente con quella concorrente in materia di tutela della
salute, la disposizione censurata provvede ad allocare l’esercizio della
funzione in sede regionale, dimostrandosi in tal modo rispettosa
dell’art. 118 Cost., mentre la previsione dell’intesa agisce da
strumento di raccordo idoneo a soddisfare il canone della leale
collaborazione, in presenza di una concorrenza di competenze dello Stato
e della Regione (sentenze n. 88 del 2009 e n. 219 del 2005).
Quanto alla normativa richiamata dalla Regione Emilia-Romagna, mentre
la ricorrente omette di indicare quale funzione già prevista dall’art.
84 del d.lgs. n. 112 del 1998 le sarebbe stata sottratta dalla
disposizione censurata, sono da ritenersi male evocati sia l’art. 8 del
d.lgs. n. 59 del 2005, che concerne il diverso istituto
dell’autorizzazione integrata ambientale (art. 267, comma 3), sia la
direttiva n. 2001/80/CE relativa alle emissioni di inquinanti originati
dai grandi impianti di combustione: non si vede, infatti, né è
specificato dalla ricorrente, quale sia il margine di sovrapposizione
che possa intercorrere tra tali norme ed il potere regolato dall’art.
281, comma 1, e ciò a prescindere dal pur decisivo rilievo per il quale
le modalità dell’intervento regionale ben possono essere distintamente
modulate dal legislatore, a seconda del peculiare ambito materiale cui
esso si riferisce.
8. – L’art. 284 disciplina la denuncia di installazione o di modifica
di impianti termici civili di potenza superiore al valore di soglia,
stabilendo che essa vada trasmessa all’autorità competente mediante il
modulo riportato nella Parte I dell’Allegato IX alla Parte quinta del
d.lgs. n. 152 del 2006.
La Regione Calabria impugna tale disposizione, che giudica dettagliata,
perché lesiva della competenza regionale concorrente in materia di
tutela della salute, estendendo la censura all’Allegato IX alla Parte
quinta, in quanto «oggetto di rinvio» da parte dell’art. 284: è pertanto
da ritenere che tale estensione concerna la sola porzione dell’Allegato
concernente il “modulo di denuncia”.
Anche la Regione Piemonte censura la disposizione in esame
riconducendola, invece, alla competenza concorrente in materia di
energia e sostenendone, a propria volta, il carattere dettagliato.
Le questioni non sono fondate.
Le disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006 relative agli impianti
termici civili perseguono un obiettivo di prevenzione e limitazione
dell’inquinamento atmosferico (art. 282) che si inquadra nell’esercizio
della competenza esclusiva statale in tema di tutela dell’ambiente;
quand’anche si ritenesse che ad essa si congiunga una sfera di
competenza concorrente regionale, come sostenuto dalle ricorrenti,
tuttavia l’art. 284, nell’imporre l’obbligo di denuncia e nel definire,
tramite il rinvio all’Allegato, le modalità di tale denuncia, deve
ritenersi comunque espressivo di un principio fondamentale della
materia: il “modulo di denuncia”, infatti, si limita a selezionare gli
elementi tecnici necessari per constatare la corrispondenza
dell’impianto ai requisiti richiesti, e in tale prospettiva fa
naturalmente corpo con la previsione stessa della denuncia, che verrebbe
svuotata di significato ove non si accompagnasse all’indicazione di un
determinato contenuto.
9. – L’art. 287 prevede che il personale addetto alla conduzione di
impianti termici civili di potenza superiore ad una certa soglia debba
munirsi di un patentino di abilitazione rilasciato dall’Ispettorato
provinciale del lavoro, al termine di un corso e previo superamento
dell’esame finale: presso ciascun Ispettorato è compilato ed aggiornato
un registro degli abilitati. Il comma 6 di tale disposizione aggiunge
che la disciplina dei corsi e degli esami, nonché delle revisioni dei
patentini, sia determinata con decreto del Ministro del lavoro e delle
politiche sociali, trovando attualmente applicazione il decreto
ministeriale 12 agosto 1968.
Le Regioni Calabria ed Emilia-Romagna eccepiscono la violazione
dell’art. 76 Cost., poiché il legislatore delegato, così operando, non
avrebbe osservato l’obbligo di conformarsi, tra l’altro, alle
attribuzioni regionali regolate dal d.lgs. n. 112 del 1998, secondo
quanto stabilito dall’art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del
2004.
Denunciano invece il carattere dettagliato della norma la Regione
Piemonte, con conseguente lesione della competenza concorrente in
materia di energia, e la Regione Calabria, con riguardo alle competenze
ripartite in materia di tutela della salute e tutela e sicurezza del
lavoro.
Infine, la Regione Emilia-Romagna lamenta, con riguardo al comma 1, la
violazione degli artt. 117, quarto comma, e 118 Cost., poiché la
disposizione impugnata inciderebbe sulla competenza regionale residuale
in materia di formazione professionale.
La Corte osserva che la previsione, imposta dalla norma censurata, di
consentire la conduzione di impianti termici civili, di potenza
superiore al valore di soglia, al solo personale maggiorenne abilitato,
non si esaurisce certamente in un aspetto di mero dettaglio della
normativa dettata «ai fini della prevenzione e della limitazione
dell’inquinamento atmosferico» (art. 282, comma 1), ma ne costituisce
piuttosto un cardine, dal momento che affida tale compito solo a chi
disponga di una formazione professionale che lo renda idoneo a
prevenire, e comunque a gestire nel migliore dei modi, gli effetti
pregiudizievoli per l’ambiente e la salute che potrebbero derivare sia
da un errore umano, sia da un guasto tecnico: la riconducibilità di tale
scelta normativa alle materie della tutela dell’ambiente e della tutela
della salute, quest’ultima quanto all’articolazione di un principio
fondamentale, rendono perciò infondate le censure delle Regioni Calabria
e Piemonte che ne contestano il carattere dettagliato.
Altro è, invece, ciò che segue all’introduzione di tale generale
previsione, per quanto in particolare attiene all’attribuzione
all’Ispettorato provinciale del lavoro del compito di rilasciare il
patentino di abilitazione, all’esito di un corso e del superamento di un
esame finale.
Tale funzione, originariamente disciplinata dall’art. 16 della legge 13
luglio 1966, n. 615 (Provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico),
era stata da ultimo prevista dall’art. 84, lettera b), del
d.lgs. n. 112 del 1998, il quale aveva conferito alle Regioni il
«rilascio dell’abilitazione alla conduzione di impianti termici civili
compresa l’istituzione dei relativi corsi di formazione».
Ciò posto, questa Corte rileva che l’addestramento del lavoratore, per
iniziativa di un soggetto pubblico e fuori dall’ordinamento
universitario, finalizzato precipuamente all’acquisizione delle
cognizioni necessarie all’esercizio di una particolare attività
lavorativa, rientra nella materia, oggetto di potestà legislativa
residuale della Regione, concernente la formazione professionale
(sentenze n. 425 del 2006; n. 51 e n. 50 del 2005),
sicché appare fondata la censura mossa dalla Regione Emilia-Romagna
alla luce degli artt. 117, quarto comma, e 118 della Costituzione.
La disposizione censurata, infatti, pretende illegittimamente di
allocare presso lo Stato una funzione amministrativa in materia
riservata alla competenza regionale (sentenze n. 166 del 2008 e n. 43 del 2004),
e nel contempo di disciplinare, in rapporto ad essa, le modalità della
formazione professionale per mezzo dei corsi di abilitazione e del
conseguente esame (art. 287, comma 1).
Si deve, pertanto, dichiarare l’illegittimità costituzionale di tale
comma 1 della disposizione impugnata, nella sola parte in cui esso
invade quella regionale, ossia limitatamente alle parole «rilasciato
dall’ispettorato provinciale del lavoro, al termine di un corso per
conduzione di impianti termici, previo superamento dell’esame finale».
L’ulteriore previsione concernente la compilazione di un registro
presso l’Ispettorato, acquisendo in tal modo una mera finalità notiziale, non comporta lesione delle attribuzioni regionali.
Benché l’impugnativa della ricorrente sia ammissibile con riguardo al
solo comma 1 dell’art. 287, tuttavia, ai sensi dell’art. 27 della legge
11 marzo 1953, n. 87, questa Corte deve provvedere a dichiarare
l’illegittimità consequenziale anche del comma 4, limitatamente alle
parole «senza necessità dell’esame di cui al comma 1», del comma 5,
limitatamente alle parole «dall’Ispettorato provinciale del lavoro» e
dell’intero comma 6, trattandosi di disposizioni intrinsecamente
collegate a quella di cui al comma 1, per la parte in cui esso è stato
dichiarato incostituzionale.
Restano assorbite le censure relative all’art. 76 Cost.
10. – La parte I, punto 4, lettera z),
dell’Allegato IV alla Parte quinta, impugnato dalla Regione
Emilia-Romagna, colloca tra gli impianti e attività in deroga di cui
all’art. 272, comma 1, gli allevamenti di bestiame con riferimento
all’estensione dei terreni su cui si esercita l’utilizzazione agronomica
degli effluenti, anziché, come vorrebbe la ricorrente, con riferimento
«al numero dei capi ospitati».
La Regione sostiene che con ciò sarebbe stata lesa la propria
competenza residuale in materia di agricoltura e zootecnia,
nell’esercizio della quale sarebbe permesso perseguire «obiettivi di
migliore qualità dell’aria e di minore impatto delle attività
dell’industria zootecnica su di essa»: in tale direzione, sarebbe
necessario attribuire importanza al numero dei capi ospitati, per
evitare che allevamenti ad alto potenziale inquinante sfuggano al regime
autorizzatorio.
La censura non è fondata.
La premessa da cui muove il rilievo della ricorrente, ovvero che la
disposizione impugnata cada nell’ambito materiale dell’agricoltura, è
erronea.
È evidente, infatti, che la norma non si propone, né ha per effetto, di
disciplinare l’attività degli allevamenti di bestiame, o comunque di
interferire con il processo di produzione di vegetali ed animali
destinati all’alimentazione, che costituisce il “nocciolo duro” della
materia residuale dell’agricoltura (sentenza n. 12 del 2004).
Essa va invece assunta nella sola prospettiva del controllo delle
emissioni in atmosfera, con riguardo ad impianti ed attività
«scarsamente rilevanti agli effetti dell’inquinamento atmosferico»: in
tale ottica, la competenza invocata dalla ricorrente nel caso di specie
appare del tutto inidonea a giustificare un qualsivoglia intervento
legislativo regionale in materia. La questione, alla luce del parametro
costituzionale prescelto, è perciò non fondata.
11. – Poiché la Corte ha deciso il merito del ricorso, non vi è luogo a procedere in ordine alla istanza di sospensione formulata dalla ricorrente Regione Puglia.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
riservata
a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità
costituzionale promosse nei confronti del decreto legislativo 3 aprile
2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), dalle Regioni Piemonte,
Emilia-Romagna, Puglia e Calabria;
dichiara inammissibile l’intervento in giudizio dell’Associazione italiana per il World Wide Fund for Nature (WWF Italia) – Onlus, della Biomasse Italia s.p.a., della Società Italiana Centrali Termoelettriche-SICET s.r.l., della società Ital Green Energy s.r.l. e della società ETA Energie Tecnologie Ambiente s.p.a.;
dichiara
l’illegittimità costituzionale dell’art. 287, comma 1, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale),
limitatamente alle parole «rilasciato dall’ispettorato provinciale del
lavoro, al termine di un corso per conduzione di impianti termici,
previo superamento dell’esame finale»;
dichiara,
ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità
costituzionale dell’art. 287, comma 4, del d.lgs. n. 152 del 2006,
limitatamente alle parole «senza necessità dell’esame di cui al comma
1»;
dichiara,
ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità
costituzionale dell’art. 287, comma 5, del d.lgs. n. 152 del 2006,
limitatamente alle parole «dall’Ispettorato provinciale del lavoro»;
dichiara,
ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’illegittimità
costituzionale dell’art. 287, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 267, comma 4, lettera a),
269, comma 7, 271, 281, comma 10, 284 e 287 del d.lgs. n. 152 del 2006,
promosse, in riferimento agli artt. 5 e 114 della Costituzione e «con
riguardo a principi e norme del diritto comunitario e di convenzioni
internazionali», dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 267, comma 4, lettera c),
del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa in relazione all’art. 76 della
Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara
inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269,
comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in relazione al
«principio di buon andamento della pubblica amministrazione», dalla
Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 271
«in relazione agli allegati», del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento ai principi di sussidiarietà e leale cooperazione, dalla
Regione Piemonte con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 281,
comma 10, d.lgs. n. 152 del 2006, promosse rispettivamente, dalla
Regione Calabria in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla
Regione Emilia-Romagna in riferimento all’art. 9 della Costituzione e
dalla Regione Puglia in riferimento all’art. 76 della Costituzione, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 283
del d.lgs. n. 152 del 2006 promosse, con riferimento agli artt. 3, 5,
76, 97, 114, 117, 118, 119 e 120 della Costituzione e ai principi di
leale collaborazione e di sussidiarietà, dalla Regione Piemonte con il
ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli artt.
284 e 287 del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art.
76 della Costituzione, dalla Regione Piemonte, con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara
inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 287,
commi 2, 3, 4, 5 e 6, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in
riferimento agli artt. 76, 117, terzo e quarto comma, e 118 della
Costituzione, dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale della Parte I, punto 4, lettera z),
dell’Allegato IV alla Parte quinta, del d.lgs. n. 152 del 2006,
promosse, in riferimento agli artt. 3, 9 e 76 della Costituzione, dalla
Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 267, comma 4, lettera a),
del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento all’art. 117,
terzo e quarto comma, della Costituzione, nonché al principio di leale
collaborazione, dalle Regioni Calabria e Piemonte con i ricorsi indicati
in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 267, comma 4, lettera a),
del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art. 119,
quinto comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso
indicato in epigrafe;
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269,
commi 2, 3, 7 e 8, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento
all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria
con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 269,
comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento all’art.
120 della Costituzione, dalla Regione Calabria con il ricorso indicato
in epigrafe;
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 269,
comma 7, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento ai
principi di sussidiarietà e leale collaborazione nonché all’art. 76
della Costituzione, dalla Regione Piemonte con il ricorso indicato in
epigrafe;
dichiara
non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 281,
comma 10, del d.lgs. n. 152 del 2006, promosse, in riferimento agli
artt. 117, terzo comma, e 118 della Costituzione, dalle Regioni
Calabria, Piemonte, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in
epigrafe;
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 284
del d.lgs. n. 152 del 2006 promossa, in riferimento all’art. 117, terzo
comma, della Costituzione, dalle Regioni Calabria e Piemonte, con i
ricorsi indicati in epigrafe;
dichiara
non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’Allegato IX
alla Parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006, promossa, in riferimento
all’art. 117, terzo comma, della Costituzione, dalla Regione Calabria
con il ricorso indicato in epigrafe;
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale della parte I, punto 4, lettera z),
dell’Allegato IV alla Parte quinta del d.lgs. n. 152 del 2006,
promossa, in riferimento all’art. 117, quarto comma, della Costituzione,
dalla Regione Emilia-Romagna con il ricorso indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 luglio 2009.
F.to:
Francesco AMIRANTE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Roberto MILANA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2009.
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