Nuova pagina 1
DANNI IN MATERIA CIV. E PEN.
Cass. civ. Sez. III, 09-04-2009, n. 8703 |
Svolgimento del processo
Con
citazione notificata in data 4-11-2004 B.R. conveniva in giudizio
innanzi al giudice di pace di Catania l'AGENZIA DELLE ENTRATE di
Catania, per sentirla condannare al risarcimento dei danni morali e da
stress, subiti a seguito delle lungaggini dell'iter burocratico
affrontato per ottenere lo sgravio di somme non dovute.
Precisava
che aveva proposto istanza per l'annullamento della cartella
esattoriale in data 17-2-2004, ottenendone l'accoglimento solo a sei
mesi di distanza, dopo numerose richieste e reiterati solleciti, visite
allo sportello e ingiustificati rinvii e dinieghi.
Resisteva
l'AGENZIA DELLE ENTRATE di Catania, la quale deduceva, tra l'altro, la
propria carenza di legittimazione passiva, in quanto ufficio periferico.
Con
sentenza in data 7 aprile 2005, il giudice di pace di Catania
dichiarava l'AGENZIA DELLE ENTRATE di Catania responsabile del danno non
patrimoniale provocato al B. e, per l'effetto, la condannava al
risarcimento dei danni, liquidati in via equitativa nella somma di Euro
300,00, nonchè al pagamento delle spese processuali.
Avverso
detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'AGENZIA DELLE
ENTRATE, in persona del direttore, svolgendo due motivi, cui ha
resistito B.R., depositando controricorso.
Motivi della decisione
1.1.
Con il primo motivo parte ricorrente censura la decisione impugnata,
nel punto in cui ha rigettato l'eccezione di carenza di legittimazione
passiva sollevata dall'AGENZIA DELLE ENTRATE di Catania, ritenendo il
vizio sanato ex art. 156 c.p.c. a seguito della costituzione in giudizio dell'ufficio periferico.
A tal riguardo la ricorrente AGENZIA denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 156 c.p.c., comma 3, artt. 166 c.p.c. e ss., D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 e deduce l'"inesistenza giuridica" del soggetto convenuto in relazione all'art. 360 c.p.c.,
n. 4, lamentando che sia stata fraintesa la portata dell'eccezione, con
la quale si sosteneva il difetto di legittimazione rispetto alla
domanda risarcitoria, in considerazione del carattere eccezionale della
norma di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10 che, nella
materia del contenzioso tributario, attribuisce la legittimazione agli
uffici periferici, peraltro esclusivamente nelle fasi di merito.
Sulla
base di tale premessa la ricorrente assume che l'AGENZIA DELLE ENTRATE
con sede in Roma era l'unico soggetto destinatario della vocatio in ius e
che l'evocazione in giudizio di un soggetto giuridico "inesistente ai
fini del processo civile", quale l'ufficio periferico, si è concretata
in una causa di nullità assoluta e insanabile.
1.2. Il motivo è infondato, ancorchè la motivazione del giudice di pace debba essere integrata e rettificata ai sensi dell'art. 384 c.p.c., comma 4.
Parte
ricorrente fa riferimento a un orientamento giurisprudenziale
consolidato nel regime antecedente all'assunzione di operatività delle
Agenzie delle Entrate che, fondandosi sul disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11,
limitava la legittimazione degli uffici periferici dell'amministrazione
finanziaria ai soli giudizi innanzi alle commissioni tributarie,
ritenendosi che, in difetto di speciale disciplina, riprendesse vigore
la regola generale (R.D. n. 1611 del 1933, art. 11) che
attribuiva al Ministero delle Finanze l'esclusiva legittimazione. Si
tratta, però, di una ricostruzione della normativa rilevante in materia,
che è stata rivista alla luce della nuova realtà ordinamentale,
introdotta dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300 ed operativa, secondo il D.M. 28 dicembre 2000
a partire dal 1 gennaio 2001, che ha comportato l'attribuzione delle
funzioni statali concernenti i tributi erariali all'AGENZIA DELLE
ENTRATE, quale soggetto dotato di personalità giuridica di diritto
pubblico, rappresentata dal direttore (del cit. D.Lgs. n. 300, artt. 61 e 66).
In
particolare - come chiarito dalle SS.UU. l'attribuzione agli uffici
periferici dell'AGENZIA della stessa capacità di stare in giudizio
spettante, in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 10 e 11,
agli uffici finanziari che avevano emesso l'atto, comporta il
conferimento ai medesimi uffici periferici della capacità di stare in
giudizio, in via concorrente ed alternativa al direttore, secondo un
modello simile alla preposizione institoria disciplinata dagli artt. 2203 e 2204 c.c.
configurandosi detti uffici, quali organi dell'AGENZIA che, al pari del
direttore, ne hanno la rappresentanza ai sensi e agli effetti dell'art. 163 c.p.c., comma 2, n. 2 e degli artt. 144 e 145 c.p.c. (cfr. sentenza 14 febbraio 2006, n. 3116 in motivazione).
Senza
ripetere qui gli argomenti svolti dalle SS.UU., condivisi dal Collegio e
ormai consolidati nella giurisprudenza di questa Corte, vai la pena di
precisare che la ricostruzione del rapporto tra l'AGENZIA e l'ufficio
periferico negli schemi della procura institoria, con conseguente
imputabilità all'ente pubblico preponente dell'attività posta in essere
dal secondo, impone di riconoscere, secondo le regole stabilite in via
generale dal codice di procedere civile, all'ufficio periferico la
legittimazione processuale attiva e passiva, concorrente con quella
dell'ente, anche nel processo innanzi al giudice ordinario, per i
rapporti sorti dagli atti compiuti da detto periferico. Ed è ciò che è
avvenuto nel caso di specie, in cui l'AGENZIA DELLE ENTRATE di Catania è
stata evocata innanzi al giudice di pace, per il risarcimento di danni
asseritamente provocati dal tardivo ritiro dell'atto impositivo da essa
posto in essere.
2.1. Con il secondo motivo la
ricorrente censura il merito della decisione impugnata, per avere
ritenuto violato il divieto del neminem laedere, in considerazione della
lunghezza dell'iter burocratico, durato sei mesi, con conseguente
turbamento del "diritto alla tranquillità" del B., facendogli spendere
tempo ed energie, tra visite "a vuoto" agli sportelli, richieste e
reiterati solleciti, per dimostrare che la somma richiestagli non era
dovuta.
In particolare la ricorrente - denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c.,
n. 3 - lamenta violazione di principio informatore del diritto per
difetto del carattere dell'"ingiustizia" del danno, segnatamente
evidenziando che l'annullamento in autotutela della P.A. non si
configura come un obbligo dell'amministrazione e contestando, nel
contempo, la violazione, dei criteri di ordinaria diligenza, avuto
riguardo al limitato arco di tempo in cui intervenne il ritiro dell'atto
impositivo.
2.2. Il motivo è fondato nei termini che seguono.
Come
è noto le SS.UU., con quattro contestuali sentenze di contenuto
identico (nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 in data 11-11-2008), hanno di
recente proceduto ad una rilettura in chiave costituzionale del disposto
dell'art. 2059 c.c., ritenuto principio informatore del
diritto, come tale vincolante anche nel giudizio di equità, da leggersi -
non già come disciplina di un'autonoma fattispecie di illecito,
produttiva di danno non patrimoniale, distinta da quella di cui all'art. 2043 c.c.
- bensì come norma che regola i limiti e le condizioni di risarcibilità
dei pregiudizi non patrimoniali (intesa come categoria omnicomprensiva,
all'interno della quale non è possibile individuare, se non con
funzione meramente descrittiva, ulteriori sottocategorie), sul
presupposto dell'esistenza di tutti gli elementi costitutivi
dell'illecito richiesti dall'art. 2043 c.c., e cioè: la
condotta illecita, l'ingiusta lesione di interessi tutelati
dall'ordinamento, il nesso causale tra la prima e la seconda, la
sussistenza di un concreto pregiudizio patito dal titolare
dell'interesse leso.
In tale prospettiva la
peculiarità del danno non patrimoniale viene individuata nella sua
tipicità, avuto riguardo alla natura dell'art. 2059 cit., quale norma di
rinvio ai casi previsti dalla legge (e, quindi, ai fatti costituenti
reato o agli altri fatti illeciti riconosciuti dal legislatore ordinario
produttivi di tale tipo di danno) ovvero ai diritti costituzionali
inviolabili, presieduti dalla tutela minima risarcitoria, con la
precisazione, in quest'ultimo caso, che la rilevanza costituzionale deve
riguardare l'interesse leso e non il pregiudizio consequenzialmente
sofferto e che la risarcibilità del pregiudizio non patrimoniale
presuppone, altresì, che la lesione sia grave (e, cioè, superi la soglia
minima di tollerabilità, imposto dai doveri di solidarietà sociale) e
che il danno non sia futile (vale a dire che non consista in meri disagi
o fastidi o sia addirittura meramente immaginario).
Ciò
precisato, si osserva che, nella specie, non sussiste un'ingiustizia
costituzionalmente qualificata, tantomeno si verte in un'ipotesi di
danno patrimoniale prevista dal legislatore ordinario, risultando,
piuttosto, la ritenuta lesione del "diritto alla tranquillità"
insuscettibile di essere monetizzata, siccome inquadrabile in quegli
sconvolgimenti quotidianità "consistenti in disagi, fastidi, disappunti,
ansie ed in ogni altro di insoddisfazione" (cd. bagatellari) ritenuti
non meritevoli di tutela risarcitoria (pag. 34 della sentenza n.
26972/2008).
In conclusione, il secondo motivo di ricorso va accolto e, ai sensi dell'art. 384 c.p.c.,
comma 2, la sentenza impugnata va cassata senza rinvio, posto che, non
essendo necessari accertamenti di fatto, va pronunciato nel merito e -
in applicazione dei principi affermati dalle SS.UU. sopra richiamati -
la domanda di risarcimento del B. va rigettata.
Le
spese dell'intero processo vanno integralmente compensate tra le parti,
avuto riguardo al rigetto del primo motivo, nonchè alla relativa novità
e alla natura delle questioni trattate con il secondo.
P.Q.M.
La
Corte rigetta il primo motivo di ricorso; accoglie il secondo motivo;
cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, pronunciando nel merito,
rigetta la domanda di B.R.; compensa interamente tra le parti le spese
dell'intero processo.
Così deciso in Roma, il 17 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 9 aprile 2009
|
Nessun commento:
Posta un commento