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domenica 11 dicembre 2016

Consiglio di Stato: Forze armate - Polizia di Stato - Trattamento economico- L'art. 43 della l. 121/1981 nella parte in cui prevede espressamente che ai funzionari del ruolo dei Commissari ed equiparati della Polizia di Stato, che abbiano prestato servizio senza demerito per quindici anni, è attribuito il trattamento economico spettante al primo dirigente, deve interpretarsi nel senso che il periodo di quindici anni senza demerito deve essere necessariamente trascorso per intero nelle qualifiche ricadenti dell'ambito della ex carriera direttiva



FORZE ARMATE
Trattamento economico

Forze armate - Polizia di Stato - Trattamento economico

Cons. Stato Sez. VI Sent., 9 marzo 2010, n. 1391
Forze armate - Polizia di Stato - Trattamento economico- L'art. 43 della l. 121/1981 nella parte in cui prevede espressamente che ai funzionari del ruolo dei Commissari ed equiparati della Polizia di Stato, che abbiano prestato servizio senza demerito per quindici anni, è attribuito il trattamento economico spettante al primo dirigente, deve interpretarsi nel senso che il periodo di quindici anni senza demerito deve essere necessariamente trascorso per intero nelle qualifiche ricadenti dell'ambito della ex carriera direttiva (Conferma della sentenza del Tar Lazio - Roma, sez. I ter, n. 5062/2006).
Cons. Stato Sez. VI Sent., 09-03-2010, n. 1391
R.C. c. Ministero dell'Interno
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
DECISIONE
sul ricorso numero di registro generale 7493 del 2007, proposto:
dalla dott.ssa @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentata e difesa dall'avv.-
contro
Ministero dell'Interno, in persona del Ministro, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;
 
per la riforma
della sentenza del TAR LAZIO - ROMA :Sezione I-TER, n. 5062/2006, resa tra le parti, concernente PAGAMENTO DI DIFFERENZE RETRIBUTIVE, INTERESSI E RIVALUTAZIONE MONETARIA.


 
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'interno;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2010 il consigliere -
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.


 
FATTO
La dottoressa @@@@@@@ @@@@@@@ (vice questore aggiunto a riposo proveniente dal disciolto Corpo della Polizia Femminile) riferisce di aver proposto innanzi al T.A.R. del Lazio un ricorso (recante il n. 99/02) volto al riconoscimento del diritto alla ricostruzione del proprio trattamento economico a decorrere dal 1° gennaio 1999, considerando l’anzianità pregressa anche ai fini dei benefici economici di cui ai commi ventiduesimo e ventitreesimo della l. 1° aprile 1981, n. 121, con le relative classi e scatti di stipendi maturati e con il conseguente aggiornamento del trattamento pensionistico e la riliquidazione della differenza economica del trattamento di fine rapporto e del trattamento pensionistico fino a quel momento conseguito.
Con il medesimo ricorso la dottoressa @@@@@@@ agiva per sentir condannare il Ministero dell’interno al pagamento in proprio favore della somma corrispondente alla differenza fra il trattamento economico in concreto corrispostole e quello asseritamente spettante, oltre gli accessori di legge.
Con la pronuncia oggetto del presente gravame, il T.A.R. del Lazio respingeva il ricorso in questione, osservando:
- che la legge 1° aprile 1981, n. 121 (recante il nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza) aveva istituito un’unica figura di funzionario direttivo e dirigente, unificando nell’unitario Ruolo direttivo ordinario della Polizia di Stato il personale proveniente dai ranghi della P.S. e del Corpo di Polizia femminile;
- che, secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, i benefici di cui ai commi 21 e 22 della l. 121 del 1981 (secondo cui “ai funzionari del ruolo dei commissari ed equiparati della Polizia di Stato che abbiano prestato servizio senza demerito per 15 anni è attribuito il trattamento economico spettante al primo dirigente e a quelli che abbiano prestato servizio senza demerito per 25 anni è attribuito il trattamento economico spettante al dirigente superiore”) possono essere riconosciuti unicamente in favore dei soggetti inseriti nella carriera direttiva e che abbiano svolto in modo effettivo le relative funzioni per l’intero lasso temporale indicato dal richiamato comma 22;
- che, tuttavia “poiché non sussiste equiparazione tra il servizio prestato nell’ex carriera speciale di concetto della polizia femminile [come nel caso dell’odierna appellante,.] e quello della carriera direttiva, la ricorrente non ha diritto a conseguire la richiesta ricostruzione di carriera”.
La pronuncia in questione veniva gravata in sede di appello dalla dottoressa @@@@@@@, la quale ne deduceva l’erroneità e ne chiedeva l’integrale riforma articolando un unico, complesso motivo di doglianza (‘Interpretazione secondo Costituzione e, in subordine, questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, legge n. 356/00 e 7, commi 1 e 2, d.lgs. 201/01 per contrasto con gli artt. 3, 37, 97 e 51 della Costituzione’)
Si costituiva in giudizio il Ministero dell’interno, il quale concludeva nel senso della reiezione del gravame.
All’udienza pubblica del giorno 15 gennaio 2010 i procuratori delle parti costituite rassegnavano le proprie conclusioni ed il ricorso veniva trattenuto in decisione.
DIRITTO
1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto da una appartenente al Ruolo direttivo ordinario della Polizia di Stato (proveniente dal disciolto Corpo di Polizia Femminile) avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio con cui è stato respinto il ricorso volto ad ottenere il riconoscimento dei benefici di cui ai commi 22 e 23 dell’art. 43, l. 121 del 1981 attraverso l’integrale riconoscimento (anche ai fini economici e pensionistici) del periodo prestato in qualità di assistente del Corpo di Polizia femminile quale servizio svolto nella carriera direttiva.
2. Con l’unico, complesso motivo di appello la dottoressa @@@@@@@ lamenta che la pronuncia oggetto di gravame abbia omesso di considerare che le appartenenti alla carriera delle assistenti del disciolto Corpo di Polizia femminile svolgessero mansioni e funzioni in tutto equiparabili a quelle degli appartenenti alla carriera degli Ufficiali di P.S. e che, una volta disposto ex lege che i due contingenti confluissero nell’unitario Ruolo Direttivo Ordinario della Polizia di Stato, fosse giocoforza che l’inquadramento avvenisse in modo omogeneo e senza ingiustificate discriminazioni fra dipendenti provenienti da carriere funzionalmente assimilabili.
Alcuni indici normativi in tal senso sarebbero rappresentati:
- dalla lettera m) dell’art. 143, l. 121 del 1981, il quale prevedeva l’erogazione di un identico assegno personale di funzione sia per le assistenti e le assistenti principali del Corpo di Polizia femminile, che per i sottotenenti, tenenti ed equiparati di P.S.;
- dagli articoli 4 e 137 della l. 312 del 1980 i quali, in sede di primo inquadramento nell’ambito delle nuove qualifiche funzionali, avrebbero attribuito una qualifica omogenea (la sesta) per le assistenti del Corpo di Polizia femminile e i sottotenenti di P.S. ed una diversa qualifica, parimenti omogenea (la settima) per le assistenti principali e le assistenti Capo del Corpo di Polizia femminile e per i tenenti e i capitani della P.S.;
- dalle disposizioni legislative e regolamentari che, nel corso degli anni, avevano riconosciuto alle assistenti della Polizia Femminile coefficienti retributivi pari o superiori rispetto a quelli riconosciuti agli Ufficiali di P.S.;
Conseguentemente, la pronuncia in esame risulterebbe erronea per la parte in cui ha ritenuto che le previsioni di cui al comma 1 dell’art. 3, l. 30 novembre 2000, n. 356 (in tema di incremento della retribuzione individuale di anzianità per i funzionari delle Forze di Polizia provenienti dalle ex carriere militari) e di cui al comma 1 dell’art. 7, d.lgs. 3 maggio 2001, n. 201 (di modifica dell’art. 65-bis del d.lgs. 5 ottobre 2000, n. 334, in tema di ulteriore incremento della retribuzione individuale di anzianità), laddove lette in combinato disposto con la previsione di cui all’art. 43 della l. 121 del 1981, non troverebbero applicazione nei confronti delle ex assistenti del Corpo di Polizia femminile (bensì, unicamente nei confronti degli funzionari dei ruoli dei Commissari ed equiparati provenienti dai ruoli degli Ufficiali di P.S.).
Ancora, l’interpretazione fornita dal T.A.R. (relativa alla non equiparabilità delle assistenti del Corpo di Polizia femminile agli ufficiali di P.S. in relazione alle previsioni di cui alla l. 356 del 2000 e del d.lgs. 201 del 2001, per ciò che attiene ai benefici di cui all’art. 43 della l. 121 del 1981) risulterebbe inconciliabile con le previsioni di cui all’art. 43-bis del d.l. 3 maggio 2001, n.157 (come modificato dalla relativa legge di conversione), in tema di determinazione dello stipendio per i funzionari del ruolo dei commissari ed equiparati della Polizia di Stato destinatari delle previsioni di cui al richiamato art. 43 della l. 121 del 1981.
Ed ancora, il principio della piena equiparabilità del servizio svolto in qualità di assistenti del disciolto Corpo di Polizia femminile al servizio svolto in qualità di Ufficiale di P.S. sarebbe evincibile da due pronunce della Corte costituzionale (la n. 219 del 1993 e la n. 248 del 1989).
Ad ogni modo, laddove il richiamato quadro normativo (e, segnatamente, le previsioni di cui le previsioni di cui alla l. 356 del 2000 ed al d.lgs. 201 del 2001) fosse da leggere effettivamente nel senso di non ammettere l’equiparabilità del servizio svolto in qualità di Assistente del Corpo di Polizia Femminile con il servizio svolto in qualità di Ufficiale di P.S., ebbene il richiamato quadro normativo dovrebbe essere necessariamente dichiarato costituzionalmente legittimo per violazione:
- dei parametri costituzionali (art. 3 e 97) i quali postulano un pari trattamento normoeconomico a fronte di mansioni e funzioni lavorative lato sensu assimilabili;
- della disposizione costituzionale (art. 37) che vieta ogni ingiustificata differenziazione fra il trattamento riservato alla lavoratrice ed al lavoratore (principio, quest’ultimo, riconosciuto anche dall’ordinamento comunitario).
In definitiva, la sentenza in questione risulterebbe erronea per avere omesso di valutare che l’odierna appellante, sin dal suo ingresso nella speciale carriera di concetto del Corpo di Polizia femminile, avesse sempre svolto funzioni direttive, mai ascrivibili alla mera carriera di concetto (ricorso in appello, pag. 13)
Ciò, in quanto il carattere sostanzialmente unitario delle carriere di concetto e direttiva nell’ambito del Corpo di Polizia femminile (ivi, pag. 13) giustificherebbe (rectius: imporrebbe) il riconoscimento dell’intero periodo di servizio svolto nell’ambito della speciale carriera di concetto di cui sopra come carriera direttiva ab initio.
Da ultimo, l’appellante osserva che un’altra conferma delle proprie tesi sarebbe rinvenibile nell’ambito dei lavori parlamentari che hanno condotto alla promulgazione della l. 356 del 2000 (in specie: d.d.l. AC 4699).
Verrebbe in rilievo, in particolare, l’emendamento proposto dalle competenti commissioni I e IV della Camera (e non trasfuso nel testo finale per carenza di copertura finanziaria), rubricato ‘Trattamento pensionistico del personale in servizio e in quiescenza già appartenuto al disciolto Corpo di Polizia Femminile’ (secondo la disposizione in parola “alle appartenenti alla Polizia di Stato provenienti dal ruolo assistenti del disciolto Corpo di polizia femminile di cui alla legge 7 dicembre 1959, n. 1083, che hanno ottenuto l'immissione nel ruolo dei commissari della Polizia di Stato a seguito del superamento delle procedure concorsuali previste per l'accesso a tale ruolo, ancorché cessate dal servizio alla data di entrata in vigore della presente disposizione, ai soli effetti della liquidazione del trattamento pensionistico e dell'indennità di buonuscita, è disposta la ricostruzione teorica del trattamento economico percepito in attività di servizio computando gli anni di servizio prestato nel sopracitato ruolo delle assistenti del disciolto Corpo di polizia femminile ai fini dell'applicazione del beneficio previsto dall'articolo 43, commi 22 e 23, della legge 1o aprile 1981, n. 121”).
Secondo l’appellante, la mancata trasfusione in legge della disposizione in parola non potrebbe comunque indurre a negare che essa costituisse espressione di un principio di portata generale, né potrebbe ammettersi che la mera incapienza delle risorse finanziarie nell’ambito del bilancio pubblico possa ex se condurre a negare il riconoscimento di precisi diritti di fonte costituzionale.
2.1. I motivi dinanzi richiamati, che possono essere esaminati in modo congiunto, non possono trovare accoglimento.
2.1.1. In primo luogo, il Collegio osserva che l’esame della vicenda di causa (volta, in ultima analisi, ad ottenere una favorevole applicazione delle previsioni di cui all’art. 43 della l. 121 del 1981) debba necessariamente prendere le mosse dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il periodo di quindici anni senza demerito necessario per risultare beneficiari del trattamento economico del primo dirigente debba essere necessariamente trascorso per intero nelle qualifiche ricadenti dell’ambito della ex carriera direttiva (sul punto –ex plurimis -: Cons. Stato, Sez. IV, sent. 15 novembre 2004, n. 7432).
Conseguentemente, le tesi della parte appellante potrebbero trovare accoglimento solo laddove si potesse concludere nel senso che lo svolgimento di attività lavorativa in qualità di Assistente del soppresso Corpo di Polizia femminile sia assimilabile in concreto ad un servizio svolto nella ex carriera direttiva.
2.1.2. Ad avviso del Collegio, non sussistono ragioni sufficienti per affermare una siffatta assimilabilità, atteso che (pur nell’ambito di un quadro normativo non del tutto lineare nei suoi assetti di fondo) gli indici deponenti nel senso dell’ascrizione della richiamata attività nell’ambito della ex carriera di concetto appaiono comunque prevalenti rispetto agli indici deponenti nel senso dell’assimilazione alla ex carriera direttiva.
Non a caso, la giurisprudenza che sino a oggi ha avuto modo di occuparsi della questione ha prevalentemente concluso nel senso della non assimilabilità dell’attività svolta dalle assistenti del Corpo di Polizia femminile ai profili tipici della ex carriera direttiva (in tal senso: Cons. Stato, Sez. IV, sent. 30 dicembre 2003, n. 9241; id., Sez. IV, sent. 14 ottobre 1997, n. 1184).
2.1.3. Un primo argomento nel senso indicato al punto 2.1.2. è di carattere testuale e positivo: non è, infatti, dubitabile che, sino al momento della soppressione del Corpo di Polizia femminile, la figura professionale delle assistenti fosse inclusa nell’ambito di un’unica carriera speciale di concetto, sia pure nell’ambito di un peculiare ordinamento professionale.
Già sotto tale profilo emerge con evidenza che l’accoglimento delle tesi di parte appellante postulerebbero la (invero, ardua) necessità di scardinare – attraverso argomenti necessariamente univoci e dirimenti – un dato ordinamentale quanto mai indicativo (l’ascrizione del ruolo delle assistenti nell’ambito di una carriera di concetto, sia pure sui generis).
2.1.4. Quanto agli argomenti di carattere economico addotti dall’odierna appellante (ci si riferisce alla circostanza per cui alle assistenti di Polizia Femminile sono stati riconosciuti nel corso degli anni assegni personali di funzione e coefficienti retributivi pari o superiori a quelli attribuiti agli Ufficiali di P.S.), il Collegio osserva che tale circostanza, di per sé sola, non possa rappresentare un indice univoco idoneo ad testimoniare il carattere effettivamente direttivo delle mansioni svolte dalle assistenti in questione.
Si ritiene, al riguardo, di richiamare il condivisibile orientamento giurisprudenziale secondo cui anche nel rapporto di lavoro con le pubbliche Amministrazioni deve escludersi l'esistenza di un rigido principio di parità di trattamento retributivo a parità di mansioni e qualifiche. Con la conseguenza che le differenze retributive risultino legittime, finché non siano poste in essere in attuazione di discriminazioni espressamente vietate dalla legge (in tal senso –ex plurimis -: Cons. Stato, Sez. VI, sent. 3 ottobre 2007, n. 5096; id., Sez. VI, sent. 8 novembre 2005, n. 6211)..
Correlativamente, non può essere condiviso l’argomento secondo cui un pari trattamento economico rappresenterebbe ex se una prova irrefutabile dell’assimilabilità ontologica fra differenti posizioni lavorative, ben essendo possibile – al contrario – che ad un pari livello retributivo corrispondano (sia pure, entro il richiamato limite della non discriminazione) livelli differenziati di inquadramento funzionale (nel caso di specie, ci si riferisce alla differenza fra il livello della carriera speciale di concetto delle assistenti di Polizia femminile ed il livello – direttivo - degli Ufficiali di P.S.).
2.1.5. Neppure può trovare accoglimento l’argomento fondato sulle previsioni di cui agli articoli 4 e 137 della l. 312 del 1980, il cui combinato disposto avrebbe comportato l’attribuzione di un inquadramento omogeneo (da un lato) delle assistenti con i sottotenenti di P.S. (i quali sarebbero stati entrambi inquadrati nella VI q.f.) e (dall’altro) delle assistenti principali ed assistenti capo con i tenenti a capitani di P.S. (i quali sarebbero stati tutti inquadrati nella VII q.f.).
In contrario, si osserva che l’art. 137 della l. 312, cit. (richiamato dall’appellante) disciplina la diversa questione degli stipendi annui lordi iniziali dei militari (sino al grado di tenente colonnello compreso) a decorrere dal 1° gennaio 1978 e non postula – contrariamente a quanto affermato dall’appellante – l’invocata assimilazione funzionale.
In definitiva, anche in questo caso il motivo di doglianza risulta non condivisibile, in quanto prende le mosse da un mero dato economico-retributivo il quale (per le ragioni dinanzi esposte sub 2.1.4.) non può assumere rilievo dirimente nel senso della pretesa equiparazione.
2.1.6. Neppure può essere condiviso l’argomento secondo cui l’assimilabilità fra le assistenti del soppresso Corpo di Polizia femminile e gli Ufficiali di P.S. (rectius: il carattere ontologicamente direttivo dell’attività svolta dalle prime) emergerebbe dalle pronunce della Corte costituzionale n. 219 del 1993 e 248 del 1989.
Quanto alla prima delle richiamate pronunce, si osserva che la Consulta era stata chiamata a giudicare della conformità a Costituzione di un sistema normativo di transito alla qualifica di commissario del ruolo dei commissari della Polizia di Stato il quale riconosceva un indubbio vantaggio alle assistenti del soppresso Corpo di Polizia femminile rispetto agli ex marescialli (inquadrati nella terza e quarta qualifica del ruolo degli Ispettori).
Ebbene, l’argomento utilizzato dalla Corte per affermare la conformità a Costituzione del richiamato modello normativo non era basato sull’assimilazione fra le assistenti della ex carriera speciale di concetto e i funzionari della carriera direttiva, quanto – piuttosto – sulla complessiva non irragionevolezza del sistema delineato dal legislatore, il quale ben poteva (sia pure, nei limiti della non irragionevole discriminazione, riservare a situazioni diverse trattamenti sostanziali differenziati).
Appare dirimente, al riguardo, osservare che la Corte si è nell’occasione limitata a confermare la legittimità di un modello il quale consentiva, sì, al personale della carriera di concetto (le assistenti) di transitare ala carriera direttiva, ma pur sempre all’esito di una procedura concorsuale idonea a giustificare il passaggio ad una diversa e poziore posizione lavorativa (e non già a riconoscere ipso facto il carattere direttivo dell’attività svolta nell’ambito della carriera di concetto di provenienza).
2.1.7. Ed ancora, non sembra che argomenti a supporto della tesi dell’odierna appellante possano essere desunte dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 248 del 1989.
Nel caso di specie la Consulta era stata chiamata a giudicare di una disposizione primaria (l’art. 17 del d.l. 6 giugno 1981, n. 283) il quale aveva recato un’ingiustificata disparità di trattamento fra diverse categorie di ufficiali a seconda della carriera di provenienza.
Si tratta, come è evidente, di una fattispecie ben diversa da quella all’origine della presente pronuncia, nell’ambito della quale l’appellante non invoca la parità di trattamento fra livelli lavorativi formalmente omogenei, quanto piuttosto l’equiparazione per saltum di un livello di inquadramento formalmente inferiore per asserite ragioni di omogeneità funzionale rispetto ai livelli superiori.
2.1.8. Si osserva, poi, che argomenti in favore della tesi dell’appellante non posano essere desunti neppure dall’esame degli atti parlamentari che hanno condotto alla promulgazione della l. 356 del 2000.
In particolare (e contrariamente a quanto ritenuto dall’appellante), non sembra che un argomento decisivo in favore della tesi dell’appellante possa essere desunto dalla mancata inclusione nel testo finale della legge della previsione di cui all’art. 3-bis (il quale, laddove trasfuso in legge, avrebbe comportato che le appartenenti alla Polizia di Stato provenienti dal ruolo delle assistenti del disciolto Corpo di Polizia femminile le quali avessero ottenuto l’immissione nel ruolo dei commissari della Polizia di Stato, avrebbero avuto titolo alla ricostruzione teorica del trattamento economico percepito nel corso del servizio, computando gli anni del servizio prestato nel richiamato Corpo ai fini dell’applicazione del beneficio di cui all’art. 43 della l. 121 del 1981).
Al riguardo, ci si limiterà ad osservare che la vicenda dell’emendamento in questione testimonia:
- per un verso, che gli Organi legislativi fossero consapevoli che, in assenza di un’espressa previsione legislativa, l’estensione del beneficio di cui all’art. 43, cit. ad ipotesi assimilabili a quella dell’odierna appellante non fosse possibile de jure (iam) condito;
- per altro verso, che gli stessi Organi legislativi abbiano consapevolmente deciso di non trasfondere l’emendamento in questione nel resto finale della legge, in tal modo rendendo definitivamente non invocabile il richiamato beneficio a situazioni sostanziali quale quella di interesse dell’odierna appellante.
2.1.9. Da ultimo, il Collegio deve farsi carico dell’argomento con cui l’appellante ipotizza che il complessivo quadro normativo nazionale in tema di riconoscimento dei benefici normoeconomici in favore delle ex appartenenti al Corpo di Polizia Femminile inquadrate nell’ambito della speciale carriera di concetto delle assistenti (art. 3 della l. 356 del 2000 ed art. 7 del d.lgs. 201 del 2000, in relazione all’art. 43 della l. 121 del 1981) risulterebbe in violazione dei parametri costituzionali di cui agli articoli 3 (parità di trattamento), 37 (tutela della lavoratrice), 51 (uguaglianza nell’accesso agli impieghi pubblici) e 97 (buon andamento ed imparzialità nella gestione della cosa pubblica).
La ipotizzata questione di legittimità costituzionale appare manifestamente infondata, se solo si osservi che, sulla base di quanto sin qui esposto (dal num. 2.1.1. al n. 2.1.8.), non emerge nel caso di specie alcun indice effettivo il quale deponga nel senso di un trattamento normoeconomico deteriore a fronte di situazioni lato sensu assimilabili.
Al contrario, deve trovare nel caso di specie applicazione il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo cui la pertinente disciplina normativa ben può (e con piena salvaguardia dei richiamati parametri costituzionali) introdurre discipline differenziate a fronte di situazioni sostanziali non assimilabili - e conseguentemente legittimanti un trattamento normativo diversificato -, a condizione che il diverso trattamento normativo in tal modo introdotto non travalichi il limite della ragionevolezza (limite che, nel caso di specie, appare ictu oculi non violato alla luce delle considerazioni svolte infra, sub 2.1.1. – 2.1.8.).
3. Per le considerazioni che precedono l’appello in epigrafe deve essere respinto.
Il Collegio ritiene che sussistano giusti motivi per disporre l’integrale compensazione delle spese di lite fra le parti.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 gennaio 2010 con l'intervento dei Signori:


Giuseppe Barbagallo, Presidente
Paolo Buonvino, Consigliere
Roberto Garofoli, Consigliere
Bruno Rosario Polito, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere, Estensore




   
   
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
   
   
   
   
   
Il Segretario

 
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 09/03/2010
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Dirigente della Sezione


 

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