Il lavoratore in caso di trasferimento illegittimo, ha diritto al risarcimento del danno
- Ma ne deve provare l'esistenza (Cassazione Sezione Lavoro n. 7350 del 26 marzo 2010, Pres. Vidiri, Rel. Curzio).
- Ma ne deve provare l'esistenza (Cassazione Sezione Lavoro n. 7350 del 26 marzo 2010, Pres. Vidiri, Rel. Curzio).
LAVORO (RAPPORTO DI)
Cass. civ. Sez. lavoro, 26-03-2010, n. 7350
Cass. civ. Sez. lavoro, 26-03-2010, n. 7350
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Banca Intesa spa ricorre per cassazione contro la sentenza della Corte d'Appello di Venezia, pubblicata il 15 marzo 2006, che ha respinto l'appello contro la decisione con la quale il Tribunale di Vicenza aveva accolto il ricorso di M.E., dipendente della Banca ed aveva dichiarato illegittimo il suo trasferimento dalla filiale di (OMISSIS) alla filiale di (OMISSIS) del (OMISSIS), condannando la Banca alla reintegrazione nella filiale di provenienza ed al pagamento della indennità di trasferta per il periodo di lavoro prestato a (OMISSIS).
Il ricorso è articolato in due motivi e si conclude con la seguente richiesta: "rigettare tutte le domande, pretese ed istanze formulate dal M." e, "in subordine, cassare la sentenza, con tutti i consequenziali provvedimenti".
Il M. ha depositato controricorso, chiedendo il rigetto dell'impugnazione. Ha anche presentato una memoria.
Il primo motivo di ricorso attiene alla legittimità del trasferimento. La sentenza viene censurata per "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Violazione e falsa applicazione dell'art. 2103 c.c.". Nella esposizione del motivo la ricorrente rileva di aver dedotto due precise circostanze: che il carico delle pratiche di Tiene evidenziava la necessità dell'adibizione di un addetto all'estero; che presso tale filiale il M. doveva eseguire le stesse operazioni che egli doveva eseguire a (OMISSIS); assume di aver provato tali circostanze, riconosciute dallo stesso M. ed assume che la sentenza ha omesso la motivazione sul punto.
In una seconda parte del motivo, la banca ricorrente denunzia la violazione dell'art. 2103 c.c., perchè "la sentenza è entrata nel merito della soluzione prescelta dall'imprenditore sindacandone l'opportunità".
In subordine la ricorrente sostiene che sussistono le ragioni tecniche, organizzative e produttive che rendevano "ulteriormente necessario e comunque gestionalmente opportuno" il trasferimento: a tal fine nel ricorso viene riesaminato il quadro probatorio ed in particolare la prova testimoniale.
Il motivo non è fondato. L'omissione di motivazione non c'è. La sentenza presenta una motivazione articolata e razionale. Focalizzato il problema giuridico centrale consistente nella verifica della sussistenza delle ragioni tecnico produttive indicate dalla banca a fondamento del trasferimento, la Corte ha precisato che tale verifica doveva limitarsi a accertare la sussistenza di tali ragioni, senza entrare nel merito delle scelte organizzative discrezionali.
Attenendosi a tali criteri guida, la Corte ha valutato, con argomentazioni congruenti, precise nei riferimenti all'istruttoria svolta in primo grado e prive di contraddizioni, che tali ragioni non risultavano sussistenti (la vacanza del posto poi assegnato al M. non vi era; la banca non aveva provato che il M. non stava facendo un buon lavoro ad (OMISSIS) e non appariva idoneo a gestire la transizione in modo efficace; mancava la connessione temporale tra la costituzione del NOEM, ufficio accentrato a Vicenza per le operazioni estero, è ed il trasferimento).
Il vizio di motivazione pertanto non sussiste e quelle che vengono prospettate dalla banca ricorrente sono valutazioni diverse del quadro probatorio, non proponibili in sede di giudizio di legittimità.
Tanto meno sussiste la violazione di legge, perchè la Corte non ha sindacato nel merito le ragioni tecniche, produttive ed organizzative poste a fondamento del trasferimento, ma ha solo verificato che tali ragioni sussistessero.
Il secondo motivo concerne la condanna della banca a corrispondere al M. per il periodo di lavoro svolto a (OMISSIS) la diaria, cioè l'indennità di trasferta.
Il Tribunale ha rigettato il capo della domanda con il quale il lavoratore chiedeva il risarcimento per il trasferimento illegittimo ritenendo non provato il relativo danno ed ha invece condannato la banca a corrispondere l'indennità di trasferta per il periodo di lavoro svolto a (OMISSIS) in forza del trasferimento illegittimo.
La Corte ha confermato tale soluzione. Premesso che il trasferimento è una modifica di sede di lavoro definitiva, mentre la trasferta è una modifica di sede provvisoria, ha ritenuto che il periodo di effettivo lavoro del M. presso la filiale di (OMISSIS) in forza del trasferimento illegittimo dovesse essere considerato come spostamento provvisorio, quindi come trasferta, con diritto alla percezione del compenso per le trasferte previsto dalla contrattazione collettiva, ossia come trasferta. Ha inoltre ritenuto che non vi fosse contraddizione rispetto alla mancata dimostrazione del danno, poichè le diarie di trasferta spettano indipendentemente da tale prova. La banca ricorrente denunzia un vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e una violazione di legge, e precisamente dell'art. 1424 c.c.. Formula il quesito di diritto, anzi formula più quesiti, il che non rende inammissibile il ricorso, come sostiene controparte in memoria, posto che a ciascun motivo non è detto che debba corrispondere un quesito unico e rilevato che i quesiti sono formulati in modo congruo, focalizzando le questioni di diritto che devono essere esaminate. Nell'illustrare la sua tesi la banca ricorrente assume che non poteva essere condannata a corrispondere l'indennità di trasferta, posto che non si trattava di trasferta ed i giudici di merito hanno applicato una norma, l'art. 1424 c.c., in assenza dei due presupposti che la connotano: il rapporto di continenza tra il negozio nullo e quello che dovrebbe sostituirlo; la volontà delle parti orientata a sostituire la trasferta al trasferimento conosciuta la nullità del primo negozio.
La difesa del M. ribatte rilevando che invece sussistono i presupposti di cui all'art. 1424 c.c., applicabile agli atti unilaterali, ex art. 1324 c.c., in quanto il trasferimento è stato dichiarato nullo e il giudice "deve solo accertare che l'atto convertito risponda allo scopo perseguito con quello nullo, ossia la volontà di allontanare il M. dalla sede di (OMISSIS)".
Non è così. L'art. 1424 c.c., intitolato "conversione del contratto mallo", dispone: "il contratto nullo può produrre gli effetti di un contratto diverso, del quale contenga i requisiti di sostanza e di forma, qualora, avuto riguardo allo scopo perseguito dalle parti, debba ritenersi che esse lo avrebbero voluto se avessero conosciuto la nullità". La disposizione ai sensi dell'art. 1324 c.c., può essere effettivamente applicata anche agli atti unilaterali.
Qui si è in presenza di un atto unilaterale con il quale la banca ha disposto il trasferimento del M., atto che è stato impugnato dal M. è che è stato ritenuto illegittimo e quindi nullo per violazione dell'art. 2103 c.c.. Tuttavia, ciò non è sufficiente per la conversione perchè bisogna poi dimostrare che il soggetto che ha posto in essere l'atto unilaterale nullo, avrebbe voluto e disposto la trasferta, cioè lo spostamento di sede provvisorio e non definitivo. Sul punto effettivamente manca qualsiasi motivazione, ed anzi, dagli elementi presenti si desume che l'intento della banca era di spostare in modo stabile il dipendente a (OMISSIS).
In conclusione, in presenza di un trasferimento nullo, il lavoratore per conseguire oltre alla reintegrazione nella sede di provenienza, anche una condanna sul piano economico del datore di lavoro, deve dimostrare di aver subito un danno, patrimoniale o non patrimoniale, a causa del trasferimento illegittimo. Nel caso in esame, le decisioni di merito hanno ritenuto che tale prova non sia stata data.
Tale risultato allora non può essere conseguito, per via diversa, assumendo che il trasferimento si converte in una trasferta ex art. 1424 c.c., poichè gli istituti del trasferimento e della trasferta, pur implicando entrambi uno spostamento di sede, non sono omogenei, in quanto la differenza tra stabilità e provvisorietà è strutturale e corrisponde a finalità diverse. In ogni caso, perchè sia possibile la conversione ai sensi dell'art. 1424 c.c., è necessario dimostrare che il soggetto che ha disposto il trasferimento, qualora fosse stato consapevole della nullità dell'atto, avrebbe disposto la trasferta. In assenza di tale prova la conversione non può essere operata. Nel caso in esame tale prova non è stata data.
Pertanto, questo motivo di ricorso deve essere accolto e la Corte, decidendo nel merito, deve rigettare il relativo capo della domanda.
Poichè il M. ha comunque avuto ragione con riferimento alla parte più consistente della domanda, egli ha diritto alla rifusione integrale delle spese del presente giudizio di legittimità, restando confermate le precedenti statuizioni.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza nella parte relativa al motivo accolto e, decidendo nel merito, respinge la domanda relativa alla indennità di trasferta. Conferma le precedenti statuizioni sulle spese e condanna la Banca alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in Euro 36,00, nonchè 3.000,00 Euro per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali, con distrazione in favore dei procuratori dichiaratisi antistatali, avv.ti Claudio Mondin e Aldo Campesan. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2010.
Depositato in Cancelleria il 26 marzo 2010
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