T.A.R. Umbria OMISSIS Sez. I, Sent., (ud. 24/10/2023) 31-10-2023, n. 600
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l' Umbria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 385 del 2022, proposto dal signor -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato
contro
il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore, e il Comando provinciale dei Vigili del fuoco di OMISSIS, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di OMISSIS, nella cui sede in OMISSIS, via degli Offici n. 14, sono ex lege domiciliati, e con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per l'annullamento
previa sospensione cautelare,
- del decreto prot. -OMISSIS- (Reg. Uff. -OMISSIS-) emesso dalla Direzione centrale per le risorse umane del Dipartimento Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, notificato il -OMISSIS-, di non debenza della retribuzione né di altro compenso o emolumento, comunque denominati, incluse tutte le componenti della retribuzione, anche di natura previdenziale, per il periodo -OMISSIS- al personale del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco assente ingiustificato dal servizio;
- della nota prot. -OMISSIS-;
- del verbale n. -OMISSIS-;
- della nota prot. n. -OMISSIS-;
- del decreto n. -OMISSIS-;
- delle circolari ministeriali prot. n. -OMISSIS- del Dipartimento Vigili del fuoco e prot. n. -OMISSIS- del Capo del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco;
- di ogni altro atto/provvedimento a questi presupposto, connesso e conseguente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e del Comando provinciale Vigili del fuoco di OMISSIS;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 24 ottobre 2023 il dott. Davide De Grazia e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. - Con ricorso notificato il 17.06.2022 e depositato il 1.07.2022, il ricorrente, in servizio presso il -OMISSIS- del Comando dei Vigili del fuoco di OMISSIS, ha impugnato dinnanzi a questo Tribunale amministrativo regionale gli atti indicati in epigrafe, con i quali, essendo stata disposta la sua sospensione dall'attività lavorativa a causa del mancato assolvimento degli obblighi vaccinali per il Covid-19 e della conseguente mancata esibizione della c.d. certificazione verde, l'Amministrazione ha decretato che per il periodo di assenza ingiustificata dal lavoro non era dovuta la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominato, incluse tutte le componenti della retribuzione, anche di natura previdenziale, per un totale di giorni 47 (-OMISSIS-).
2. - Secondo il ricorrente, i provvedimenti impugnati sarebbero affetti da violazione degli artt. 1, 2, 3, 4, 32, 35, 36 e 77 della Costituzione, degli artt. 15 e 52, co. 1, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, del regolamento UE n. 953/2021, del D.L. n. 127 del 2021, del D.Lgs. n. 81 del 2008, del D.Lgs. n. 165 del 2001 ed eccesso di potere sotto diversi profili sintomatici.
In sintesi, il ricorrente deduce l'illegittimità delle disposizioni che prevedevano che il rilascio della certificazione verde fosse condizionata, tra l'altro, alla vaccinazione anti SARS-Cov-2, in quanto i preparati vaccinali non sarebbero capaci di immunizzare dal virus, ma solo di scongiurare le conseguenze severe della malattia, con la conseguenza che l'imposizione per legge dell'obbligo vaccinale sarebbe in contrasto con i canoni costituzionali della necessità, della proporzionalità, dell'adeguatezza e della temporaneità, comprimendo illegittimamente, seppur temporaneamente, il diritto al lavoro, senza apportare alcun beneficio alla salute individuale e collettiva. Da ciò deriverebbe l'illegittimità degli atti con i quali l'Amministrazione datrice di lavoro ha stabilito la non debenza della retribuzione né di altro compenso o emolumento, comunque denominato, anche di natura previdenziale, per la durata del periodo di sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa.
3. - L'Amministrazione intimata si è costituita in giudizio per resistere al ricorso ed ha depositato memoria di discussione.
4. - All'udienza pubblica del 24 ottobre 2023, viste le conclusioni delle parti come da verbale, la causa è stata trattenuta in decisione.
5. - Il ricorso è infondato.
5.1. - Con l'art. 4 del D.L. n. 44 del 2021, convertito con modificazioni dalla L. n. 76 del 2021, "in considerazione della situazione di emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2" è stato introdotto l'obbligo vaccinale per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario "al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell'erogazione delle prestazioni di cura e assistenza".
Per effetto dell'art. 2, co. 1, del D.L. n. 172 del 2021 (che ha inserito nel D.L. n. 44 del 2021 l'art. 4-ter), l'obbligo vaccinale è stato successivamente esteso, tra gli altri, al personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, degli organismi di cui alla L. n. 124 del 2007.
Il D.L. n. 52 del 2021 (c.d. "decreto riaperture"), all'art. 9-quinquies, aveva già dettato disposizioni sull'impiego delle certificazioni verdi Covid-19 nel settore pubblico, disponendo che dal 15.10.2021 al 31.12.2021 (termine, quest'ultimo, successivamente più volte prorogato fino al 30.04.2022), al fine di prevenire la diffusione dell'infezione da SARS-CoV-2, al personale delle amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, co. 2, del D.Lgs. n. 165 del 2001, nonché al personale di cui all'art. 3 del medesimo decreto legislativo ed al personale delle autorità amministrative indipendenti, degli enti pubblici economici e degli organi di rilievo costituzionale, ai fini dell'accesso ai luoghi di lavoro, era fatto obbligo di possedere e di esibire, su richiesta, la certificazione verde Covid-19 di cui all'art. 9, co. 2.
Il comma 6 del citato art. 9-quinquies stabiliva che, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, il suddetto personale, nel caso in cui avesse comunicato di non essere in possesso della certificazione verde Covid-19 o fosse comunque risultato privo della stessa al momento dell'accesso al luogo di lavoro, sarebbe stato considerato assente ingiustificato fino alla presentazione della predetta certificazione, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro e che per i giorni di assenza ingiustificata lo stesso personale non avrebbe avuto diritto alla retribuzione né ad altro compenso o emolumento, comunque denominati.
5.2. - Il ricorrente contesta la legittimità della privazione della retribuzione e di tutti i correlati emolumenti, comunque denominati, dovuta alla sospensione dell'attività lavorativa per assenza ingiustificata disposta dall'Amministrazione datrice di lavoro a seguito del suo rifiuto di adempiere l'obbligo vaccinale, deducendone il contrasto con le norme costituzionali e sovranazionali più sopra richiamate.
5.3. - In vero, la Corte costituzionale, con la sentenza n. 14 del 2023, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, co. 1 e 2, del D.L. n. 44 del 2021, come convertito, che introduce l'obbligo vaccinale per la prevenzione dell'infezione da SARS-CoV-2 per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario e la sospensione di costoro dall'esercizio della professione in caso di inadempimento.
La Corte ha infatti ritenuto che il legislatore abbia operato un bilanciamento tra la dimensione individuale e quella collettiva del diritto alla salute non irragionevole e non sproporzionato, a fronte di un virus respiratorio altamente contagioso, diffuso in modo ubiquo nel mondo, caratterizzato da rapidità e imprevedibilità del contagio. Da un lato, infatti, le condizioni epidemiologiche esistenti al momento dell'introduzione dell'obbligo vaccinale (attestate dalla dichiarazione dell'Organizzazione mondiale della sanità) erano gravi e imprevedibili; dall'altro, la scelta del legislatore di introdurre il suddetto obbligo vaccinale era da ritenersi suffragata e coerente rispetto alle conoscenze medico-scientifiche del momento, tenendo anche conto che la tempestività della risposta all'evoluzione della curva epidemiologica è fattore decisivo ai fini della sua efficacia e che tutte le volte che una decisione implichi valutazioni tecnico-scientifiche, la scelta tra le possibili opzioni che la scienza offre in quel momento storico è esercizio di discrezionalità politica che, nei limiti della sua ragionevolezza e proporzionalità, non può essere sostituita.
La misura doveva ritenersi, secondo la Corte, anche non sproporzionata, in primo luogo perché non risultavano, a quel tempo, misure altrettanto adeguate, dal momento che l'effettuazione periodica di test diagnostici avrebbe avuto costi insostenibili ed avrebbe comportato un intollerabile sforzo per il sistema sanitario, senza che l'esito del test fosse immediatamente disponibile rispetto al momento della sua effettuazione. In secondo luogo, la conseguenza del mancato adempimento dell'obbligo era rappresentata dalla sospensione dallo svolgimento dell'attività lavorativa, con reintegro al venir meno dell'inadempimento e, comunque, dello stato di crisi epidemiologica. La scelta del legislatore - che non rivestiva natura sanzionatoria - risultava quindi calibrata.
Peraltro, di norma la pratica vaccinale in Italia compete ai medici vaccinatori, adeguatamente formati e che assumono la decisione di procedere o meno con la vaccinazione dell'interessato e, comunque, nella fase dell'anamnesi pre-vaccinale era possibile stabilire la presenza di eventuali controindicazioni o di precauzioni rispetto alla vaccinazione, impregiudicato il diritto a un indennizzo in caso di eventi avversi comunque riconducibili al vaccino e ferma la responsabilità civile di cui all'art. 2043 c.c. per l'ipotesi di danno ulteriore imputabile a comportamenti colposi attinenti alle concrete misure di attuazione o addirittura alla materiale esecuzione del trattamento stesso.
5.4. - Quanto alla questione della non debenza della retribuzione o di altri compensi o emolumenti comunque denominati, con la coeva sentenza n. 15 del 2023 la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità relativa alla disposizione di cui all' art. 4-ter del D.L. n. 44 del 2021, nella parte in cui ha previsto che, per il periodo di sospensione, conseguente al mancato assolvimento dell'obbligo vaccinale, non sono dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati, ivi compreso l'assegno alimentare, tenuto conto del fatto che l'effetto previsto dalla citata disposizione (a differenza di quanto avviene in altri casi, come ad esempio in ipotesi di sospensione dal servizio a seguito della sottoposizione a procedimento penale o disciplinare) è la conseguenza della libera scelta del lavoratore di non vaccinarsi, scelta in ogni momento rivedibile.
Sotto altro e concorrente profilo, la Consulta ha ritenuto che, venendo temporaneamente meno la sussistenza del sinallagma funzionale del contratto, e dunque la causa della corresponsione del trattamento retributivo, non potrebbe configurarsi quale soluzione costituzionalmente obbligata l'accollo al datore di lavoro, in favore del lavoratore che non abbia inteso vaccinarsi e che sia perciò solo temporaneamente inidoneo allo svolgimento della propria attività lavorativa, di una provvidenza di natura assistenziale quale l'assegno alimentare, non costituente il corrispettivo dell'attività lavorativa svolta, atta a garantire la soddisfazione delle esigenze di vita del dipendente e della sua famiglia.
Posto cioè che l'erogazione dell'assegno alimentare rappresenta per il datore di lavoro un costo netto, senza corrispettivo, la Corte ha ritenuto non irragionevole che il legislatore ne abbia fatto a lui carico quando l'evento impeditivo della prestazione lavorativa abbia carattere oggettivo, e non anche quando l'evento stesso rifletta invece una scelta - pur legittima - del prestatore d'opera.
5.5. - Sebbene le due pronunce sopra citate abbiano riguardato la previsione dell'obbligo vaccinale per esercenti le professioni sanitarie, operatori di interesse sanitario e lavoratori impiegati in strutture residenziali, socioassistenziali e socio-sanitarie, i principi espressi dalla Corte costituzionale possono ritenersi pianamente estensibili alle altre categorie di lavoratori per le quali il legislatore, nella fase dell'emergenza pandemica, ha previsto analoghi obblighi di sottoposizione a vaccinazione, stabilendo conseguenze in tutto simili sullo svolgimento del rapporto di lavoro per l'ipotesi di mancato adempimento dell'obbligo vaccinale.
Peraltro, è la stessa Corte costituzionale, nella citata sentenza n. 15 del 2023, che ricostruisce il progressivo ampliamento della platea dei soggetti destinatari dell'obbligo di vaccinazione, contemplando anche il personale del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, della polizia locale, degli organismi di cui alla L. 3 agosto 2007, n. 124, e precisando che per detto personale "il comma 3 dell'art. 4-ter del D.L. n. 44 del 2021 prevedeva sempre che l'atto di accertamento dell'inadempimento determinasse l'immediata sospensione dal diritto di svolgere l'attività lavorativa, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro; e che per il periodo di sospensione, non fossero dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati; non era contemplato l'onere datoriale di adibire ad altre mansioni il lavoratore che non avesse voluto vaccinarsi. Anche tale personale è stato poi assoggettato alla disciplina dell'art. 4-ter.1".
Per quanto sopra, il collegio non può che condividere quanto ritenuto dalla giurisprudenza amministrativa in ordine alla necessaria estensione ai dipendenti pubblici operanti nei comparti della difesa, della pubblica sicurezza e del soccorso pubblico delle considerazioni riferite agli esercenti le professioni sanitarie e al personale della scuola, gravando anche a carico di tale personale, parimenti esposto al pubblico, i doveri di protezione e di solidarietà ribaditi dalla Consulta con riguardo agli esercenti le professioni sanitarie e il personale della scuola (cfr. TAR Marche, sez. I, 6 luglio 2023, n. 407).
6. - In conclusione, il ricorso deve essere respinto.
7. - Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per l'Umbria (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore dell'Amministrazione resistente delle spese di lite, che liquida nella misura di € 1.000,00 (euro mille/00) oltre oneri ed accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 (e degli articoli 5 e 6 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016), a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle sue generalità.
Così deciso in OMISSIS nella camera di consiglio del giorno 24 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati:
Pierfrancesco Ungari, Presidente
Daniela Carrarelli, Primo Referendario
Davide De Grazia, Referendario, Estensore
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