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venerdì 8 dicembre 2023

Cassazione 2023-"ingiunto loro di pagare Euro 6.026,00, oltre accessori, a titolo di sanzione amministrativa per la violazione della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 15, comma 2, ("Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"), "

 



Cass. civ. Sez. II, Ord., (ud. 29/11/2023) 05-12-2023, n. 33967 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 

SEZIONE SECONDA CIVILE 

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 

Dott. GRASSO Giuseppe - Presidente - 

Dott. CAVALLINO Linalisa - Consigliere - 

Dott. GIANNACCARI Rossana - Consigliere - 

Dott. GUIDA Riccardo - rel. Consigliere - 

Dott. CHIECA Danilo - Consigliere - 

ha pronunciato la seguente: 

ORDINANZA 

sul ricorso n. 9244/2022 proposto da: 

OMISSIS, OMISSIS, elettivamente domiciliati in Roma  

- Ricorrenti - 

Contro 

COMUNE DI OMISSIS, elettivamente domiciliato in Roma,  

- Controricorrente - 

Avverso la sentenza della Corte d'appello di Venezia n. 2811/2021 depositata il 17/01/2022. 

Udita la relazione svolta dal Consigliere Riccardo Guida nella camera di consiglio del 29 novembre 2023. 

Svolgimento del processo 

che: 

1. con ricorso depositato il 15/01/2020 davanti al Tribunale di Verona, OMISSIS e OMISSIS, soci della OMISSIS di OMISSIS e OMISSIS Snc, hanno proposto opposizione avverso l'ordinanza-ingiunzione del 14/11/2019, con la quale la polizia locale del Comune di OMISSIS (in seguito: "Comune") aveva ingiunto loro di pagare Euro 6.026,00, oltre accessori, a titolo di sanzione amministrativa per la violazione della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 15, comma 2, ("Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto"), in relazione al D.M. 6 settembre 1994, art. 1, punti 4, 4a. L'ordinanza era basata sul verbale di accertamento di infrazione del 17/12/2014, con il quale la polizia locale, all'esito del sopralluogo effettuato il 26/11/2014, presso il capannone agricolo della società OMISSIS Snc, aveva contestato l'omesso adempimento dell'obbligo di "effettuare/attuare il programma di controllo dello stato di conservazione delle strutture in cemento amianto che costituiscono la copertura del capannone adibito ad allevamento zootecnico e, nella fattispecie (...) la sua bonifica"; 

2. il Tribunale di Verona, con sentenza n. 251/2021, ha rigettato l'opposizione; la Corte d'appello di Venezia, con la sentenza indicata in epigrafe, pronunciata nel contraddittorio del Comune, ha rigettato l'appello dei soci della OMISSIS Snc; 

3. la Corte distrettuale, per quanto ancora rileva, ha così motivato la propria decisione: (i) la Regione Veneto, con Delib. G.R. n. 265 del 2011, applicabile in "presenza di materiali contenenti amianto in edificio o manufatti in genere", in forza della L. n. 257 del 1992, art. 10, comma 1, che demanda alle regioni l'adozione di "piani di protezione dell'ambiente, di decontaminazione, di smaltimento e di bonifica ai fini della difesa dai pericoli derivanti dall'amianto", ha predeterminato un criterio oggettivo di valutazione dello stato conservativo dei materiali contenenti amianto, mediante il calcolo dell'Indice di Degrado ("I.D."), fondato sulla combinazione di nove parametri, compreso quello della vetustà; (ii) su richiesta dell'amministrazione comunale, la società OMISSIS presentò una relazione tecnica (datata 02/05/2011), redatta dal tecnico incaricato (la FP Italia), che indicava un I.D. 32, che comportava una bonifica obbligatoria entro tre anni, con riferimento allo stato di manutenzione della copertura in cemento-amianto del capannone oggetto di causa. Inoltre, la FP Italia predispose un cronoprogramma - sottoscritto da OMISSIS quale legale rappresentante di OMISSIS Snc - che prevedeva la totale rimozione della copertura entro marzo 2014. Nel sopralluogo del 26/11/2014 la polizia locale ha accertato che tale rimozione non era stata effettuata e, quindi, con ordinanza n. 1/2015 (impugnata dagli appellanti davanti al TAR Veneto che, con sentenza 790/2021, aveva rigettato il ricorso), ha intimato l'esecuzione della bonifica; (iii) pertanto, il fatto contestato (omessa attuazione/esecuzione delle misure di sicurezza e, nello specifico, omessa bonifica della copertura del capannone) è provato; (iv) quanto alle censure degli appellanti in punto di non applicabilità delle sanzioni ad essi irrogate, la L. n. 257 del 1992, art. 15, comma 2, in forza del quale è stata emessa l'ordinanza-ingiunzione impugnata, sanziona l'inosservanza degli obblighi concernenti l'adozione delle misure di sicurezza previste dai decreti emanati ai sensi del precedente art. 6, commi 3 e 4. Il D.M. 6 settembre 1994 ("Normative e metodologie tecniche di applicazione della L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 6, comma 3, e art. 12, comma 2, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto"), all'art. 4 ("Programma di controllo dei materiali di amianto in sede - Procedure per le attività di custodia e di manutenzione") così dispone: "Dal momento in cui viene rilevata la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio, è necessario che sia messo in atto un programma di controllo e manutenzione al fine di ridurre al minimo l'esposizione degli occupanti. Tale programma implica mantenere in buone condizioni i materiali contenenti amianto, prevenire il rilascio e la dispersione secondaria di fibre, intervenire correttamente quando si verifichi un rilascio, verificare periodicamente le condizioni dei materiali contenenti amianto". L'art. 4a detta le prescrizioni relative al "programma di controllo"; (v) non è condivisibile l'interpretazione del D.M. citato, art. 4 proposta dagli appellanti, secondo cui, ai fini del rispetto della disposizione, sarebbe sufficiente la sola predisposizione e presentazione del programma di controllo e di manutenzione e non la sua attuazione. E questo perchè la norma non impone la sola "predisposizione", ma richiede che il programma sia "messo in atto" (art. 4, punto 1, contestato agli appellanti), con chiaro riferimento (appunto) non soltanto alla predisposizione, ma anche alla successiva fase dell'attuazione ed esecuzione del programma; (vi) la tesi secondo la quale il capannone non sarebbe "ad uso collettivo", per la mancanza di dipendenti, è stata tardivamente prospettata nel presente giudizio, e comunque contrasta con la relazione tecnica della FP Italia nella parte in cui si dà atto che "Il personale addetto alle lavorazioni all'interno del capannone è stato debitamente formato e informato sul rischio amianto", il che conferma l'applicabilità della disciplina del D.M. 6 settembre 1994, trattandosi di struttura suscettibile di "utilizzazione collettiva", nel senso di struttura nella quale operano più persone per lo svolgimento dell'attività lavorativa; 

4. per la cassazione della sentenza d'appello, OMISSIS e OMISSIS ricorrono con tre motivi; il Comune di OMISSIS resiste con controricorso. In prossimità dell'adunanza camerale le parti hanno depositato memorie. 

Motivi della decisione 

che: 

1. con il primo motivo di ricorso ("Violazione art. 25 Cost. e L. n. 689 del 1981, art. 1, e L. 27 marzo 1992, n. 257, art. 12 e art. 15, comma 2 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3"), i ricorrenti, in sintesi, censurano la sentenza impugnata che, discostandosi dai principi di tassatività e legalità delle sanzioni amministrative, a causa della non corretta esegesi della L. n. 257 del 1992, art. 15, comma 2 ha ritenuto legittima la sanzione irrogata dal Comune per l'inadempimento dell'obbligo di effettuare/attuare il programma di controllo, laddove la normativa di riferimento sanziona esclusivamente una diversa condotta omissiva, consistente nell'inosservanza dell'obbligo di adozione di specifiche misure di sicurezza ex art. 6 (commi 3 e 4), legge cit., che concernono le metodologie tecniche (c.d. precauzioni e prescrizioni) da adottare durante gli interventi di bonifica sulle coperture in cemento amianto, ma non sanziona l'omessa bonifica o l'omessa manutenzione del cemento amianto; 

2. con il secondo motivo ("Violazione art. 15, comma 2 e art. 2697 OMISSIS, L. n. 257 del 1992 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Inapplicabilità della L. n. 257 del 1992, art. 15, comma 2"), i ricorrenti censurano la sentenza impugnata che ha ritenuto applicabile il D.M. 6 settembre 1994, al quale rimanda la L. n. 257 del 1992, art. 15, comma 2, senza considerare che, nella specie, si tratta di un capannone agricolo e privato, gestito direttamente dai proprietari, che non rientra nella sfera di applicazione del D.M. 6 settembre 1994, in quanto non costituente un edificio ad uso collettivo, aperto al pubblico e destinato all'utilizzazione collettiva; 

3. con il terzo motivo ("Violazione artt. 91 e 92 c.p.c."), i ricorrenti auspicano che all'accoglimento dei precedenti motivi consegua la riforma della sentenza d'appello in punto di spese dei gradi di merito; 

4. il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato; 

4.1. innanzitutto (inammissibilità del motivo) con riferimento all'asserita violazione dell'art. 25, Cost., è il caso di ricordare l'insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte di legittimità (Sez. U., Sentenza n. 25573 del 12/11/2020, Rv. 659459 - 01; conf.: Cass. n. 15879 del 2018 Rv. 649017), secondo cui "(l)a violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell'applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l'eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata". Si aggiunga che la Corte, sempre ha sezioni unite (Sez. U., Sentenza n. 11167 del 06/04/2022, Rv. 664412 - 01) ha chiarito che la violazione o falsa applicazione delle norme costituzionali può essere prospettata direttamente come motivo di ricorso per cassazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), quando tali norme siano di immediata applicazione (situazione, questa, che non si verifica nel caso in esame), non essendovi disposizioni di rango legislativo di cui si possa misurare la conformità ai precetti della Carta fondamentale; 

4.2. in secondo luogo (infondatezza del motivo), il giudice d'appello, con motivazione densa e articolata, scevra di vizi logici, ha offerto un'interpretazione sistematica della normativa di riferimento, coerente con il dato letterale e con la ratio delle disposizioni in tema di cessazione dell'impiego dell'amianto, così sintetizzabile: il programma di controllo e di manutenzione dei materiali contenenti amianto può contemplare un intervento di bonifica, da attuarsi entro un certo termine (nella fattispecie concreta, tre anni), qualora non sia possibile ridurre altrimenti il rischio di danneggiamento dei materiali; in caso di mancata "messa in atto" del programma (compresa l'omessa bonifica), è applicata la sanzione amministrativa di cui alla L. n. 257 del 1992, art. 15, comma 2. Al riguardo è persuasivo lo snodo argomentativo della sentenza (cfr. pag. 13) che, a sostegno del rigetto del correlato motivo di appello, rimarca che "(l)a normativa in materia di amianto è finalizzata alla tutela della salute e alla prevenzione e contenimento dei rischi derivanti dall'amianto, sicchè anche la ratio della normativa non consente l'interpretazione formalistica sostenuta dagli appellanti, secondo i quali sarebbe sanzionata la sola mancata osservanza degli obblighi di natura formale (la predisposizione del programma), ma non la mancata esecuzione degli obblighi previsti nel programma di controllo e manutenzione"; 

5. il secondo motivo è inammissibile; 

5.1. la censura è diretta all'accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito - circa l'utilizzazione collettiva del capannone adibito ad allevamento zootecnico -, insindacabile in sede di legittimità, ma non critica la prima e dirimente ratio decidendi enunciata della Corte di Venezia, secondo cui l'eccezione in base alla quale il capannone non sarebbe stato destinato "ad uso collettivo", per la mancanza di dipendenti, era stata tardivamente prospettata, per la prima volta, nel giudizio d'appello; 

6. il terzo motivo è inammissibile; 

6.1. esso è privo di autonomia poichè non denuncia l'erroneità della decisione sulle spese, della quale si limita ad auspicare la cassazione quale effetto della ravvisata (ma, per le ragioni che precedono, insussistente) fondatezza del ricorso per cassazione; 

7. in conclusione, il ricorso è rigettato; 

8. le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza; 

9. ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis se dovuto. 

P.Q.M. 

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.100,00, più Euro 200,00, per esborsi, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli onorari di legge. 

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del citato art. 13, comma 1-bis se dovuto. 

Così deciso in Roma, il 29 novembre 2023. 

Depositato in Cancelleria il 5 dicembre 2023 


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