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venerdì 8 dicembre 2023

Tribunale 2023- I ricorrenti hanno riferito di avere prestato servizio per il Ministero della Giustizia per oltre trentasei mesi, ricoprendo le qualifiche di giudici onorari di tribunale (GOT), o vice procuratori onorari (VPO) o giudici di pace GDP), attualmente unificate da un unico regime giuridico con il D.Lgs. n. 116 del 2017, attuativo della legge delega n. 57/2016 sulla riforma organica della magistratura onoraria nel suo complesso.

 Tribunale 2023- I ricorrenti hanno riferito di avere prestato servizio per il Ministero della Giustizia per oltre trentasei mesi, ricoprendo le qualifiche di giudici onorari di tribunale (GOT), o vice procuratori onorari (VPO) o giudici di pace GDP), attualmente unificate da un unico regime giuridico con il D.Lgs. n. 116 del 2017, attuativo della legge delega n. 57/2016 sulla riforma organica della magistratura onoraria nel suo complesso.




Tribunale Roma Sez. II, Sent., 13-01-2021

Fatto - Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE RDINARIO DI ROMA

SEZIONE II CIVILE

Giudice Lilia PAPOFF

Il Giudice,

sciogliendo la riserva assunta nel procedimento sommario di cognizione ex art. 702 bis c.p.c. iscritto al n. 56477 del ruolo per gli affari contenziosi civili dell'anno 2017, promosso da:

x

RICORRENTI

x

TERZI INTERVENUTI

CONTRO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE

Con l'Avvocatura generale dello Stato

RESISTENTI


Svolgimento del processo - Motivi della decisione


INDICE DEGLI ARGOMENTI

1. DOMANDE DEI RICORRENTI E DEI TERZI INTERVENUTI

2. DIFESE DEI RESISTENTI

3. QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELLE DOMANDE E AMMISSIBILITA' DEGLI ATTI DI INTERVENTO

4. LEGITTIMAZIONE PASSIVA

5. QUALIFICAZIONE DEI MAGISTRATI ONORARI COME LAVORATORI A TEMPO DETERMINATO - NOZIONEEUROUNITARIA DI "LAVORATORE"

5.1. (SEGUE) IN PARTICOLARE LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DEL 16.7.2020 (CAUSA C-658/18)

6. NOZIONE DI LAVORATORE E APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 92/85/CE IN MATERIA DI TUTELA DELLA MATERNITÀ

7. LA RIFORMA DELLA MAGISTRATURA ONORARIA - D.LGS. N. 116 DEL 2017

8. LE VIOLAZIONI DELLA NORMATIVA COMUNITARIA

8.1. DIRETTIVA 2003/88/CE

8.2. DIRETTIVA 1992/85/CE

8.3. DIRETTIVA 1999/70/CE E ACCORDO QUADRO

8.3.1.LA RETRIBUZIONE - RAGIONI OGGETTIVE E TRATTAMENTO MENO

FAVOREVOLE - ANCORA CORTE DI GIUSTIZIA DEL 16.7.2020

8.3.2.ABUSIVA REITERAZIONE DEI RAPPORTI DI LAVORO

9. PRESCRIZIONE DEI DIRITTI

10. RISARCIMENTO DEI DANNI

11. AZIONE SUBORDINATA DI INDEBITO ARRICCHIMENTO

I DOMANDE DEI RICORRENTI E DEI TERZI INTERVENUTI

I ricorrenti hanno riferito di avere prestato servizio per il Ministero della Giustizia per oltre trentasei mesi, ricoprendo le qualifiche di giudici onorari di tribunale (GOT), o vice procuratori onorari (VPO) o giudici di pace GDP), attualmente unificate da un unico regime giuridico con il D.Lgs. n. 116 del 2017, attuativo della legge delega n. 57/2016 sulla riforma organica della magistratura onoraria nel suo complesso.

In base alla disciplina previgente l'art. 42 qu, inquies dell'Ordinamento giudiziario (R.D. n. 12 del 1941) prevedeva che la durata triennale dell'incarico di GOT e VPO potesse essere prorogata per una sola volta, ma i ricorrenti hanno prolungato il servizio a seguito delle numerose disposizioni legislative di proroga dei mandati emanate dall'anno 2003 per quanti non potevano avere un'ulteriore conferita (D.L. n. 354 del 2003, D.L. n. 273 del 2005, D.L. n. 95 del 2008, D.L. n. 193 del 2009, D.L. n. 225 del 2010, D.L. n. 212 del 2011, L. n. 228 del 2012, L. n. 147 del 2013, D.L. n. 150 del 2013, L. n. 208 del 2015).

Anche per i giudici di pace l'incarico ha avuto una durata eccedente i trentasei mesi, perché essi, oltre al quadriennio iniziale, come previsto dall'art. 7 e succ. modd. L. n. 374 del 1991, hanno ricevuto due conferme quadriennali e hanno goduto dei periodi di proroga previsti dai D.L. n. 212 del 2011, L. n. 228 del 2012, L. n. 147 del 2013, D.L. n. 150 del 2013, L. n. 208 del 2015.

I ricorrenti hanno lamentato di avere percepito, per l'esercizio delle medesime attività svolte dai magistrati ordinari, delle indennità la cui misura evidenzierebbe la discriminazione con questi ultimi, poiché non è stato applicato il principio sancito dalla normativa europea del pro rata temporis, ossia il frazionamento in trecentòsessantacinquesimi della retribuzione media lorda del magistrato ordinario e la moltiplicazione per il numero di giornate lavortive prestate dal magistrato onorario.

Inoltre hanno dedotto di non avere mai goduto di alcuna forma di tutela previdenziale o assistenziale, che non era stata pagata alcuna indennità nei periodi di ferie o in caso di assenza per maternità o malattia, né erano stat riconosciute prestazioni di fine servizio o pensionistiche di alcun tipo.

Le conferme o proroghe per periodi superiori a trentasei mesi sulla base delle varie disposizioni di legge configuravano pure un abuso degli incarichi a termine, nonché una violazione della Costituzione, e della normativa europea in materia di tutela dei lavoratori.

I ricorrenti hanno chiesto n1 presente giudizio il risarcimento dei danni, contestando alle controparti una responsabilità per inadempimento dell'obbligazione ex lege dello Stato italiano di esatto e tempestivo adempimento delle norme comunitarie.

In particolare, ritenendo di dovere essere considerati dei lavoratori subordinati, hanno dedotto le seguenti violazioni delle direttive comunitarie:

- l'assenza di limiti alla reiterazione di incarichi a termine nei confronti di uno stesso lavoratore, in violazione della direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato;

- la disparità di trattamento rispeto ai magistrati professionali, in tema di retribuzione, di indennità di fine rapporto e. di regimi di sicurezza sociale; sempre in violazione della direttiva 1999/70/CE;

- il mancato riconoscimento di un pejiodo di ferie annuali retribuite, in violazione della direttiva 2003/88/CE sull'orario di lavoro;

- il mancato riconoscimento del congedo di maternità, in violazione della direttiva 1992/85/CEE sulla maternità o - a secorda della natura del servizio prestato - della direttiva 2010/41/UE sulla parità di trattamento tra uomini e donne che esercitano un'attività di lavoro autonomo.

Vi sarebbe stata inoltre la violazione degli artt. 4 e 10 della Carta comunitaria dei diritti fondamentali dei lavoratori che riconoscono i medesimi diritti alla non discriminazione, alla idoneità del trattamento retributivo ed alla protezione sociale, nonché, nei confronti dei magistrati onorari che non dispongono della copertura sociale alternativa, la violazione dell'art. E (non discriminazione), in combinato disposto con l'art. 12 1 (sicurezza sociale) della Carta sociale europea.

La condotta illecita dello Stato italiano si sarebbe protratta nonostante l'entrata in vigore della cosiddetta "riforma" della magistratura onoraria che, invece di attuare il diritto europeo, aveva reso strutturale il precariato, persistendo nell'omessa ottemperanza alle norme internazionali.

I ricorrenti hanno pertanto chiesto:

" 1) in via principale accertare e dichiarare che lo Stato italiano e per esso le convenute Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero della Giustizia e Ministero dell'economia e delle finanze dovevano eseguire nei termini previsti la direttiva 2003/88/CE sull'orario di lavoro e sul riconoscimento di un periodo di ferie annuali retribuite; la direttiva 92/85/CEE sulla maternità e sul riconoscimento del congedo di maternità; la direttiva 2010/41/UE sulla parità di trattamento tra uomini e donne che esercitano un'attività di lavoro autonomo; la direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato, sui limiti alla reiterazione di incarichi a termine nei confronti di uno stesso lavoratore e sul divieto di disparità di trattamento ,rispetto ai magistrati professionali, in tema di retribuzione, di indennità di fine rapporto e di regimi di sicurezza sociale; per l'effetto condannare lo Stato italiano e per esso le convenute amministrazioni al risarcimento dei danni subiti dai ricorrenti, da liquidarsi in separata, sede secondo i criteri sopra indicati, oltre al pagamento degli interessi legali e moratori ed alla rivalutazione comeper legge.

2) in via subordinata accertare e dichiarare che lo Stato italiano e per esso le convenute Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero della Giustizia e Ministero dell'economia e delle finanze si sono arricchite senza giusta causa a segiPito dell'attività giudiziaria svolta dai ricorrenti per i periodi di servizio svolti da ciascuno di essi, pagando somme minori rispetto a quanto previsto dalle disposizioni in materia di retribuzione e protezione sociale di diritto interno ed europeo; per l'effetto condannare lo Stato italiano e per esso le convenute Presidenza del Consiglio dei ministri, Ministero della Giustizia e Ministero dell'economia e delle finanze al pagamento dell'indennizzo in favore dei ricorrenti, da liquidarsi in separata sede secondo i criteri sopra indicati, oltre al pagamento degli interessi legali e moratori ed alla rivalutazione come per legge;

3) in ogni caso condannare la convenuta al pagamento delle spese legali, con distrazione delle stesse in favore del sottoscritto difensore.

Nel corso del giudizio sono intervenuti in giudizio altri magistrati onorari che hanno proposto domande e svolto deduzioni analoghe a quelle dei ricorrenti principali.

2.DIFESE DEI RESISTENTI

Le parti resistenti hanno eccepito l'inammissibilità degli atti di intervento.

Per il resto hanno svolto le medesimelifese sia nei confronti dei ricorrenti principali che degli interventori, tranne che per l'eccezione di prescrizione (su cui v. infra, 9) che è stata sollevata unicamente nei confronti di questi ultimi.

I resistenti hanno negato la sussistenzadi un'ingiustificata disparità di trattamento dei magistrati onorari rispetto a quelli professionali.

A tal proposito hanno richiamato l'art. 106 della Costituzione in base al quale la magistratura è stata articolata in due dislnte strutture organizzative cui corrispondono due diversi status di coloro che vi sono preposti, non equiparabili tra loro: nella magistratura professionale, selezionata in base a concorso, si instaura con lo Stato un rapporto di pubblico impiego, caratterizzato dalla continuità, esclusività e dalla retribuzione, quale elemento sinallagmatico del rapporto, mentre nella magistratura non professionale, al contrario, non è configurabile un rapporto di impiego, ma un rapporto di servizio volontario con attribuzioni di funzioni pubbliche.

La pretesa assimilazione del rapporto di servizio onorario al rapporto di pubblico impiego determinerebbe pertanto un'alterazione della configurazione tipica della struttura dell'ordine giudiziario italiano.

I due rapporti si distinguono difatti in fase ai seguenti elementi:

1) la scelta del funzionario, che nell'impiego pubblico viene effettuata mediante procedure concorsuali ed è, quindi, di carattere tecnico-amministrativo, mentre per le funzioni onorarie è di natura politico-discrezionale;

2) l'inserimento nell'apparato organizzativo della pubblica amministrazione, strutturale e professionale per il pubblico impiegato e meramente funzionale per il funzionario onorario. Infatti, mentre i giudici di professione costituiscono l'ordine giudiziario di cui al R.D. 30 gennaio 1941, n. 12, art. 4, comma 1, ordine cui l'art. 104 Cost. garantisce l'autonomia e indipendenza da ogni altro potere, ai giudici onorari è riconosciuta dall'ordinamento giudiziario solo una appartenenza "funzionale" (secondo comma del citato art. 4);

3) il compenso che consiste in una vera e propria retribuzione, inerente al rapporto sinallagmatico costituito fra le parti, con riferimento al pubblico impiegato e che, invece, riguardo al funzionario onorario, ha carattere meramente indennitario;

4) la durata del rapporto che, di norma, è a tempo indeterminato nel pubblico impiego, mentre è a termine (anche se vi è la possibilità del rinnovo dell'incarico) nel caso del funzionario onorario.

Tali principi sono stati mutuati da numerose decisioni della Corte di Cassazione (cfr., tra le altre n. 17862/2016, n. 22569/2015, n.I0774/2020).

Le parti resistenti hanno quindi escluso che il magistrato onorario possa essere definito come "lavoratore" ai fini della applicazione della direttiva 2003/88/UE e, di conseguenza, quale lavoratore comparabile* al magistrato ordinario ai fini della applicazione della clausola 4 (principio di non discriminazione) dell'Accordo Quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE, nonostante siano ravvisabili alcuni elementi di eterodirezione quali l'assoggettamento al sistema tabellare di assegnazione degli affari nonché ai doveri, alle responsabilità e ai controlli propri dei magistrati ordinari, previsti al fine di garantire il necessario coordinamento e raccordo della loro prestazione professionale con l'attività dell'amministrazione giudiziaria.

Le amministrazioni resistenti hanno rilevato come in ogni caso il D.Lgs. n. 116 del 2017, riformando nel complesso lo statuto della magistratura onoraria, ha previsto:

- un'indennità fissa annuale, a copertura anche dei periodi di ferie, pari a circa 1/3 dello stipendio di un magistrato professionale, a fronte di un impegno lavorativo massimo di 1/3 di quello del magistrato professionale, e l'assegnazione di una indennità di risultato;

- l'assicurazione degli infortuni sul lavoro da parte dell'INAIL;

- l'assicurazione dei periodi di malattia e gravidanza e previdenziale tramite Gestione Separata dell'INPS;

- un periodo di lavoro massimo quadriennale con possibilità di conferma solo per un ulteriore periodo di quattro anni, salvo il regime transitorio per i magistrati già in servizio che possono essere confermati per ulteriori tre quadrienni e possono usufruire delle indennità riconosciute dalla nuova legge.

Per garantire il rispetto della onorarietà dell'incarico il D.Lgs. n. 116 del 2017 inoltre non ha previsto né il trasferimento (d'ufficio e/o domanda) dei magistrati onorari, né il regime disciplinare e ha stabilito che, al fine di garantire la compatibilità con l'esercizio di altre funzioni, a ciascun magistrato onorario non può essere richiesto un impegno superiore a due giorni alla settimana (art. 1, comma 2, D.Lgs. n. 116 del 2017).

3. QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELLE DOMANDE E AMMISSIBILITA' DEGLI ATTI DI INTERVENTO

Le domande sono fondate sulla omessa attuazione da parte del Governo italiano delle direttive comunitarie da cui sorge, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, il diritto degli interessati al risarcimento dei danni che va ricondotto - anche a prescindere dall'esistenza di uno specifico intervento legislativo accompagnato da una previsio le risarcitoria - allo schema della responsabilità per inadempimento dell'obbligazione ex lege dello Stato (Cass. Sez. Un. n. 9147/09).

In base a tale principio può essere risolta positivamente la questione dell' inammissibilità dei successivi atti di intervento.

Difatti la fattispecie costitutiva del diritto fatto valere, sia di ricorrenti originari sia dagli interventori, presenta un fatto costitutivo identico e comune, rappresentato dall'inadempimento dello Stato italiano alle citate direttive europee che costituisce un illecito plurioffensivo. Pertanto le domande avanzate da ciascuno presentano il presupposto della dipendenza del diritto dallo stesso titolo, come richiesto dall'art. 105 c.p.c.; si è determinata, cioè, una situazione di connessione per dipendenza dal titolo (così Cass. n. 11805/2020).

4. LEGITTIMAZIONE PASSIVA

Deve essere individuata come legittimata passiva la Presidenza del Consiglio dei Ministri, questa essendo l'unico soggetto istittizionale che rappresenta lo Stato rispetto all'attività legislativa di recepimento delle direttive europee, a prescindere dalle competenze di ciascun Ministero.

Infatti, ai sensi dell'art. 3 del D.Lgs. n. 30 del 1999, spetta al Presidente del Consiglio dei Ministri promuovere e coordinare l'azione del Governo diretta ad assicurare la piena partecipazione dell'Italia all'Unione Europea e lo sviluppo del processo di integrazione europea. In particolare, poi, al secondo comma è stabilito che compete al Presidente del Consiglio la responsabilità l'attuazione degli impegni assunti nell'ambito dell'Unione europea.

S. QUALIFICAZIONE DEI MAGISTRATI ONORARI COME LAVORATORI A TEMPO DETERMINATO - NOZIONE EUROUNITARIA DI "LAVORATORE"

La verifica della effettiva violazione da parte dello Stato italiano della direttiva 2003/88/CE sull'orario di lavoro e sul riconoscimento di un periodo di ferie annuali retribuite, della direttiva 92/85/CEE sulla maternità e sul riconoscimento del congedo di maternità e della direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato (limiti alla reiterazione di incarichi a termine nei confronti di uno stesso lavoratore, divieto di disparità di trattamento rispetto ai magistrati professionali in tema di retribuzione, di indennità di fine rapporto' e di regimi di sicurezza sociale) richiede innanzitutto di risolvere la questione della possibilità di cnsiderare i magistrati onorari come lavoratori a tempo determinato, secondo la nozione presa in considerazione dal diritto eurounitario e presupposto di applicazione delle direttive sopra citate.

Tale questione può sostanzialmente cnsiderarsi risolta in senso positivo dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea (d'ora in poi anche solo Corte di Giustizia) con la recente sentenza del 16.7.2020, resa nella causa C-658/18, avente ad oggetto ,la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell'articolo 267 TFUE, dal Giudice di Pace di Bologna (sulla quale v. più diffusartente infra al paragrafo seguente).

I principi dalla stessa affermati sono peraltro coerenti con i pareri espressi già in precedenti occasioni da altri organi dell'Unione Europea che, pur non avendo le medesime attribuzioni della Corte di Giustizia, s erano mostrati propensi a un sostanziale inquadramento del magistrato onorario nella figura di "lavoratore".

In particolare la Commissione Europea, avendo ricevuto 'varie denunce in merito all'incompatibilità delle condizioni di lavoro dei magistrati onorari in Italia con diverse disposizioni della normativa UE, aveva inviato alle autorità nazionali italiane una richiesta di informazioni attraverso il sistema EU-Pilot.

La Commissione Europea (EU-Pilot 77795/EMPL - Rigetto della risposta delle autorità nazionali) da una parte ha preso atto, a seguito delle informazioni ottenute, che le autorità italiane hanno rifiutato sostanzialmente di qualificare tutti i magistrati onorari come "lavoratori" ai sensi della normativa e della giurisprudenza dell'UE, e anche di qualificarli come lavoratori autonomi.

Ha replicato tuttavia a tali obiezioni osservando che la Corte di Giustizia ha recentemente stabilito che "la nozione di "lavoratore", ai sensi del diritto dell'Unione, dev'essere essa stessa definita, in base a criteri oggettivi che caratterizzino il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi degli interessati" e che, secondo la giurisprudenza consolidata della stessa Corte, "la caratteristica essenziale del rapporto lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un'altra e sotto la direzione di quest'ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione "(sentenza della Còrte di Giustizia del 4 dicembre 2014, FNV Kunsten Informatie en Media/Staat der Nederlanden, C-413/13, EU:C:2014:2411, punti 34-36; sentenza della Corte di Giustizia del 21 febbraio 2013, L. N./Styrelsen for Videregàende Uddanelser og Uddannelsesstotte, C-46/12, EU:C:2013:97, punto 40 e giurisprudenza citata; sentenza della Corte del 10 settembre 2014, I.H./C.C., C-270/13, EU:C:2014:2185,punto 25.).

Alla luce di questi criteri e degli elementi presentati dalle autorità italiane, in particolare per quanto riguarda lo statuto dei magistrati onorari, la Commissione Europea ha concluso nel senso della possibilità di considerare gli stessi quali lavoratori ai fini dell'applicazione del diritto dell'UE indipendentemente dalla qualifica attribuita a livello nazionale.

5.1. (SEGUE) IN PARTICOLARE LA SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DEL 16.7.2020 (CAUSA C-658118)

La sentenza della Corte di Giustizia resa nella causa C-658/18 assùme valore di precedente vincolante anche nel presente giudizio quanto alla portata applicativa della nozione eurounitaria di "lavoratore", avendo la Corte di Giustizia, tra le varie competenze, anche quello di assicurare l'uniforme interpretazione del diritto comunitario per una sua corretta euniforme applicazione (art. 267 TFUE)

Le statuizioni della Corte di Giustizia hanno, al pari delle norme comunitarie, operatività immediata negli ordinamenti interi (così afferma la Corte Costituzionale, v. sentenze n. 389/1989, n. 113/1985, n. 284/2007), risultando quindi prevalenti rispetto anche al "diritto vivente" scaturente dalla giurisprudenza della Cassazione, quando emergano profili di incqmpatibilità tra tale "diritto viente" e le norme comunitarie così come interpretate dalla Corte di Giustizia.

Nella sentenza in esame la ricostruione della figura del giudice di pace come "lavoratore" è molto dettagliata - pur riservando ovviamente al 'giudice di rinvio la verifica in concreto sulla attività lavorativa effettivamente svolta dal ricorrente -, ma allo stesso tempo appare idonea a fornire indicazioni generali per l'inquadramento di tutte le varie figure di magistrati onorari italiani.

Si rende necessario quindi analizzare più nel dettaglio la citata pronuncia, a partire dalla fattispecie analizzata e ripercorrendone poi l'iter motivazionale.

Il giudice italiano rimettente, in una causa in cui un giudice di pace aveva lamentato il mancato riconoscimento di ferie retribuite, aveva chiesto alla Corte di Giustizia se l'attività di servizio del giudice di pace rientrasse nella nozione di "lavoratore a tempo determinato"; di cui, in combinato disposto, agli articoli 1, paragrafo 3, e 7 della direttiva 2003/88, alla clausola 2 dell'Accordo Quadro allegato alla Direttiva 1999/70/CE e all'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, e, in caso di risposta affermativa, se il magistrato ordinario o professionale potesse essere considerato lavoratore a tempo indeterminato equiparabile al lavoratore a tempo determinato "giudice di pace", ai fini dell'applicazione delle stesse condizioni di lavoro di cui alla clausola 4 dell'accordo quadro.

La Corte di Giustizia ha fornito per la prima volta dei chiarimenti sulla nozione eurounitaria di lavoratore con riferimento specifico a un magistrato onorario ed ha concluso nel senso che:

(...) L'articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, e l'articolo 31, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, devono essere interpretati nel senso che un giudice di pate che, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, può rientrare nella nozione di "lavoratore", ai sensi ditali disposizioni, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

La clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18. marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, deve essere interpretata nel senso che la nozione di "lavoratcre a tempo determinato", contenuta in tale disposizione, può includere un giudice di pace, nominato per un periodo limitato, il quale, nell'ambito delle sue funzioni, svolge prestazioni reali ed effettive, che non sono né puramente marginali né accessorie, e per le quali percepisce indennità aventi carattere remunerativo, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

La clausola 4, punto 1, dell'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato concluso il 18 marzo 1999, che figura nell'allegato della direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa nazionale che non prevede il diritto per un giudice di pace di beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni, come quello previsto per i magistrati ordinari, nell'ipotesi in cui tale giudice di pace rientri nella nozione di "lavoratore a tempo determinato", ai sensi della clausola 2,'punto 1, di tale accordo quadro, e in cui si trovi in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario, a meno che tale differenza di trattamento sia giustificata dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.".

I giudici europei sono partiti dall'interpretazione della nozione di '"lavoratore", ai sensi della direttiva 2003/88, alfine di determinare se un giudice di pace, come il ricorrente nel procedimento principale, potesse rientrare in tale nozione, dal momento che l'articolo 7, paragrafo 1, ditale direttiva dispone che gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane.

Essi hanno poi analizzato la nozione di "lavoratore a tempo determinato" ai sensi dell'accordo quadro, valutando anche se il giudice di pace possa essere paragonato, ai fini dell'applicazione del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 ditale accordo, ai magistrati ordinari i quali beniciano di trenta giorni di ferie annuali retribuite.

Secondo la Corte di Giustizia la nozione di "lavoratore" non può essere interpretata in modo da variare a seconda degli ordinamenti nazionali, ma ha una portata autonoma, propria del diritto dell'Unione (sentenze del 26 marzo 2015; F., C-316113, EU:C:2015:200, punto 25, e del 20 novembre 2018, Siridicatul Familia Constanta e a., C-147/17, EU:C:2018:926, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). Nell'ambito della qualificazione relativa alla nozione di "lavoratore" che spetta, in ultima analisi, al giudice nazionale, quest'ultimo deve basarsi su criteri obiettivi e valutare nel loro complesso tutte le circostanze del caso di cui è investito, riguardanti la natura sia delle attività interessate sia del rapporto tra le parti in causa (v., in tal senso, sentenza del 14 ottobre 2010, Union syndicale Solidaires Isère, C-428/09, EU:C:2010:612, punto 29).

La Corte ha quindi richiamato la giurisprudenza costante secondo cui la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è data dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un'altre sotto la direzione di quest'ultima, prestazioni che non siano puramente marginali e accessorie, in cambio delle, quali percepisca una retribuzione (sentenza del 20 novembre 2018, Sindicatul Familia Constanta e a., C-147/17, EU:C:2018:926, punto 41 e giurisprudenza ivi citata). Ha osservato a tal proposito che il numero dei provvedimenti redatti dal giudice di pace italiano ricorrente erano indicativi di prestazioni non meramente, marginali e accessorie (eguali considerazioni possono valere per i ricorrenti nel presente giudizio, sulla base della documentazione prodotta da cui si evince un significativo impiego di energie lavorative).

La sola circostanza che le funzioni del giudice di pace siano qualificate come "onorarie" dalla normativa nazionale a parere della Corte non significa che le prestazioni finanziarie percepite da un giudice di pace debbano essere considerate prive di carattere remunerativo.

In relazione all'esistenza di un vincolo di subordinazione tra il lavoratore e il suo datore di lavoro la Corte ha ritenuto di dver prendere in considerazione le modalità di organizzazione del lavoro dei giudici di pace.

Ha quindi rilevato che questi, sebbene possano organizzare il loro lavoro in modo più flessibile rispetto a chi esercita altre professioni, sono tenuti ,a rispettare tabelle che indicano la composizione del loro ufficio di appartenenza e che disciplinano nel dettaglio e in modo vincolante l'organizzazione del loro lavoro, compresi l'assegnazione dei fascicoli, le date e gli orari di udienza; sono tenuti ad osservare gli ordini di servizio del capo dell'ufficio e i provvedimenti organizzativi speciali e generali del CSM; sono soggetti, sotto il profilo disciplinare, ad obblighi analoghi a quelli dei magistrati professionali.

Non sono invece state ritenute dirimenti le modalità di reclutamento del lavoratore, né la definizione interna formale di magistrato "onorario", né la durata limitata del rapporto di lavoro, dovendosi tenere conto della situazione di fatto in cui un soggetto svolge la propria attività e non della cornice giuridica in cui lo stesso è inquadrato.

Quanto all'applicabilità alla fattispecie ii esame della direttiva 1999/70/CE e del relativo "Accordo Quadro", queste norme si riferiscono, secondo la Corte di Giustizia, all'insieme dei lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell'ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li lega al loro datore di lavoro, purché vincolati da un contratto o da un rapporto di lavoro ai sensi del diritto nazionale.

Sebbene, come risulta dal considerando 17 della direttiva 1999/70 e dalla clausola 2, punto 1, dell'accordo quadro, tale direttiva lasci agli Stati membri il compito di definire i termini "contratto di assunzione" o "rapporto di lavoro", impiegati in tale clausola, secondo la legislazione e/o la prassi nazionale, ciò, non toglie che il potere discrezionale conferito agli Stati membri per definire tali nozioni non sia illimitato. Infatti, siffatti termini possono essere definiti in conformitì con il diritto e/o le prassi nazionali a condizione di rispettare l'effetto utile di tale direttiva e i principi generali del diritto dell'Unione (v., in tal senso, sentenza del 1.3.2012, O., C-393/10, EU:C:2012:110, punto 34).

6. NOZIONE DI LAVORATORE E APPLICAIONE DELLA DIRETTIVA 92/85/CE IN MATERIA DI TUTELA DELLA MATERNITÀ

La medesima nozione di lavoratore è valida anche ai fini della applicazione della direttiva 92/85/CE in materia di tutela della'maternità.

Nella risposta resa dalla Commissione Europea nell'ambito della procedura EU-Pilot sopra citata si rileva anche come il concetto di "lavoratore" nel contesto della direttiva sulla maternità è stato definito dalla Corte di Giustizia in base a criteri obiettivi che caratterizzano il rapporto di lavoro sotto il profilo dei diritti e degli obblighi della persona interessata: "la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è la circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un'altra e sotto la direzione di quest'ultima, prestazioni in contropartita delle quali riceva una retribuzione" (Sentenza della Corte di giustizia del 20 settembre 2007, K./Tampereen kaupunki, C-116/06, EU:C:2007:536, punto 25).

Si rileva inoltre che la nozione di "rapporto di lavoro" nel contesto della direttiva sulla maternità ha ricevuto un'interpretazione molto ampia dalla Corte la quale ha chiarito che in determinate circostanze un membro di un consiglio di amministrazione di una società di capitali deve essere considerato come dotato della qualità di lavoratore ai fini della direttiva sulla maternità (Sentenza della Corp di giustizia dell'li novembre 2010, Dita. D./L.L., C-232/09, EU:C:2010:674, pùnti 39-41).

7. LA RIFORMA DELLA MAGISTRATURA ONORARIA - D.LGS. N. 116 DEL 2017

Poiché la disciplina della magistratua onoraria è stata riformata con il D.Lgs. n. 116 del 2017, occorre verificare se sia valido ancora l'inquadramento come "lavoratore" del magistrato onorario.

Direttrice fondamentale della legge delega n. 57/2016 è la valorizzazione della natura onoraria dell'ufficio.

Si prevede infatti l'intrinseca temporaneità dell'incarico, che costituisce un elemento costituzionalmente necessario in ragione della natura onoraria dell'ufficio, e si prescrive espressamente che la dotazione organica dei magistrati onorari, i compiti e le attività agli stessi demandati, gli obiettivi assegnati, la nisura dell'impegno richiesto e i criteri, di liquidazione delle indennità siano stabiliti in modo da assicurare la necessaria compatibilità dell'incarico onorario con lo svolgimento di altre attività remunerative (vedi relazione illustrativa al D.Lgs. n. 116 del 2017, all. 20 al ricorso).

In base ai principi affermati dalla Corte di Giustizia, tuttavia, si deve tenere conto della situazione di fatto in cui un soggetto svolge la propria attività e non della cornice giuridica in cui lo stesso è inquadrato.

Per quanto attiene alle mansioni, il GOP (Giudice Onorario di Pace, figura comprensiva di tutte le funzioni di giudice onorario) può coadiuvare il giudice professionale tramite l'ufficio del processo, può svolgere le àttività e adottare i provvedimenti che gli sono delegati dal giudice professionale tra quelli individuati dalla legge, può svolgere attività di componente del collegio giudicante civile e penale, o essere applicato per la trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale ordinario (artt. 9-13 D.Lgs. n. 116 del 2017). L'organizzazione del lavoro dei GOP spetta al Presidente del Tribunale (art. 8 D.Lgs. n. 116 del 2017).

Parallelamente il VPO coadiuva il magistrato professionale e svolge le attività e adotta i provvedimenti che gli sono delegati dal Procuratore della Repubblica tra quelli individuati dalla legge (artt. 16-17 D.Lgs. n. 116 del 2017).

Il magistrato onorario nella previsione di legge è configurato come un soggetto lavoratore, seppure per un periodo predetermiìato inderogabile, in quanto le modalità del proprio lavoro sono dirette dal Presidente del Tribunale o dal Procuratore della Repubblica, nei limiti stabiliti dalla legge e dalle norme secondarie.

All'art. 20 del D.Lgs. n. 116 del 2017 è previsto espressamente che il magistrato onorario è tenuto all'osservanza dei doveri previsti per i magistrati ordinari; in quanto compatibili, e in particolare esercita le funzioni e i compiti attribuitigli con imparzialità, correttezza, diligenza, laboriosità, riserbo e equilibrio e rispetta la dignità della persona nell'esercizio delle funzioni. Inoltre egli è tenuto ad obblighi di formazione (art. 21 D.Lgs. n. 116 del 2017).

Il compenso, seppure definito come indennità, è per la parte prevalente stabilito in, misura fissa annuale, a prescindere dal quantitativo di attività in concreto svolta. Le funzioni svolte dal magistrato onorario sono quindi ancor oggi assimilabili a quelle di un "lavoratore" secondo la definizione unitaria di un soggetto che svolge attività remunerata, non marginale né accessoria, alle dipendenze di un datore di lavoro.

Da un esame complessivo della legge al contempo si osserva l'intento del legislatore di riservare al giudice professionale, in via, tendenzialmente esclusiva, la decisione delle cause vertenti nelle materie assegnate alla competenza del tribunale, pèrché sono le controversie di maggiore delicatezza e complessità.

Il decreto legislativo prevede che ai giudici onorari di pace possa essere assegnata la trattazione di procedimenti civili e penali di competenza del tribunale, quando ricorrano condizioni tassative in relazione a situazioni eccezionali o contingenti che non consentano di adottare misure organizzative diverse.

Alfine di assicurare la compatibilità dell'incarico con lo svolgimento di altre funzioni remunerative è stabilito poi che a ciascun magistrato onorario non può essere richiesto un impegno superiore a due giorni a settimana (art. 1, comma 3, D.Lgs. n. 116 del 2017).

8. LE VIOLAZIONI DELLA NORMATIVA COMUNITARIA

Essendo stata accertata l'applicabilità delle direttive comunitarie richiamate dai ricorrenti all'attività svolta dagli stessi, in pianto qualificabili a livello eurounitario quali lavoratori a tempo determinato, occorre valutare, ai fini dell'accoglimento della domanda di risarcimento, se lo Stato italiano abbia violato tali direttive, verificando la sussistenza dei profili di inadempimento dedotti.

Difatti, secondo i principi stabiliti dalla giurisprudenza comunitaria (vedi sentenza Brasserie des Pecheurs/Factortame) il diritto al risarcimento per violazione del diritto comunitario presuppone che la norma violata conferisca dei diritti ai singoli, che la violazione sia grave e manifesta, che sussista un nesso di causalità diretto tra la violazione dell'obbligo che incombe allo Stato e il danno subito dalle persone lese

Appare opportuno distinguere allora la situazione normativa ante e post D.Lgs. n. 116 del 2017.

8.1. DIRETTIVA 2003/88/CE

I ricorrenti assumono la violazione della direttiva 2003/88/CE sull'orario di lavoro e sul riconoscimento di un periodo di ferie annuali retribuite

Originariamente non era prevista alcuna disciplina dell'orario di lavoro e delle ferie godibili, nonostante fosse intervenuta la direttiva 2003/88/CE. L'art. 7 della direttiva stabilisce che gli "Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno 4 settimane (...)".

Risulta quindi violata la direttiva per non avere potuto i magistrati onorari godere di un periodo minimo retribuito di ferie.

Non è stato invece dedotto in maniera specifica sotto quale profilo essi siano stati lesi dalla mancata applicazione della disciplina sull'orario di lavoro, seppure genericamente richiamata nelle conclusioni del ricorso, e pertanto non rileva tale profilo ai fini del risarcimento.

Attualmente l'art. 24 del D.Lgs. n. 116 del 2017 prevede che i magistrati onorari non prestino attività durante il periodo feriale di cui all'articolo i della L. 7 ottobre 1969, n. 742 e che l'indennità annuale prevista dall'art.23 sia corrisposta anche durante tale periodo.

Occorre però tenere conto che il successivo art. 31, che contiene la disciplina transitoria per i magistrati onorari già in servizio alla data di entrata in vigore del decreto (come gli odierni ricorrenti e interventori), stabilisce al comma 1 che la liquidazione delle indennità continua ad essere disciplinata, sino alla scadenza del quarto anno successivo alla medesima data, con i criteri previsti dalle disposizioni previgenti Al comma 2 e stabilito che nel corso del primo quadriennio successivo alla scadenza del termine di cui al comma 1, ai magistrati onorari di cui al mdesimo comma che ne facciano richiesta con le modalità di cui al comma 3, le indennità spettano in conformità alla complessiva disciplina di cui all'articolo 23.

Persiste quindi la violazione dell'art. 7 lella direttiva 2003/88/CE fino alla scadenza del quarto anno successivo alla data di entrata in vigore del decreto, 15.82017.

8.2 DIRETTIVA 1992/85/CE

Tale direttiva, che concerne la sicurezza e la salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, impone di adottare cautele per la tutela del diritto alla salute della gestante e di riconoscere a queste categorie di lavoratrici un congedo di maternità di almeno 14 settinane e un congedo obbligatorio di almeno 2 settimane. Il congedo deve prevedere il mantenimento in favore delle lavoratrici dei diritti connessi con il contratto di lavoro, in particolare in punto di riconoscimento della retribuzione e/o di versamento di un'indennità adeguata, cioè in grado di assicurare redditi almeno equivalenti a quelli che la lvòratrice otterrebbe ove non prestasse servizio per ragioni di salute.

Anche in questo caso nessuna legge fino alla riforma aveva previsto forn'ie di tutela per le lavoratrici madri

Risulta così essere stata violata la direttiva 1992/85/CE

Con la riforma della magistratura onoraria l'art. 25 comma 2 del D.Lgs. n. 116 del 2017 ha previsto che la gravidanza non comporta la dispensa dall'incarico la cui esecuzione rimane sospesa, senza diritto all'indennità prevista dall'articolo 23, durante i due mesi precedenti la data presunta del parto e nel corso dei tre mesi dopo il parto o, alternativamente, a partire dal mese precedente la data presunta del parto e nei quattro mesi successivi al parto.

In questo modo risulta solo parzialmente attuata la direttiva, sempre sul presupposto della natura non lavorativa delle prestazioni rese.

Difatti, pur rimanendo sospeso l'incarico, è esclusa la conservazione del diritto all'indennità, sostituita da un'indennità economica corrisposta dall'Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale, oppure dalla Cassa professionale forense, venendo assimilata quindi la lavoratrice madre ad una libera professionista, priva dell'attribuzione di tutte le garanzie previste invece per le lavoratrici dipendenti.

Difatti, quando la direttiva parla di un'indennità adeguata, si riferisce a un'indennità in grado di assicurare redditi almeno equivalenti a quelli che la lavoratrice otterrebbe ove non prestasse servizio per ragioni di salute. In questo caso l'adeguamento non è possibile perché anche l'assenza dal lavoro per motivi di salute e discriminata rispetto a quella di una lavoratrice nel settore del pubblico impiego, come sarà meglio illustrato m seguito

8.3. DIRETTIVA 1999/70/CE E ACCORDO QUADRO

Il principio di non discriminazione, è sancito dalla clausola 4 dell'Accordo Quadro: "1 Per quanto riguarda le condizioni di zmpie, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive.".

Secondo la tesi dei ricorrenti il magistrato ordinario sarebbe il lavoratore a tempo indeterminato "comparabile" rispetto al quale emergono i profili di discriminazione in tema di retribuzione, di indennità di fine rapporto e di regimi di sicurezza sociale.

In effetti il magistrato onorario ha svolto nel corso degli anni funzioni giurisdizionali, sebbene di contenuto eterogeneo, sostituendo il magistrato in udienza o esercitando l'azione penale o emettendo provvedimenti di carattere decisorio.

Il carattere formalmente onorario delle funzioni esercitate e la non esclusività del rapporto non giustificano in sé il mancato godimento dell'indennità di fine rapporto e di regimi di sicurezza sociale analoghi a quelli di un pubblico dipendente.

Quest'ultimo, anche qualora impiegato part time o a tempo determinato, ha diritto a tutte le tutele spettanti nel settore del pubblico impiego, in proporzione ovviamente del tempo di lavoro prestato.

In caso di malattia o infortunio, la conservazione del posto di lavoro durante il c.d. periodo di comporto e il mantenimento della retribuzione, integrale per un certo periodo di tempo e parziale per un periodo successivo, rappresentano nell'ordinamento sia interno che comunitario una contropartita necessaria della subordinazione che lega il lavoratore al proprio datore di lavoro nel tempo che dedica al rapporto

Il magistrato onorario non ha mai goduto di un tale tipo di tutela.

Anche a seguito della riforma legislativa del 2017 egli ha acquisito, in caso di malattia o infortunio, solamente il diritto alla conservazione del lavoro per un massimo di sei mesi, tramite la sospensione del rapporto, ma non ha diritto ad alcuna retribuzione

Pure la tutela previdenziale e assistenziale che spetta a tutti i lavoratori, non ha avuto alcuna disciplina prima della riforma.

Il Comitato Europeo dei Diritti Sociali ha adottato il 5.7.2016 una decisione sul reclamo presentato dall'Associazione N.G. per la mancanza di protezione sociale, rilevando la violazione ell'art. E) sul principio di non discriminazione, con riferimento all'art. 12, 1, della Carta Sociale Europea.

Il Comitato ha affermato che, ai sensi dell'art. 1 dell'Ordinamento Giudiziario italiano, i giudici di pace sono magistrati onorari che, in qualità di componenti dell'ordine giudiziario, amministrano la giustizia ed esercitano le funzioni giurisdizionali in Materia civile e penale, e che la loro situazione deve essere esaminata, non con riferimento al loro stato o alla denominazione loro conferita dal diritto interno, ma in maniera autonoma secondo le attività esercitate (Consiglio Europeo dei sindacati  di  Polizia (CESP) c Francia, reclamation n. 101/2013, décision sur le bien-fondé du 27 janvier 2016, 54-59).

Il Comitato ha poi rilevato che coloro che esercitano le funzioni di giudice di pace non costituiscono una categoria omogenea rispetto alla sicurezza sociale. Alcuni di loro possono beneficiare della sicurezza sociale poiché pensionati, o impiegati, o perché liberi professionisti, ma non può essere escluso che in ragione delle incompatibilità legali, delle necessità dei tribunali, o perfino delle scelte personali, coloro che esercitano le funzioni di giudice di pace sospendano o riducano la loro attività professionale sotto la soglia richiesta per l'iscrizione alla Cassa forense o per l'acquisizione di annualità di pensione

Il Comitato ha quindi ritenuto che solo per,coloro che esercitano le funzioni di giudici di pace e beneficiano della copertura sociale poiché pensionati, o impiegati, la differenza di trattamento non incide sul loro diritto alla sicurezza sociale con riguardo all'art. 12 1 della Carta Sociale Europea.

Tuttavia fino a quel momento il Governo italiano non aveva stabilito che tutti coloro che esercitavano le funzioni di giudice di pace potessero beneficiare della copertura sociale anche nel caso in cui questi sospendessero o riducessero la propria attività professionale sotto la soglia utile per la copertura della Cassa forense o per l'acquisizione delle annualità' utili per la pensione.

Il Comitato, ritenendo i magistrati onorari soggetti a cui è stata riconosciuta l'equivalenza dal punto di vista funzionale, ha quindi affermato che sussiste la violazione dell'art. E in combinato con l'art. 121 della Carta nei confronti di coloro che esercitano le funzioni di giudice di pace e non dispongono della copertura sociale alternativa

Attualmente l'art. 25 del D.Lgs. n. 116 del 2017 invece prevede che, ai fini della tutela previdenziale e assistenziale, i giudici onorari di pàce e i vice procuratori onorari sono iscritti alla c.d. Gestione Separata dell'INPS di cui all'articolo 2, comma 26, della L. 8 agosto 1995, n. 335. Per il versamento del contributo si applicano le modalità ed i termini previsti per i lavoratori autonomi di cui all'articolo 53, comma 1, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, iscritti alla gestione separata. Tali disposizioni non si applicano agli iscritti agli albi forensi che svolgono le funzioni di giudice onorario di pace o di vice procuratore onorario, per i quali si applicano le disposizioni contenute nel regolamento di attuazione dell'articolo 21, commi 8 e 9, della L. 31 dicembre 2012, n. 247.

Secondo i ricorrenti si tratta solo di un'apparente attuazione dei principi sanciti dalle direttive in materia di protezione sociale, perché l'intero onere contributivo è posto a carico dei magistrati onorari (art. 23 D.Lgs. n. 116 del 2017).

Tuttavia la misura dell'indennità viene determinata in modo da tenere conto del relativo onere contributivo, facendosene lo Stato carico indirettamente.

L'art. 23 D.Lgs. n. 116 del 2017 prevede difatti un'indennità annuale lorda in misura fissa, pari ad Euro 16.140,00, comprensiva degli oneri previdenziali ed assistenziali, oltre all'eventuale indennità di risultato. Tale ricomprensione è necessitata dal fatto che la contribuzione avviene mediante la Gestione Separata nelle cui casse il lavoratore provvede periodicamente al versamento di una parte dei suoi redditi.

Di per sé quindi la previsione in materia previdenziale e assistenziale non è discriminatoria, dovendosi invece (sul punto v. infra al paragrafo seguente) valutare l'eventuale discriminazione in termini di retribuzione e la possibilità di applicare il comma 2 della clausola 4 dell'Accordo Quadro secondo cui "Se del caso, si applicherà il principio del pro rata temporis", oppure se "sussistano ragioni oggettive" che giustifichino un diverso trattamento (clausola 4, comma 1).

L'art. 25 del D.Lgs. n. 116 del 2017 ha previsto anche che l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali dei magistrati onorari è attuata con le modalità previste dall'articolo 41 del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, in base al tasso di rischio corrispondente all'attività svolta. Sotto tale profilo appare quindi ingiustificata la generica obiezione della difesa dei ricorrenti secondo cui l'assenza per malattia e infortunio professionale sarebbe compensata con la medesima indennità minima riconosciuta ai lavoratori che svolgono mansioni manuali, ma che hanno responsabilità evidentemente inferiori.

Con riferimento ai profili sopra specificati risulta quindi la violazione del principio di non discriminazione sancito dalla clausola 4 dell'Accordo Quadro.

8.3.1.LA RETRIBUZIONE - RAGIONI OGGETTIVE E TRATTAMENTO MENO FAVOREVOLE - ANCORA CORTE DI GIUSTIZIA DEL 16.7.2020

Quanto al significato da attribuire alla nozione di "ragioni oggettive" che giustificano un diverso trattamento rispetto al magistrato ordinario, inteso quale figura di lavoratore comparabile a tempo indeterminato, la Corte di Giustizia, nella già citata sentenza del 16.7.2020 ribadisce, richiamando precedenti conformi, ha affermato che la disparità di trattamento deve essere giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi, nel particolare contesto in cui s'inscrive e in base a criteri oggettivi e trasparenti, dovendosi verificare se la disparità risponda ad una reale necessità, sia idonea a conseguire l'obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Tali elementi possono risultate, segnatamente, dalla particolare natura delle funzioni per l'espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche inerenti a queste ultime o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 5 giugno 2018, M.M., C-677116, EU:C:2018:393, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

Tenuto conto del margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri per quanto riguarda l'organizzazione delle loro amministrazioni pubbliche, essi possono, in linea di principio, senza violare la direttiva 1999/70 o l'Accordo Quadro, stabilire le condizioni di accesso alla magistratura, nonché condizioni di impiego applicabili sia ai magistrati ordinari che ai giudici di pace (v, in tal senso sentenza del 20 settembre 2018, M., C-466/17, EU:C:2018:758, punto 43, citata nella sentenza del 16.7.2020).

A tale riguardo, occorre considerare che talune disparità di trattamento tra lavoratori a tempo, indeterminato assunti al termine di un concorso e lavoratori a tempo determinato assunti all'esito di una procedura diversa da quella prevista per i lavoratori a tempo indeterminato possono, in linea di principio, essere giustificate dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui devono assumere la responsabilità (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2018, M., C-466/17, EU:C:2018:758, punto 46, citata nella sentenza del 16.7.2020).

Pertanto, gli obiettivi invocati dal governo italiano, consistenti nel mettere in luce le differenze nell'attività lavorativa tra un giudice di pace e un magistrato ordinario, possono essere considerati come configuranti una 1 "ragione oggettiva", ai sensi della clausola 4, punti 1 e/o 4, dell'Accordo Quadro, nei limiti in cui essi rispondano a una reale necessità, siano idonei a conseguire l'obiettivo perseguito e siano necessari a tal fine (v., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2018, M., C-466/17, EU:C:2018:758, punto 47, citata nella sentenza del 16.7.2020).

Tali principi sono stati tutti puntualmente richiamati dalla sentenza del 16.7.2020, C-858/18 in cui si afferma che "la particolare importanza attribuita dall'ordinamento giuridico nazionale e, più specificamente, dall'articolo 106, paragrafo 1; della Costituzione italiana, ai concorsi appositamente concepiti per l'assunzione dei magistrati ordinari, sembrano indicare una particolare natura delle mansioni di cui questi ultimi devono assumere la responsabilità e un diverso livello delle qualifiche richieste aifini dell'assolvimento di tali mansiòni.".

Sulla differenza quantitativa e qualitativa delle funzioni svolte, i ricorrenti non deducono, né tanto meno hanno provato, che i magistrati onorari svolgono funzioni identiche a quelle dei magistrati ordinari, né contestano l'assunto di controparte secondo cui la mancanza di un concorso iniziale si accompagna ad una diversa qualità (diversa competenza giurisdizionale, esclusione di alcune funzioni) e quantità (impegno ridotto, discontinuo, non esclusivo) del lavoro prestato.

Nel precedente (già più volte citato) Alla Corte di Giustizia C 466/17 (M., punto 50) si rileva che l'ordinamento giuridico italiano attribuisce una particolare rilevanza ai concorsi amministrativi. La Costituzione italiana, al fine di garantire l'imparzialità e l'efficacia dell'amministrazione, prevede infatti, al suo àrticolo 97, che agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si acceda mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge.

L'obbligatorietà di un servizio dedicato esclusivamente alle funzioni giurisdizionali, la destinazione d'ufficio in prima nomina alla copertura delle sede vacanti, la valutazione di professionalità periodica ai fini della progressione di carriera, giustificano la non equiparabilità dell'importo della retribuzione, a maggior ragione a seguito della riforma che accentua la accessorietà delle funzioni che devono essere svolte dai magistrati onorari rispetto a quelle dei magistrati ordinari.

La Corte Costituzionale pure ha di recente puntualizzato le caratteristiche delle funzioni svolte dalla magistratura onoraria, con la sentenza n. 267/2020, riguardante la questione di costituzionalità dell'art. 18, comrrba 1, del D.L. 25 marzo 1997, n. 67 che, nello statuire che le amministrazioni statali rimborsino, in presenza di determinati presupposti, le spese legali relative ai giudizi di responsabilità promossi nei loro confronti, non prevede che tale rimborso spetti anche ai funzionari onorari.

Nella sentenza citata la Corte ha ribadito la tesi secondi cui la posizione giuridico-economica dei magistrati professionali non si presta a un'estensione automatica nei confronti dei magistrati onorari tramite evocazione del principio di eguaglianza, in quanto gli uni esercitano le funzioni giurisdizionali in via esclusiva e gli altri solo in via concorrente.

Tale tesi era già stata enunciata dalla Corte medesima a proposito del trattamento economico dei componenti delle commissioni tributarie (ordinanza n. 272 del 1999) e di quello dei vice pretori onorari (ordinanza n. 479 del 2000), e ripetuta anche per i giudici di pace, sia in tema di cause di incompatibilità professionale (sentenza n. 60 del 2006), sia in ordine alla competenza per il contenzioso sule spettanze economiche (ordinanza n. 174 del 2012).

Nella sentenza n. 267/2020 la Corte Costituzionale ha espressàmente richiamato i principi affermati dalla Corte di Lussemburgo nella parte in cui ha affermato che differenze di trattamento rispetto al magistrato professionale non possono essere giustificate dalla sola temporaneità dell'incarico, ma unicamente "dalle diverse qualifiche richieste e dalla natura delle mansioni di cui detti magistrati devono assumere la responsabilità" e che assume rilievo la circostanza che per i soli magistrati ordinari la nomina debba avvenire per concorso, a norma dell'art. 106, primo comma, Cost., e che a questi l'ordinamento riservi le controversie di maggiore complessità o da trattare negli organi di grado superiore.

La Corte Costituzionale ha quindi operato un distinguo fondamentale tra diversità qualitativa e quantitativa delle mansioni svolte da magistrati ordinari e onorari e invece identità funzionale dei singoli atti, ritenendo infatti irragionevole che il rimborso delle spese di patrocinio sia dalla legge riconosciuto al solo giudice "togato" e non anche al, giudice di pace, e dichiarando quindi l'illegittimità costituzionale dell'art. 18, comma 1, del D.L. n. 67 del 199.

In conclusione non è ravvisabile, con riferimento all'entità della retribuzione, la violazione del principio di non discriminazione, sancito dalla clausola 4 dell'Accordo Quadro, rispetto ai magistrati ordinari, fatta salva ovviamente ogni valutazione in altra sede giurisdizionale sulla adeguatezza della retribuzione rispetto al parametro costituzionale di cui all'art. 36 Cost..

Nell'ambito del trattamento retributivo, per quanto sopra considerato, non sussistono invece ragioni per escludere i magistrati onorari dal trattamento di fine rapporto, trattandosi di indennità che spetta a tutti i lavoratori, anche a tempo determinato.

8.3.2.ABUSIVA REITERAZIONE DEI RAPPORTI DI LAVORO

La clausola 5 dell'Accordo Quadro stabilisce che, per prevenire gli abusi derivanti dall'utilizzo di una successione di rapporti di lavoro a tempo determinato, gli Stati membri dovranno introdurre misure relative a ragioni, obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti, alla durata massima totale e al numero massimo dei rinnovi dei rapporti di lavoro a tempo determinato

I ricorrenti lamentano un'abusiva reiterazione nel corso degli anni dei rapporti di lavoro, tramite previsioni di legge elusive del dettato dell'accordo quadro.

In effetti le numerose leggi (D.L. n. 354 del 2003, D.L. n. 273 del 2005, D.L. n. 95 del 2008, D.L. n. 193 del 2009, D.L. n. 225 del 2010, D.L. n. 212 del 2011, L. n. 228 del 2012, L. n. 147 del 2013, D.L. n. 150 del 2013, L. n. 208 del 2015) intervenute nel corso degli anni hanno via via prorogato la durata degli incarichi senza fornire alcuna valida giustificazione, se non la stessa necessità della proroga.

9. PRESCRIZIONE DEI DIRITTI

In base a tutte le osservazioni che precedono è possibile valutare l'eccezione di. prescrizione, proposta nei confronti degli intervenienti, che deve essere rigettata.

La difesa dei resistenti ha prospettato la turata quinquennale della prescrizione sia sulla base dell'art. 4, comma 43, L. n. 183 del 2011, applicabile a decorrere dalla data in entrata in vigore di tale norma, sia, considerata la natura di fatto illecito quale fonte dell'obbligazione, sulla base dell 'art. 2947 c.c. Anche considerando la durata ordinaria decennale, la prescrizione a parere dei resistenti sarebbe comunque maturata, in quanto decorrente dal primo giorno, successivo alla scadenza di trentasei mesi dall'atto di nomina.

Il termine di decorrenza della prescrizione si ricollega all'inquadramento della fattispecie come violazione, da parte del Governo, degli obblighi derivanti dal Trattato dell'Unione europea e, quindi, come condotta illecita, fonte di obbligazione risarcitoria. La Corte di giustizia (in particolare, della sentenza della Grande Sezione 14 marzo 2009, in causa C-445/06, Danske Slagterier, che ha rivisto e precisato i principi affermati nella sentenza 25 luglio 1991, in causa C-208/90, Einmot) ha affermato che il termine di prescrizione di un'azione di risarcimento nei confronti dello Stato, conseguente alla carente trasposizione di una direttiva, comincia a decorrere dalla data in cui i primi effetti lesivi di detta scorretta trasposizione si siano verificati e ne siano prevedibili altri. Detta data può anche essere antecedente alla corretta, trasposizione della direttiva stessa, a condizione che il danno per gli aventi diritto si sia verificato, anche solo in parte, anteriormeite alla trasposizione stessa (v. tra le altre Cass. n. 10803/2011).

La permanenza della condotta dello Stato italiano di omissione dell'adempimento delle direttive è tale, in sostanza, da determinare continuativamente la permanenza dell'obbligo risarcitorio e, quindi, in definitiva del danno L'obbligo risarcitorio e, quindi, il danno vedono continuamente rinnovata la loro fonte de 'die in die da tale permanenza. La situazione di danno non e qualificabile come un effetto ormai prodotto, ma come un effetto continuativamente determinato dalla condotta statuale.

Tuttavia, la condotta di attuazione tardiva parziale della direttiva, comportando il parziale soddisfacimento in via specifica del diritto o della parte di diritto previsto dalla direttiva, determina una situazione nella quale per il residuo e ragionevole pensare che lo Stato membro non procederà a successivi atti di adempimento. Ne deriva che i soggetti interessati che vantavano l'obbligo risarcitorio in precedenza commisurato alla situazione di totale inadempienza della direttiva, debbono ragionevolmente considerare che l'azionamento ditale obbligo residuo sia ormai una prospettiva di tutela necessaria. In altri termini l'obbligo risarcitorio residuo non è più apprezzabile dai soggetti interessati come determinato de die in die da una condotta di inadempimento dello Stato, che potrebbe trasformarsi in adempimento, bensì comeoun effetto tendenzialmente determinato ormai una volta per tutte, perché è credibile che lo Stato non procederà all'adempimento residuo. Da tanto discende che da tale momento rispetto al residuo obbligo risarcitorio inizia a decorrere il termine di prescrizione (Cass. n. 10803/11).

Gli intervenienti, solo a seguito della più volte prospettata legge di riforma, hanno avuto .la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 15.8.2017, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 116 del 2017

Quanto alla durata del termine di prescrizione, dovendosi considerare il comportamento omissivo dello Stato come antigiuridico anche sul piano dell'ordinamento interno e dovendosi ricondurre ogni obbligaione nell'ambito della ripartizione di cui all'art. 1173 c.c., la relativa responsabilità va inquadrata nella figura della responsabilità "contrattuale", in quanto nascente non dal fatto illecito di cui all'art. 2043 c.c., bensì dall'inadempimento di un rapporto obbligatorio preesistente, sicché il diritto al risarcimento del relativo danno è soggetto all'ordinario termine decennale di prescrizione. (Cass. n. 30502/19).'

Con l'art. 4, comma 43, della L. n. 183 del 2011 il legislatore ha disposto che "La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell'ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all'art. 2947 c.c. e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato". Ai sensi dell'art. 36 della stessa legge la norma è entrata in vigore il 1 gennaio 2012 e non è applicabile nel presente giudizio

La Cassazione difatti ha ritenuto che tale norma, operando solo per l'avvenire, secondo il criterio generale fissato dall'art. 12 preleggi, potrà disciplinare soltanto la prescrizione di diritti insorti successivamente alla sua entrata in vigore e, quindi, derivanti da fattispecie di mancato recepimento verificatesi dopo di essa (Cass. n. 1917/2012).

10. RISARCIMENTO DEI DANNI

I ricorrenti hanno proposto una domanda di condanna generica, volta quindi ad accertare solo l'an della pretesa risarcitoria, riservando ad un successivo e diverso giudizio l'accertamento del quantum debeatur.

Il diritto al risarcimento presuppone che la direttiva comunitaria, pur sufficientemente specifica nell'attribuire diritti ai singoli, non sa self-executing, così da non potere essere direttamente applicata alla fattispecie concreta, nemmeno mediante eventuale disapplicazione del diritto interno in contrasto con la norma comunitaria.

Risulta da una giurisprudenza costanti della Corte di Giustizia che, in tutti i casi in cui disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate é sufficientemente precise, tali disposizioni possono essere invocate dai singoli nei confronti dello Stato, anche in qualità di datore di lavoro (v., in tal senso, segnatamente, sentenze 26 febbraio 1986, causa 152/84, M., Racc. pag. 723, punti 46 e 49; 20 marzo 2003, causa C-187/00, Kutz-Bauer, Racc. pag. 1-2741, punti 69 e 71, nonché Impact, cit., punto 57).

Secondo la Corte di Giustizia la clausola 4, punto 1, dell'Accordo Quadro esclude in generale e in termini non equivoci qualsiasi disparità di trattamento non obiettivamente giustificata nei confronti dei lavoratori a tempo determinato per quanto riguarda le condizioni di impiego. Il suo contenuto appare quindi sufficientemente preciso affinché possa essere invocato da un singolo ed applicato dal giudice (sentenza del 22.12.2010, procedimenti riuniti C-444/09 e C-456109). Tuttavia nella fattispecie esaminata dalla Corte i soggetti discriminati erano comunque già inquadrati come lavoratori dipendenti pubblici, sebbene a tempo determinato.

Nel caso in esame invece i ricorrenti possono essere qualificati come "lavoratori" ai fini del godimenb5 dei diritti riconosciuti dalla direttiva, ma lo status formalmente loro attribuito dallo Stato italiano non consente una equiparazione automatica tramite l'attribuzione dei medesimi diritti e defte medesime forme di tutela riconosciuti ai magistrati ordinari e in generale ai pubblici dipendenti.

Le medesime considerazioni valgono per la violazione dei diritti attribuiti in materia di ferie dalla direttiva 2003/88/CE e in tenta di maternità dalla direttiva 92/85/CEE le cui norme presuppongono per la diretta applicazione quanto meno la formale instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato.

La pronuncia di condanna generica al fisarcimento del danno per fatto illecito implica un accertamento di potenziale idoneità lesiva degli inadempimenti contestati, mentre la prova dell'esistenza concreta del danno, della reale entità e del rapporto di causalità è riservata alla successiva fase di liquidazione (Cass. n. 21428/2007).

Considerati tali presupposti, si può accogliere parzialmente la domanda dei ricorrenti, ossia riconoscere il risarcimento dei danni derivanti dalle specifiche condotte di inadempimento accertate, in quanto potenzialmente idonee a comportare dei danni derivanti dalla perdita delle garanzie previste dalla normativa comunitaria anche in favore dei magistrati onorari, in quanto lavoratori a empo determinato che svolgono funzioni giurisdizionali.

In questa sede non è invece consentito enucleare criteri di commisurazione dell'entità del risarcimento (sebbene sollecitati dalla difesa dei ricorrenti) che sono demandati all'eventuale futuro giudizio sul quantum.

In conclusione la Presidenza del Consiglio dei Ministri deve essere condannata a risarcire tutti i danni derivanti:

- dall'inadempimento, sino alla scadenza del quarto, anno successivo al 15.8.2017, della direttiva, 2003/88/CE nella parte relativa al riconoscimento di un periodo di ferie annuali retribuite;

- dall'inadempimento della direttiva 92/85/CEE sulla maternità e sul riconoscimento del congedo di maternità, tranne che, a partire dal 15.8.2017, per quanto riguarda la previsione per cui la gravidanza non comporta4a dispensa dall'incarico;

- dall'inadempimento della direttiva 1999/70/CE sul lavoro a tempo determinato, nella parte relativa ai limiti alla reiterazione di incarichi a termine-, nei confronti di uno stesso lavoratore e nella parte relativa al divieto di diparità di trattamento rispetto ai magistrati professionali per quanto riguarda l'indennità di fine rapporto, la tutela della gravidanza, della malattia e dell'infortunio, e, fino al 15.8.2017, anche, per quanto riguarda la tutela previdenziale e assistenziale e la copertura INAIL contro gli infortuni e le malattie professionali..

Devono invece essere rigettate le ulteriori domande risarcitone correlate ai profili di inadempimento non riscontrati.

11. AZIONE SUBORDINATA DI INDEBITO ARRICCHIMENTO

Deve essere dichiarata inammissibile la domanda proposta in via subordinata a titolo di indebito arricchimento ex art. 2041 .c., dato che tale azione "stante il suo carattere sussidiario, deve ritenersi esclusa in ogni caso in cui il danneggiato, secondo una valutazione da compiersi in astratto, prescindendo quindi dalla previsione del suo esito, posa esercitare un 'altra azione per farsi indennizzare il pregiudizio subito" (Cass. civ. Sez. Unite, 4 novembre 1996, n. 9531).

Sussistono valide ragioni per compensare le spese di lite, tenuto conto della novità delle questioni affrontate.


P.Q.M.


Il Giudice Unico del Tribunale di Roma, definitivamente pronunciando, così provvede:

a) Condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al risarcimento in favore dei ricorrenti e degli interventori dei danni, da liquidarsi in separato giudizio, derivanti:

- dall'inadempimento, sino alla scadnza del quarto anno successivo al 15.8.2017, della direttiva 2003/88/CE, nella parte relativa al riconoscimento di un periodo di ferie annuali retribuite;

- dall'inadempimento della direttiva 9,2/85/CEE sulla maternità e sul riconoscimento del congedo di maternità, tranne che, a partire dal 15.8.2017, per quanto riguarda la previsione per cui la gravidanza non comporta la dispensa dall'incarico;

- dall'inadempimento della direttiva 199/70/CE sul lavoro a tempo determinato, nella parte relativa ai limiti alla reiterazione di incarichi a termine nei confronti di uno stesso lavoratore e nella parte relativa al divieto di disparità di trattamento rispetto ai magistrati professionali per quanto riguarda l'indennità di fine rapporto, la tutela della gravidanza, della malattia e dell'infortunio, e, fino al 15.8.2017, anche per quanto riguarda la tutela previdenziale e assistenziale e la copertura INAIL contro gli infortuni e le malattie professionali.

b) Rigetta le ulteriori domande;

c) Dichiara inammissibile la domanda subordinata ex art. 2041 c.c.;

d) Compensa le spese di lite.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2021.

Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2021.


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