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Cass. civ. Sez. lavoro, 22-01-2008, n. 1333
REPUBBLICA ITALIANA
IN
NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE
LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
ha pronunciato la
seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
., elettivamente
domiciliato in ROMA , presso lo studio dell'avvocato
, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
A.M.A. - AZIENDA MUNICIPALE AMBIENTE S.P.A. DI
ROMA;
- intimata -
e sul 2^ ricorso n. 21250/05 proposto da:
A.M.A.
- AZIENDA MUNICIPALE AMBIENTE S.P.A. DI ROMA, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA
FLAMINIA 195, presso lo studio dell'avvocato , che la
rappresenta e difende, giusta delega in atti;
- controricorrente e
ricorrente incidentale -
e contro
., elettivamente domiciliato in
ROMA , presso lo studio dell'avvocato
che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;
-
controricorrente al ricorso incidentale -
avverso la sentenza n.
10180/04 del Tribunale di ROMA, depositata il 27/07/04 R.G.N.
89552/1999;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/11/07 dal Consigliere Dott. ;
udito l'Avvocato
udito l'Avvocato
udito il P.M. in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott., che
ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
conveniva in
giudizio l'AMA Azienda Municipale Ambiente S.p.a. formulando varie
domande, tra cui, per quanto qui interessa, la richiesta di pagamento
di differenze relative a compensi per lavoro straordinario e festivo e
festività coincidenti con la domenica. Il Giudice adito accoglieva solo
quest'ultima domanda; il Tribunale di Roma con la sentenza impugnata
confermava tale decisione, ritenendo infondate le domande relative alle
differenze di compensi per le prestazioni svolte oltre l'orario normale
contrattuale. Riteneva invece fondata la pretesa relativa alle
differenze per compensi per le festività coincidenti con la domenica,
con l'inclusione di componenti la retribuzione globale considerata dal
CCNL. A.A. propone ricorso per cassazione con unico motivo.
AMA
resiste con controricorso e ricorso incidentale affidato ad unico
motivo. R. ha depositato controricorso al ricorso incidentale e memoria
ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1. I ricorsi proposti
contro la stessa sentenza devono essere riuniti ai sensi dell'art. 335
c.p.c..
2. Con l'unico motivo del ricorso principale si denunciano i
vizi di violazione dell'art. 36 Cost., e artt. 2107, 2108 c.c., e art.
112 c.p.c., dell'art. 6 della Convenzione dell'Organizzazione
Internazionale del Lavoro di Washington (recepita con R.D.L. 28 marzo
1923, n. 1429, e art. 4 delle Carte Sociali Europee del 18 ottobre
1961, e 3 maggio 1966 (recepite con L. 3 luglio 1965 n. 929 e L. 9
febbraio 1999 n. 30), degli artt. 3 10 e 117 Cost., e artt. 1362 e 1363
c.c., e ss., e artt. 2697, 1418 e 1419 c.c., nonchè difetto di
motivazione.
Con questo mezzo si ripropone, con varie critiche della
impostazione seguita dalla sentenza impugnata, la tesi del diritto ad
un compenso del lavoro straordinario (eccedente l'orario contrattuale,
ma inferiore a quello massimo fissato per legge), da calcolare sulla
base della retribuzione complessiva delle prestazioni ordinarie diurne,
con una maggiorazione; con la conseguente nullità delle clausole
collettive che, pur prevedendo per il lavoro straordinario una
maggiorazione del 30%, escludono dalla base di computo varie voci
retributive quali scatti di anzianità, indennità contrattuale, elementi
distinti retributivi, assegno personale o anzianità pregressa, salario
individuale di anzianità, quote delle mensilità aggiuntive.
Le censure
si fondano su diversi argomenti che possono essere così riassunti.
In
base al disposto dell'art. 2108 c.c., secondo cui il prestatore di
lavoro deve essere compensato per le ore straordinarie con un aumento
di retribuzione rispetto a quella dovuta per il lavoro ordinario, la
retribuzione ordinaria da prendere in considerazione è unicamente
quella afferente all'orario ordinario o normale contrattuale in
concreto osservato dai lavoratori; ciò comporta "l'inquadramento
dell'orario osservato .... di cui alla stessa retribuzione ordinaria e
per il quale essa viene corrisposta quale orario ordinario o normale".
Lavoro straordinario compensabile, ai sensi dell'art. 2108 c.c., con la
stessa complessiva retribuzione del lavoro ordinario e in più con
l'aumento. Si afferma quindi che non ha alcun senso ogni ipotesi di
"riferimento ad altro orario, non effettivamente osservato, al fine di
determinare la retribuzione oraria ordinaria";
che la disposizione di
legge interpretata nel senso che ai fini dell'applicazione della regola
della maggiorazione del lavoro straordinario sono da considerare
ordinarie le 48 ore settimanali è di impossibile applicazione nei
rapporti di lavoro nei quali viene osservato un orario contrattuale
ordinario o normale minore.
A supporto dell'assunto secondo cui
"lavoro straordinario compensabile con la stessa retribuzione del
lavoro ordinario e con l'aumento è quello eccedente il normale orario
contrattuale convenuto in misura inferiore a quello massimo legale"
vengono sviluppati calcoli aritmetici con i quali si indica lo scarto
tra una retribuzione oraria determinata, ai fini della base di computo
del compenso per straordinario, dividendo l'ammontare mensile per il
numero delle ore dell'orario ridotto contrattuale, o invece per il
numero corrispondente alle 48 ore settimanali.
Pure con la
maggiorazione straordinaria diurna del 30% prevista dalla
contrattazione collettiva, il compenso straordinario complessivo
risulta, a cagione della ridotta base retributiva di calcolo, inferiore
a quello legale o determinato sulla base della retribuzione
omnicomprensiva del lavoro ordinario; ciò in contrasto con il principio
di legge secondo cui il lavoro straordinario diurno deve essere
compensato con un aumento rispetto alla retribuzione dovuta per il
lavoro ordinario, in ragione della sua maggiore gravosità.
Con
riferimento al parametro dell'art. 36 Cost., la parte richiama
l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza 20
novembre 2002, n. 470, con cui sono stati disattesi i dubbi di
legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 5, del D.L. 19 settembre
1992, n. 384, convertito, con modificazioni, nella L. 14 novembre 1992,
n. 438, e successive proroghe,sollevata in riferimento all'art. 36
Cost., nella parte in cui - prevedendo un meccanismo di "blocco" delle
retribuzioni - produce il risultato ovvero consente che il lavoro
straordinario prestato dai dipendenti delle Ferrovie dello Stato venga
retribuito in misura inferiore al lavoro ordinario o comunque non
garantisce "un compenso proporzionato alla maggiore penosità del lavoro
protratto oltre i limiti dell'orario normale".
Ad avviso del
ricorrente principale, l'enunciazione del principio secondo cui i
criteri di proporzionalità e l'adeguatezza della retribuzione, posti
dal precetto costituzionale, vanno riferiti non già alle sue singole
componenti, ma alla globalità di questa, deve essere inteso nel senso
che il Giudice, al fine di verificare l'adeguatezza della retribuzione
globale, deve considerare la maggiore gravosità delle prestazioni
straordinarie, stabilendo adeguatamente l'aumento per esse dovuto;
afferma, altresì, che dalla inadeguatezza di una parte della composita
retribuzione globale deriva necessariamente l'inadeguatezza di tutta
l'intera retribuzione globale.
Il motivo appare infondato per le
seguenti considerazioni.
In più occasioni la giurisprudenza di questa
Corte ha affermato, per controversie analoghe promosse nei confronti
della medesima azienda, che nell'ipotesi in cui, come nel caso di
specie, la contrattazione collettiva fissi un limite di orario normale
inferiore a quello predeterminato per legge, è consentito alla stessa
contrattazione determinare l'assetto degli interessi nel senso che il
superamento dell'orario contrattuale fino al limite di quello legale
non debba essere compensato secondo la disciplina del lavoro
straordinario. Non si tratta - come è stato opportunamente precisato -
di contraddire il principio, pacifico nella giurisprudenza della Corte,
secondo cui è lavoro straordinario anche quello prestato oltre l'orario
stabilito dal contratto (collettivo o individuale), siccome la fonte
contrattuale, nell'escludere esplicitamente la disciplina retributiva
propria del lavoro straordinario, sostituendola con una del tutto
autonoma e diversa, manifesta l'intento di non considerare la
protrazione di orario come lavoro straordinario (v. per tutte Cass. 1
febbraio 2006 n. 2245, 17 marzo 2006 n. 5922, 17 luglio 2006 n. 16177,
17 ottobre 2006 n. 22233; v. anche Cass. 17 marzo 2006 n. 5922).
Tali
previsioni collettive non incontrano il limite di norme inderogabili,
quali sono l'art. 2108 c.c. e altre disposizioni simili, per la
semplice ragione che le parti, nel ridurre l'orario legale, hanno anche
escluso espressamente la natura di lavoro straordinario per quello
prestato al di là del limite convenzionale, disciplinando il compenso
in maniera del tutto diversa (vedi Cass. 5 dicembre 2003, n. 18601).
In questo senso, l'orientamento della giurisprudenza più recente appare
consolidato; in particolare, non è dato rilevare alcuna diversità di
impostazione nei precedenti rappresentati da Cass. 15 aprile 2004 n.
7224 e 10 novembre 2004 n. 21377, con cui si conferma, in riferimento
alla disciplina del R.D.L. n. 692 del 1923, art. 5, che la percentuale
legale di maggiorazione ivi prevista per il compenso del lavoro
straordinario si riferisce alle prestazioni eccedenti non il solo
orario normale contrattuale, ma anche l'orario normale massimo di
lavoro quale indicato dalla stessa normativa legale. Nello stesso
senso, Cass. 10 febbraio 2005 n. 2672 e 1 febbraio 2006 n. 2245
riconoscono il diritto ad una retribuzione maggiorata per la
prestazione di lavoro oltre l'orario contrattuale, ma nell'ambito del
tetto massimo dell'orario legale, anche in misura inferiore alla
percentuale fissata da norme imperative.
La difesa del ricorrente
principale prospetta con un altro argomento la violazione, ad opera
della contrattazione collettiva applicabile, del principio di
necessaria maggiorazione del compenso dovuto per le prestazioni svolte
oltre il normale orario contrattuale. Deduce infatti (a quanto è dato
comprendere dai calcoli sopra richiamati) che la base retributiva di
calcolo deve essere determinata dividendo la paga mensile ordinaria per
il numero delle ore di lavoro concretamente effettuate, e non già
(nell'ipotesi di riduzione dell'orario contrattuale) per il numero
corrispondente all'orario di 48 ore settimanali.
L'assunto va
disatteso perchè coinvolge la questione della definizione dei rapporti
tra la durata della prestazione lavorativa settimanale e la disciplina
retributiva, necessariamente affidata alla contrattazione collettiva
applicabile. Occorre dunque verificare i criteri fissati dalla
disciplina negoziale per la quantificazione dei compensi che devono
essere determinati su base oraria, in caso di prestazione di lavoro
aggiuntivo, tenendo conto del fatto che per i lavoratori retribuiti
sulla base di una retribuzione fissa mensile, nell'ipotesi di riduzione
del normale orario di lavoro, mentre rimane invariata la determinazione
della retribuzione mensile, resta da stabilire - sempre in base alla
disciplina collettiva - se il nuovo orario assuma concreta rilevanza ai
fini della determinazione della quota oraria della retribuzione e
quindi dell'entità del compenso per il lavoro straordinario, ove siano
dettate in proposito specifiche regole.
Sotto questo profilo, nessun
elemento utile per l'indagine è stato offerto dal ricorrente
principale, in assenza di qualsiasi allegazione in ordine al contenuto
della regolamentazione collettiva sul punto.
Esclusa, per le
considerazioni sopra svolte, l'applicabilità della norma inderogabile
dell'art. 2108 c.c., che opera soltanto in presenza di violazioni dei
tetti massimi di orario normale previsto da norme legislative, con
riferimento al parametro stabilito dall'art. 36 Cost., le critiche
della parte sono confutate dal principio consolidato, ribadito dalla
sentenza della Corte Costituzionale n. 470 del 22 novembre 2002,
secondo cui la proporzionalità ed adeguatezza della retribuzione va
riferita non già alle sue singole componenti, ma alla globalità di
essa; con il corollario secondo cui il silenzio dell'art. 36 Cost.,
sulla struttura della retribuzione e sull'articolazione delle voci che
la compongono significa che è rimessa insindacabilmente alla
contrattazione collettiva la determinazione degli elementi che
concorrono a formare, condizionandosi a vicenda, il trattamento
economico complessivo dei lavoratori, del quale il Giudice potrà poi
essere chiamato a verificare la corrispondenza ai minimi garantiti
dalla norma costituzionale.
Nella stessa linea si è espressa la
costante giurisprudenza di questa Corte (v. oltre i precedenti già
citati sopra Cass. 24 marzo 2004 n. 5934, 16 luglio 2007 n. 15781).
L'affermazione secondo cui dalla "inadeguatezza di una parte della
composita retribuzione globale deriva necessariamente l'inadeguatezza
di tutta l'intera retribuzione globale" non ha fondamento logico, posto
che la valutazione della necessità di remunerare in misura maggiore
determinate prestazioni lavorative caratterizzate da superiore
gravosità si inserisce nel giudizio di adeguatezza del trattamento
economico complessivo, i cui elementi si condizionano a vicenda.
Per i
rilievi finora svolti va anche escluso un contrasto della normativa
collettiva applicabile - che come si è detto riconosce una retribuzione
maggiorata per le prestazioni svolte oltre l'orario contrattuale - con
la Carta sociale europea (ratificata e resa esecutiva con legge 9
febbraio 1999 n. 30) che conferma il principio del diritto a tale
maggiorazione, ma nulla stabilisce sull'entità della stessa.
3.
L'unico motivo del ricorso incidentale, con la denuncia di violazione
degli artt. 1362 e 1363 c.c., e art. 2697 c.c., e art. 115 c.p.c.,
nonchè difetto di motivazione, investe la statuizione di accoglimento
della pretesa di differenze per compensi spettanti nelle festività
coincidenti con la domenica.
Il Giudice di merito ha fondato la
propria decisione sulla interpretazione della contrattazione
collettiva, in relazione alla clausola che riconosce al lavoratore, il
cui riposo cada normalmente di domenica, il diritto a percepire, per le
festività infrasettimanali che cadono di domenica, "in aggiunta al
normale trattamento economico un importo pari ad una giornata di
retribuzione globale". Secondo il Tribunale, tale nozione di
retribuzione globale (definita come la somma della retribuzione
individuale e delle indennità a carattere fisso e continuativo)
comporta l'inclusione nella base di calcolo dell'emolumento degli
aumenti periodici di anzianità e delle quote di mensilità aggiuntive.
La ricorrente incidentale contesta questa interpretazione della
disciplina collettiva rilevando che il Giudice del merito ha omesso di
esaminare la nozione convenzionale di "retribuzione individuale"
dettata dal CCNL al fine di verificare se in questa fossero comprese le
voci retributive conteggiate dai lavoratori; non ha considerato il
comportamento complessivo delle parti contraenti successivo alla
stipulazione, in relazione alla circostanza dell'assenza di
contestazione sulle modalità con cui l'azienda dava applicazione al
disposto contrattuale; non ha indicato le ragioni per le quali dette
componenti rientrava tra gli elementi compresi nella nozione di
retribuzione globale.
Le deduzioni sono riferite ai c.d. elementi
distinti dalla retribuzione, e al trattamento denominato "indennità
anzianità pregressa" riconosciuto in misura fissa al personale che è
stato in precedenza alle dipendenze del Comune di Roma.
Il motivo non
merita accoglimento. Premesso che, come risulta dalla motivazione della
sentenza impugnata (non specificamente censurata sul punto) le
differenze attribuite derivano dall'inclusione nella base di calcolo
del compenso in questione delle sole voci relative ad aumenti periodici
di anzianità e quote delle mensilità aggiuntive, le critiche mosse non
identificano nella ricostruzione dell'assetto negoziale compiuta dal
Giudice di merito alcuna violazione specifica dei canoni di ermeneutica
contrattuale, nè vizi logici di motivazione, per quanto riguarda sia la
definizione del concetto di retribuzione globale, comprensivo secondo
il CCNL delle indennità di carattere fisso e continuativo, sia la
inclusione tra queste delle voci indicate.
Il dato del comportamento
seguito dalla azienda nella applicazione della regolamentazione
negoziale appare del tutto irrilevante sul piano interpretativo, non
essendo riferibile alle parti stipulanti il contratto collettivo.
4. I
ricorsi devono essere pertanto respinti. In considerazione della
soccombenza reciproca delle parti, si ravvisano giusti motivi di
compensazione integrale delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La
Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa tra le parti le spese
del giudizio.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2007.
Depositato in
Cancelleria il 22 gennaio 2008
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