Cass. pen. Sez. V, (ud. 15-01-2008) 19-02-2008, n. 7656
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
1) B.R., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del 03/11/2006 CORTE APPELLO di POTENZA;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dr. .
Udito il Procuratore Generale in persona del Dr. .., che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
OSSERVA
La Corte d'appello di Potenza con sentenza 3.11.2006 confermava la decisione del G.U.P. del tribunale di Potenza in data 4.11.2005 con la quale B.R. era stato condannato per i reati di ingiuria aggravata (capo A della rubrica), violenza a pubblico ufficiale (capo B) e lesioni aggravate in danno dell'agente di polizia C.R. (capo C).
Propone ricorso per cassazione l'imputato denunciando violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo all'affermazione di responsabilità per il reato di cui al capo A).
Deduce - riproponendo analoga doglianza avanzata in appello e disattesa - che l'espressione rivolta agli agenti ("che cazzo volete, chi cazzo siete") aveva significato scurrile ma non era idonea a ledere l'onore ed il decoro della persona cui era stata rivolta.
Il motivo è destituito di fondamento ed il ricorso deve esser rigettato con le conseguenze di legge.
Deve premettersi che l'accertamento della portata ingiuriosa di una locuzione rientra nei compiti del giudice di merito, risolvendosi, quindi, in un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità.
Ciò premesso, va osservato che la Corte territoriale ha argomentato che la frase rivolta agli operanti, oltre che triviale, ha un'oggettiva idoneità a ledere l'onore ed il decoro del destinatario, tanto più nel caso in esame, apparendo evidente il proposito di mortificare l'operato degli agenti, apostrofati, nell'adempimento del proprio dovere, con un epiteto che è sinonimo di disprezzo dell'uomo, della sua dignità e del prestigio di pubblico ufficiale.
Trattasi di osservazioni appropriate con le quali - in considerazione del contesto nel quale la frase venne pronunciata e della personalità delle persone offese - è stata ragionevolmente affermata la valenza offensiva dell'espressione in oggetto;
l'apprezzamento, sorretto da corrette argomentazioni, resta sottratto alle censure del ricorrente.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 19 febbraio 2008
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