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(Cassazione Sezione Lavoro n. 3090 dell’8
febbraio 2008, Pres. Mattone, Rel. Vidiri).
Cass. civ. Sez. lavoro, 08-
02-2008, n. 3090
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi
Sigg.ri Magistrati:
ha
pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.C.,
elettivamente domiciliata in ROMA , presso lo studio
dell'avvocato , che la rappresenta e difende unitamente
all'avvocato iusta delega in atti;
- ricorrente -
contro
AZIENDA OSPEDALIERA VILLA (OMISSIS) OSPEDALE CIVILE DI
(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA VIA presso lo studio
dell'avvocato che la rappresenta e difende unitamente
all'avvocato giusta delega in atti;
-
controricorrente -
avverso la sentenza n. 19/05 della Corte d'Appello
di GENOVA, depositata il 12/01/05 R.G.N. 566/04;
udita la relazione
della causa svolta nella Udienza pubblica del 12/12/07 dal Consigliere
Dott. VIDIRI Guido;
udito l'Avvocato
udito il P.M. in
persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. che ha
concluso per il rigetto del ricorso.
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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
C.C., infermiera
professionista presso l'Azienda Ospedaliere Villa (OMISSIS) di
(OMISSIS), impugnava il licenziamento disciplinare per giusta causa
intimatole in data 11 aprile 2002 per avere prestato attività privata
presso una struttura sanitaria (residenza protetta P.R.) in violazione
del D.Lgs. 29 del 1993, art 58 e della L. n. 662 del 1996, art. 1,
comma 60, e per essersi assentata ingiustificatamente nei giorni 5, 8,
9 e 10 aprile 2002 dal servizio.
Il Tribunale accoglieva il ricorso
ed, a seguito di gravame dell'Azienda ospedaliera, la Corte d'appello
di Genova con sentenza del 12 gennaio 2005, in riforma della impugnata
sentenza, rigettava le domande proposte dalla C., compensando le spese
di entrambi i gradi di giudizio. Avverso tale sentenza C.C. propone
ricorso per Cassazione, affidato ad un unico articolato motivo. Resiste
con controricorso l'Azienda Ospedaliera Villa (OMISSIS).
Motivi della
decisione
Con il ricorso C.C. denunzia violazione di legge in relazione
alla L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 18 e della L. n. 662 del 1996,
art. 1, comma 60, ed insufficiente motivazione in relazione alla
valutazione dei comportamenti tenuti da essa C. quale giusta causa di
licenziamento. In particolare sostiene la ricorrente che le assenze che
le erano state contestate non erano ingiustificate atteso che essa
aveva chiesto l'autorizzazione ad assentarsi dal lavoro in ragione di
un trasloco da effettuare. In ogni caso il semplice mancato rispetto di
una procedura formale relativa alla preventiva concessione della
autorizzazione, in casi particolari concessa a posteriori, non valeva a
legittimare un provvedimento così severo come il licenziamento. In
relazione all'attività asseritamene pretesa a favore dei terzi
precisava poi la ricorrente che il verbale di ispezione dei NAS
conteneva gravi illazioni ed imprecisioni e che le prove esperite
avevano portato ad accertare che la sua presenza nella struttura
privata era dovuta soltanto all'intento di valutare la possibilità
futura da parte del marito di intervenire con una società per la
gestione del personale infermieristico. Aggiunge ancora essa ricorrente
che la L. n. 662 del 1996, art. 60, fa esplicito divieto ai pubblici
dipendenti di spiegare lavoro dipendente (subendo le direttive
specifiche di un datore di lavoro) od autonomo (con una propria
organizzazione di mezzi) e che - nonostante la ricaduta del relativo
onere probatorio sul datore di lavoro - le risultanze istruttorie
avevano portato ad attestare unicamente una sua mera presenza fisica
nella struttura privatistica e non un suo interesse economico perchè la
sua partecipazione alla società, poi costituita dal proprio marito,
risultava solo formale, per essere stata posta in essere per fini
fiscali con un solo 5% (pari a complessive Euro 2.550,00) del capitale
di detta società il ricorso è infondato e, pertanto, va rigettato.
Questa Corte ha più volte precisato che il vizio di omessa od
insufficiente motivazione, denunciarle con ricorso per Cassazione ai
sensi dell'art. 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento
del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile
una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla
formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di
contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a
fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in
guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della
"ratio decidendi", e cioè l'identificazione del procedimento logico -
giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non
possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e
delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla
parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio
convincimento, valutare le prove, controllarne l'attendibilità e la
concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute
idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o
all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla
legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr in tali sensi
ex plurimis: Cass. 6 settembre 2007 n. 18709; Cass. 3 agosto 2007 n.
17076).
Ciò premesso, va rimarcato che la Corte territoriale ha
osservato che dalle risultanze istruttorie era emerso che la C. aveva
prestato, presso una struttura sanitaria privata per anziani,
denominata " P.R.", attività lavorativa quale infermiera professionale,
e che tale attività si era inserita nell'ambito di un progetto
imprenditoriale che essa aveva intrapreso con il proprio marito per
offrire l'organizzazione di personale paramedico, quale l'assistenza
infermieristica, a strutture sanitarie secondo quanto previsto
nell'oggetto sociale della Salvatore Castiglione e C s.a.s., costituita
dal proprio coniuge con scrittura privata autenticata pochi giorni dopo
l'accesso dei NAS, che avevano riscontrato la sua presenza nella
summenzionata struttura privata.
Una tale condotta legittimava - ai
sensi del combinato disposto della L. n. 662 del 1996, art 1, commi 60
e 61 e del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7 - il licenziamento
della C., stante la sua posizione di dipendente pubblico e considerata
la gravità della violazione commessa. In relazione alle assenze
contestate la Corte territoriale rilevava infatti che dette assenze
dovevano ritenersi ingiustificate perchè non risultava provata alcuna
autorizzazione, neanche avvenuta tardivamente, a non prestare
l'attività lavorativa e tutto ciò andava valutato sul piano oggettivo
senza che potesse darsi alcun rilievo all'elemento soggettivo della
condotta della lavoratrice.
Orbene la sentenza impugnata, per essere
fondata su una motivazione congrua, priva di salti logici e rispettosa
dei principi giuridici applicabili in materia, non è suscettibile di
alcuna censura in questa sede di legittimità.
Nè per andare in
contrario avviso vale il richiamo allo, disposizione di cui alla L. n.
662 del 1996, art. 1, comma 60 (contenente "Misure di realizzazione
della finanza pubblica") secondo cui al dipendente pubblico "... è
fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro
subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne
prevedano l'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di
appartenenza e l'autorizzazione sia stata concessa...".
Ed invero, non
può che ribadirsi ancora come la sentenza impugnata abbia esplicitato
in modo chiaro e giuridicamente corretto le ragioni che hanno fatto
ritenere giustificato il licenziamento della C. per avere chiarito che,
giusta la contrattazione collettiva di settore, doveva reputarsi
particolarmente grave una condotta concretizzatasi nella violazione
dell'obbligo di astenersi dal prestare attività di lavoro all'esterno
della amministrazione di appartenenza, con l'esercizio di una attività
professionale volta ad inserirsi in una organizzazione del servizio
infermieristico a livello imprenditoriale in favore di una struttura
sanitaria privata che abbisognava di tale servizio, così come la
struttura ospedaliera da cui la C. dipendeva; condizioni queste
suscettibili di creare nel datore di lavoro una oggettiva sfiducia
circa il rispetto dell'obbligo di fedeltà cui il dipendente era tenuto.
Per concludere il ricorso va rigettato.
La ricorrente, per essere
rimasta soccombente, va condannata al pagamento delle spese del
presente giudizio di cassazione e degli onorali, liquidati come in
dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione
di cassazione, liquidate in Euro 20,00, oltre Euro 2.000,00
(duemila/00) per onorari difensivi, oltre spese generali, IVA e CAP.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2007.
Depositato in Cancelleria il
8 febbraio 2008
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