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giovedì 3 settembre 2015

Cassazione: Ville costruite da società immobiliare in zona agricola: risponde di lottizzazione abusiva anche l'acquirente Il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione sulla legittimità dell'acquisto fornisce un determinante contributo causale all'attività illecita del venditore, a meno che non sia in condizione di dimostrare la malafede di quest'ultimo




Ville costruite da società immobiliare in zona agricola: risponde di lottizzazione abusiva anche l'acquirente
Il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione sulla legittimità dell'acquisto fornisce un determinante contributo causale all'attività illecita del venditore, a meno che non sia in condizione di dimostrare la malafede di quest'ultimo
(Sezione terza, sentenza n. 39078/09; depositata l'8 ottobre)
EDILIZIA E URBANISTICA   -   LEGGE PENALE   -   SEQUESTRO PEN.
Cass. pen. Sez. III, (ud. 13-07-2009) 08-10-2009, n. 39078
Fatto - Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Il Tribunale di Roma - con ordinanza del 30.12.2008 (depositata l'8.1.2009) - rigettava le istanze di riesame proposte nell'interesse di A.F., M.M.B., MO.Ge., N.M.R. e C.E. avverso il decreto 20.10.2008 con cui il G.I.P. del Tribunale di Tivoli aveva disposto il sequestro preventivo di villini facenti parte dei " (OMISSIS)", rispettivamente siti in via (OMISSIS), adottando tale misura di cautela reale in relazione agli ipotizzati reati di cui:
a) al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30 e art. 44, lett. c), per avere concorso nella lottizzazione abusiva di terreni ubicati in agro del (OMISSIS).
Ciò in quanto - su area ricadente nella zona E) (agricola) regolata dall'art. 34 delle NTA della variante di aggiornamento del PRG per la salvaguardia del territorio, approvata dalla Regione Lazio con DGR n. 5842 del 14/12/1999, nella quale è consentita la sola edificazione correlata all'attività agricola dei suoli ed allo sviluppo delle imprese agricole e dove è altresì prevista, a specifiche e tassative condizioni, la possibilità di accorpamento della cubatura in "borghetti agricoli" o "atelier d'artista" - veniva effettuata la realizzazione di costruzioni che, sebbene qualificate nei titoli abilitativi come borgo agricolo previsto dal PRG, mancavano di ogni presupposto diretto, connesso e dipendente dal processo di coltivazione agricola dei terreni, configurandosi, al contrario, come un complesso residenziale completamente avulso da tale processo, sicchè veniva in tal modo conferito al territorio un assetto urbanistico differente da quello pianificato, in violazione agli strumenti pianificatori, determinandosi una definitiva trasformazione dell'area da agricola a residenziale;
b) del reato previsto e punito dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. b), perchè gli interventi dianzi descritti venivano eseguiti in assenza del possesso del prescritto permesso di costruire o di altro valido titolo abilitativo, stante l'illegittimità di quello rilasciato.
Avverso tale ordinanza hanno proposto ricorsi per cassazione i difensori delle persone indagate dianzi specificate, i quali - lamentando la incompleta valutazione, in sede di riesame, delle prospettazioni difensive - con doglianze comuni hanno eccepito che: - - non sarebbe configurabile, nella specie, il "fumus" dell'ipotizzato reato di lottizzazione abusiva, in quanto:
- il G.I.P. ed il Tribunale avrebbero erroneamente interpretato l'art. 34 delle NTA della Variante di aggiornamento del PRG comunale e le prescrizioni del Piano territoriale paesistico (PTP) - ambito territoriale n. 4 Valle del Tevere, approvato con la L.R. Lazio 6 luglio 1998, nn. 24 e 25, assimilando incongruamente la figura dello "addetto all'agricoltura" (non definita dall'ordinamento giuridico) a quella dello "imprenditore agricolo", concettualmente diversa.
Nel ricorso del Mo. si prospetta, inoltre, che egli sarebbe effettivamente "coltivatore agricolo" e che il sequestro avrebbe illegittimamente colpito anche terreni coltivati,da lui condotti in affitto;
- le norme del PRG ammetterebbero comunque la possibilità edificatoria anche ai fini residenziali delle zone agricole;
- l'edificazione era avvenuta in seguito al rilascio di regolari concessioni edilizie ed i ricorrenti (ad eccezione della C.) non avevano realizzato alcuna attività edificatoria, essendosi limitati ad acquistare manufatti costruiti da altri: il reato di lottizzazione abusiva, inoltre, sarebbe configurabile esclusivamente nei confronti del venditore e dell'acquirente di "terreni illegittimamente frazionati" e non invece dell'acquirente di "un edificio" già costruito;
- le opere assentite non arrecherebbero pregiudizio al potere pubblico di programmazione territoriale ma anzi ne costituirebbero diretta emanazione;
- non sussisterebbe la necessità di potenziamento e/o adeguamento delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria, nè si imporrebbe la realizzazione di nuove infrastrutture;
- gli indagati sarebbero "estranei al reato di lottizzazione" ed avrebbero agito "in assoluta buona fede", avendo fatto razionale affidamento nella professionalità dei notai che hanno stipulato gli atti di vendita.
Il Consiglio comunale di Riano - con Delib. 12 maggio 2009 - ha affermato la legittimità degli interventi edificatori già assentiti nella zona (OMISSIS) agricola. Tale delibera avvalorerebbe la tesi dell'affidamento incolpevole degli acquirenti, perchè gli stessi sarebbero stati ripetutamente indotti a ritenere conformi alla legge i manufatti da loro acquistati ed autorizzati da quel Comune e l'ente locale, anche con questa più recente determinazione, avrebbe ulteriormente ribadito la correttezza del proprio operato.
- non sarebbe ravvisabile il preteso "periculum in mora", in relazione all'art. 321 c.p.p., comma 1, perchè non potrebbe ipotizzarsi alcun pericolo "concreto ed attuale" di aggravamento delle conseguenze dannose dei reati (secondo quanto argomentato dalle Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione con la sentenza 20.3.2003, n. 12878).
E' stato altresì eccepito che il sequestro è stato adottato dal GIP anche ai sensi dell'art. 321 c.p.p., comma 2, sul presupposto che, all'accertamento del reato di lottizzazione abusiva, debba necessariamente seguire la confisca dell'area e degli immobili interessati, del D.P.R. n. 380 del 2001, ex art. 44, comma 2.
Nei confronti dei ricorrenti, invece, non potrebbe essere disposta la confisca in oggetto, perchè la Corte Europea dei diritti dell'uomo - con decisioni del 30.8.2007 e del 20.1.2009, nel ricorso (n. 75909/01) proposto contro l'Italia dalla s.r.l. "Sud Fondi" ed altri - ha affermato che tale misura patrimoniale:
"non tende alla riparazione di un danno, ma mira nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge";
- è, quindi, una "pena" e la previsione dell'irrogabilità di tale "pena" al di fuori di ipotesi di responsabilità penale incorre nell'infrazione dell'art. 7 della CEDU. I difensori di Mo. e N. (nella memoria depositata il 29.4.2009) hanno perciò sollevato questione di illegittimità costituzionale del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, nella parte in cui tale norma consente l'applicazione del provvedimento di confisca "a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti", per ravvisato contrasto con gli artt. 27 e 42 Cost. e art. 117 Cost., comma 1.
I motivi di ricorso sono stati specificati ed integrati con memorie rispettivamente depositate:
- dal difensore di A. e M., il 18.5.2009;
- dai difensori di Mo. e N., il 29.4, il 26.6 ed il 2.7.2009;
- dal difensore della C., il 15.5.2009. 1. La pianificazione del territorio in oggetto.
1.1 La pianificazione comunale.
Secondo le indagini effettuate dal P.M., l'area in questione è classificata come zona (OMISSIS) - agricola dalla Variante di aggiornamento al Piano Regolatore Generale per la salvaguardia del territorio, adottata dal Comune di Riano ed approvata dalla Regione Lazio con D.G.R. 14 dicembre 1999, n. 5842.
La disciplina peculiare si rinviene dall'art. 34 Norme Tecniche di Attuazione (NTA), che prevede, in sintesi, quanto segue:
La zona agricola "comprende il territorio attualmente destinato all'agricoltura, di cui si intende conservare l'attuale valore ambientale e produttivo.
Le zone agricole sono destinate all'esercizio delle attività agricole dirette o connesse con l'agricoltura.
Sono altresì ammesse le attività sportive equestri, caratteristiche del territorio di (OMISSIS)".
Le zone agricole sono suddivise nelle seguenti sottozone:
(OMISSIS)- zona ricoperta da boschi; (OMISSIS)- zona soggetta a rimboschimento;
(OMISSIS)- zona ad utilizzazione agricola; (OMISSIS)- zona ricoperta da vegetazione ripariale.
Nella zona (OMISSIS) ad utilizzazione agricola (tale è la zona ove sorge il complesso di edifici in esame):
sono ammesse le costruzioni di fabbricati per addetti all'agricoltura con i seguenti indici di fabbricabilità fondiaria:
- 0,03 mc./mq. Residenziale;
- 0,07 mc./mq. per gli annessi agricoli non residenziali, ma l'applicazione di tale indice è subordinato all'accertamento del possesso da parte del richiedente della qualità di imprenditore agricolo a titolo principale.
Il lotto minimo di intervento è stabilito, perle zone (OMISSIS), in 100.000 mq. (10 ettari).
Nell'intento di impedire il proliferare di piccole costruzioni sparse in zone agricole, la Variante in oggetto favorisce l'accorpamento della cubatura in borghetti agricoli facendo propria la norma di tutela dell'art. 23, punto B), Norme Tecniche di Attuazione del Piano Territoriale Paesistico.
I fabbricati consentiti, pertanto, potranno essere riuniti in borghetti agricoli alle seguenti condizioni:
- dovranno attestarsi sui percorsi stradali esistenti, evitando quindi l'apertura di nuove strade ad eccezione di quelle di penetrazione;
- il lotto minimo ammesso. anche derivante da accorpamento di più particelle contigue dovrà in ogni caso rispettare le indicazioni riportate nella Tav. n. 20 del presente Piano.
In questa zona è ammessa anche l'ubicazione di atelier per artisti con relativo alloggio, con un indice di fabbricabilità di 0,10 mc./mq. Tali destinazioni d'uso dovranno essere riunite e concentrate su slarghi e piazze, in modo da formare nuclei edilizi riuniti e compatti.
1.2 La pianificazione regionale.
La L. 22 luglio 1974, n. 34, art. 1 della Regione Lazio già vietava le "lottizzazioni di terreno a scopo edilizio", definendo tali "le utilizzazioni del suolo che, indipendentemente dal frazionamento fondiario e dal numero dei proprietari, prevedano la realizzazione contemporanea o successiva di una pluralità di edifici a destinazione residenziale, turistica, industriale, artigianale o commerciale, o comunque l'insediamento di abitanti o di attività in misura tale da richiedere la predisposizione o l'integrazione delle opere di urbanizzazione tecnica o sociale occorrenti per le necessità dell'"insediamento".
La stessa norma considerava lottizzazioni di terreno a scopo edilizio anche "i frazionamenti delle aree destinate dagli strumenti urbanistici alle attività agricole, ove i lotti siano inferiori a quelli minimi previsti", nonchè "l'esecuzione anche parziale, da parte dei privati proprietari o per loro conto, di opere di urbanizzazione tecnica, non strettamente necessarie alla conduzione dei fondi agricoli o all'accessibilità di edifici già legittimamente realizzati".
Il Piano territoriale paesistico (PTP) - ambito territoriale n. (OMISSIS), ricompreso tra quelli approvati con la L.R. Lazio 6 luglio 1998, nn. 24 e 25, prevede a sua volta - al citato art. 23, punto B), delle Norme Tecniche di Attuazione (richiamato dall'art. 34 delle NTA della Variante di PRG del Comune di Riano) - che "si intendono per zone agricole quelle che sono destinate di fatto all'esercizio dell'attività agricola o che comunque sono definite tali negli strumenti urbanistici vigenti".
Nelle zone agricole sono espressamente vietate:
- ogni attività comportante trasformazione dell'uso del suolo diverso dalla sua naturale vocazione per l'utilizzazione agricola ed ogni intervento deve essere indirizzato alla conservazione dei valori tipici e tradizionali propri dell'agricoltura ed alla difesa dell'esercizio dell'impresa agricola considerato come strumento attivo per la conservazione dei beni ambientali;
- ogni lottizzazione a scopo edilizio ai sensi della L.R. 22 luglio 1974, n. 34, salva la possibilità di concentrare l'edificazione in borghi agricoli ai sensi del D.M. 2 aprile 1968, 1944, art. 2, ove ciò sia consentito dagli strumenti urbanistici;
- l'apertura di strade o sentieri che non siano strettamente necessari per l'utilizzazione dei fondi a scopo di coltivazione e l'esecuzione di opere di urbanizzazione all'infuori di quelle strettamente connesse ed eseguite in contestualità delle opere edilizie consentite e che devono risultare dal progetto relativo a queste ultime.
L'edificazione deve essere strettamente correlata alla utilizzazione agricola dei suoli ed allo sviluppo delle imprese agricole ed essa è consentita, semprechè sia possibile secondo le norme degli strumenti urbanistici, nei limiti di cui all'art. 5, b, alla voce b1 (indice fondiario max. 0,015 mc./mq.; H. max ml. 7,00; con lotto minimo di 30.000 mq. per una cubatura max. accorpabile di 900 mc.), salvo ulteriori specifiche prescrizioni per le "abitazioni della famiglia dell'imprenditore agricolo a titolo principale" e per gli alloggi dei "lavoratori agricoli da applicare stabilmente all'azienda agricola". 2. La ricostruzione degli aspetti essenziali della vicenda.
2.1 La vicenda che ci occupa si inquadra nella complessiva realizzazione, in un territorio agricolo del (OMISSIS), di 16 "borghi rurali" composti da circa 100 villini, alcuni dei quali "a schiera".
In detto territorio sono state rilasciate concessioni edilizie per edifici riuniti in borghetti agricoli ed atelier per artisti che dovevano essere connessi allo sviluppo agricolo dell'agro (OMISSIS), mentre risultano realizzati fabbricati residenziali in nessun modo ricollegabili all'attività agricola ed allo sviluppo agricolo anzidetto.
In particolare:
Il c.d. "Borghetto n. (OMISSIS)" insiste su un'area ubicata in via (OMISSIS):
- per esso risulta rilasciata concessione edilizia a R. G. autorizzante la costruzione, su una superficie di 10 ettari, di n. 11 villini, per un totale di 2.997,64 metri cubi;
- il rilascio di tale concessione si connette ad un atto d'obbligo, con il quale la concessionaria si era impegnata a vincolare l'intero fondo di sua proprietà a servizio delle costruzioni progettate;
- con rogito del (OMISSIS) è stata trasferita alla s.r.l. "Green Box" (amministratore unico P.A.) solo una parte di terreno, pari a mq. 20.000, ove è stata concentrata l'edificazione, e detta società ha venduto le unità immobiliari realizzate a soggetti non addetti all'agricoltura.
A servizio dei manufatti costruiti sono stati realizzati: una rete stradale di collegamento con la vicina SS Flaminia, un impianto di depurazione delle acque reflue ed una rete di illuminazione.
Il c.d. "Borghetto n. (OMISSIS)" insiste su un'area ubicata in via (OMISSIS):
- per esso risulta rilasciata a Ro.An. e Ma.Ca.
(rispettivamente pensionata ed insegnante) concessione edilizia n. (OMISSIS) autorizzante la costruzione, su una superficie di mq. 201.880, di 11 villini più una tettoia, per un totale di 6.336 metri cubi;
- il rilascio di tale concessione è stato preceduto da atto d'obbligo, reso per atto notarile del 18.4.2001, con il quale le concessionarie si impegnavano a vincolare l'intero fondo di loro proprietà a servizio delle costruzioni progettate;
- con rogito del (OMISSIS) è stata trasferita alla s.r.l. immobiliare "Il Borgo" (amministratore unico Ce.An.) solo una parte di terreno, pari a mq. 57.270 - altra parte è stata trasferita a C.E. con atto notarile del 13.12.2002.
La s.r.l. "Il Borgo" ha venduto singole unità edificate a soggetti non addetti all'agricoltura.
Gli edifici medesimi risultano completamente ultimati ed è stata realizzata una strada asfaltata al loro servizio.
Il c.d. "Borghetto n. (OMISSIS) (borgo agricolo e villaggio per artisti)" insiste su un'area ubicata in via (OMISSIS):
- il terreno era originariamente di proprietà di Cl.
L. e S.P.A.;
- per esso risulta rilasciata alla s.r.l. "Immobiliare G.MR" (legalmente rappresentata, fino al 19.3.2002, da N.M.R. e, successivamente da Mo.Ge.) concessione edilizia n. (OMISSIS) autorizzante la costruzione, su una superficie di mq.
253.073, di n. 4 corpi di fabbrica, per un totale di 9.287,58 metri cubi, con n. 22 ville a schiera ed edificio commerciale di prodotti coltivati e di supporto allevamento cavalli.
- Sono state costruite n. 9 ville a schiera e risultano accatastati, con atto del 16.7.2007, n. 9 unità abitative di categoria (OMISSIS) ed i relativi locali (OMISSIS).
La s.r.l. "Immobiliare G.MR.", con nota 5.5.2003 dell'amministratore Mo. ha rinunciato all'esecuzione di una parte del progetto approvato.
- il rilascio della concessione è stato preceduto da atto d'obbligo, con il quale i concessionari si impegnavano a vincolare l'intero fondo di loro proprietà a servizio delle costruzioni progettate;
- sono state costruite n. 9 ville a schiera e risultano accatastati, con atto del 16.7.2007, n. 9 unità abitative di categoria (OMISSIS) ed i relativi locali (OMISSIS): immobili venduti a soggetti non addetti all'agricoltura.
Gli edifici, alla data dell'11.2.2008, risultavano "in fase di rifinitura" ed erano ancora da realizzare tutte le opere inerenti la viabilità, le strade interne di smistamento, le recinzioni di divisione dei vari fabbricati e gli impianti di illuminazione esterna.
Nei borghetti dianzi descritti gli edifici sono stati concepiti per essere adibiti a villini residenziali; essi sono stati localizzati in ambito ben delineato con accesso in comune e strade interne che disimpegnano in modo autonomo le singole unità immobiliari. Nella tipologia edilizia non vi è alcuno spazio destinato ad attività agricola, che possa far presupporre un qualsiasi rapporto di chi vi abita con detta attività legittimante l'edificazione medesima.
Sebbene siano stati stipulati atti d'obbligo di vincolo dei terreni, le vendite effettuate riguardano le singole unità immobiliari ed una limitata area rispettivamente circostante, con scorporo di fatto di tali ridotte estensioni territoriali compravendute da quelle necessarie per legittimare l'edificazione della residenza agricola, senza il rispetto del lotto minimo e del rapporto plano-volumetrico connesso all'indice fondiario.
Alla stregua degli elementi di fatto dianzi compendiati, il G.I.P. ed il Tribunale del riesame hanno ritenuto che le costruzioni poste in essere, sebbene autorizzate come borghi agricoli previsti dal P.R.G. - mancando ogni presupposto diretto, connesso e dipendente dal processo di coltivazione agricola dei terreni e viceversa integrando un complesso residenziale completamente avulso da tale processo - hanno conferito un assetto urbanistico differente alle porzioni di territorio prese in esame, in violazione agli strumenti pianificatori, concretizzando sostanzialmente un cambio della destinazione di zona, definitivamente trasformata da agricola in residenziale.
2.2 Per quanto riguarda, poi, le singole responsabilità, il Tribunale per il riesame ha osservato che:
- era nota e chiara a venditori ed acquirenti la destinazione agricola dell'area interessata dagli interventi edificatori;
- tutti i soggetti coinvolti, anche i sub-acquirenti, avevano la possibilità di verificare tale destinazione attraverso il semplice esame del certificato di destinazione urbanistica ed è impensabile che, anche chi sia completamente ignorante in materia, possa ritenersi in buona fede allorquando vada ad acquistare una villa o un appartamento in un'area classificata come destinata ad usi prevalentemente agricoli. Nel caso in esame, peraltro, la stessa individuazione degli insediamenti come "borghetti agricoli" e "atelier d'artista" avrebbe dovuto indurre sospetti negli acquirenti.
3. Gli elementi del reato di lottizzazione abusiva e la loro individuazione nei fatti in esame.
Ai fini della configurazione del "fumus" della ipotizzata fattispecie contravvenzionale di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, lett. c), si rendono opportune alcune puntualizzazioni di carattere generale in ordine al reato di lottizzazione abusiva.
3.1 A norma del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1, si ha lottizzazione abusiva di terreni a scopo edificatorio:
- quando vengono iniziate opere che comportino trasformazione urbanistica od edilizia dei terreni stessi in violazione delle prescrizioni degli strumenti urbanistici, vigenti o adottati, o comunque stabilite dalle leggi statali o regionali, o senza la prescritta autorizzazione (attività materiale);
- nonchè quando tale trasformazione venga predisposta attraverso il frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti che, per le loro caratteristiche quali la dimensione in relazione alla natura del terreno e alla sua destinazione secondo gli strumenti urbanistici, il numero, l'ubicazione o la eventuale previsione di opere di urbanizzazione ed in rapporto ad elementi riferiti agli acquirenti, denuncino in modo non equivoco la destinazione a scopo edificatorio (attività giuridica).
Questo secondo tipo di lottizzazione viene denominato "negoziale" o "cartolare" e si fonda sulla presenza di elementi indiziari, da cui risulti, in modo non equivoco, la destinazione a scopo edificatorio del terreno.
Tali elementi indiziari (descritti con elencazione normativa non tassativa) non devono essere presenti tutti in concorso fra di loro, in quanto è sufficiente anche la presenza di uno solo di essi, rilevante ed idoneo a fare configurare, con margini di plausibile veridicità, la volontà di procedere a lottizzazione (in questo senso è orientata anche la giurisprudenza amministrativa: vedi C. Stato, Sez. 5^, 14.5.2004, n. 3136).
I due tipi di attività illecite dianzi descritti (lottizzazione materiale e negoziale) possono essere espletati, ad evidenza, anche congiuntamente (c.d. lottizzazione abusiva mista), in un intreccio di atti materiali e giuridici comunque finalizzati a realizzare una trasformazione i urbanistica e/o edilizia dei terreni non autorizzata oppure in violazione della pianificazione vigente.
3.2 Secondo la giurisprudenza ormai consolidata di questa Corte Suprema, il reato di lottizzazione abusiva può configurarsi (vedi Cass., Sez. Unite, 28.11.2001, Salvini ed altri, i nonchè Sez. 3^:
13.6.2008, n. 24096, Desimine ed altri; 11.5.2005, Stiffi ed altri;
1.7.2004, Lamedica ed altri; 29.1.2001, Matarrese ed altri;
30.12.1996, n. 11249, ric. P.M. in proc. Urtis):
- in presenza di un intervento sul territorio tale da comportare una nuova definizione dell'assetto preesistente in zona non urbanizzata o non sufficientemente urbanizzata, per cui esiste la necessità di attuare le previsioni dello strumento urbanistico generale attraverso la redazione di un piano esecutivo e la stipula di una convenzione;
lottizzatoria adeguata alle caratteristiche dell'intervento di nuova realizzazione;
- ma anche allorquando detto intervento non potrebbe in nessun caso essere realizzato poichè, per le sue connotazioni oggettive, si pone in contrasto con la destinazione programmata del territorio comunale.
Nei casi in cui si agisca sul territorio con un'attività finalizzata ed idonea a snaturarne la programmazione deve ritenersi inconferente ogni riferimento all'incidenza del nuovo insediamento sullo stato di urbanizzazione esistente.
3.3 Viene eccepito, al riguardo, che - alla stregua della formulazione letterale del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 30, comma 1, e tenuto conto del principio di tassatività delle previsioni penali - il reato di lottizzazione abusiva sarebbe configurabile esclusivamente nei confronti del venditore e degli acquirenti di "terreni illegittimamente frazionati" e non invece di "edifici già costruiti".
Tale eccezione, però, può essere superata allorquando si consideri che l'alienazione frazionata dei singoli immobili deve ritenersi, per il principio dell'accessione, intimamente connessa al frazionamento in lotti (o comunque allo scorporo sia pure soltanto materiale) del terreno sui quali quegli immobili sono stati edificati.
La norma incriminatrice in esame, facendo testuale riferimento al "frazionamento e la vendita, o atti equivalenti, del terreno in lotti" ha inteso (nell'ottica della necessaria idoneità degli atti a mettere in pericolo la pianificazione territoriale e della individuazione della loro direzione inequivoca ed oggettiva a conseguire lo scopo illecito) anticipare la tutela penale dell'interesse protetto da una fattispecie criminosa che, per la sua natura contravvenzionale, non prevede la rilevanza penale del tentativo.
La punibilità, dunque, risulta costruita alla stregua del modello legale previsto dall'ordinamento in via generale nell'art. 56 c.p., comma 1, sia pure soltanto per i delitti, e sarebbe incongruente affermare che la legge penale punisca esclusivamente quello che è sostanzialmente un tentativo e non intenda sanzionare, invece, una vendita di edifici già realizzati, maggiormente destinata ad incidere significativamente sul territorio.
Il legislatore richiede, per la punibilità, un minus ed a maggior ragione bisogna ricomprendere nella previsione legislativa anche l'ipotesi di maggiore gravità non espressamente descritta come autonoma figura criminosa.
Tale interpretazione non può essere considerata come elusiva del divieto di "analogia in malam partem" in materia penale (art. 14 preleggi) sull'assunto che essa condurrebbe; ad una non consentita estensione della norma penale oltre i casi espressamente previsti, trattandosi invece di una interpretazione logicamente estensiva del tutto coerente con lo scopo: di tutela della fattispecie incriminatrice, la quale risulterebbe - al contrario - irrazionalmente; limitata da una ermeneutica basata sul mero dato letterale.
Nella analogia il caso da decidere non è disciplinato dalla norma e non può in alcun modo essere in essa compreso, anche se questa viene dilatata dall'interprete fino al limite della sua massima espansione, sicchè a quel caso viene data la regolamentazione stabilita per un'ipotesi diversa seppure simile.
Nell'interpretazione estensiva invece, il caso esaminato rientra nella ipotesi astratta configurata dal legislatore, sia pure dando alle parole della legge un significato più ampio di quello che risulta apparentemente da esse.
E, secondo autorevole dottrina, "ogni disposizione di legge va interpretata in modo che consegua lo scopo per cui fu posta e non vada al di là di esso. Se una spiegazione non consente alla norma di raggiungere quello scopo, deve essere respinta, come va respinta quella che conduce a conseguenze che trascendono la finalità della norma".
Questo tipo di interpretazione è ammesso in relazione a tutte le disposizioni di legge, comprese quelle penali, perchè non amplia il contenuto effettivo della norma, ma impedisce che fattispecie ad esse soggette si sottraggano alla sua disciplina per l'ingiustificata mancanza di adeguate espressioni letterali.
Le Sezioni Unite del resto - già con la sentenza 28.11.1981, ric. Giulini - ebbero ad affermare che, per la configurabilità del reato all'epoca previsto dalla L. n. 10 del 1977, art. 17, lett. b), ultima ipotesi, la nozione di "lottizzazione dei terreni a scopo edilizio" (allora posta dalla Legge urbanistica n. 1150 del 1942, art. 28, modificato dalla L. n. 765 del 1967) non comprendeva soltanto i casi di frazionamento di area, ma (alla stregua della ratio legis e degli interessi tutelati) doveva "essere estesa sino a comprendere qualsiasi forma di insediamento urbano, non autorizzabile o non legittimamente autorizzato, realizzato attraverso l'utilizzazione edilizia del territorio": ciò perchè si determina in ogni caso il i pregiudizio delle autonome scelte programmatiche sull'uso del territorio, riservate dalla legge, alla competenza del Comune, nonchè il condizionamento della pubblica Amministrazione ad eseguire le correlate opere di urbanizzazione primaria e secondaria ed a sopportare i relativi i costi.
Solo un'interpretazione siffatta, già secondo la pronuncia in oggetto, "sembra poter comprendere le varie e diverse accezioni del termine lottizzazione, nei momenti e negli aspetti eterogenei e multiformi, effettivi o simulati, nei quali essa ha dimostrato, nel tempo, di potersi concretizzare e sviluppare".
Nello specifico, inoltre, C.E. risulta avere acquistato - senza possedere la qualità di addetta all'agricoltura - un terreno su cui l'edificazione era stata soltanto "iniziata", per una superficie inferiore al prescritto lotto minimo, e poi avere provveduto direttamente al completamento del fabbricato.
- 3.4 Nella vicenda che ci occupa deve ritenersi correttamente configurato dal Tribunale per il riesame il sostanziale conferimento di un diverso assetto ad una porzione di territorio comunale, con "significativa trasformazione" della organizzazione complessiva di detto territorio messa a punto dagli strumenti urbanistici anche attraverso il coordinamento delle varie destinazioni d'uso.
In concreto:
- in area agricola non urbanizzata in cui è espressamente vietata la lottizzazione di terreni a scopo edificatorio, sono stati creati nuclei residenziali, svincolati da qualsiasi attività comunque connessa con l'agricoltura;
- risulta violato il c.d. "rapporto di copertura", cioè il rapporto tra l'area coperta dalla costruzione e l'area del lotto di pertinenza, perchè - pure essendo stati stipulati ai fini del rilascio delle concessioni, atti d'obbligo che vincolavano "al servizio delle costruzioni" i terreni la cui esistenza e la cui estensione costituivano condizioni imprescindibili per l'edificazione delle residenze - si era proceduto invece alla vendita dei singoli manufatti su lotti appena eccedenti le loro aree di sedime, ulteriormente parcellizzando il frazionamento del territorio;
- i singoli manufatti non sono stati trasferiti insieme all'estensione territoriale oggetto del diritto legittimante l'edificazione di ciascuno di essi.
4. La disponibilità dell'area edificata ed il rapporto tra area disponibile e volume edificabile.
Presupposto indefettibile del rilascio della concessione edilizia (oggi permesso di costruire) è che il destinatario del provvedimento amministrativo abbia titolo, in base alla legge, alla trasformazione urbanistica dell'area: si trovi, cioè, in un rapporto di disponibilità qualificata con l'immobile, da intendersi quale titolarità di una posizione soggettiva che civilisticamente costituisca titolo per esercitare un'attività costruttiva sul fondo.
Il provvedimento non si riferisce in via immediata alla situazione giuridica del destinatario, bensì a quella del bene immobile, definita dalle prescrizioni urbanistiche; costituisce cioè un atto intuitu rei, come dimostra la previsione espressa della sua trasferibilità insieme al diritto che costituisce presupposto dell'edificazione (L. n. 10 del 1977, art. 4, comma 6, e D.P.R. n. 380 del 2001, art. 11, comma 2).
Con tale previsione il legislatore ha voluto appunto fissare il carattere di inerenza del provvedimento concessorio al bene immobile cui si riferisce, piuttosto che alla persona alla quale è stato rilasciato.
Il titolo concessorio può essere trasferito "insieme all'immobile" e dunque soltanto a quei soggetti che avrebbero titolo anche a richiederlo autonomamente, versando, nei confronti dell'immobile o del suo proprietario, in una delle condizioni già previste dalla L. n. 10 del 1977, art. 4 ed oggi dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 11.
Parametro-cardine di riferimento per la richiesta del permesso di costruire (già concessione edilizia) è il rapporto tra area disponibile e volume sulla stessa edificabile e si correla all'indice di fabbricabilità fondiario, che definisce il rapporto massimo consentito tra metri cubi edificabili e metri quadrati dell'area o lotto su cui va ad insistere la costruzione.
Qualsiasi costruzione, infatti, anche se eseguita senza il prescritto titolo abilitativo, impegna la superficie che - in base allo specifico indice di fabbricabilità applicabile secondo le previsioni degli strumenti urbanistici vigenti - è necessaria per realizzare la volumetria sviluppata.
Nella fattispecie in esame:
Il P.R.G. prevedeva - per l'edificazione in zona agricola - la necessaria sussistenza di un lotto minimo e su tale lotto, poi, un indice di fabbricabilità fondiaria di 0,03 mc/mq. per le residenze.
Per l'evidenziato principio della inerenza del provvedimento concessorio al bene immobile cui si riferisce, ogni fabbricato residenziale si doveva connettere ad un fondo ben individuato e poi, per "impedire il proliferare di piccole costruzioni sparse in zone agricole", i fabbricati consentiti potevano essere riuniti in un borghetto agricolo a specifiche condizioni.
Le concessioni edilizie, invece, sono state direttamente rilasciate per un "borghetto agricolo", indipendentemente da qualsiasi valutazione dell'opportunità di accorpamento delle residenze dei vari proprietari di una pluralità di fondi e, quanto al rapporto di disponibilità qualificata con un appezzamento di terreno compiutamente determinato, si è fatto riferimento ad un "atto unilaterale d'obbligo" con cui veniva "vincolata" una vasta superficie fondiaria "al servizio" dell'intero borghetto.
In contrasto con la qualificazione "reale" del provvedimento concessorio, il titolo per esercitare l'attività costruttiva è stato così ricondotto ad un rapporto meramente obbligatorio, nascente da un atto che: a) non connette direttamente il suolo all'edificazione (in quella connessione che costituisce, invece, presupposto indefettibile per la realizzazione di essa) ma si limita a porlo - con espressione volitiva estremamente generica - "al servizio" di essa; b) non assoggetta espressamente il suolo medesimo al vincolo di non edificare su di esso costruzioni computabili agli effetti della volumetria ammessa dal piano.
Successivamente, quindi, ai singoli acquirenti di ciascun "villino ad uso abitazione" è stata venduta soltanto una determinata "porzione del complesso immobiliare", completamente avulsa dalla specificazione di ogni e qualsiasi rapporto con il terreno necessario per l'edificazione di quel fabbricato.
Sono state ulteriormente violate, infine, le prescrizioni del PTP, secondo le quali nelle zone agricole, individuate come tali per le preminenti finalità di tutela ambientale peculiari a tale tipo di piano:
- è vietata ogni attività comportante trasformazione dell'uso del suolo diverso dalla sua naturale vocazione per l'utilizzazione agricola ed ogni intervento deve essere indirizzato alla conservazione dei valori tipici e tradizionali propri dell'agricoltura ed alla difesa dell'esercizio dell'impresa agricola considerato come strumento attuativo per la conservazione dei beni ambientali;
- l'edificazione consentita deve essere strettamente correlata alla utilizzazione agricola dei suoli ed allo sviluppo delle imprese agricole.
5. La individuazione delle "zone agricole" e le caratteristiche dell'edificazione residenziale in esse consentita.
La concessione edilizia (ed oggi il permesso di costruire), come già si è accennato, non è personale, nel senso che non è data con una valutazione delle qualità soggettive del concessionario ovvero delle possibilità e capacità imprenditoriale o patrimoniale di esso (queste potranno essere rilevanti per determinare, invece, le condizioni del provvedimento concessorio, il regime di onerosità e gli elementi accidentali dello stesso).
Nella specie l'edificazione è avvenuta in zona (OMISSIS) ad utilizzazione agricola, dove il PRG ammette le costruzioni di fabbricati residenziali per addetti all'agricoltura.
Si pone quindi il problema dell'interpretazione di tale prescrizione limitativa e della valutazione della sua incidenza sulla legittimità dell'edificazione realizzata in concreto.
Giova ricordare, al riguardo, che il D.M. n. 1444 del 1968 definisce come zone (OMISSIS) (zone agricole) le parti del territorio destinate ad usi agricoli, escluse quelle in cui - fermo restando il carattere agricolo delle stesse - il frazionamento delle proprietà richieda insediamenti da considerarsi come zone (OMISSIS) o zone di espansione. In conseguenza di ciò e tenuto conto della ridotta utilizzazione abitativa di tali zone, l'art. 4, stesso D.M. prevede la riserva di soli mq. 6 per abitante per la realizzazione di strutture per istruzione (asili nido, scuole materne e scuole d'obbligo) in ragione di mq. 4,50 per abitante e di mq. 2 per abitante per aree da adibirsi ad attrezzature di interesse comune di vario genere.
Quanto alla funzione delle zone agricole nell'ambito del contesto pianificatorio, la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto ad esse anche un valore ambientale, considerando che la loro individuazione può essere utilizzata pure a salvaguardia del paesaggio e dell'ambiente "e non presuppone necessariamente che l'area stessa venga utilizzata per colture tipiche o sia già in possesso di tutte le caratteristiche previste dalla legge per tale utilizzazione" (vedi, tra le decisioni più recenti, C. Stato, Sez. 4^: 14.10.2005, n. 5713; 31.1.2005, n. 259; 22.6.2004, n. 4466;
10.12.2003, n. 8146).
L'individuazione delle "zone agricole", nel territorio del Comune di Riano interessato dall'edificazione in esame, risulta effettuata - come si è detto - da una "variante di aggiornamento del PRG per la salvaguardia del territorio", in attuazione di un piano territoriale paesistico che (conformemente al valore affermato dall'art. 9 Cost.) correla tale tipo di zonizzazione "alla conservazione dei valori tipici e tradizionali propri dell'agricoltura ed alla difesa dell'esercizio dell'impresa agricola considerato come "frumento attivo per la conservazione dei beni ambientali".
In tali prospettive è stato dunque previsto un limitato sfruttamento abitativo di dette zone, prescrivendo la necessità di un lotto minimo e riservando anche l'edificazione residenziale a coloro che si trovino in relazione qualificata con il fondo.
Si delinea cosi un sistema ambientale complessivo ed integrato nel quale il suolo e le attività agricole rivestono un ruolo primario e la salvaguardia dell'impresa agricola (l'esercizio della quale è considerato dal piano territoriale paesistico come strumento attivo per la conservazione dei beni ambientali) costituisce un presupposto essenziale in quanto, attraverso questa, si preservano sia le risorse naturali sia gli aspetti organizzativi e sociali frutto di una cultura prodotta dai complessi e particolari rapporti che le comunità rurali instaurano con il loro territorio.
L'obiettivo è quello di assicurare la permanenza degli addetti all'agricoltura al presidio delle aree rurali e di salvaguardare l'integrità dell'azienda agricola e del territorio rurale: in quest'ottica ben può affermarsi che la residenza si pone come un accessorio del fondo.
Tutto ciò non appare inficiato da profili di illegittimità, allorchè si consideri che la destinazione a zona agricola costituisce espressione del potere conformativo del diritto di proprietà e non determina disparità di trattamento, in quanto la valutazione sulle possibilità di edificazione non si ricollega ad una distinzione tra cittadini, ma solo alla particolare destinazione dei beni (vedi Corte Cost., 23.6.1988, n. 709).
Detta destinazione non può restringersi, ovviamente, alla sola coltivazione del fondo, ma deve ritenersi estesa alle attività con questa compatibili e/o integrative, ed il criterio di compatibilità va individuato nella mancanza di contrasto tra l'opera e la destinazione dell'area, purchè ciò non comporti l'ampliamento degli insediamenti abitativi, dovendosi comunque evitare l'ulteriore espansione abitativa residenziale ritenuta pregiudizievole, di assetto complessivo del territorio (vedi C. Stato, Sez. 4^, 10.2.2000, n. 721).
Quello che manca però, nella specie, è proprio l'individuazione di quei "fondi" nei quali gli abitanti di nuovo insediamento possano rispettivamente esercitare una qualsiasi attività agricola o ad essa connessa e ciò compromette le perseguite esigenze di contenimento dell'espansione dell'aggregato urbano e di mantenimento di un equilibrato rapporto tra aree edificate e spazi liberi, anche ai fini di tutela ambientale.
Diventa superflua, conseguentemente, ogni discettazione circa la delimitazione interpretativa della categoria degli "addetti all'agricoltura", a fronte di una situazione di fatto che oggettivamente vanifica la valenza conservativa dei valori naturalistici attribuita alla zona agricola.
Il ricorrente Mo. ha prospettato di essere "agricoltore de facto et de iure": egli coltiverebbe, infatti, tutto il fondo assoggettato a sequestro (asseritamente per oltre 23 ettari), effettuando in esso colture di viti, ulivi ed alberi da frutta, attività di vinificazione e produzione di formaggi, allevamenti di bovini e cavalli.
Tutto ciò, però, non rileva ai fini della configurazione del fumus dei reati contestati, perchè il terreno sequestrato non si appartiene al Mo. ma alla s.r.l. "Immobiliare G.MR." (da quegli legalmente rappresentata a fare data dal 19.3.2002), che non è impresa agricola collettiva; è questa società immobiliare che ha ottenuto la concessione edilizia nel 2001; l'indagato poi quale amministratore di detta società, ha concesso in fitto a se stesso quale persona fisica l'azienda societaria nel dicembre del 2003 e successivamente ha concesso sempre a se stesso il comodato gratuito del fondo e degli annessi fabbricati.
Non vi è, allo stato - pur dopo gli espedienti giuridici dianzi descritti - un fondo di 23 ettari su cui insistono (con il rapporto plano-volumetrico di 0,03 mc./mq.) le abitazioni di addetti all'agricoltura nell'azienda agricola condotta dal Mo., in quanto gran parte del fondo medesimo si correla al momento genetico delle costruzioni di altri e diversi proprietari - e non può dissociarsi da esse. Per alcune di dette costruzioni, inoltre, l'indice di fabbricabilità deve ritenersi ricollegato al diverso rapporto plano-volumetrico di 0,10 mc./mq. (in relazione) a quali componenti del fondo?) previsto per l'ubicazione di atelier per artisti con relativo alloggio.
6. I possibili soggetti attivi nel reato di lottizzazione abusiva.
Il reato di lottizzazione abusiva - secondo concorde interpretazione giurisprudenziale nella molteplicità di forme che esso può assumere in concreto, può essere posto in essere da una pluralità di soggetti, i quali, in base ai principi che regolano il concorso di persone nel reato, possono partecipare alla commissione del fatto con condotte anche eterogenee e diverse da quella strettamente costruttiva, purchè ciascuno di essi apporti un contributo causale alla verificazione dell'illecito (sia pure svolgendo ruoli diversi ovvero intervenendo in fasi circoscritte della condotta illecita complessiva) e senza che vi sia alcuna necessità di un accordo preventivo.
La lottizzazione abusiva negoziale - in particolare - ha carattere generalmente plurisoggettivo, poichè in essa normalmente confluiscono condotte convergenti verso un'operazione unitaria caratterizzata dal nesso causale che lega i comportamenti dei vari partecipi diretti a condizionare la riserva pubblica di programmazione territoriale.
La condotta dell'acquirente, in particolare, non configura un evento imprevisto ed Imprevedibile per il venditore, perchè anzi inserisce un determinante contributo causale alla concreta attuazione del disegno criminoso di quegli (vedi Cass., Sez. Unite, 27.3.1992, n. 4708, ric. Fogliani) e, per la cooperazione dell'acquirente nel reato, non sono necessari un previo concerto o un'azione concordata con il venditore, essendo sufficiente, al contrario, una semplice adesione al disegno criminoso da quegli concepito, posta in essere anche attraverso la violazione (deliberatamente o per trascuratezza) di specifici doveri di informazione e conoscenza che costituiscono diretta esplicazione dei doveri di solidarietà sociale di cui all'art. 2 della Costituzione (vedi, sul punto, le argomentazioni svolte dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 364/1988, ove viene evidenziato che la Costituzione richiede dai singoli soggetti la massima costante tensione ai fini del rispetto degli interessi dell'altrui persona umana ed è per la violazione di questo impegno di solidarietà sociale che la stessa Costituzione chiama a rispondere penalmente anche chi lede tali interessi non conoscendone positivamente la tutela giuridica).
L'acquirente, dunque, non può sicuramente considerarsi, solo per tale sua qualità, "terzo estraneo" al reato di lottizzazione abusiva, ben potendo egli tuttavia, benchè compartecipe al medesimo accadimento materiale, dimostrare di avere agito in buona fede, senza rendersi conto cioè - pur avendo adoperato la necessaria diligenza nell'adempimento degli anzidetti doveri di informazione e conoscenza - di partecipare ad un'operazione di illecita lottizzazione.
Quando, invece, l'acquirente sia consapevole dell'abusività dell'intervento - o avrebbe potuto esserlo spiegando la normale diligenza - la sua condotta si lega con intimo nesso causale a quella del venditore ed in tal modo le rispettive azioni, apparentemente distinte, si collegano tra loro e determinano la formazione di una fattispecie unitaria ed indivisibile, diretta in modo convergente al conseguimento del risultato lottizzatorio.
Le posizioni, dunque, sono separabili se risulti provata la malafede dei venditori, che, traendo in inganno gli acquirenti, li convincono della legittimità delle operazioni (vedi Cass., Sez. 3^: 22.5.1990, Oranges e 26.1.1998, Cusimano).
Neppure l'acquisto del sub-acquirente può essere considerato legittimo con valutazione aprioristica limitata alla sussistenza di detta sola qualità, allorchè si consideri che l'utilizzazione delle modalità dell'acquisto successivo ben potrebbe costituire un sistema elusivo, surrettiziamente finalizzato a vanificare le disposizioni legislative in materia di lottizzazione negoziale (vedi Cass., Sez. 3^, 8.11.2000, Petracchi).
I principi dianzi enunciati non contrastano, nella loro sostanza, con i postulati della sentenza n. 42741/08 di questa 3^ Sezione (ric. Silvioli ed altri, depositata il 17.11.2008), le cui statuizioni restitutorie si connettono ad una situazione di fatto in cui il tribunale del riesame aveva espressamente affermato (sia pure con valutazioni ovviamente limitate alla propria cognizione incidentale) che gli acquirenti degli immobili compendio della lottizzazione abusiva valutata in quella sede erano "soggetti in buona fede estranei alla commissione del reato" e che ciò spiegava il mancato esercizio dell'azione penale nei loro confronti.
Quella sentenza, dunque, si è conformata alle peculiarità del caso ma non ha inteso affatto affermare una assiomatica e generalizzata posizione di buona fede dei terzi acquirenti degli immobili in ogni vicenda di lottizzazione abusiva.
7. L'elemento soggettivo della contravvenzione di lottizzazione abusiva.
Le Sezioni Unite di questa Corte Suprema - con la sentenza del 3.2.1990, ric. Cancilleri - avevano affermato che il reato di lottizzazione abusiva si configura come una contravvenzione di natura esclusivamente dolosa, "per la cui sussistenza è necessario che l'evento sia previsto e voluto dal reo, quale conseguenza della propria condotta cosciente e volontaria diretta a limitare e condizionare, con ostacoli di fatto o di diritto, la riserva pubblica di programmazione territoriale".
Tale interpretazione, però, è stata superata da plurime successive sentenze di questa 3^ Sezione con argomentazioni alle quali (per economia di esposizione) si rinvia e che il Collegio pienamente condivide.
In dette decisioni è stato in conclusione rilevato che, dopo che le Sezioni Unite - con la sentenza 28.11.2001, Salvini - hanno riconosciuto (in perfetta aderenza, del resto, al testuale dettato normativo) che il reato di lottizzazione abusiva è a consumazione alternativa, potendo realizzarsi sia per il difetto di autorizzazione, sia per il contrasto con le prescrizioni della legge o degli strumenti urbanistici, risulta ad evidenza contraddittorio escludere (alla stessa stregua di quanto pacificamente ritenuto per la contravvenzione di esecuzione di lavori in assenza o in totale difformità dalla concessione edilizia) che la contravvenzione medesima, sia negoziale sia materiale, possa essere commessa per colpa (vedi Cass., Sez. 3^: 13.10.2004, n. 39916, Lamedica ed altri;
11.5.2005, Stiffi ed altri; 10.1.2008, Zortea; 5.3.2008, n. 9982, Quattrone; 26.6.2008, Belloi ed altri).
Deve ribadirsi, pertanto, che non è ravvisabile alcuna eccezione al principio generale stabilito per le contravvenzioni dall'art. 42 c.p., comma 4, dovendo ovviamente valutarsi i casi di errore scusabile sulle norme integratrici del precetto penale e quelli in cui possa trovare applicazione l'art. 5 cod. pen. secondo l'interpretazione fornita dalla pronuncia n. 364/1988 della Corte Costituzionale.
Il venditore, come si è detto, non può predisporre l'alienazione degli immobili in una situazione produttrice di alterazione o immutazione circa la programmata destinazione della zona in cui gli stessi sono situati ed i soggetti che acquistano devono essere cauti e diligenti nell'acquisire conoscenza delle previsioni urbanistiche e pianificatorie di zona: "Il compratore che omette di acquisire ogni prudente informazione circa la legittimità dell'acquisto si pone colposamente in una situazione di inconsapevolezza che fornisce, comunque, un determinante contributo causale all'attività illecita del venditore" (così testualmente Cass., Sez. 3^, 26.6.2008, Belloi ed altri).
Va ricordato inoltre, al riguardo, che, qualora si ritenesse che il piano regolatore generale abbia natura di strumento normativo ovvero di atto amministrativo generale sostanzialmente normativo, si determinerebbe una presunzione legale di conoscenza ed il dovere legale di conoscenza esclude, per definizione, la possibilità di invocare l'ignoranza incolpevole.
Nel caso in questione - comunque - il Tribunale del riesame non ha ravvisato (allo stato) la buona fede degli acquirenti.
8. Le finalità del disposto sequestro.
8.1 In questo procedimento il Tribunale - a fronte di una misura di cautela reale adottata dal G.I.P. in relazione ad entrambe le ipotesi di cui al primo ed al secondo comma dell'art. 321 c.p.p. (rispettivamente: a) pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato, nonchè di agevolazione della commissione di altri reati; b) possibilità di confisca delle unità immobiliari ai sensi del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, e divieto di restituzione delle cose sequestrate destinate alla confisca, posto dall'art. 324 c.p.p., comma 7) - ha confermato la sussistenza di entrambe le esigenze preventive.
8.2 Il pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato (art. 321 c.p.p., comma 1).
La vicenda che ci occupa appare inerire ad un imponente fenomeno speculativo che ha un forte impatto sul territorio, sotto il profilo dell'assetto urbanistico di esso, in quanto pregiudica le autonome scelte della programmazione edificatoria e condiziona la pubblica Amministrazione nell'esecuzione delle opere di urbanizzazione primaria e secondaria.
In raffronto agli anzidetti beni tutelati e suscettibili di compromissione deve essere valutata - conseguentemente - la situazione di pericolo che l'adozione del sequestro preventivo è finalizzata ad impedire.
Secondo la giurisprudenza assolutamente prevalente di questa Corte Suprema, oggetto del sequestro preventivo di cui al primo comma dell'art. 321 c.p.p. può essere qualsiasi bene - a chiunque appartenente e, quindi, anche a persona estranea al reato - purchè esso sia, anche indirettamente, collegato al reato e, ove lasciato in libera disponibilità, idoneo a costituire pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato ovvero di agevolazione della commissione di ulteriori fatti penalmente rilevanti (vedi Cass.: n. 37033/2006, n. 24685/2005, n. 38728/2004, n. 124612003, n. 29797/2001, n. 449611999, n. 1565/1997, n. 156/1993, a 2296/1992).
Nella specie - tenuto conto dei criteri direttivi generali enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte Suprema con la sentenza 29.1.2003, n. 2, Innocenti - risulta adeguatamente e razionalmente evidenziata la concretezza ed attualità della compromissione dei beni giuridici protetti, poichè il godimento e la disponibilità attuale degli immobili implica una effettiva ulteriore lesione degli interessi tutelati in quanto:
- appare evidente l'aggravamento del c.d. carico urbanistico (sotto i profili del necessario adeguamento dell'urbanizzazione primaria e secondaria), costituendo ogni singolo villino parte di un complesso edilizio residenziale realizzato ex novo, che va integrato con l'aggregato urbano preesistente;
- a fronte di un insediamento non più agricolo ma residenziale, si impone il rispetto dei diversi e maggiori standards correlati alle residenze dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 3 e la esigenza di reperimento delle relative aree da parte dell'Amministrazione comunale;
- si pone, per il Comune, la necessità di provvedere ad una nuova complessiva organizzazione del proprio territorio (da attuarsi, in sede di ripianificazione, con il coordinamento delle varie destinazioni d'uso, in tutte le loro possibili relazioni, e conl'assegnazione ad ogni singola destinazione d'uso di determinate qualità e quantità di servizi). La persistente disponibilità del bene comporta, dunque, perduranti effetti lesivi dell'equilibrio urbanistico ed ambientale e non costituisce "un elemento neutro sotto il profilo dell'offensività" nel senso illustrato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 1287812003.
In relazione alle misure di cautela reale deve ritenersi preclusa ogni valutazione sulla sussistenza degli indizi di colpevolezza e sulla gravità degli stessi (vedi Cass., Sez. Unite, 25.3.1993, n. 4) e la eventuale carenza dell'elemento soggettivo del reato può essere valutata soltanto allorquando emerga ictu oculi in modo evidente e si riverberi sulla componente materiale, incidendo sulla configurabilità stessa del reato.
Alla stregua di detto principio il Tribunale - tenuto conto dei limiti della cognizione ad esso demandata nei procedimenti incidentali aventi ad oggetto il riesame di provvedimenti di sequestro (vedi Cass., Sez. Unite, 29.1.1997, ric. P.M. in proc. Bassi) - non era tenuto a verificare la sussistenza di situazioni di "buona fede" che non risultassero palesi.
Nella specie comunque, come già si è evidenziato, la pretesa buona fede dei ricorrenti non è stata affermata e, dalle prospettazioni difensive, non è immediatamente deducibile una loro condizione di ignoranza incolpevole circa la corretta destinazione urbanistica degli immobili da loro acquistati.
8.3 La finalizzazione alla confisca (art. 321 c.p.p., comma 2) e la connessa questione di costituzionalità.
Quanto, invece, al presupposto della confiscabilità, di cui all'art. 321 c.p.p., comma 2, il Tribunale:
- ha fatto riferimento al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, ove (con previsione già posta dalla L. n. 47 del 1985, art. 19) viene previsto che "La sentenza definitiva del giudice penale che accerta che vi è stata lottizzazione abusiva dispone la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite.
Per effetto della confisca i terreni sono acquisiti di diritto e gratuitamente al patrimonio del Comune nel cui territorio è avvenuta la lottizzazione. La sentenza definitiva è titolo per la immediata trascrizione nei registri immobiliari";
- ha aderito poi (ritenendo inapplicabili, nella specie, gli enunciati della sentenza n. 4274112008, ric. Silvioli di questa 3^ Sezione - dianzi citata) ad un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale "la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere abusivamente costruite sugli stessi deve essere disposta anche nei confronti dei beni dei terzi acquirenti in buona fede ed estranei al reato, i quali potranno fare valere i propri diritti in sede civile" (vedi Cass., Sez. 3^:
4.10.2004, n. 38728; 21.3.2005, n. 10916).
Tale orientamento, però, è stato rielaborato - più recentemente - da questa stessa Corte nella prospettiva della valutazione dei rapporti tra l'ordinamento statuale e quelle peculiari norme internazionali contenute nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952, ai quali è stata data esecuzione con la legge di ratifica 4.8.1955, n. 848.
La Corte europea dei diritti dell'uomo, infatti, nelle sentenze pronunziate rispettivamente il 30.8.2007 ed il 20.1.2009 (ricorso n. 75909/01 proposto contro l'Italia dalla s.r.l. "Sud Fondi" ed altri) - a fronte di una sentenza nazionale che aveva disposto la confisca pur ritenendo insussistente l'elemento soggettivo del reato di lottizzazione abusiva - ha affermato che la confisca già prevista dalla L. n. 47 del 1955, art. 19, ed attualmente collocata tra le "sanzioni penali" dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2 (T.U. sull'edilizia):
- "non tende alla riparazione pecuniaria di un danno, ma mira nella sua essenza a punire per impedire la reiterazione di trasgressioni a prescrizioni stabilite dalla legge";
- è, quindi, una "pena" ai sensi dell'art. 7 della Convenzione e la irrogazione di tale "pena" senza che sia stata stabilita l'esistenza di dolo o colpa dei destinatari di essa, costituisce infrazione dello stesso art. 7, una corretta interpretazione del quale "esige, per punire, un legame di natura intellettuale (coscienza e volontà) che permetta di rilevare un elemento responsabilità nella condotta dell'autore materiale del reato".
Al riguardo è opportuno ricordare che:
- Le nozioni di "reato" (infraction; criminal offence) di cui all'art. 7 della CEDU e di "materia penale" (matiere penale) di cui al precedente art. 6 risultano oggetto di valutazione autonoma da parte degli organi della Convenzione, al fine di poter prescindere (attraverso l'utilizzazione di parametri sostanziali capaci di cogliere l'intima essenza dell'illecito) dalle peculiarità delle legislazioni degli Stati membri, sì da escludere una frammentazione su scala nazionale dei termini e dei concetti utilizzati all'interno della Convenzione.
L'ambito applicativo dell'art. 7 della CEDU si estende ben al di là degli illeciti e delle sanzioni qualificati come "penali" in base al diritto interno, finendo per ricomprendere tutte le norme e tutte le misure considerate "intrinsecamente penali" in base alla concezione autonomista accolta dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, lasciando comunque alla discrezionalità degli Stati membri la soluzione del problema relativo alla individuazione delle fonti penali legittime e concentrando la propria attenzione sugli aspetti sostanziali della legge e sulle garanzie che da essi derivano.
- La Corte Costituzionale, con le sentenze nn. 348 e 349 del 22.10.2007:
a) ha affrontato la questione relativa alla posizione ed al ruolo delle norme della CEDU ed alla loro incidenza sull'ordinamento giuridico italiano, rilevando che dette norme, diversamente da quelle comunitarie, non creano un ordinamento giuridico sopranazionale e sono pur sempre norme internazionali pattizie, che vincolano lo Stato ma non producono effetti diretti nell'ordinamento interno. Il nuovo testodell'art. 117 Cost., comma 1, introdotto dalla legge costituzionale 18-10-2001, n. 3, ha reso inconfutabile la maggiore forza di resistenza delle norme CEDU (nell'interpretazione ad esse data dalla Corte europea per i diritti dell'uomo) rispetto alle leggi ordinarie successive, trattandosi di norma costituzionale che sviluppa la sua concreta operatività solo se posta in stretto collegamento con altre norme (c.d. "fonti interposte", di rango subordinato alla Costituzione ma intermedio tra questa e la legge ordinaria), destinate a dare contenuti ad un parametro che si limita ad enunciare in via generale una qualità che le leggi in esso richiamate devono possedere;
b) ha attratto le stesse norme CEDU come interpretate dalla Corte europea (quali norme - diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie - che, rimanendo pur sempre ad un livello sub - costituzionale, integrano però il parametro costituzionale), in ipotesi di asserita incompatibilità con una norma interna, nella sfera di competenza della Corte Costituzionale, alla quale viene demandata la verifica congiunta della compatibilità della norma interposta con la Costituzione e della legittimità della norma legislativa ordinaria rispetto alla stessa norma interposta;
c) ha escluso che le pronunce della Corte di Strasburgo siano incondizionatamente vincolanti ai fini del controllo di costituzionalità delle leggi nazionali, evidenziando che "tale controllo deve sempre ispirarsi al ragionevole bilanciamento tra il vincolo derivante dagli obblighi internazionali, quale imposto dall'art. 111 Cost., comma 1, e la tutela degli interessi costituzionalmente protetti contenuta in altri articoli della Costituzione".
Nel rapporto, come sopra delineato, tra il diritto interno e le norme pattizie poste dalla CEDU, deve rilevarsi che la Corte europea dei diritti dell'uomo - nella citata sentenza 20.1.2009 - ha escluso la "prevedibilità" del carattere abusivo della lottizzazione sottoposta al suo esame sui rilievi che, alla stregua di quanto definitivamente affermato dalla Corte di Cassazione, gli imputati avevano commesso un errore inevitabile e scusabile nell'interpretazione delle norme violate.
La Corte di Strasburgo ha ritenuto perciò "arbitraria" la confisca (considerata "sanzione penale" secondo le previsioni della CEDU) applicata a soggetti che, a fronte di una base legale non accessibile e non prevedibile, non erano stati messi in grado di conoscere il senso e la portata della legge penale, "a causa di un errore insormontabile che non può in alcun modo essere imputato a colui o colei che ne è vittima".
I Giudici di Strasburgo non hanno detto, però, che presupposto necessario per disporre la confisca in esame sia una pronuncia di condanna del soggetto al quale la res appartiene.
Va ribadito, pertanto, il principio di diritto (già enunciato da questa Sezione nelle sentenze: 20.5.2009, n. 21188, Casasanta ed altri; 29.4.2009, n. 17865, Quarta ed altri; 2.10.2008, n. 37472, Belloi ed altri) secondo il quale: "Per disporre la confisca prevista dal D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, (e precedentemente dalla L. n. 47 del 1985, art. 19), il soggetto proprietario della res non deve essere necessariamente condannato, in quanto detta sanzione ben può essere disposta allorquando sia stata comunque accertata la sussistenza del reato di lottizzazione abusiva in tutti i suoi elementi (soggettivo ed oggettivo) anche se per una causa diversa, quale è, ad esempio, l'intervenuto decorso della prescrizione, non si pervenga alla condanna del suo autore ed alla inflizione della pena".
Anche la Corte Costituzionale ha già avuto modo di affermare che fra le sentenze di proscioglimento ve ne sono alcune che "pur non applicando una pena comportano, in diverse forme e gradazioni, un sostanziale riconoscimento della responsabilità dell'imputato o comunque l'attribuzione del fatto all'imputato medesimo" (vedi le sentenze n. 85 del 2008 e n. 239 del 2009, pubblicata nelle more della redazione della presente decisione). Siffatto "sostanziale riconoscimento", per quanto privo di effetti sul piano della responsabilità penale, non è pertanto impedito da una pronuncia di proscioglimento, conseguente a prescrizione, ove invece l'ordinamento imponga di apprezzare tale profilo per fini diversi dall'accertamento penale del fatto di reato. alla stregua dell'enunciato principio va altresì specificato che:
- presupposto essenziale ed indefettibile, per l'applicazione della confisca in oggetto, è (secondo l'interpretazione giurisprudenziale costante) che sia stata accertata l'effettiva esistenza di una lottizzazione abusiva;
- ulteriore condizione, però, che si riconnette alle recenti decisioni della Corte di Strasburgo, investe l'elemento soggettivo del reato ed è quella del necessario riscontro quanto meno di profili di colpa (anche sotto gli aspetti dell'imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) nella condotta dei soggetti sul cui patrimonio la misura viene ad incidere.
Per quanto attiene al presente procedimento, comunque, la questione non incide sul mantenimento di un sequestro correttamente ancorato anche alle finalità preventive di cui al primo comma dell'art. 321 c.p.p., e si palesa altresì irrilevante, poichè non sono state ravvisate (allo stato) situazioni di estraneità al reato dei ricorrenti, dei quali non è stata altresì razionalmente riconosciuta una condizione di buona fede immediatamente evidente.
Ove situazioni di condotte effettivamente incolpevoli venissero successivamente comprovate non potrà aversi evidentemente confisca.
Da ciò discende l'irrilevanza anche della prospettata questione di incostituzionalità della previsione di cui al D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2.
La Corte di appello di Bari, con ordinanza del 9.4.2008, aveva rimesso alla Corte Costituzionale la valutazione circa la legittimità del provvedimento di confisca qualora emesso "a prescindere dal giudizio di responsabilità e nei confronti di persone estranee ai fatti", per asserito contrasto con l'art. 3 Cost.art. 25 Cost., comma 2, e art. 27 Cost., comma 1.
La Corte costituzionale - con la sentenza n. 239, depositata il 24.7.2009 (nelle more della stesura della presente motivazione) - ha espressamente affermato che, "in presenza di un apparente contrasto fra disposizioni legislative interne ed una disposizione della CEDU, anche quale interpretata dalla Corte di Strasburgo, può porsi un dubbio di costituzionalità, ai sensi del primo comma dell'art. 117 Cost., solo se non si possa anzitutto risolvere il problema in via interpretativa.
Al giudice comune spetta interpretare la norma interna in modo conforme alla disposizione internazionale, entro i limiti nei quali ciò è permesso dai testi delle norme e qualora ciò non sia possibile, ovvero dubiti della compatibilità della norma interna con la disposizione convenzionale interposta, egli deve investire (il giudice delle leggi n.d.r.) delle relative questioni di legittimità costituzionale rispetto al parametro dell'art. 117 Cost., comma 1", (sentenze nn. 348 e 349 del 2007).
La Corte Costituzionale ha concluso che "spetta, pertanto, agli organi giurisdizionali comuni l'eventuale opera interpretativa del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, che sia resa effettivamente necessaria dalle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo;
a tale compito, infatti. già ha atteso la giurisprudenza di legittimità, con esiti la cui valutazione non è ora rimessa a questa Corte. Solo ove l'adeguamento interpretativo, che appaia necessitato, risulti impossibile o l'eventuale diritto vivente che si formi in materia faccia sorgere dubbi sulla sua legittimità costituzionale, questa Corte potrà essere chiamata ad affrontare il problema della asserita incostituzionalità della disposizione di legge".
Questa Corte Suprema ha già fornito un'interpretazione adeguatrice del D.P.R. n. 380 del 2001, art. 44, comma 2, alle decisioni della Corte europea dei diritti dell'uomo e non si ravvisano profili di incostituzionalità a fronte:
- dell'affermata esclusione dell'applicabilità della confisca nei confronti di coloro che effettivamente risultino "in buona fede" (Cass., Sez. 3^: 20.5.2009, n. 21188, Casasanta ed altri; 29.4.2009, n. 17865, Quarta ed altri; 2.10.2008, n. 37472, Belloi ed altri);
- dell'affermata ulteriore necessità del rispetto del principio di "proporzionalità", fissato dall'art. 5 del Trattato della Comunità Europea, secondo il quale "le autorità comunitarie e nazionali non possono imporre, sia con atti normativi, sia con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, tutelate dal diritto comunitario, in misura superiore, cioè sproporzionata, rispetto a quella strettamente necessaria nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l'autorità è tenuta a realizzare".
La confisca medesima, in applicazione di tale principio, va estesa ai soli "terreni lottizzati" ovvero "rientranti nel generale progetto lottizzatorio", da identificarsi in quelli che risultino oggetto di un'operazione di frazionamento preordinata ad agevolarne l'utilizzazione a scopo edilizio. Ove esista, pertanto, un preventivo frazionamento, va confiscata tutta l'area interessata da tale frazionamento nonchè dalla previsione delle relative infrastrutture ed opere urbanizzative, indipendentemente dall'attività di edificazione posta concretamente in essere. Nell'ipotesi, invece, in cui non sia stato predisposto un frazionamento fondiario e tuttavia si sia conferito, di fatto, un diverso assetto ad una porzione di territorio comunale, la confisca va limitata a quella porzione territoriale effettivamente interessata dalla vendita di lotti separati, dalla edificazione e dalla realizzazione di infrastrutture (vedi Cass., Sez. 3^, 2.10.2008, a 37472. Belloi ed altri).
9. La deliberazione n. 11 assunta dal Consiglio comunale di Riano in data 12 maggio 2009.
Il Consiglio comunale di Riano, in data 12.5.2009, ha adottato una deliberazione avente ad oggetto la "Interpretazione autentica dell'art. 34 delle N.T.A. della Variante al P.R.G. approvata con delibera di Giunta regionale n. 5842/1999 - Borghetti agricoli ed atelier Per artisti".
Con tale provvedimento il Consiglio ha considerato:
- che, ai sensi dell'art. 34 delle NTA, "per i borghetti agricoli ... non è richiesto alcuno specifico requisito personale da parte del richiedente";
- che - quanto alla prevista ubicazione di atelier per artisti - per artisti "si devono intendere coloro che svolgono una delle arti quali architettura, pittura, scultura, poesia, musica, canto, recitazione ... come pure il compositore di musica e chi la esegue, l'artista di canto, il poeta, lo scrittore, il pittore, chi recita in teatro ... come pure chi svolge un'attività cinematografica, teatrale o nel ruolo di attore, chi pur non esercitando un'arte ha un animo aperto al senso dell'arte, chi è maestro nel proprio mestiere";
- "che ogni concessione edilizia relativa ai borghetti agricoli ed agli atelier per artisti è accompagnata da atto d'obbligo notarile registrato e trascritto in forza del quale l'intera estensione del terreno di cui al progetto rimane comunque vincolata all'edificio autorizzato, venendo così tutelata la destinazione agricola degli stessi non essendo tra l'altro suscettibili di ulteriore edificazione di qualsiasi tipo avendo esaurito con la costruzione l'intera volumetria assentibile;
- che a rafforzare ulteriormente il vincolo pertinenziale di detti terreni nonchè ad escludere frazionamenti e ad assicurare la loro utilizzazione per fini agricoli è stata adottata la Delib. Consiglio comunale 12 aprile 2006, n. 16, avente ad oggetto "integrazione norme tecniche di attuazione del PRG", con la quale alla fine dell'art. 34 è stato inserito il seguente capoverso: "Le aree agricole che, successivamente all'adozione del vigente PRG, sono state vincolate con atto d'obbligo o altro mezzo idoneo al fine di permettere l'edificazione di qualunque genere in zona agricola, sono destinate esclusivamente alla pratica silvo - agricola - pastorale. Tali aree non possono essere frazionate nè cambiare destinazione urbanistica, neanche nel caso di diversa zonizzazione generale delle macrozone in cui ricadono, a seguito di varianti o nuovo strumento; a tale scopo è redatto a cura dell'UTC settore Urbanistica un apposito registro contenente gli estremi delle aree vincolate sopradescritte;
- che pertanto le concessioni edilizie che risultino essere state rilasciate in conformità alla normativa dettata dall'art. 34 delle Norme Tecniche relative ai borghetti agricoli ed agli atelier per artisti sono da considerarsi legittime".
Sulla base di tali "considerazioni", lo stesso Consiglio ha deliberato di interpretare nei seguenti termini l'art. 34:
44 - a) nella sottozona E3 il detto articolo consente la realizzazione di fabbricati a scopo residenziale accorpati in borghi agricoli, con l'indice di fabbricabilità dello 0,03 mc./mq., da intendersi anche da parte di soggetti che non siano addetti all'agricoltura;
- b) il borghetto agricolo si intende concepito come un nucleo edilizio immerso nella campagna senza richiedere come necessario requisito l'esercizio diretto di attività agricola da parte dei proprietari delle unità immobiliari, ciò al fine di favorire la concentrazione della cubatura e di evitare il proliferare di piccole costruzioni sparse nella zona agricola;
- c) per le stesse motivazioni sono stati altresì previsti dei borghetti destinati ad atelier per artisti con l'indice di fabbricabilità dello 0,10 mc./mq. che devono intendersi destinati ad accogliere tutti quegli artisti che esercitano arti e mestieri come sopra specificati e da intendersi qui riportati;
- d) sulla base della corretta e ragionevole interpretazione della surriportata normativa tecnica di PRG devono ritenersi legittime quelle concessioni edilizie per borghetti agricoli ed atelier per artisti che risultino rilasciate in conformità alla relativa normativa nei termini come sopra interpretati".
Il Consiglio comunale ha disposto, quindi, che la delibera in oggetto "verrà inviata alla Regione per le determinazioni di sua competenza".
Rileva al riguardo il Collegio che al deliberato consiliare in esame deve riconoscersi natura di atto a contenuto pianificatorio.
Esso:
- si pone anzitutto in contrasto con la caratterizzazione conferita alle zone agricole dal PTP - ambito territoriale n. (OMISSIS);
- non "interpreta" l'art. 34 della Variante di PRG ma lo modifica, in quanto elide la previsione dello stesso che riserva agli addetti all'agricoltura l'edificazione di residenze nelle zone agricole E3:
non delimita, infatti, il novera dei soggetti ai quali detta qualifica possa essere attribuita ma estende in senso generalizzato la legittimazione a costruire.
Viene cosi apportata una innovazione sostanziale ad una previsione di piano e ad essa viene illegittimamente attribuito effetto retroattivo.
Sotto il profilo procedimentale, inoltre, deve rilevarsi che il PRG è un atto complesso sicchè, dal momento dell'approvazione regionale, non è più possibile l'interpretazione unilaterale da parte del Comune o della Regione ma essa va effettuata d'intesa tra le due autorità. Nella specie, invece, non risulta intervenuto alcun provvedimento regionale (di concerto preventivo o di approvazione), necessario per il completamento dell'iter formativo e per l'integrazione dell'efficacia.
Una "variante di piano" nel senso dianzi illustrato - d'altro canto - si porrebbe oggi in contrasto con la L.R. Lazio 22 dicembre 1999, n. 38, art. 55, (come modificato dalle L.R. 30 gennaio 2002, n. 4, e L.R. 17 marzo 2003, n. 8), a norma del quale - (a decorrere dal 30.6.2002):
- Fermo restando l'obbligo di procedere prioritariamente al recupero delle strutture esistenti, la nuova edificazione in zona agricola è consentita soltanto se necessaria alla conduzione del fondo e all'esercizio delle attività agricole e di quelle ad esse connesse";
- "Le strutture adibite a scopo abitativo, salvo quanto diversamente e più restrittivamente indicato dai piani urbanistici comunali, dai piani territoriali o dalla pianificazione di settore, non possono, comunque, superare il rapporto di 0,01 metri quadri per metro quadro, fino ad un massimo di 300 metri quadri per ciascun lotto inteso come superficie continua appartenente alla stessa intera proprietà dell'azienda agricola. Il lotto minimo è rappresentato dall'unità aziendale minima di cui all'art. 52, comma 3. E' ammesso, ai fini del raggiungimento della superficie del lotto minimo, l'asservimento di lotti contigui, anche se divisi da strade, fossi o corsi d'acqua";
- "L'unità aziendale minima non può, in ogni caso, essere fissata al di sotto di 10 mila metri quadri. In mancanza dell'individuazione dell'unità aziendale minima, il lotto minimo è fissato in 30 mila metri quadri".
In ogni caso, comunque, come si è ampiamente illustrato dianzi, nella vicenda che ci occupa:
- la valutazione sulle possibilità di edificazione non si ricollega ad una distinzione tra cittadini, ma alla particolare destinazione dei terreni per prevalenti esigenze ambientali, che sono state disattese e tralignate;
- resta violato il c.d. "rapporto di copertura", cioè il rapporto tra l'area coperta dalla costruzione e l'area del lotto di pertinenza, tra l'edificio singolarmente compravenduto e la porzione di terreno agricolo che costituisce imprescindibile presupposto di legittimazione della costruzione di esso.
10. L'ulteriore approfondimento e la compiuta verifica spettano ovviamente ai giudici del merito ma, allo stato, a fronte dei prospettati elementi, della cui sufficienza in sede cautelare non può dubitarsi, le contrarie argomentazioni dei ricorrenti non valgono ad escludere la configurabilità del "fumus" delle contravvenzioni contestate ed il ravvisato "periculum in mora".
I ricorsi, conseguentemente, per tutte le argomentazioni svolte, devono essere rigettati e ciascun ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali secondo la disciplina delineata dall'art. 535 c.p.p., come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 67, comma 2.

P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 127 e 325 c.p.p., dichiara non rilevante la dedotta questione di legittimità costituzionale; rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2009.
Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2009

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