Guardia di Finanza - Missioni false - Risarcimento del danno
DANNI IN MATERIA CIVILE E PENALE - GIUDIZIO DI CONTO - GUARDIA DI FINANZA
[Nota in tema di danno immagine e Forze armate]
C. Conti Calabria Sez. giurisdiz., 26 maggio 2009, n. 240
FONTE
Giur. It., 2010, 1
La fattispecie in esame riguarda un appuntato della Guardia di Finanza, il quale viene condannato al risarcimento del danno erariale derivante dalla produzione, a titolo di rimborso delle spese sostenute in occasione di missioni, di fatture false. Oltre al danno patrimoniale, il Collegio si sofferma sul danno all’immagine della P.A., quale danno conseguente alla grave perdita di prestigio di un Corpo, la Guardia di Finanza, preordinato alla tutela delle risorse finanziarie dello Stato. Il comportamento di un appartenente alle Forze armate — argomenta il giudice contabile — dovrebbe essere improntato, più che quello di ogni altro dipendente pubblico, a criteri di correttezza e di rispetto dell’integrità delle finanze pubbliche.
La decisione rappresenta uno dei numerosi interventi con i quali la Corte dei conti delinea la nozione di danno all’immagine, uno degli elementi della responsabilità amministrativa su cui si riscontrano i più interessanti casi in cui le specificità (organizzative e funzionali) dell’amministrazione militare hanno condotto — il giudice contabile — ad adottare peculiari (e rigorosi) parametri di valutazione.
Più in generale, deve dirsi che la configurazione di un danno all’immagine implica due profili problematici profondamente differenti(1).
Il primo attiene alla prova della sua esistenza, cioè dell’esistenza della lesione inferta alla personalità dell’ente pubblico; il secondo riguarda la quantificazione del danno(2).
Se su tale assunto non possono esservi dubbi, la giurisprudenza contabile, tuttavia, è sembrata caratterizzata — negli anni — da una incertezza o contraddittorietà di fondo.
Numerose sentenze, dando vita all’orientamento più restrittivo in materia e confondendo il profilo della prova dell’esistenza del danno con il profilo del quantum, hanno affermato la configurabilità del danno all’immagine solo laddove vi sia stata l’allegazione delle spese sostenute o da sostenere o dei maggiori costi sopportati dall’amministrazione allo scopo di ripristinare l’immagine e il decoro lesi (la deminutio patrimonii)(3).
La giurisprudenza più recente ha, in realtà, affermato come tale orientamento non sia né condivisibile, né soddisfacente, perché sostanzialmente si traduce in una negazione della stessa risarcibilità della lesione all’immagine: in primo luogo, per la sostanziale impossibilità di individuare tutte le componenti di costo conseguenti al fatto lesivo, sotto il duplice profilo del lucro cessante e del danno emergente; in secondo luogo, perché non tutte le suddette componenti di costo, ancorché individuabili, si perfezionano nello stesso momento. La risarcibilità del danno all’immagine rischierebbe così di restare «una mera esercitazione dottrinaria»(4).
Parte della giurisprudenza ha così compiuto un ulteriore passo in avanti in merito alla configurabilità e risarcibilità del danno all’immagine, ritenendo sufficiente il verificarsi di un fatto intrinsecamente dannoso (c.d. danno evento), a prescindere dalla concreta deminutio derivante dalla spesa per il ripristino del bene leso (c.d. danno conseguenza)(5).
Anche a seguito dell’intervento chiarificatore delle Sezioni riunite nel 2003(6), la giurisprudenza oggi ritiene — pressoché pacificamente — che, quanto alla prova della lesione subita al prestigio e all’immagine della pubblica amministrazione, l’onere può ritenersi adempiuto con la dimostrazione — da parte dell’attore — del pubblico scandalo suscitato dal comportamento del colpevole. Una condotta riprovevole induce, infatti, nella pubblica opinione, la convinzione che i poteri cui è preordinato l’ufficio coinvolto siano stati usati non per i fini pubblici, ovvero nel pubblico interesse, ma per realizzare o soddisfare interessi privati.
Analogamente, nella sentenza che qui si commenta, la Sezione Calabria fa espresso riferimento al c.d. clamor fori, alla diffusione, cioè, che i mass media hanno dato di un determinato fatto illecito, idoneo per la sua intrinseca natura a screditare l’immagine della pubblica amministrazione. Tale idoneità — argomenta il giudice contabile — generalmente si coglie in relazione a fatti corruttivi e/o concussivi, inquadrabili sotto il profilo penale nell’ambito dei reati contro la P.A. Non è da escludere, tuttavia, che possa connettersi ad un fatto penalmente irrilevante o, in ogni caso, ad altri comportamenti penalmente illeciti, come — nella fattispecie — a truffa militare aggravata.
Nel caso concreto, il giudice contabile considera adeguata la prova fornita da parte attrice, attraverso il richiamo al principio del fatto notorio. La vicenda, invero, aveva visto il coinvolgimento, da una parte, dei gestori di un hotel di Roma e, dall’altro, di molti appartenenti alle Forze armate ed aveva avuto ampia diffusione a livello nazionale, tant’è che — ricorda il Collegio — proprio per l’occasione fu coniato, mutuandolo da ben note vicende giudiziarie, il termine “militaropoli”.
L’orientamento giurisprudenziale predominante — per quanto concerne la prova del quantum del danno all’immagine — è nel senso di ricorrere a criteri equitativi, ex art. 1226 c.c., nell’applicazione dei quali vengono comunemente tenuti presenti alcuni parametri quali: il ruolo del soggetto nell’organizzazione amministrativa e la funzione da lui svolta(7); l’eventuale posizione di rappresentanza esterna; la natura dell’ente; la sua capacità esponenziale e gli interessi di cui ha cura; le reiterazioni della condotta; la reazione della collettività e, in particolare, gli atteggiamenti conseguenti degli utenti dei servizi(8).
Alla luce di tali criteri — ritiene l’organo giudicante — l’illecito posto in essere dall’agente deve essere considerato di particolare gravità, laddove si tenga conto della sua appartenenza ad un Corpo — la Guardia di Finanza — preordinato alla tutela delle risorse finanziarie dello Stato. «Non può, infatti, dubitarsi che l’opinione pubblica rimanga particolarmente colpita ogni qualvolta l’illecito provenga da organi particolarmente qualificati dello Stato, dai quali è portata a sentirsi in un certo qual modo tradita con il conseguente rischio dell’innescarsi di un pericoloso effetto-imitazione, conseguente al convincimento della non convenienza di comportamenti virtuosi a fronte della dilagante illegittimità della compagine statale nelle sue componenti più qualificate».
Si è già detto che il danno erariale e, più in particolare, il danno all’immagine, rappresenta uno degli elementi della responsabilità amministrativa su cui si sono riscontrati i più numerosi casi in cui il giudice contabile ha adottato peculiari (e spesso rigorosi) parametri di valutazione, in considerazione delle specificità (organizzative e funzionali) dell’amministrazione militare(9).
Per esempio, si può richiamare una vicenda riguardante un brigadiere e un appuntato, carabinieri in servizio presso il Nucleo operativo e radiomobile della Compagnia dei Carabinieri di Trapani, i quali, abusando della qualità di pubblico ufficiale, nel corso di alcuni controlli, avevano chiesto ed ottenuto dazioni di denaro e altri beni, omettendo di elevare verbali di contravvenzione per infrazioni a norme del codice della strada(10).
La considerazione della peculiarità del corpo militare a cui appartenevano i due convenuti si rinviene già nella valutazione dell’an del danno: «il comportamento illecito perpetrato dai convenuti ha certamente arrecato un danno al prestigio ed all’immagine della amministrazione» — osserva il giudice contabile — «tenuto conto della rilevanza e della enorme considerazione che nel nostro Paese vengono […] attribuite all’Arma dei Carabinieri, da sempre simbolo di abnegazione e di attaccamento al dovere; danno all’immagine che, ad avviso del Collegio, è stato determinato […] per il rilievo dato alla vicenda dagli organi di stampa e per la circostanza che, per il cittadino medio, l’attività di pattuglia pone sicuramente il carabiniere in una posizione di rappresentanza della Arma».
È del gennaio 2008 una decisione della Sezione I della Corte dei conti riguardante un Maresciallo Maggiore e un Colonnello della Guardia di Finanza, i quali avevano illecitamente percepito somme di denaro in occasione dello svolgimento di verifiche fiscali presso una s.p.a., al fine di omettere atti di ufficio(11).
I giudici contabili consideravano le specificità del corpo militare osservando, sin da subito, che in ragione della precipua funzione che sono chiamati ad assolvere, nei rispettivi ambiti operativi, un ufficiale e un sottufficiale della Guardia di Finanza, «gli ascritti ed accertati illeciti penali hanno gettato non poco discredito sul Corpo militare e l’amministrazione di appartenenza, le cui immagini debbono essere ed apparire particolarmente cristalline ai cittadini che, nei loro operatori, per gli specifici munera di cui sono investiti, ripongono ogni fiducia per vedere nel concreto garantiti il rispetto della legge e la tutela e salvaguardia, anche attraverso il contrasto all’evasione fiscale, delle finanze pubbliche alla cui formazione sono imperativamente chiamati a contribuire».
Si rinvengono, inoltre, numerosi casi inerenti il danno all’immagine, in cui la Corte dei conti ha fatto ricorso (soprattutto per il personale della Polizia di Stato(12)) a criteri molto simili a quelli seguiti per il personale delle Forze armate.
Una recente fattispecie di danno all’immagine della Polizia di Stato riguarda un Ispettore superiore, nonché responsabile della Sezione antidroga della Squadra mobile della Questura di Bolzano(13).
A seguito della condanna del convenuto — in sede penale — per spaccio continuato di sostanze stupefacenti, la Procura lo citava in giudizio innanzi alla Corte dei conti, per aver egli procurato un danno all’immagine dell’amministrazione di appartenenza. In ordine alla ritenuta sussistenza del danno, la Procura sottolineava che la condotta del convenuto si era «dimostrata lesiva dei doveri di correttezza e fedeltà incombenti su di un pubblico impiegato, in tal modo intaccando l’immagine di onestà e probità della Polizia di Stato».
La Corte dei conti non ha alcun dubbio nel ritenere sussistente — nella fattispecie — il danno all’immagine per la grave lesione della «precipua immagine di onestà e probità» che deve connotare l’operato della Polizia di Stato. «Ciò a maggior ragione» — prosegue il giudice contabile — «ove si consideri la specifica posizione del M., responsabile della Sezione antidroga della squadra mobile della Questura di Bolzano» e «atteso il peculiare vincolo (anche) di ordine morale che lega gli esponenti delle Forze dell’ordine all’amministrazione, in virtù di un dovere di fedeltà qualificata, con contenuto più ampio di quello riguardante la totalità dei cittadini».
La considerazione degli aspetti di peculiarità delle Forze di polizia (o meglio, delle funzioni esercitate dalle Forze di polizia e della posizione dalle medesime assunta all’interno della collettività) si rinviene in un altro caso deciso dalla Sezione Lombardia e riguardante un ex Ispettore capo della Polizia di Stato, il quale era stato condannato — in sede penale — per favoreggiamento alla permanenza dello straniero clandestino a fini di lucro(14). Il giudice contabile sottolineava la valutazione fortemente negativa della condotta tenuta dal convenuto, «il quale ha violato in modo eclatante i doveri connessi alla sua posizione istituzionale, dimostrando una personalità così pervicace da essere capace di calpestare la pubblica funzione e di mettere a repentaglio l’immagine stessa delle Forze dell’ordine».
Quanto alla quantificazione del danno all’immagine, il giudice utilizzava il metodo equitativo, in considerazione sia dell’incidenza negativa del fatto di reato all’interno di una struttura deputata al contrasto dell’illegalità, sia delle ripercussioni del fatto sui cittadini, «utenti finali delle prestazioni rese dalle Forze dell’ordine — per cui il bene primario dell’immagine pubblica dell’ente non può prescindere da tale parametro»
Considerazioni analoghe si ritrovano in un altro caso di un agente della Polizia di Stato, condannato per il reato di associazione di tipo mafioso(15).
Nella fattispecie, il giudice contabile partiva già dal presupposto che il reato di associazione mafiosa è una fattispecie di reato tra le più aberranti delle quali possa macchiarsi un soggetto preposto alla tutela del principio di legalità nell’ambito della struttura istituzionale dello Stato: «ben può affermarsi che in quel periodo il [convenuto] ebbe […] due datori di lavoro, lo Stato, verso il quale risultò infedele, e la Mafia, ai cui fini piegò e strumentalizzò la propria attività istituzionale di soggetto che, invece, avrebbe dovuto perseguire e reprimere quel fenomeno di criminalità organizzata». Attesa la natura dolosa del comportamento e la particolare odiosità di quest’ultimo in relazione alle funzioni di prevenzione e repressione del fenomeno mafioso che avrebbe, invece, dovuto svolgere il convenuto, la Corte dei conti riteneva, peraltro, insussistenti i presupposti per un qualunque esercizio del potere riduttivo(16).
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(1) Per la dottrina che si è occupata del danno all’immagine o, più in generale, del danno non patrimoniale subito dalla pubblica amministrazione, v., senza alcuna pretesa di completezza, Impeciati, Danno morale: configurabilità e risarcimento nei confronti della pubblica amministrazione, in TAR, 1994, II, 102; Arrigoni, Moralità pubblica e danno non patrimoniale davanti alla Corte dei conti: due sentenze a confronto, in Riv. Amm., 1994, III; 1216; Lupi, Osservazioni in tema di danno all’immagine, in Riv. Corte Conti, 1998, III, 187; Venturini, Danno c.d. “morale” patito dal soggetto pubblico: natura e giurisdizione della Corte dei conti, nota a Corte conti, Sez. riun., 28 maggio 1999, n. 16, in Dir. proc. ammin., 2000, 907; Di Stefano, La giurisprudenza contabile dopo le innovazioni legislative: il danno all’immagine, in L’evoluzione della responsabilità amministrativa a cura di Pasqualucci, Schlitzer, Milano, 2002, 174 e segg.; Manfredi Selvaggi, Il danno all’immagine del Comune non dipende da quello patrimoniale, nota a Corte conti, Sez. Umbria, 19 ottobre 2002, n. 498, in Guida enti loc., 2002, XLIX, 76; Floris, Danno all’immagine e responsabilità amministrativa, in www.diritto.it; Didonno, Il danno all’immagine e al prestigio della pubblica amministrazione, Bari, 2003; Mullano, Il danno all’immagine della p.a., in www.altalex.com; Cacace, Il danno non patrimoniale alla p.a.: immagine, credibilità ed efficienza organizzativa, in Il nuovo danno non patrimoniale a cura di Ponzanelli, Padova, 2004. Più recentemente, v. anche Rodriquez, La responsabilità amministrativa e le sue più recenti evoluzioni. Spunti di riflessione sugli interventi, negli anni, del giudice contabile, in Resp. Civ. e Prev., 2009, 1246; Id., Tangenti e danno all’immagine: un altro intervento del giudice contabile, nota a Corte conti, Sez. I, 7 dicembre 2007, n. 501, ivi, 2008, 1163.
(2) Sottolinea bene questa differenza la recente Corte conti, Sez. Veneto, 29 maggio 2009, n. 432, in www.corteconti.it.
(3) Così ad esempio Corte conti, Sez. Sicilia, 28 giugno 2005, n. 1631, in www.corteconti.it; Id., Sez. Sicilia, 18 maggio 2005, n. 1164, in Riv. Corte Conti, 2005, 3, 160; Id., Sez. Liguria, 21 novembre 2005, n. 1437, in www.corteconti.it; Id., Sez. Calabria, 26 luglio 2005, n. 852, ibid. Ancor più recentemente, v. Corte conti, Sez. Friuli-Venezia Giulia, 28 aprile 2006, n. 228, in Riv. Corte Conti, 2006, 2, 162.
(4) Così si esprime la recente ed articolata Corte conti, Sez. Lazio, 8 giugno 2009, n. 1075, in www.corteconti.it.
(5) Tra le tante, prima dell’intervento delle Sezioni riunite del 2003 (su cui cfr. qui di seguito), v. Corte conti, Sez. Lazio, 12 novembre 2002, n. 3087, in www.corteconti.it; Id., Sez. I, 2 ottobre 2002, n. 336, in Riv. Corte Conti, 2002, V, 40; Id., Sez. II, 17 aprile 2002, n. 130, in www.corteconti.it.
(6) Corte conti, Sez. riun., 23 aprile 2003, n. 10, in Foro Amm. CdS, 2003, 1419; in Giur. It., 2003, 1710, con nota di Poto, Il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione al vaglio delle Sezioni Riunite della Corte dei Conti; in Foro Amm. CdS, 2003, 1419.
(7) Per esempio, valuta in via equitativa il danno all’immagine, tenendo conto della qualità dei soggetti (nella specie, si trattava di assistenti capo della Polizia di Stato), Corte conti, Sez. Lazio, 11 dicembre 2007, n. 1802, in www.corteconti.it.
(8) Cfr. sul punto Corte conti, Sez. Abruzzo, 18 febbraio 2002, n. 94, reperibile in www.lexitalia.it, con nota di Perin, Tipologia di danni erariali conseguenti ad attività di corruzione e concussione nella p.a.: danno da tangente, danno da disservizio e lesione all’immagine pubblica. Per una quantificazione del danno all’immagine attraverso l’utilizzo di criteri presuntivi, cfr. anche Corte conti, Sez. Lombardia, 11 aprile 2005, n. 249, in www.corteconti.it.
(9) Sulla responsabilità amministrativa e contabile degli appartenenti alle Forze armate, v. di recente Rodriquez, Corte dei conti e responsabilità del militare. Un giudizio amministrativo-contabile «sui generis»?, Napoli, 2009.
(10) Corte conti, Sez. Sicilia, 8 ottobre 2002, n. 1833, in Riv. Corte Conti, 2002, V, 150.
(11) Cfr. Corte conti, Sez. I, 7 gennaio 2008, n. 7, in www.corteconti.it.
(12) I casi rinvenuti riguardano, infatti, più che altro appartenenti alla Polizia di Stato. Si richiama, del resto, un solo caso di sicuro interesse riguardante la Polizia Penitenziaria: Corte conti, Sez. Piemonte, 5 giugno 2008, n. 162, in www.corteconti.it.
(13) Corte conti, Sez. Trentino-Alto Adige, 18 settembre 2008, n. 23, in www.corteconti.it.
(14) Corte conti, Sez. Lombardia, 9 aprile 2008, n. 240, in www.corteconti.it.
(15) Si tratta di Corte conti, Sez. Sicilia, 9 novembre 2006, n. 3227, in www.corteconti.it. Nello stesso senso, per un’altra fattispecie riguardante un agente della Polizia di Stato, riconosciuto colpevole del reato di concorso esterno in associazione mafiosa, Corte conti, Sez. Sicilia, 2 febbraio 2007, n. 304, in www.corteconti.it.
(16) Sull’istituto del potere riduttivo, cfr. ad esempio Pilato, La responsabilità amministrativa. Profili sostanziali e processuali nelle leggi 19/94, 20/94 e 639/96, Padova, 1999, in part. 308 e segg. Meno recentemente v. Abbamonte, Per rinverdire il potere riduttivo della Corte dei conti nei giudizi di responsabilità, in Studi in onore di Ottaviano, Milano, 1993, 1267 e segg. Cfr. anche le interessanti osservazioni di Maddalena, Il potere-dovere di graduare la condanna come elemento fondante dell’unico ius dicere del giudice contabile e come garanzia di una giusta sentenza, in www.amcorteconti.it.
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