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giovedì 23 giugno 2016

Cassazione: padre assente e madre delirante? Equivale ad abbandono che legittima stato di adottabilità



adre assente e madre delirante? Equivale ad abbandono che legittima stato di adottabilità
ADOZIONE
Cass. civ. Sez. I, 14-05-2010, n. 11745

Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo


Con Decreto in data 21/03/2007 il Tribunale per i Minorenni di Milano dichiarava la adottabilità della minore A.G., nata a (OMISSIS) il (OMISSIS).
Avverso tale decreto proponevano opposizione i genitori F. S. e A.D..
Veniva disposta ed espletata C.T.U..
Il Tribunale per i Minorenni, con sentenza 11-13/07/2007, rigettava l'opposizione.
Proponevano appello, con atto 2/10/2007, i genitori della minore, chiedendo revocarsi la pronuncia di adottabilità della figlia.
Si costituiva regolarmente il contraddittorio: tutore e curatore della minore chiedevano rigettarsi l'appello.
La Corte d'Appello di Milano, con sentenza 14702-7/03/2008 rigettava l'appello.
Ricorrono per Cassazione i genitori della minore, sulla base di due motivi.
Resiste, con controricorso, il curatore della minore.

Motivi della decisione


Il ricorso non va dichiarato inammissibile, come richiesto dal resistente curatore: i quesiti di cui all'art. 366 bis c.p.c., abrogato, ma ancora operante per i rapporti pregressi, appaiono adeguati.
Con il primo motivo, i ricorrenti lamentano violazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1 e 8, nonchè degli artt. 29 e 30 Cost..
Quanto alla L. n. 184, art. 1, va precisato che esso introduce una generale enunciazione di principio per cui il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia. Non pare evidentemente accettabile un'interpretazione del principio in senso assoluto: il minore dovrebbe essere educato sempre e comunque nella famiglia d'origine (ciò che contraddirebbe il contenuto stesso della L. n. 184 e i principi costituzionali: l'art. 30 Cost., comma 2, precisa che, anche in caso di incapacità dei genitori, devono essere comunque assicurati i compiti di educazione, mantenimento, istruzione dei figli).
Il significato dell'enunciazione che apre la L. n. 184, anche alla luce dei commi successivi dell'art. 1 (per cui sono disposti, a favore della famiglia, interventi di sostegno ed aiuto, al fine di prevenire situazioni di abbandono) è ben diverso: il minore ha diritto ad essere educato nella propria famiglia di origine finchè ciò sia possibile, ed è pertanto necessario individuare gli strumenti di aiuto e di sostegno ad essa, seguendosi del resto le indicazioni dell'art. 31 Cost., perchè la famiglia possa assolvere ai suoi compiti educativi; ma ove tale programma non ottenga l'effetto sperato, si farà luogo all'adozione, sciogliendo ogni legame con la famiglia d'origine.
Quanto alla L. n. 184, art. 8, va osservato che esso, definendo l'abbandono di minore, come privazione di "assistenza morale e materiale da parte dei genitori (o dei parenti tenuti a provvedervi)", costituisce una norma in bianco, nella quale peraltro la giurisprudenza (e segnatamente quella di questa Corte) è pervenuta a risultati sostanzialmente univoci (per tutte, Cass. n. 21817 del 2006).
Soccorre, ancora una volta, il richiamo ai principi costituzionali:
l'art. 30 Cost., indica l'obbligo (prima ancora che il diritto) dei genitori di educare, istruire, mantenere i figli, e il principio costituzionale trova riscontro nell'art. 147 c.c., là dove si precisa che i genitori hanno il dovere di mantenere, istruire ed educare la prole, tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni dei figli.
E' necessario da un lato trasmettere al minore, con l'educazione e l'istruzione, i valori necessari per fargli progressivamente acquistare le capacità e posizioni proprie di ogni membro della collettività: a svolgere tale alta e delicatissima funzione la famiglia non è lasciata sola (vi sono altri soggetti istituzionali:
ad es. la scuola); essa ha comunque un ruolo preminente ed insostituibile. Ma è pure indispensabile provvedere anche finanziariamente al soddisfacimento dei bisogni del minore e alle sue esigenze di crescita: si tratta evidentemente di un compito assai complesso ed articolato, ben più ampio di quella minima prestazione di cure che serve a mantenere in vita il soggetto.
Va precisato che solo all'interesse del minore deve farsi comunque riferimento; non si sanziona il comportamento del genitore, ma ci si deve preoccupare esclusivamente di eliminare le conseguenze che tale comportamento determina o potrebbe determinare sullo sviluppo psicofisico del fanciullo. Dunque, ove la situazione familiare fosse tale da compromettere in modo grave e irreversibile tale sviluppo, si dovrebbe far luogo ad adozione. Non alla figura di un minore astratto, nè a tutti i minori di quell'età o di quell'ambiente sociale ci si dovrà peraltro richiamare ma piuttosto a quel minore particolare, con la sua storia, il suo "vissuto", le sue caratteristiche fisiche e psicologiche, la sua età, il suo grado di sviluppo ( o meglio le potenzialità, le possibilità di sviluppo).
L'esigenza è dunque sempre la medesima: garantire una crescita armonica e compiuta del fanciullo. L'adozione presuppone una situazione grave ed irreversibile (laddove il giudizio di gravità ed irreversibilità va fatta con riferimento alla posizione del singolo minore).
Consegue da quanto osservato che, alla luce dell'esclusivo interesse del minore, una mera espressione di volontà dei genitori, una "speranza" di recupero delle capacità genitoriali non è sicuramente idonea al superamento dell'abbandono.
Non si ravvisa, nella sentenza impugnata, violazione alcuna delle norme indicate dai ricorrenti.
Il motivo va pertanto rigettato, in quanto infondato.
Con il secondo motivo, lamentano i ricorrenti vizio di motivazione della sentenza impugnata, con riferimento tanto alla posizione della madre che a quella del padre della minore.
Il motivo è infondato e va rigettato.
Lamentano i ricorrenti che la corte di merito avrebbe fondato la propria decisione soltanto su fatti e situazioni risalenti. Il giudice a quo fonda la sua decisione, con riferimento alla posizione della madre, sulla base della consulenza espletata in primo grado, supportata da analoghe dichiarazioni e valutazioni degli operatori:
si riscontra nella F. una patologia delirante e persecutoria, che ha irrimediabilmente compromesso la sua capacità genitoriale. Il consulente, sentito dai giudici d'appello - come chiarisce la sentenza impugnata - ha sostanzialmente confermato le risultanze della C.T.U. Aggiunge il giudice a quo che pure è stato sentito lo psichiatra, medico curante della F., il quale ha precisato che essa può subire ricadute e acutizzazioni gravi, e non appare in grado di costituire un valido rapporto con la figlia.
L'atteggiamento e il comportamento della madre avevano profondamente e negativamente inciso sullo sviluppo psicofisico della figlia: così ancora la sentenza impugnata.
Quanto alla posizione del padre, a corte di merito fonda la sua decisione, oltre che sulle risultanze della C.T.U. di primo grado, pure sulle dichiarazioni del consulente, a chiarimenti e dello stesso A. nel giudizio di appello. Questi - precisa la sentenza impugnata - non è stato in grado di fornire aiuto e sostegno alla bambina e si è allontanato da casa durante la fase più acuta della malattia della moglie; egli non ha raggiunto un'autonomia rispetto alla F. (e lo stesso consulente, sentito a chiarimenti, ha concordato sull'ipotesi di adottabilità della minore, riferendosi anche alla posizione del padre) e non ha fornito alcun valido e concreto progetto concernente la figlia.
Con il terzo motivo, i ricorrenti censurano la decisione della Corte d'Appello di non aver disposto supplemento di consulenza, lamentando al riguardo vizio di motivazione.
Anche questo motivo appare infondato e va rigettato.
La decisione di disporre C.T.U. (od un suo supplemento) è espressione del potere discrezionale del giudice di merito (tra le altre, Cass. n. 4660 del 2006). Il giudice a quo, considerando, con valutazione ampia ed approfondita, la posizione di ciascun genitore e il suo rapporto con la figlia, sulla base di mezzi istruttori svolti anche in grado di appello, ha ritenuto di non accedere alla richiesta dei ricorrenti, e tale scelta non è censurabile in questa sede.
Va conclusivamente rigettato il ricorso.
La natura della causa richiede la compensazione delle spese tra le parti

P.Q.M.


La Corte rigetta il ricorso; dichiara compensate le spese del presente giudizio di legittimità.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere generalità ed altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

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