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giovedì 23 giugno 2016

Malattia artrosica e rendita - Cassazione Civile, Sezione Lavoro, n. 8742 del 13 aprile 2010



Malattia artrosica e rendita - Cassazione Civile, Sezione Lavoro, n. 8742 del 13 aprile 2010
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
 
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIDIRI Guido - Presidente
Dott. BANDINI Gianfranco - Consigliere
Dott. ZAPPIA Pietro - Consigliere
Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere
Dott. MELIADÒ Giuseppe - rel. Consigliere
   
 ha pronunciato la seguente:
 
 SENTENZA

sul ricorso 10290/2006 proposto da:
-
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 3497/2005 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 30/06/2005 R.G.N. 3708/2000;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 09/02/2010 dal Consigliere Dott.  MELIADÒ Giuseppe;
lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. PIVETTI Marco, che ha concluso chiedendo che la Corte di Cassazione, provvedendo in camera di consiglio, voglia rigettare il ricorso per manifesta infondatezza.

Fatto

Con sentenza in data 16.5/30.6.2005 la Corte di appello di Napoli, in accoglimento dell'appello proposto dall'INAIL avverso la sentenza resa dal Tribunale di Benevento il 12.6.2000, rigettava la domanda proposta da Pa.An. ai fini della declaratoria della natura professionale della malattia artrosica sofferta e per la costituzione della relativa rendita.
Osservava la corte che, disposte nuove indagini medico legali, i consulenti tecnici, fornendo congrua ed esauriente motivazione in ordine al giudizio espresso e con valutazione esente da errori tecnici o scientifici, avevano escluso che sussistesse il requisito sanitario necessario per la concessione del beneficio richiesto, ed in particolare la connessione causale fra le patologie accertate e l'attività lavorativa svolta.
Per la cassazione della sentenza propone ricorso Pa. An. con un unico motivo. Resiste con controricorso l'INAIL.

Diritto

Con un unico motivo, il ricorrente prospetta violazione della Legge n. 1124 del 1965, articolo 2, dell'articolo 2697 c.c., Decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, articolo 53, nonchè dell'articolo 61 c.p.c., evidenziando come la corte di merito avesse erroneamente trascurato di considerare che lo sforzo fisico cui era andato incontro nel (OMESSO) (allorchè aveva sollevato una pesante trave di cemento, avvertendo immediatamente un intenso dolore fisico, tanto da essere costretto al ricovero in ospedale) costituiva di per sè infortunio sul lavoro e, comunque, rappresentava una causa efficiente nel determinismo della patologia artrosica e che l'attività di manovale esercitata da oltre trenta anni, sottoposto a continui sforzi fisici, aveva inciso in senso peggiorativo e degenerativo sulla funzionalità della colonna vertebrale.

Il motivo è manifestamente infondato.
 
Deve, infatti, ribadirsi, in conformità al costante orientamento di questa Suprema Corte, che nelle
controversie in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie dell'assicurato, le conclusioni del consulente tecnico d'ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate in sede di legittimità se le relative censure contengono la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico- legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociale che, in quanto tale, costituisce un vero e proprio vizio della logica medico - legale e rientra tra i vizi denunciabili con il ricorso per cassazione ex articolo 360 c.p.c. n. 5; in mancanza di questi elementi le censure configurano un mero dissenso diagnostico e, quindi, sono inammissibili in sede di legittimità (v. ad es. Cass. n. 8654/2008; Cass. n. 20947/2004; Cass. n. 530/1998).

Nel caso in esame, la corte di merito, richiamando le conclusioni degli accertamenti medico- legali svolti nel corso del giudizio di appello (per appurare l'esistenza delle patologie denunciate e la loro ricollegabilità all'attività lavorativa), ha evidenziato che "il quadro di diffusa sofferenza vertebrale, per una avanzata degenerazione artrosica, nonchè di una malformazione congenita costituzionale di ristrettezza del canale vertebrale, quadro documentato da indagini specialistiche eseguite nel (OMESSO) e nel febbraio 1997, era tanto conclamato da denunziare una insorgenza morbosa precedente da almeno un decennio rispetto al lamentato infortunio...e da essere perfettamente coerente con il livello anagrafico del lavoratore" e che, in esito all'istruttoria (nel corso della quale i testi escussi avevano riferito con esclusivo riguardo all'attività svolta dal 1994), nemmeno risultava provato, con riferimento al periodo precedente, lo svolgimento da parte del lavoratore di attività analoga a quella da essi richiamata.
 
A fronte di tale accertamento, il ricorrente si è limitato a ribadire che lo sforzo fisico del (OMESSO) aveva rappresentato una causa efficiente nel determinismo della patologia artrosica e che l'attività di  manovale aveva inciso in senso peggiorativo sulla funzionalità della colonna vertebrale, formulando una serie di rilievi che, in parte, contrastano con lo stesso principio di autosufficienza del ricorso (laddove si afferma che, nel giudizio di primo grado, si era provato "con testi e documenti" che l'attività lavorativa aveva svolto un ruolo di accelerazione della patologia denunciata), e, comunque, evidenziano un mero diverso apprezzamento diagnostico, non attinente a vizi del processo logico formale, e che si risolvono, quindi, in una inammissibile critica del convincimento del giudice, attraverso la contrapposizione della soluzione della questione controversa offerta dalla parte a quella motivatamente espressa dal giudice.
 
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
 
Nulla sulle spese, in applicazione dell'articolo 152 disp. att. c.p.c. nel testo (anteriore alla novella di cui al Decreto Legge n. 269 del 2003, articolo 42,comma 11, conv. nella Legge n. 326 del 2003, entrato in vigore il 2.10.2003) vigente ratione temporis.

 
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese.  

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