REPUBBLICA ITALIANA
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE DEI CONTI
SEZIONE PRIMA GIURISDIZIONALE CENTRALE
Composta dai seguenti magistrati:
dr. Rocco Di Passio Presidente
dr. Nicola Leone Consigliere
dr. Maria Fratocchi Quaglini Consigliere
dr. Rita Loreto Consigliere
dr. Pier Giorgio Della Ventura Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Sull’appello iscritto al n. 32362 del registro di segreteria, prodotto dal sig. @@@@@@@ @@@@@@@, rappresentato e difeso dall’avv. -- avverso la sentenza n. 1802/2007, emessa dalla Sezione Giurisdizionale per il Lazio.
Visti gli atti e i documenti di causa;
Uditi, alla pubblica udienza del 2 marzo 2010, il consigliere relatore, l’avv. Marisa Palombi per l’appellante ed il P.M. nella persona del Vice Procuratore Generale, dr. Emma Rosati.
FATTO
Con sentenza n. 1802/2007, la Sezione Giurisdizionale per il Lazio ha condannato in solido gli assistenti capo della Polizia di Stato @@@@@@@ @@@@@@@ e @@@@@@@ @@@@@@@ al pagamento in favore del Ministero dell’Interno delle seguenti somme: Euro 6.525,40 oltre rivalutazione monetaria per danno patrimoniale da ripartire in parti uguali tra i convenuti; Euro 5.000, compresa rivalutazione monetaria, per danno da disservizio, da ripartire in parti uguali, riferito all’inutile impiego di uomini e mezzi per un intervento dagli stessi richiesto per un evento del tutto inventato; Euro 6.000,00, compresa la rivalutazione monetaria, a titolo di danno all’immagine da porre a carico del @@@@@@@ nella misura del 65% e, a carico del @@@@@@@ per il restante 35%.
La condanna è conseguita alla falsa sceneggiata di uno scontro a fuoco tra la pattuglia della polizia e i conducenti di un auto rubata, architettata dal @@@@@@@ e consentita dal @@@@@@@.
Nella circostanza, sono stati adottati i provvedimenti amministrativi della destituzione, nei confronti del @@@@@@@, e della sospensione cautelare dal servizio nei confronti del @@@@@@@.
Avverso la citata sentenza ha proposto appello il sig. @@@@@@@ la cui difesa ha eccepito gli stessi motivi già esposti nel giudizio di primo grado e, cioè, la mancanza dell’elemento soggettivo della responsabilità del suo assistito determinata dallo stato di incapacità di intendere e di volere al momento del fatto.
Nelle conclusioni scritte, depositate il 4 novembre 2009, la Procura Generale ha chiesto il rigetto dell’appello con condanna anche alle spese del giudizio di appello.
In particolare, il V.P.G. ha sottolineato che i motivi svolti nell’atto di gravame non modificano minimamente la ricostruzione dei fatti causativi dei danni patrimoniali e non, né, peraltro, sono tali da dimostrare un reale stato di incapacità volitiva dello stesso appellante, rappresentato come succube del collega ideatore e realizzatore del falso scontro a fuoco tra polizia e malviventi in possesso di un auto rubata.
A parere del P.M. la volontaria adesione del @@@@@@@ alla messa in scena di un evento della cui particolare gravità e pericolosità sociale non poteva non rendersi conto, è stata attentamente esaminata dal giudice di prime cure che, con motivazioni giuridicamente fondate, ha chiaramente escluso che lo stesso abbia agito come mero strumento del @@@@@@@: egli, infatti, non solo partecipò alla finta sparatoria contro l’auto della Polizia, ma addirittura sollecitò il coinvolgimento della Questura di @@@@@@@ che, poi, intervenne con uomini ed elicotteri sul luogo del segnalato evento criminale.
All’odierna pubblica udienza il difensore di parte appellante ha sviluppato ulteriormente quanto rappresentato nell’atto di appello. In particolare ha ribadito il concetto che il suo assistito, al momento della commissione del fatto di cui è causa, non si rendeva conto del peso del suo atto, non comprendeva i motivi di un tale comportamento del @@@@@@@, non aveva la facoltà di autodeterminarsi e di scegliere liberamente la condotta da seguire; a conferma della tesi ha ricordato che il @@@@@@@ dopo aver sparato verso la vettura rubata è svenuto ed è stato trasportato all’Ospedale dove gli sono stati riscontrati valori molto alterati della pressione arteriosa causati da un grave stato di ansia.
Il P.M. ha confermato quanto dedotto nelle conclusioni depositate il 4 novembre 2009, insistendo per il rigetto dell’appello.
DIRITTO
La difesa appellante, nella proposta impugnazione lamenta, sostanzialmente, la mancanza dell’elemento soggettivo della responsabilità per aver il suo assistito agito al momento del fatto in uno stato di incapacità di intendere e di volere.
Al riguardo, il Collegio ritiene dover convenire con le considerazioni svolte nella sentenza appellata e fatte proprie dal P.M. nelle conclusioni scritte.
La questione riproposta dal difensore del @@@@@@@, infatti, si richiama al disposto dell’art. 2046 c.c., secondo il quale non risponde del fatto dannoso “chi non aveva la capacità di intendere e di volere al momento in cui lo ha commesso”.
In materia, come opportunamente sottolineato dal giudice di prime cure, la giurisprudenza della Suprema Corte, è pacificamente orientata nel senso che, ai fini dell’imputabilità del fatto dannoso, in sede civile – diversamente dall’ambito penale nel quale le cause di esclusione dell’imputabilità sono fissate dalla legge – compete sempre al giudice accertare se, in base al vizio di mente, all’età immatura o ad altra causa, esuli in concreto la capacità di intendere e di volere; accertamento che, se congruamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità.
Su questa chiara premessa, dunque, compete al Collegio svolgere l’accertamento in questione, sulla base dell’articolo 428 c.c., il quale stabilisce l’annullabilità degli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, “si provi” essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace di intendere e di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti.
Ovviamente, nella circostanza, (in claris non fit interpretatio) l’onere della prova della sussistenza della condizione d’incapacità d’intendere e di volere grava sulla parte che l’abbia invocata a motivo di non imputabilità del fatto dannoso; prova che, nel caso di specie, come chiaramente evidenziato nella sentenza appellata, è del tutto difettante.
Al contrario, dagli atti di causa (cfr. deliberazione del Consiglio provinciale di disciplina della Polizia di Stato del 6 maggio 2004) emerge che il @@@@@@@ “ha partecipato attivamente all’esecuzione dell’azione delittuosa seppure in posizione subordinata…”.
Partecipazione tra l’altro, ampiamente dimostrata dall’insistenza posta dallo stesso nell’indurre il @@@@@@@ a sollecitare telefonicamente il coinvolgimento del la Questura di @@@@@@@.
Il collasso nervoso subito nella circostanza, sottolineato dalla difesa per sostenere lo stato di incapacità del proprio assistito, non esclude assolutamente che egli fosse cosciente al momento dell’ideazione del fatto e non lo rende inconsapevole del danno che stava procurando. Danno che avrebbe potuto evitare facilmente attivandosi, come imposto dal dovere d’ufficio, per fermare il @@@@@@@.
Dunque, la mancata prova dell’incapacità di intendere e di volere è da sola motivo di reiezione dell’atto di appello.
P.Q.M.
La Corte dei conti - Sezione prima giurisdizionale centrale respinge l’appello indicato in epigrafe e per l’effetto conferma la sentenza appellata.
Pone a carico dell’appellante le spese del presente giudizio ammontanti ad Euro 45,43 (quarantacinque/43)
Così deciso in @@@@@@@ il 2 marzo 2010
L’estensore Il Presidente
f.to Maria Fratocchi Quaglini f.to Rocco Di Passio
Depositata in segreteria il 13/04/2010
Il Direttore della Segreteria
f.to Elisabetta Caruso
SEZIONE | ESITO | NUMERO | ANNO | MATERIA | PUBBLICAZIONE |
PRIMA APPELLO | Sentenza | 245 | 2010 | Responsabilità | 13-04-2010 |
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