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giovedì 23 giugno 2016

Cassazione: Violazione delle norme antinfortunistiche in danno dei lavoratori dipendenti



Violazione delle norme antinfortunistiche in danno dei lavoratori dipendenti
- Cassazione Penale Sezione 4, n. 14501 del 15 aprile 2010
 
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANATO Graziana - Presidente
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere
Dott. IACOPINO Silvana G - rel. Consigliere
Dott. LICARI Carlo - Consigliere
Dott. MARINELLI Felicetta - Consigliere 
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA/ORDINANZA
 
sul ricorso proposto da:
1) @@@@@@@ N. IL (OMESSO);
avverso la sentenza n. 2465/2008 CORTE APPELLO di CATANIA, del 07/05/2009;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/01/2010 la relazione fatta dal Consigliere Dott. IACOPINO Silvana Giovanna;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. IACOVIELLO Francesco Mauro che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
Udito il difensore Avv. Bordonaro A. che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
 
 
Fatto
 
 
In data 7/5/2009 la Corte di Appello di Catania ha confermato la sentenza del 7/3/2008 con la quale il Tribunale di Siracusa, Sezione Distaccata di Augusta, aveva dichiarato @@@@@@@ colpevole del reato p. e p. dall'articolo 590 c.p., commesso con violazione delle norme antinfortunistiche in danno dei lavoratori dipendenti Fi. Sa. e Te. Sa. nonchè di Am. Ga. , e, concesse le attenuanti generiche, lo aveva condannato alla pena, condonata, di mesi due di reclusione. 
 
Si trattava di un infortunio sul lavoro che era stato così ricostruito.
 
Il Fi. ed il Te. , dipendenti della ditta individuale Ec. di @@@@@@@ , dovevano bonificare una fossa settica ubicata all'interno della Casa di Reclusione di (OMESSO).
Si era provveduto allo svuotamento del pozzo, costituente la fossa settica della struttura carceraria, attraverso la manichetta collegata all'autobotte.
Per il completamento del lavoro, però, si era presentata la necessità di ripulire il pozzo da elementi che ostruivano le pompe e che non potevano essere aspirati.
I due operai, per compiere tale operazione, avevano collocato una scala di ferro dentro il pozzo per scendere all'interno e provvedere manualmente alla rimozione delle ostruzioni.
Per primo si era calato all'interno della pozzo il Fi. ed aveva ciò fatto senza essere dotato di maschera antigas ed anche sprovvisto di cinture di sicurezza con bretelle passanti sotto le ascelle collegate a funi di salvataggio per prevenire accidentali cadute.
L'operaio era stato colto da malore ed aveva perso i sensi, precipitando sul fondo della fossa.
In suo soccorso era intervenuto il Te. ma anche lui era svenuto.
Si era pure sentito male, rimanendo ferito, l' Am. che si era prodigato per prestare i soccorsi e che era precipitato dentro il pozzo.
Le tre persone svenute erano state poi tirate fuori da un detenuto.
 
Ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo del proprio difensore il Vi. deducendo mancanza e manifesta illogicità della motivazione.
Da nessun dato processuale emergeva che egli aveva dato disposizioni di servizio volte a consentire ai dipendenti di calarsi nel pozzo ed, anzi, risultava il contrario.
L'evento si era verificato senza alcuna partecipazione del datore di lavoro ed, anzi, su sollecitazione di un terzo estraneo al rapporto lavorativo.
Il Vi. non aveva dato l'ordine di servizio di scendere nel pozzo ma solo quello di provvedere allo spurgo.
Le attrezzature fornite servivano solo per operare dall'esterno del pozzo sicchè non trovava applicazione il disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 164 del 1956, articolo 15.
I due operai erano scesi nel pozzo grazie alla realizzazione di un imprevedibile ed impensabile sistema costituito dall'incastro di due scale di tipo diverso, trovate sul posto, una dentro l'altra.
Il datore di lavoro disponeva di scale in alluminio progettate proprio per operazioni del genere di quella realizzata.
I due operai, pertanto, avrebbero potuto contattare il datore di lavoro per farsi portare detta scala.
Il loro comportamento, quindi, era stato abnorme. 
  
  
Diritto
  

Il gravame va dichiarato inammissibile.
Il Vi. ha con il ricorso reiterato le stesse doglianze che aveva già sottoposto all'esame della corte di appello e che questa aveva disatteso giudicandole del tutto infondate.
I dipendenti calatisi nel pozzo, infatti, non disponevano di alcuna dotazione per la tutela della loro sicurezza.
Nè poteva fare venire meno la responsabilità del prevenuto la circostanza dedotta che non aveva dato disposizione di calarsi all'interno del pozzo. Correttamente i giudici del merito hanno sottolineato che la condotta posta in essere dagli operai era sempre prevedibile, potendosi ipotizzare che, nel corso dello spurgo di un pozzo, sorgesse l'esigenza di asportare manualmente elementi che non potevano essere aspirati dalla manichetta.
Gli operai avevano avuto l'incarico di pulire il pozzo e stavano eseguendo l'attività lavorativa di cui all'incarico ricevuto che, per la sua stessa natura, prevedeva la possibilità di lavorare all'interno con i rischi connessi.
Il comportamento degli operai, in quanto posto in essere nel contesto dell'attività lavorativa svolta, non si poteva considerare eccezionale ed imprevedibile; comunque, l'adozione delle doverose cautele da parte del datore di lavoro avrebbe neutralizzato proprio il rischio di una condotta imprudente del lavoratore medesimo.
I giudici di appello, peraltro, hanno escluso che il Vi. avesse fornito la dimostrazione di avere espressamente vietato ai suoi dipendenti di entrare nel pozzo.
Ed invero, risultava dalla sentenza di primo grado che le parti lese avevano chiarito che nulla era stato loro indicato in ordine ai lavori da effettuare, salvo che di recarsi sul posto e provvedere allo spurgo del pozzo.
Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di euro 1000,00 (mille/00) a titolo di sanzione pecuniaria.

 
P.Q.M.

 
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del processuali e della somma di euro 1000,00 (mille/00) a favore della cassa delle ammende. 

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