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domenica 25 febbraio 2024

Corte d'Appello 2024-L'appellante sostiene che nel caso di specie era configurabile o un'ipotesi di furto in concorso con un reato di resistenza ovvero il solo reato di rapina, atteso che la violenza e la minaccia erano elementi costitutivi di quest'ultima.

 

Corte d'Appello Napoli Sez. VI, Sent., 17/01/2024 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

CORTE DI APPELLO DI NAPOLI 

SESTA SEZIONE PENALE 

La Corte d'Appello di Napoli, Sesta Sezione Penale, composta dai Magistrati: 

Dott. Aldo Polizzi - Presidente 

Dott.ssa Daria Vecchione - Consigliere 

Dott. ssa Valeria Maisto - Consigliere est. 

Con l'intervento del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale della Repubblica Giuliana Giuliano e con l'assistenza del Cancelliere Raffaella Cesarano, ha pronunciato la seguente 

SENTENZA 

Nel processo penale definito con trattazione orale ai sensi dell'art. 23 D.L. n. 149 del 2020 conv. in L. n. 176 del 2020 a carico di: 

 

IMPUTATI 

Vedasi allegato 

Svolgimento del processo 

Con sentenza del 13 dicembre 2022, gli imputati sono stati condannati dal Tribunale di Napoli per i reati di cui ai capi di imputazione b), c) ed a) - in quest'ultimo ritenuto assorbito il capo d)- alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 1500,00 di multa (così calcolata: pena base anni 5 di reclusione ed Euro 1.200,00 di multa, ridotta ad anni tre e mesi quattro di reclusione ed Euro 800,00 di multa per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in misura prevalente rispetto all'aggravante di cui all'articolo 628 comma 3 numero 1 c.p. , aumentata per la continuazione di mesi tre ed Euro 200 per ciascuna delle condotte di resistenza contestate al capo b) e di mesi uno di reclusione ed Euro 150 di multa per ciascuno dei due reati di lesioni contestati al capo c), oltre al pagamento delle spese processuali di custodia cautelare in carcere, gli imputati sono stati altresì condannati alla pena accessoria dell'interdizione dai pubblici uffici per la durata di anni 5. E' stata altresì disposta ìn sentenza la confisca e la distruzione degli strumenti atti allo scasso finalizzati a commettere il furto. 

Avverso tale sentenza ha proposto il difensore dell'imputato spiegando i seguenti 

MOTIVI DI APPELLO 

1) Assoluzione degli imputati quantomeno ai sensi del secondo comma dell'articolo 530 c.p.p. non essendo emersa alcuna prova del reato e del dolo. 

2) Derubricazione del capo A) nel delitto di tentato furto. 

Evidenzia il difensore, a sostegno del suddetto motivo, che gli imputati, dopo la sottrazione della refurtiva, non avevano mai conseguito il possesso indisturbato e pieno del bene, essendovi stata comunque una costante vigilanza del bene prima ad opera della persona offesa e poi, successivamente, della polizia giudiziaria, inseguente gli imputati, i quali non avrebbero, quindi, mai avuto la signoria piena sul bene ed inoltre non avevano posto in essere alcuna violenza o minaccia avverso la persona offesa. 

L'appellante sostiene che nel caso di specie era configurabile o un'ipotesi di furto in concorso con un reato di resistenza ovvero il solo reato di rapina, atteso che la violenza e la minaccia erano elementi costitutivi di quest'ultima. 

3) Assenza, in relazione al capo B), di un comportamento attivo degli imputati, essendosi gli stessi limitati ad una mera fuga. 

4) Riduzione della pena ai minimi edittali anche atteso il modico valore dell'oggetto trafugato e le problematiche psicologiche dell'imputato G.S.. 

All'udienza del 23\ 10\23, definita con trattazione orale, il Procuratore Generale chiedeva la conferma della sentenza mentre il difensore rinunciava al primo motivo relativo alla invocata assoluzione degli imputati. La Corte decideva all'esito della Camera di consiglio, come da dispositivo che di seguito viene motivato. 

Motivi della decisione 

Va preliminarmente osservato che questa Corte ritiene integralmente condivisibile la analitica ricostruzione dei fatti e la motivazione posta a fondamento della decisione di primo grado, in aderenza alle risultanze processuali, legittimamente acquisite e pertanto pienamente utilizzabili, da parte del giudice di primo grado, ad esse riportandosi (così come ormai ritenuto legittimo dalla giurisprudenza della Suprema Corte, le motivazioni delle sentenze di primo e di secondo grado si integrano, costituendo un unicum inscindibile, vedi tra le altre Cass. Pen. sent. n. 40005/2014, Cass. Pen. sent. n. 14022/2016 e Cass. Pen. sent. n. che sottolinea come la motivazione della sentenza di secondo grado "deve essere concisa e riguardare gli aspetti 'nuovi' o contradditori o effettivamente mal valutati'"'). 

Attesa la rinuncia del difensore al motivo d'appello teso all'assoluzione degli imputati, si principia quindi con l'affrontare la corretta qualificazione giuridica del fatto così come richiesto dal secondo dei motivi spiegati e a tal fine appare opportuno fornire prodromicamente una, seppur succinta ma doverosa, ricostruzione del fatto accertato in primo grado, ed in sostanza non contestato, nel suo sviluppo fattuale, dall'appellante. 

E' emerso dall'istruttoria celebrata in primo grado -sostanziatasi in una acquisizione, su consenso delle parti, degli atti di indagine presenti nel fascicolo del Pubblico Ministero che in data 14 maggio 2022, verso le 22:15, la persona offesa del del capo a), Promontorio, sorprendeva gli odierni imputati vicino alla sua autovettura, parcheggiata sulla pubblica via. 

Più precisamente, in quel frangente uno degli imputati era entrato nel suo veicolo e prelevato lo stereo, la cassa acustica ed altri oggetti, di talché la persona offesa aveva urlato all'uomo di fermarsi, ma quest'ultimo era salito a bordo di un'auto insieme al correo, dandosi alla fuga. Nell'immediatezza la persona offesa aveva notato un'autovettura della Polizia di Stato ed aveva a questa segnalato quanto avvenuto, così che gli operanti si ponevano immediatamente all'inseguimento del veicolo su cui viaggiavano gli imputati i quali, accortisi della presenza dell'auto della polizia (che viaggiava con segnali visivi ed acustici azionati), acceleravano l'andatura e cercavano di dileguarsi, anche tamponando alcuni veicoli parcheggiati lungo la strada. L'inseguimento si protraeva anche attraverso il danneggiamento per il tentato speronamento dell'autovettura della Polizia di Stato ma, giunti nei pressi di un cavalcavia, gli G. venivano bloccati attraverso l'auto dei poliziotti che tagliava loro la strada; a quel punto il conducente del veicolo - poi indentifìcato in G.M.- era sceso dall'auto e aveva tentato di scappare a piedi e, una volta raggiunto dall'operatore M., sferrava a quest'ultimo una gomitata nel costato al fine di liberarsi. In auto venivano rinvenuti la refurtiva due cacciavite un paio di forbici in precedenza utilizzati per sottrarre lo stereo. Gli operanti riportavano, a seguito delle condotte ora descritte, lesioni guaribili rispettivamente in 14 e 9 giorni. 

Posta la ricostruzione dei fatti, si passa ad esaminare singolarmente i motivi d'appello, anticipando l'impossibilità di accoglimento di alcuno di essi. 

- Derubricazione del capo A) nel delitto di tentato furto. 

Il motivo è infondato e non può essere accolto. 

La Corte mutua, e tanto basti al fine di esporre le ragioni del proprio arresto, le chiare ed esaustive della Cassazione, la quale, nella sentenza n. 51576 del 04/11/2016 -(dep. 02/12/2016 ) Rv. 26950201- ha, in parte motiva, chiaramente esplicato che "come affermato dalla costante giurisprudenza, che ogni qualvolta la violenza, oltre che essere esercitata sulla cosa, è esercitata anche contro la persona (non importa se per conseguire l'impossessamento o per assicurare il già conseguito possesso) si è al di fuori dell'ipotesi di furto aggravato, previsto dall'art. 625 n, 4 cod. pen., la cui previsione richiede tassativamente che la violenza sìa esercitata solo ed esclusivamente sulla cosa, allo scopo di conseguirne il possesso e ricorre, invece, il delitto di rapina impropria Il principio si attaglia perfettamente al caso di specie in cui gli imputati, nel tentativo di scappare, hanno iniziato una rocambolesca fuga, anche speronando l'auto della polizia giudiziaria, nonché aggredendo fisicamente gli operanti, anche causando loro lesioni, con chiara direzionalità della violenza non esclusivamente verso la cosa, bensì anche verso la persona; la fattispecie concreta ora esaminata non può, pertanto, che essere sussunta, come correttamente fatto in imputazione, nell'ipotesi di cui all'articolo 628 c.p.,A nulla rileva che la condotta violenta si sia esplicata nei confronti di soggetto diverso dal titolare del bene sottratto, atteso che "Nella rapina impropria, la violenza o la minaccia possono realizzarsi anche in luogo diverso da quello della sottrazione della cosa e in pregiudizio di persona diversa dal derubato, sicché, per la configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l'unitarietà dell'azione volta ad impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o di assicurare al colpevole l'impunità, (Cass Ordinanza n. 34056 del 29/05/2018 Cc. (dep. 20/07/2018 ) -Rv. 273617 - 01,Quelle ora descritte sono, senza dubbio, tutte caratteristiche proprie della vicenda che occupa la Corte e, come tali, convalidanti la conferenza della massima ora citata al caso di specie in cui l'inseguimento e la violenza sono legati alla precedente sottrazione della merce, sussistendo, quindi, tra la condotta volta a sottrarre e quella diretta a procurarsi l'impunità, quella unitarietà temporale richiesta dall'art. 628 c.p., comma 2 perché la violenza possa dirsi adoperata "immediatamente dopo la sottrazione". 

Infine, alcun dubbio può porsi in relazione alla consumazione del reato, all'uopo rammentandosi che " H delitto di rapina impropria è consumato quando l'avente diritto ha perduto il proprio controllo sulla cosa, e non è più in grado di recuperare la stessa autonomamente e l'agente, immediatamente dopo la sottrazione, adopera la violenza o la minaccia per assicurare a sé o ad altri il possesso del bene sottratto o per procurare, a sé o ad altri l'impunità; è, invece, tentato quando l'avente diritto mantiene costantemente il controllo sulla "res" in modo da essere in grado di riprenderla autonomamente con sé e l'agente, immediatamente dopo aver compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco a realizzare la sottrazione, adopera violenza o minaccia per procurare a sé o ad altri l'impunità. (Fattispecie in cui la Corte ha qualificato in termini di rapina impropria tentata e non consumata, la condotta dell'imputato che, dopo aver prelevato merce dagli scaffali di un supermercato e rimosso le placche antitaccheggio, era stato sorpreso dal personale di vigilanza prima di varcare la barriera delle casse, ed aveva consegnato allo stesso i beni appresi, per poi darsi alla fuga ed usare violenza nei confronti degli inseguitori una volta raggiunto, alfine di non essere identificato) "Cass. Sez. 2, Sentenza n. 46412 del 16/10/2014 Ud. (dep. 11/11/2014) Rv. 261021 - 01: nel caso di specie il Promontorio non aveva la possibilità di recuperare autonomamente la cosa sottratta, essendo quest'ultima evenienza stata possibile soltanto a seguito dell'intervento della polizia giudiziaria e solo dopo un pericoloso inseguimento. 

Corretta è anche la qualificazione dei fatti contestati al capo B). In merito il difensore ha eccepito come l'azione degli imputati si fosse concretata in una mera fuga, priva di un comportamento attivo integrante il reato di resistenza. 

Orbene, principiando con un inquadramento della figura delittuosa per cui è imputazione al capo sub b), ossia il reato di cui all'art. 337 c.p., giova rammentare che lo stesso si realizza ogni qualvolta il soggetto attivo eserciti un'energia fisica o proferisca delle minacce allo scopo di impedire al pubblico ufficiale il compimento dell'atto che questi sta eseguendo, e ciò indipendentemente dall'esito positivo o negativo di tale azione e dall'effettivo verificarsi di un impedimento che ostacoli il compimento degli atti predetti. 

La Corte osserva come l'aver lanciato la propria vettura ad alta velocità dandosi alla fuga anche tamponando veicoli in strada, oltre che la vettura della polizia ed infine, anche l'aggredito fisicamente un operante - tanto da fratturargli le costole- per guadagnare la fuga configura, di certo, l'elemento costitutivo della condotta del reato contestato, atteso che "Per la confìgurabilità del delitto di resistenza, previsto dall'art. 337 cod. pen., per violenza deve intendersi qualsiasi condotta che ponga in pericolo l'integrità fìsica del pubblico ufficiale, anche esercitata indirettamente o con corpi non destinati, per loro natura, all'offesa, (nella specie Vagente aveva adoperato una vettura quale strumento diretto ad impedire al pubblico ufficiale di compiere un atto di ufficio). (Cfr Cass sez. 6, Sentenza n. 7858 del 11/03/1981 Ud. (dep. 04/08/1981 ) Rv. 150090). 

Più precisamente " La materialità del delitto di resistenza al pubblico ufficiale è integrata anche dalla violenza cosiddetta impropria, la quale, pur non aggredendo direttamente il suddetto soggetto, si riverbera negativamente nell'esplicazione della relativa funzione pubblica, impedendola o semplicemente ostacolandola. Solo la resistenza passiva, in quanto negazione di qualunque forma di violenza o di minaccia, rimane al di fuori della previsione legislativa di cui all'art. 337 cod. pen. (Affermando siffatto principio la Cassazione ha ritenuto che configuri il reato di resistenza la condotta di chi, privo di patente di guida, per sfuggire alla polizia, non ottemperi all'intimatogli "alt" e diriga il proprio veicolo contro gli agenti, li eviti e prosegua in corsa spericolata nonostante l'inseguimento immediato dei medesimi). (Cfr Cass sez. 6, Sentenza n. 7061 del 25/05/1996 Ud. (dep. 15/07/1996 ) Rv. 206021). 

I principi sono pienamente combacianti con la fattispecie in esame, con la conseguenza che non è ponibile in dubbio che la condotta serbata dagli imputati prima descritta integri la materialità del reato in parola. 

Medesima estensione è possibile per il segmento di resistenza esplicatosi con la colluttazione corporale ingaggiata, all'esito della fuga in auto, dal G.M.; a tal proposito si rammenta come "Ai fini della confìgurabilità del delitto di cui all'art. 337 cod. pen., l'atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza e non una condotta di mera resistenza passiva, quando non costituisce una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell'atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l'azione ed a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga". Cass. Sez. 5, Sentenza n.8379 del 27/09/2013Ud. (dep. 21/02/2014 ) Rv. 259043. 

Nel caso di specie emerge che l'imputato, non si sia limitato, una volta raggiunto a piedi dalla PG, a un mero divincolarsi, ma abbia, al contrario, impiegato notevole forza al fine di neutralizzare la presa degli operanti e guadagnare la fuga, non ricadendo quindi, l'agere suddetto, in una mera resistenza passiva, essendo la condotta degenerata in un effettivo tentativo di fuga concretatasi in mosse violente ed improvvise e quindi in un effettivo impiego di forza diretto a neutralizzare l'azione dell'operante, sino anche ledendone l'integrità fisica in modo non trascurabile L'addebito è, inoltre, movibile, e la responsabilità riconoscibile, sia in capo al conducente dell'autovettura, G.M., sia nei confronti del passeggero, il germano S., atteso che "Integra il reato la fuga in auto, per sfuggire alla cattura, con fulminei testa-coda per costringere gli inseguitori a manovre ritardatrici onde evitare l'urto. Concorre nel reato di resistenza a pubblico ufficiale anche il passeggero di un'auto in fuga che, avendo manifestato la scelta di sfuggire alla cattura con l'auto, con questa decisione ha accettato di condividere ogni possibilità offerta dall'auto stessa, in quanto idonea a riuscire nell'intento "(Cass sez. 2, Sentenza n. 4235 del 13/10/1982 Ud. (dep. 07/05/1983 ) Rv. 158908). 

La condivisione della scelta criminosa risulta, poi, incontrovertibilmente dalla circostanza che alcuna dissociazione è stata dallo stesso S. manifestata né al momento dei fatti, né in udienza e trattandosi di soggetto, consapevole astante al momento della sottrazione dei beni dal veicolo altrui, in relazione alla quale si voleva assicurarsi con la fuga l'impunità ed il maltolto. 

Priva di pregio e anche l'osservazione spesa, nell'atto d'appello, relativa alla possibilità di giungere a condanna per il reato di furto in concorso con la resistenza ovvero, delle due l'una, per la sola rapina, essendo la violenza e la minaccia propri della resistenza, elementi costitutivi del delitto di cui all'articolo 628 c.p.. 

La Corte evidenzia a tal proposito come la Cassazione abbia adamantinamente spiegato che "Il delitto di rapina impropria concorre con quello di resistenza a pubblico ufficiale, qualora la violenza è strumentale al conseguimento dell'impunità e la qualità del destinatario della violenza è nota al soggetto agente. (Fattispecie in cui gli autori di un tentato furto, al fine di sfuggire alle forze dell'ordine, avevano lanciato la propria autovettura contro quelle delle pattuglie intervenute, cagionando lesioni personali ad uno degli agenti). Cass. Sez. 2, Sentenza n. 51576 del 04/11/2016 Cc. (dep. 02/12/2016 ) Rv. 269502 - 01. 

Nella medesima pronuncia da cui è tratta la massima ora citata, la Corte, in parte motiva, esplica ulteriormente ed in modo chiaro il concetto, evidenziando che nel reato di rapina impropria, quando l'azione violenta è strumentale anche al conseguimento della impunità, la qualità di agente di Polizia nel destinatario della violenza, qualità nota al soggetto attivo, qualifica la direzione della volontà come strumentale al superamento dell'ostacolo consistente nella attività del pubblico ufficiale; concorre, pertanto, con il reato di rapina impropria, quello di resistenza a pubblico ufficiale (sez.\, sent. N.5297 del 30.04.1988, rv 178279)" -Cass citata in motivazione-. 

Il caso si attaglia perfettamente all'ipotesi al vaglio della Corte che vede, appunto, gli imputati darsi alla fuga attraverso manovre pericolose e speronamenti degli operanti al fine di sottrarsi alle forze dell'ordine e garantirsi l'immunità per la sottrazione del bene subito prima posta in essere. 

Infine la Corte, al fine di colmare il vuoto motivazionale della sentenza di primo grado inerente l'addebitabilità, ad entrambi gli imputati, delle condotte di cui al capo c) evidenzia che, parimenti a quanto affermato relativamente al capo b), anche tali reati siano addebitabili ad entrambi gli imputati. 

Ed invero "in tema di concorso di persone nel reato, la volontà di concorrere non presuppone necessariamente un previo accordo, in quanto l'attività costitutiva del concorso può essere rappresentata da qualsiasi comportamento esteriore che fornisca un apprezzabile contributo, in tutte o alcune fasi di ideazione, organizzazione od esecuzione, alla realizzazione dell'altrui proposito criminoso, talché assume carattere decisivo l'unitarietà del "fatto collettivo" realizzato che si verifica quando le condotte dei concorrenti risultino, alla fine, con giudizio di prognosi postumo, integrate in unico obiettivo, perseguito in varia e diversa misura dagli imputati, sicché è sufficiente che ciascun agente abbia conoscenza, anche unilaterale, del contributo recato alla condotta altrui' (Sez. 2, Sentenza n. 18745 del 15/01/2013) e "rientra nella comune disciplina del concorso di persone l'ipotesi in cui vengano commessi reati ulteriori rispetto a quello programmato, sia pure ad esso collegati" (Sez. 6, Sentenza n. 25446 del 02/05/2013). 

Nella fattispecie lineare è la riconducibilità al G.M. -conducente della vettura, prima, e ingaggiante la colluttazione con operante M., poi- della materiale azione che ha cagionato le lesioni al Facciuti (derivanti dallo speronamento effettuato nella resistenza) e al M. (anche connesse alla gomitata infettagli). 

Medesima responsabilità è da imputarsi, per tutte le fattispecie in esame, anche al G.S., di cui si è già detto in punto di addebitabilità, in concorso, dei reati - essendo due i Pubblici Ufficiali) di resistenza; ebbene se l'azione complessiva di resistenza finalizzata ad eludere il controllo si è svolta, come visto, con il concorso di entrambi imputati, tale compartecipazione criminosa si estende, quindi anche alle prodotte lesioni non solo al Facciuti ma anche al M., da inquadrarsi, se non altro, quale reati ulteriori e collegati rispetto a quello di resistenza ed imputabile, quindi, ad entrambi i germani G., essendo, peraltro, posti in essere con la medesima azione concretante la resistenza ed essendo entrambi più che prevedibili per il G.S. che ne risponde psicologicamente quantomeno a titolo di dolo eventuale. 

Alcuna rilevanza può assumere, ai fini di sovvertire l'arresto odierno , ovvero di incidere sulla dosimetria della pena,le argomentazioni spese dal difensore in relazione al compromesso stato psicologico di G.S., non essendo giunta alla Corte alcuna acclarata condizione generante un vizio parziale o totale di mente - dal documento prodotto in udienza emerge solo una psicosi cronica parzialmente compensata-, diminutio della suitas d'altronde neanche invocata né in primo grado, né in questa sede e avendosi mente al nutrito casellario giudiziale dell imputato in questione, che delinea una pericolosa personalità criminale. 

Parimenti irrilevanti sono le argomentazioni relative allo stato di tossicodipendente dell'imputato G.M., il quale appunto poneva in essere condotte criminose per ottenere denaro per soddisfare la propria dipendenza; i motivi a delinquere sono notoriamente irrilevanti per la sussistenza del reato e in particolar modo lo stato di tossicodipendenza, non essendo diagnosticata una cronicità dello stesso tale da influire sulla suitas della condotta, e di certo non rileva ai fini della sussistenza o meno dell'elemento soggettivo, avendo al massimo una rilevanza per una eventuale richiesta di continuazione in sede esecutiva. 

Deve, infine, rilevarsi come, tra i reati di resistenza e lesioni sia pienamente ammissibile il concorso; per pacifica giurisprudenza, infatti, il delitto di resistenza a pubblico ufficiale assorbe soltanto quel minimo di violenza che sì concreta nelle percosse e non già quegli atti che, esorbitando da tali limiti, siano causa di lesioni personali; in tal caso l'ulteriore delitto di lesione, stante il suo carattere autonomo, concorre con quello di resistenza (Sez. 6, Sentenza n. 24554 del 2013). 

1) La richiesta di rimodulazione verso il basso della sanzione irrogata non può essere accolta. La Corte ritiene che il Giudice di prime cure abbia correttamente applicato ì parametri di cui all'art. 133 c.p. in relazione ai fatti commessi. 

In primo luogo deve evidenziarsi come il Tribunale sia partito, nella dosimetria della pena, proprio dal minimo edittale previsto per il delitto di rapina, previo riconoscimento, in massima estensione, delle circostanze attenuanti prevalenti sull'aggravante contestata, scelta ponderale mite e non suscettibile di una rivisitazione migliorativa. 

Congrui paiono, inoltre, gli aumenti di pena applicati ex articolo 81 c.p. in continuazione per i plurimi reati per i quali si è addivenuti a condanna, essendo gli stessi stati irrogati in misura proporzionata ai fatti - trattasi di due reati di resistenza, attesa la presenza di due operatori di polizia giudiziaria, posti in essere con una pervicace fuga, speronamenti e aggressione fìsica - nonché reati di lesioni non trascurabili alla luce delle prognosi riportate di ben 9 e 14 giorni La sentenza appellata va , pertanto, integralmente confermata con condanna degli imputati al pagamento delle spese processuali relative al secondo grado di giudizio. 

Consegue alla pronuncia, ove non già avvenuto, il dissequestro e la restituzione all'avente diritto dello stereo se ancora in sequestro per questo procedimento, nonché la confisca di quanto altro oggetto del verbale di sequestro del 14.5.2022, se ancora in sequestro per questo procedimento. 

Tenuto conto del complessivo carico di lavoro, la Corte fissa il termine di 90 giorni per il deposito dei motivi e sospende per tale periodo i termini di custodia cautelare. 

P.Q.M. 

Visti gli artt. 605 c.p.p. e 23 D.L. n. 149 del 2020, conferma la sentenza n. 11943\22 emessa in data 13 dicembre 2022 dal Tribunale di Napoli appellata da G.S. e G.M., che condanna al pagamento delle spese processuali del presente grado di giudizio. 

Ordina il dissequestro e la restituzione all'avente diritto dello stereo se ancora in sequestro per questo procedimento; 

Dispone la confisca di quanto altro oggetto del verbale di sequestro del 14.5.2022 se ancora in sequestro per questo procedimento; 

Indica il termine di giorni novanta per il deposito dei motivi e sospende i termini di custodia cautelare applicata agli imputati per il suddetto termine di 90 giorni. 

Così deciso in Napoli, il 23 ottobre 2023. 

Depositata in Cancelleria il 17 gennaio 2024. 


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