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domenica 25 febbraio 2024

Corte d'Appello 2024- Nella specie risultano sussistenti tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 341 bis c.p., atteso che sussiste, certamente, la necessaria contestualità e occasionalità tra la condotta delittuosa e il compimento dell'atto d'ufficio ovvero l'esercizio delle funzioni dei quattro agenti della Polizia di Stato

 


Corte d'Appello Ancona, Sent., 22/01/2024 

Fatto Diritto P.Q.M. 

REPUBBLICA ITALIANA 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO 

LA CORTE DI APPELLO DI ANCONA 

Sezione penale composta dai magistrati: 

1. Dott. Giuliana Basilli - Presidente 

2. Dott. Paolo De Luca - Consigliere 

3. Dott. Francesca Betti - Consigliere 

Sulla relazione della causa fatta all'udienza odierna in Camera di Consiglio dal Consigliere Dott.ssa Francesca Betti 

Con l'intervento del Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Cristina Polenzani 

ha pronunciato la seguente 

SENTENZA 

nel procedimento penale a carico di: 

IMPUTATO: 

 

Posizione Giuridica: Libero 

IMPUTATO 

A) Di cui all'art. 81, 612 co. 2, 341 bis c.p. perché dopo che il personale della locale Questura aveva rinvenuto esso M. disteso a terra in stato di semincoscienza ed aveva provveduto ad allertare il servizio di soccorso dell'Ospedale, in presenza delle persone ivi presenti offendeva l'onore ed il prestigio dei citati funzionari di PG, nelle persone di S.M., M.M., S.A. e T.B. i quali dovevano procedere alle necessarie attività di identificazione e di documentazione del fatto, anche minacciando loro danni ingiusti e gravi; in particolare si rivolgeva ai citati pubblici ufficiali con affermazioni ed epiteti quali ".. bastardi pezzi di merda non mi rompete i coglioni che vi ammazzo... vi spacco la faccia a tutti" 

B) Art. 635 c.p. perché nelle medesime circostanze di tempo e luogo di cui al capo che precede, contestualmente alle minacce pure indicate nel precedente addebito, sfondava con un pugno il vetro del portellone posteriore dell'autoambulanza FIAT tg (...) presente nei locali del Pronto Soccorso ed in servizio operativo come meglio descritto nel capo che segue. 

C) Art. 340 c.p. perché, deteriorando l'autoambulanza indicata al caso B) che precede ed impedendone quindi la prosecuzione dell'attività, interrompeva il servizio pubblico di trasporto di un degente dell'Ospedale già posizionato sulla barella in dotazione all'autoambulanza medesima, che il citato veicolo era in procinto di effettuare. 

Macerata, 11/1/2018 p 

Con aggravante ex art. 99 c.p. della recidiva specifica e reiterata. 

APPELLANTE 

L'imputato avverso la sentenza 125/2022 emessa in data 28.1.2022 dal Tribunale di Macerata 

Svolgimento del processo 

Con sentenza n. 125/2022 emessa in data 28.1.2022 e depositata il 28.4.2022, il Tribunale di Macerata, in composizione monocratica, condannava M.M., previo riconoscimento del vincolo della continuazione fra i reati e riconosciute le attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva, alla pena di anni uno di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali, ritenendolo responsabile dei reati di cui agli artt. 81, 612 co. 2, 341 bis c.p. (capo a), perché dopo che il personale della locale Questura aveva rinvenuto il medesimo M. disteso a terra in stato di semincoscienza ed aveva provveduto ad allertare il servizio di soccorso dell'Ospedale, in presenza delle persone ivi presenti, offendeva l'onore ed il prestigio dei citati funzionari di P.G., nelle persone di S.M., M.M., S.A. e T.B. i quali dovevano procedere alle necessarie attività di identificazione e di documentazione del fatto, si rivolgeva ai citati pubblici ufficiali con epiteti e minacce quali bastardi pezzi di merda non mi rompete i coglioni che vi ammazzo... vi spacco la faccia a tutti', nonché del reato di cui all'art. 635 c.p. (capo b), perché nelle medesime circostanze di tempo e luogo di cui al capo che precede, contestualmente alle minacce pure indicate nel precedente addebito, sfondava con un pugno il vetro del portellone posteriore dell'autoambulanza FIAT tg (...) presente nei locali del Pronto Soccorso ed in servizio operativo e, infine, del reato di cui all'art. 340 (capo c), perché, deteriorando l'autoambulanza indicata al capo B) che precede ed impedendone quindi la prosecuzione dell'attività, interrompeva il servizio pubblico di trasporto di un degente dell'Ospedale già posizionato sulla barella in dotazione all'autoambulanza medesima, che il citato veicolo era in procinto di effettuare, fatti occorsi a Macerata in data 11.1.2018. 

Ai fini della condanna il Giudicante valorizzava gli atti di indagine del P.M. e, in particolare la C.N.R. e i relati allegati, acquisiti con il consenso delle parti, dai quali emergeva che, in data 7.1.2018, alle ore 18:40 circa, l'Assistente Capo S.M., l'Assistente Capo M.M., l'Assistente Capo S.A. e l"Assistente Capo T.B. intervenivano in via A. a M., in quanto era stata segnalata la presenza di una persona distesa a terra. Giunti sul posto, gli operanti identificavano detta persona in M.M., a loro noto per ragioni di servizio, il quale alla vista degli agenti, proferiva frasi sconnesse emanando un forte alito vinoso. Versando in un forte stato di agitazione, l'imputato, unitamente al personale del 118, nel frattempo allertato, veniva accompagnato presso il locale Nosocomio ove iniziava a rivolgere agli agenti di P.G., anche alla presenza dei sanitari, espressioni ingiuriose e minacciose quali "bastardi, pezzi di merda, non mi rompete / coglioni che vi ammazzo, non ho paura di voi, non mi fare un cazzo, vi spacco la faccia a tutti' e, in uno scatto d'ira, tirava un pugno al vetro del portellone posteriore di un'autoambulanza della Croce Rossa, infrangendolo. Il mezzo in questione, a causa del danneggiamento subito, rimaneva inutilizzabile, nonostante dovesse essere impiegato per trasportare un altro degente presso la propria abitazione, rendendo, dunque, necessario attendere l'arrivo di un'altra autoambulanza, con conseguente ritardo dell'operazione. 

Avverso la suindicata sentenza, con atto depositato in data 3.6.2022, proponeva appello il difensore di M.M. chiedendo, in via principale, l'assoluzione dell'imputato, anche ai sensi dell'art. 530 comma 2 c.p.p., e, in via subordinata, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche ovvero previa non applicazione della contestata recidiva, l'applicazione del minimo della pena, operando un minimo aumento ex art. 81 cpv c.p., con concessione di ogni beneficio di legge. 

A sostegno dell'atto di appello la difesa deduceva i seguenti motivi di gravame: 

1. INOSSERVANZA ED ERRONEA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 612, COMMA 2, 641 BIS, 635 E 340 C.P. 

Sul punto, la difesa, dopo aver richiamato il principio "dell'al di là di ogni ragionevole dubbio", censurava che "le prove raccolte durante l'istruttoria dibattimentale svoltasi nel primo grado di giudizio non possano dirsi sufficienti a fondare una sentenza di condanna per il reato contestato all'odierno imputato, sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, e pertanto non si può non ricondurre l'odierna fattispecie concreta quantomeno al secondo comma dell'art. 530 c.p.p.". 

2. INOSSERVANZA ED ERRONEA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 27, COMMA 3, COST., 23, 24 E 133 C.P. IN RELAZIONE ALL'ART. 341 BIS C.P. PER MANCANZA DELLA MOTIVAZIONE IN ORDINE ALL'ESATTA DETERMINAZIONE DELLA PENA BASE INFLITTA. 

Ad avviso della difesa, lo scostamento dal minimo edittale operato dal Giudice di prime cure con riferimento all'art. 341 bis c.p. (mesi nove di reclusione anziché sei) non sarebbe stato adeguatamente motivato. Tale pena sarebbe manifestamente esorbitante, sproporzionata ed eccessiva in rapporto al concreto, minimo disvalore del fatto e, pertanto, se ne chiede la riduzione. 

3. INOSSERVANZA ED ERRONEA APPLICAZIONE DEGLI ARTT. 27, COMMA 3, COST., 81, 132 E 133 C.P. PER MANCANZA DELLA MOTIVAZIONE IN ORDINE ALL'AUMENTO APPLICATO PER LA CONTINUAZIONE. 

Parimenti privo di adeguata motivazione sarebbe l'aumento operato dal Giudicante per la continuazione per i singoli reati satellite (mesi uno per ciascuno di essi) che, ad avviso dell'appellante, sarebbe eccessivo rispetto alla fattispecie concreta, tenuto, altresì conto della condotta processuale tenuta dalla difesa, la quale prestava il consenso all'acquisizione degli atti di indagine del P.M. 

4. INOSSERVANZA ED ERRONEA APPLICAZIONE DELL'ART. 99 C.P. 

Sul punto la difesa deduceva che l'applicazione della recidiva avrebbe comportato una sproporzione tra la fattispecie concreta e la pena inflitta all'imputato. 

5. INOSSERVANZA ED ERRONEA APPLICAZIONE DELL'ART. 175 C.P. PER MANCATA CONCESSIONE DEL BENEFICIO DELLA NON MENZIONE DELLA CONDANNA NEL CERTICATO DEL CASELLARIO GIUDIZIALE. 

La difesa rilevava che il beneficio de quo, sebbene richiesto dalla difesa, sia stato, senza alcuna motivazione al riguardo, non concesso dal Giudicante. 

Il Sostituto Procuratore Generale, con memoria del 7.11.2023, concludeva chiedendo il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata, osservando che "diversamente da quanto nell'appello presentato, la sentenza è correttamente argomentata in relazione all'integrazione fattuale e giuridica delle fattispecie contestate, con condivisibili valutazioni in ordine al quadro probatorio emerso a carico dei prevenuto. Parimenti, H trattamento sanzionatone determinato non è suscettibile di rideterminazioni, risultando già adeguato con benevola concessione delle attenuanti generiche in giudizio di equivalenza con la recidiva (che non può essere esclusa), né può essere concesso ii beneficio ex art. 175 c.p. per le ragioni già indicate in primo grado.".All'udienza del 28.11.2023, tenutasi ai sensi dell'art. 23 bis L. n. 176 del 2020, le parti hanno rassegnato le conclusioni come da verbale ed il Collegio ha pronunciato il dispositivo, dandone lettura in udienza. 

Motivi della decisione 

Preliminarmente deve dichiararsi l'improcedibilità dell'azione penale relativamente alla condotta di minaccia aggravata ex art. 612 comma 2 c.p., contestata al capo A) d'imputazione, posto che, non ricorrendo alcuna delle circostanze indicate nell'art. 339 c.p., il reato è procedibile a querela di parte. Pertanto, nel constatarsi la mancanza di una formale presentazione di querela nei termini di legge da parte delle persone offese, deve per l'effetto dichiararsi l'improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela. Parimenti, deve dichiararsi l'improcedibilità dell'azione penale relativamente alla condotta di cui all'art. 635 c.p. contestata al capo B) d'imputazione, posto che nel relativo addebito non è stata contestata, né formalmente né in fatto, l'aggravante di aver commesso il fatto su beni destinati a pubblico servizio ex art. 625 n 7 c.p., con conseguente procedibilità del reato solo a querela di parte. Al riguardo, si richiama l'orientamento della Suprema Corte che, pronunciandosi nella materia sostanzialmente analoga del furto aggravato, ha statuito che "non può ritenersi legittimamente contestata, sì che non può essere ritenuta in sentenza dai giudice, la fattispecie aggravata di cui all'art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen., configurata dall'essere le cose oggetto di furto destinate a pubblico servizio, qualora nel capo d'imputazione non sia esposta esplicitamente tale natura dei beni sottratti o direttamente, o mediante l'impiego di formule equivalenti, ovvero attraverso l'indicazione della relativa norma, poiché detta aggravante implica necessariamente l'esercizio di un'opzione valutativa che si radica su elementi di fatto, ma impone una verifica di ordine giuridico sui caratteri della res e, appunto, sulla sua specifica destinazione", cfr. Cass., sez. 5, n. 26511 del 13/04/2021. Pertanto, nel constatare, anche in questo caso, la mancanza della formale presentazione di querela nei termini di legge da parte della persona offesa, deve per l'effetto dichiararsi l'improcedibilità dell'azione penale per difetto di querela. 

Tanto premesso, quanto al resto, i motivi di appello non meritano accoglimento e vanno pertanto respinti nei termini che seguono. 

Ed invero, ritiene il Collegio che il motivo di appello formulato nel merito - oltre a lambire l'inammissibilità, essendosi la difesa limitata ad esporre generiche dissertazioni sul concetto di ragionevole dubbio, senza alcuno specifico riferimento alla concreta vicenda sub iudice o all'articolata motivazione della sentenza di primo grado - sia infondato, atteso che la responsabilità dell'imputato in ordine alla commissione dei reati di cui agli artt. 341 bis e 340 c.p. è risultata provata al di là di ogni ragionevole dubbio. 

Nella specie risultano sussistenti tutti gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 341 bis c.p., atteso che sussiste, certamente, la necessaria contestualità e occasionalità tra la condotta delittuosa e il compimento dell'atto d'ufficio ovvero l'esercizio delle funzioni dei quattro agenti della Polizia di Stato: nel caso di specie è indubbio che la reazione dell'imputato sia stata determinata dal tentativo degli operanti di procedere alla sua identificazione, per cui tutte le espressioni erano in diretto rapporto con l'atto di ufficio che le persone offese, nelle loro vesti di pubblici ufficiali, stavano compiendo. Le espressioni rivolte a questi ultimi ("bastardi" ''pezzi di merda'') devono, poi, ritenersi caratterizzate da un'indubbia carica di offensività, essendo di per sé considerabili come idonee a ledere l'onore e il prestigio degli operanti. Tanto premesso, il fatto risulta essere stato commesso in luogo pubblico (Pronto Soccorso dell'Ospedale di Macerata) e alla presenza di più persone (tra le quali certamente il personale sanitario del 118 che cercava di apprestare all'imputato le cure necessarie). Sotto quest'ultimo profilo, si evidenza che fini della configurabilità del reato di oltraggio di cui all'art. 341 bis c. p. è sufficiente che le espressioni offensive rivolte a! pubblico ufficiale possano essere udite dai presenti, "poiché già questa potenzialità costituisce un aggravio psicologico che può compromettere la sua prestazione, disturbandolo mentre compie un atto del suo ufficio, facendogli avvertire condizioni avverse, per lui e per la P.A. di cui fa parte, e ulteriori rispetto a quelle ordinarie" (cfr. Cass., sez. 6, n. 19010 del 28/3/2017). 

Risulta parimenti integrato il reato di cui all'art. 340 c.p., atteso che la condotta dell'imputato, consistita nello sferrare un pugno e danneggiare il vetro di un'autoambulanza che sarebbe servita per il trasporto di un anziano paziente presso la sua abitazione, ha reso necessario la chiamata e l'intervento di un'altra autoambulanza, sopraggiunta dopo circa un'ora, con conseguente compromissione del pubblico servizio (cfr. denuncia orale sporta da L.G.N., dipendente della C.R.I., in data 11.1.2018 presso la Questura di Macerata). Si richiama su! punto il consolidato orientamento della Suprema Corte secondo cui "integra i! reato di cui all'art. 340 cod. pen. la condotta che, pur non determinando l'interruzione o H turbamento del pubblico servizio inteso nella sua totalità, comporta comunque la compromissione del regolare svolgimento di una parte di esso", cfr. Cass. sez. 6, n. 1334 del 12/12/2018. 

Il primo motivo di appello non merita dunque accoglimento. 

Parimenti, deve essere respinta la richiesta difensiva, formulata nel quarto motivo di gravame, di esclusione della ritenuta recidiva. 

Ed invero, ritiene il Collegio che, oltre all'incontestata sussistenza dei presupposti "formali" per l'applicazione della recidiva, costituiti dai numerosi precedenti, anche specifici, che figurano nel casellario giudiziale in atti (tra i quali risultano anche tre condanne irrevocabili per resistenza a pubblico ufficiale, cfr. provvedimenti nn. 1, 2 e 3), si osserva come il consistente pregresso penale del reo deponga per una non indifferente attitudine criminale del soggetto agente non intaccata da alcun provvedimento - né di tipo repressivo, né di carattere demenziale adottato nei suoi riguardi nell'arco di circa vent'anni. In questo quadro, anche il nuovo episodio delittuoso, qui in contestazione, appare esprimere, in concreto, una maggiore colpevolezza e, soprattutto, una maggiore pericolosità sociale dell'imputato, avuto riguardo alla perpetrazione di reati della stessa indole. Peraltro, la propensione dell'imputato alla commissione di reati risulta confermata anche dalle numerose condanne riportate successivamente ai fatti de quo, in conformità alla valutazione richiesta al riguardo dalla Suprema Corte in materia secondo cui "giudice, in presenza di una corretta contestazione delia recidiva, è tenuto a verificare in concreto se la reiterazione dell'illecito sia effettivo sintomo di riprovevolezza e pericolosità, dovendosi tenere conto, in particolare, "della natura dei reati, del tipo di devianza di cui sono il segno, della qualità dei comportamenti, del margine di offensività delle condotte, della distanza temporale e del livello di omogeneità esistente fra loro, dell'eventuale occasionalità delia ricaduta e di ogni altro possibile parametro individualizzante significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza" (Sez. U, n. 35738 del 27/5/2010, C., Rv. 247839). // principio è stato poi ribadito dalie stesse Sezioni Unite (Sez. U, n. 20798dei 24/02/2011, I., Rv. 249664; Sez. U, n. 31669 del 23/06/2016, F., Rv. 267044), che pure hanno evidenziato come, in ordine all'applicazione o alia esclusione della recidiva, sul giudice dì merito gravi un onere motivazionale (Sez. U, n. 5859 del 27/10/2011, dep. 2012, M., Rv. 251690), rimarcato poi nella sentenza S. (Sez. U, n. 20808 del 25/10/2018, dep. 2019, S., Rv. 275319, in motivazione). Le Sezioni Unite hanno di recente richiamato il diritto vivente sul tema, confermando anche che la recidiva "è produttiva di effetti unicamente se il giudice ne accerta i requisiti costitutivi .. verificando non solo l'esistenza del presupposto formale rappresentato dalla previa condanna, ma anche del presupposto sostanziale, costituito dalla maggiore colpevolezza e dalla più elevata capacità a delinquere del reo da accertarsi discrezionalmente" (Sez. U, n. 3585 del 24/09/2020, L.T., Rv. 280262)", cfr. Cass., sez. Il , sent. 26877/2022. 

Riguardo al trattamento sanzionatorio, la pena irrogata dal Giudice di prime cure non può essere ulteriormente ridotta. 

Ed invero, ritiene il Collegio che lo scostamento dal minimo edittale operato dal Giudice di prime cure con riferimento alia pena base, applicata per il reato più grave di cui all'art. 341 bis c.p. (residuo capo A), pur considerato il trattamento sanzionatorio vigente all'epoca dei fatti (reclusione fino a tre anni), appare congruo rispetto alla pluralità delle persone offese (e dunque pure considerato l'aumento per la continuazione interna), agli elementi negativi afferenti alla personalità del prevenuto di cui si è detto e alla mancanza di qualsivoglia manifestazione di resipiscenza da parte del medesimo. 

Né, in considerazione dell'operatività dell'art. 81 comma 4 c.p. - secondo il quale, in caso di applicazione della recidiva reiterata, l'aumento dì pena per i reati satellite non può essere inferiore ad un terzo della pena stabilita per il reato più grave -, può essere ulteriormente ridotto l'aumento operato, in misura pari al minimo legale di un terzo, per la continuazione con il reato di cui al capo C) d'imputazione (cfr. Cass. sez. 4, n. 12150 del 24/03/2021 secondo cui ''in tema di continuazione tra reati commessi da soggetti cui sia stata applicata la recidiva di cui all'art. 99, comma quarto, cod. pen., nei caso di assoluzione in appello per uno dei "reati satellite", la mancata diminuzione della pena inflitta cumulativamente non comporta la violazione del divieto di "reformatio in peius" poiché l'aumento non inferiore ad un terzo della pena stabilita per H reato più grave, previsto dall'art. 81, comma quarto, cod. pen. e applicato nella misura minima di un terzo, va riferito all'aumento complessivo per la continuazione e non alla misura di ciascun aumento successivo al primo"). 

Il quantum di tale pena, unitamente alle altre già inflitte al prevenuto con precedenti condanne, è ostativo rispetto alla concessione degli invocati benefici. 

Ogni altra questione resta assorbita dalle considerazioni che precedono. 

Il carico di lavoro del Collegio e del relatore giustifica l'assegnazione di un termine di giorni novanta per il deposito della motivazione. 

P.Q.M. 

Visto l'art. 605 c.p.p., in parziale riforma della sentenza in data 28.1.2022 del Tribunale di Macerata, appellata dall'imputato M.M., dichiara non doversi procedere nei suoi confronti quanto ai reati di cui agli artt. 612 comma secondo c.p. sub capo A) e 635 c.p. sub capo C), per difetto della condizione di querela. Conferma nel resto. Giorni 90 per la motivazione. 

Ancona, 28.11.2023 

Il Collegio, 

nella medesima composizione, 

Riscontrato che, per un mero refuso, nel dispositivo della sentenza è stato dichiarato il non doversi procedere nei confronti dell'imputato "quanto ai reati di cui agli artt. 612 comma secondo c.p. sub capo A) e 635 c.p. sub capo C), per difetto della condizione dì querela", laddove, come chiaramente desumibile dalla lettura dei capi di imputazione, il reato di cui all'art. 635 c.p. è stato contestato al M. sub capo B) e che pertanto debba procedersi alla rettifica del dispositivo sopra riportato; 

Riscontrato che trattasi di errore materiale che non determina nullità e che pertanto è suscettibile dì correzione d'ufficio; 

Visto l'art. 130 c.p.p.; 

P.Q.M. 

DISPONE che il dispositivo emesso nei confronti dell'imputato M.M. nel procedimento iscritto al n.11 11/2022 R.G. C.A, definito all'udienza del 28.11.2023, venga corretto cosi che laddove è scritto "quanto ai reati di cui agli artt. 612 comma secondo c.p. sub capo A) e 635 c.p. sub capo C), per difetto della condizione di querela", debba, piuttosto, correttamente leggersi ed intendersi "quanto ai reati di cui agli artt. 612 comma secondo c.p. sub capo A) e 635 c.p. sub capo B), per difetto della condizione di querela", fermo il resto. 

Così deciso in Ancona, il 9 gennaio 2024. 

Depositata in Cancelleria il 22 gennaio 2024. 




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