Translate

venerdì 4 marzo 2011

Ministero del lavoro e delle politiche sociali Nota 2-2-2011 n. 25/I/0001387 Art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - Distacco ex art. 30, D.Lgs. n. 276/2003 - Svolgimento della prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede del distaccatario. Emanata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Direzione generale per l'attività ispettiva.

Nota 2 febbraio 2011, n. 25/I/0001387 (1).

Art. 9, D.Lgs. n. 124/2004 - Distacco ex art. 30, D.Lgs. n. 276/2003 - Svolgimento della prestazione lavorativa in luogo diverso dalla sede del distaccatario.

(1) Emanata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Direzione generale per l'attività ispettiva.



Alla


Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa
 

Via G. A. Guattani 13
 

00161 Roma




La Confederazione nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa ha presentato istanza di interpello al fine di conoscere il parere di questa Direzione generale in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 30, D.Lgs. n. 276/2003, concernente la disciplina del distacco.

In particolare, l’istante chiede chiarimenti in merito alla sussistenza di eventuali vincoli logistici riferibili allo svolgimento della prestazione lavorativa, ossia se sia legittimo l’utilizzo dell’istituto nel caso in cui il lavoratore distaccato espleti la propria attività in luogo diverso dalla sede del distaccatario.

Al riguardo, acquisito il parere della Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, si rappresenta quanto segue.

Ai fini della configurazione giuridica del distacco, occorre richiamare i requisiti di legittimità fissati dall’art. 30 citato, ricordando che l’istituto in esame non determina una novazione soggettiva del rapporto di lavoro, ovvero il sorgere di un nuovo rapporto con il terzo beneficiario della prestazione, ma produce l’effetto di modificare le modalità di svolgimento dell’attività lavorativa rispetto a quanto convenuto dalle parti nell’originario contratto di lavoro. Si tratta, dunque, di una vicenda “interna” al rapporto, in quanto il distaccante resta l’unico titolare dello stesso.

Il medesimo articolo individua, quali elementi caratterizzanti l’istituto:

- l’interesse del distaccante;

- la temporaneità del distacco;

- lo svolgimento di una determinata attività lavorativa,

elementi tutti indispensabili ai fini del legittimo ricorso al distacco.

Con riferimento al primo requisito, si evidenzia che il distacco può essere giustificato da un qualsiasi interesse produttivo del distaccante, anche di carattere non economico che, tuttavia, non deve coincidere con l’interesse alla mera somministrazione di lavoro.

Tale interesse, come precisato da questo Ministero, con circolare 24 giugno 2005, n. 28/2005, deve essere specifico, rilevante, concreto e persistente, accertato caso per caso, in base alla natura dell’attività espletata e non semplicemente in relazione all’oggetto sociale dell’impresa. È pertanto necessaria una puntuale individuazione delle finalità perseguite con il distacco - quindi temporalmente limitato - evitando l’utilizzo di “clausole di stile” ed evidenziando, anche nel caso di distacco del lavoratore verso un’impresa facente parte dello stesso gruppo, la sussistenza di uno specifico interesse dell’imprenditore distaccante.

Il terzo ed ultimo requisito dell’istituto è costituito dallo svolgimento di una determinata attività lavorativa; ciò significa che il lavoratore distaccato deve essere adibito ad attività specifiche e funzionali al soddisfacimento dell’interesse proprio del distaccante.

Quelli indicati sono dunque gli unici requisiti che il Legislatore ha inteso richiedere ai fini di un legittimo ricorso al distacco, mentre la dislocazione del lavoratore presso la sede dell’impresa distaccataria, pur rappresentando l’ipotesi “statisticamente” più ricorrente, non può costituire un elemento indispensabile al corretto utilizzo dell’istituto.

Il luogo di lavoro del lavoratore distaccato costituisce mera modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e dunque come tale non sembra assumere particolare rilievo - potendosi individuare addirittura nella stessa sede del datore di lavoro distaccante - nel momento in cui sia già accertata la sussistenza dei requisiti indicati e, primo fra tutti, l’interesse del datore di lavoro. Va, peraltro, sottolineato che la natura dell’attività esercitata dal distaccante può giustificare l’espletamento della prestazione lavorativa in una o più sedi diverse da quella propria dell’azienda distaccataria (ad es. trasporto, manutenzione d’impianti, controllo di sistemi informatici, eventuali prestazioni di natura intellettuale, ecc.).

Fermo restando quanto sopra, la prestazione del lavoratore presso una sede di lavoro diversa da quella del distaccatario costituisce dunque un elemento di fatto della prestazione che potrà eventualmente essere valutato, unitamente agli altri, per verificare l’effettiva sussistenza dei requisiti di legittimità e l’assenza di condotte elusive della normativa in esame.


Il Direttore generale

Paolo Pennesi



D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, art. 30

Revisione della patente di guida e mancata comunicazione di decurtazione punti

T.A.R.
Puglia - Lecce
Sezione I
Ordinanza 18 novembre 2010
REPUBBLICA
ITALIANA
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia
Lecce - Sezione Prima
ha pronunciato la presente
ORDINANZA
sul ricorso numero di registro generale 1510 del 2010, proposto da:
P. D., rappresentata e difesa dall'avv. Gianluigi Pellegrino, con domicilio eletto presso Gianluigi Pellegrino in Lecce, via Augusto Imperatore, 16;
contro Ministero delle Infrastrutture edei Trasporti, Motorizzazione Civile di Lecce, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Dello Stato, domiciliata per legge in Lecce, via Rubichi; per l'annullamento previa sospensione dell'efficacia, della nota 08.10.2010 n. 74 dell'Ufficio Provinciale di Lecce della Direzione Generale per la Motorizzazione Civile, notificata alla ricorrente in data 15.10.2010 e degli atti tramite questa conosciuti ed alla stessa presupposti, collegati, connessi e/o consequenziali e, in particolare, della comunicazione dell'Anagrafe Nazionale degli abilitati alla guida di data 27.7.2010 "dalla quale risulta che è esaurito il punteggio di 20 punti attribuiti alla S.V.", quest'ultima mai notificata alla ricorrente.

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e di Motorizzazione Civile di Lecce;

Vista la domanda di sospensione dell'esecuzione del provvedimento impugnato, presentata in via incidentale dalla parte ricorrente;

Visto l'art. 55 cod. proc. amm.;

Visti tutti gli atti della causa;

Ritenuta la propria giurisdizione e competenza;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2010 il dott. Luigi Viola e uditi per le parti l’Avv. Valeria Pellegrino in sostituzione di Gianluigi Pellegrino per la ricorrente e l’Avv. dello Stato Tarentini per le Amministrazioni resistenti;
Considerato:
-che, allo stato, non risulta dimostrata la comunicazione alla ricorrente delle singole decurtazioni di punti disposte a seguito delle violazioni al Codice della strada definitivamente accertate;
-che quindi, nella fattispecie, è stata violata la previsione dell’art. 126-bis, 3° comma del Codice della strada (che impone all'anagrafe nazionale degli abilitati alla guida l’obbligo di comunicare agli interessati <<ogni variazione di punteggio>>) e, soprattutto, è stata resa concretamente impossibile la frequenza dei <<corsi di aggiornamento>> previsti dal successivo quarto comma della previsione citata, che consentono agli interessati il recupero di una parte del punteggio oggetto di decurtazione.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia Lecce - Sezione Prima accoglie l’istanza cautelare e per l'effetto: a) sospende gli atti impugnati, come da motivazione;

b) fissa per la trattazione di merito del ricorso l'udienza pubblica del 26 gennaio 2011.

Compensa le spese della presente fase cautelare-

La presente ordinanza sarà eseguita dall'Amministrazione ed è depositata presso la segreteria del tribunale che provvederà a darne comunicazione alle parti.

Così deciso in Lecce nella camera di consiglio del giorno 17 novembre 2010 con l'intervento dei magistrati:
Antonio Cavallari, Presidente
Luigi Viola, Consigliere, Estensore
Carlo Dibello, Primo Referendario

L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 18/11/2010.

Cassazione "...Sui danni alla salute derivanti da problemi di natura urbanistica decide il tribunale..."



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Ordinanza 22 dicembre 2010, n. 25982
 Svolgimento del processo
I coniugi I.G. e B.C. in esito alle risultanze di un accertamento tecnico preventivo chiedevano al Tribunale di Biella la condanna del Comune di Salussola all'adozione dei provvedimenti più idonei ad assicurare il loro i diritto alla salute pregiudicato da alcune opere edili eseguite da detta amministrazione nel 2005 anche su un terreno di loro proprietà onde sostenere una chiesa antica semidiroccata, oltre al risarcimento dei danni sofferti.
Con successivo ricorso ex art. 700 c.p.c., chiedevano quindi l'adozione dei provvedimenti necessari per evitare e rimuovere le conseguenze di dette opere che avevano consentito ... a nidificazione ed il proliferare di volatili e di fatti, nonchè il deposito dei loro detriti.
Il Tribunale adito dichiarava inammissibile quest'ultimo ricorso perchè rientrante nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo di cui al D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34; e poi con provvedimento del 14 luglio 2010 ne respingeva il ree amo osservando che anche in materia di diritti fondamentali, quali quello alla salute, allorchè la loro Lesione sia dedotta come effetto di un comportamento positivo od omissivo,espressione di poteri autoritativi in materie, come l'urbanistica riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, la cognizione di qualsiasi richiesta, inibitoria, demolitoria o risarcitoria è devoluta al giudice suddetto.
L' I. e la B. con atto del 12 febbraio 2010 hanno proposto regolamento di giurisdizione, insistendo in quella ordinaria perchè il petitum sostanziale dell'azione era costituito dalla richiesta di tutela del diritto alla salute;e perchè pur vertendo la controversia in materia urbanistica a seguito di ordinanza dello stesso comune che aveva disposto l'abbattimento della chiesa,ridotta ad un rudere, l'operato dell'amministrazione si fondava su meri comportamenti materiali. Il P.G. ha invece concluso chiedendo che fosse dichiarata la giurisdizione del giudice amministrativo.
Motivi della decisione
La Corte deve osservare che i ricorrenti hanno addebitato il lamentato pregiudizio al loro diritto alla salute (nonchè ai loro ceni) non già al provvedimento del 2005 con cui il comune di Salussola, ottenuta da essi l'autorizzazione (per la porzione di terreno di cui sono proprietari), aveva disposto la uosa di alcuni puntelli a sostegno di un rudere precedentemente adibito a chiesa; e neppure al successivo provvedimento 11 novembre 2006 della stessa amministrazione che aveva revocato la precedente disposizione di posa dei puntelli e disposto l'abbattimento del rudere: costituendo entrambi gli atti la cui validità ed esecutorietà è fuor di dubbio in questo giudizio, meri antecedenti storici che hanno esaurito ogni effetto in relazione alla vicenda denunciata che si concreta esclusivamente nella precaria situazione sanitaria por l' I., i propri familiari ed i propri beni a causa della successiva inerzia del comune che aveva consentito il nidificare e proliferare di volatili e di ratti intorno al rudere abbandonato, facendo divenire insalubre l'intero ambiente circostante.
Nella fattispecie non è allora dedotta la lesione del loro diritto come effetto di un comportamento materiale espressione di poteri autoritativi e conseguente ai menzionati atti dell'ente pubblico di cui venga denunciata l'illegittimità, in materie riservate alla giurisdizione esclusiva dei giudici amministrativi (come quella della gestione del territorio; cfr. Cass. sez. un. 27187/2007), ma gli è addebitata la cattiva gestione e l'omessa manutenzione di un proprio bene in violazione delle disposizioni di legge e di regolamento nonchè delle generali norme di prudenza e diligenza, imposte dal precetto del neminem laedere a tutela dell'incolumità dei cittadini e dell'integrità del loro patrimonio.
Per cui le Sezioni Unite devono dare continuità al principio ripetutamente affermato che, in caso di inosservanza da parte della pubblica amministrazione, nella sistemazione e manutenzione di aree o beni pubblici (delle regole tecniche, ovvero) dei comuni, canoni di diligenza e prudenza, ricorre la giurisdizione del giudice ordinario:
in quanto anche la manutenzione di detti beni pubblici deve adeguarsi alle regole di comune prudenza e diligenza, prima fra tutte quelle, del neminem laedere di cui all'art. 2043 c.c., in applicazione del quale la pubblica amministrazione è tenuta a far sì che il bene pubblico non sia fonte di danno per il privato (Cass. sez. un. 7442/2008; 22521/2006; 25036/2005).
Non vale in tal caso invocare la giurisdizione esclusiva introdotta nella materia urbanistica dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 34, (nel testo sostituito dalla L. n. 205 del 2000), perchè il dato normativo, ivi contenuto, rimanda ad attività che esprimano l'esercizio del potere amministrativo nella forma tipica degli atti o provvedimenti attraverso i quali si esterna l'attività amministrativa, ovvero attraverso comportamenti, che però devono pur sempre essere ancorati sia pure "mediatamente" all'esercizio di un potere amministrativo: sicchè, allorquando si tratti, come nel caso concreto, di comportamenti (positivi ovvero omissivi) meramente materiali, che non risultino "espressione di una volontà provvedimentale" nè alla stessa comunque collegabili,detti comportamenti, pur se implicanti un uso del territorio non sono riconducibili alla materia urbanistica (Cass. sez. un.9139/2003 e succ.; Corte Costit. 191/2006).
Va in conseguenza dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario.
P.Q.M.
La Corte, a sezioni unite, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario.

Consiglio di Stato "...Incarica dell'incombente un collegio di docenti (uno dei quali ordinario) della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Palermo composto da due neuropsichiatri e un esperto di tematiche di mobbing: la composizione del collegio di verificazione è affidata al Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della predetta Università...."

Cons. Giust. Amm. Sic., Ord., 30-12-2010, n. 1511
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Ritenuto che, allo stato, la vertenza non sembra ancora matura per la decisione, occorrendo acquisire, anche in relazione a quanto dedotto dall'odierno appellante, i seguenti documenti:

a) copia conforme di tutti i fogli e i registri di servizio concernenti i compiti e le mansioni svolte dal ricorrente dal 14 agosto 1995 al 22 marzo 2005;

b) copia conforme di tutti gli atti del procedimento amministrativo concernente le visite medico - legali alle quali l'appellante è stato sottoposto nel 1989 (Distretto militare di Potenza - dichiarato abile al servizio militare), nel 1990 (Arma dei Carabinieri - dichiarazione di idoneità al servizio militare quale ausiliario dell'Arma dei Carabinieri), nel 1992 e 1993 (test preliminari, test psico - attitudinali, visita medica e colloquio con il selezionatore psicologo del Centro di reclutamento della Guardia di Finanza di Roma);

Ritenuto altresì opportuno disporre il rinnovo della verificazione disposta in primo grado anche alla luce della circostanza che l'appellante ha contestato in ogni sede le conclusioni raggiunte dai verificatori nominati dal Tribunale amministrativo regionale - Sezione staccata di Catania e che ha prospettato una diversa valutazione a cura di specialista esperto in vertenze di mobbing.
P.Q.M.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, riservata ogni ulteriore decisione in rito, nel merito e sulle spese, dispone istruttoria nei sensi indicati in motivazione e per l'effetto;

ordina al Ministero dell'Economia e delle Finanze - Comando Generale della Guardia di Finanza di depositare i documenti sopra indicati sub a) e quelli di competenza sopra indicati sub b);

ordina al Ministero della Difesa di depositare, per quanto di competenza, i documenti indicati sopra sub b).

Assegna per l'incombente giorni novanta, dalla comunicazione o notifica del presente provvedimento, tenuto conto della complessità delle ricerche collegate al reperimento dei predetti documenti.

Dispone altresì il rinnovo della verificazione per valutare la sussistenza, la gravità e le cause delle patologie lamentate dall'appellante, con particolare riguardo alla fondatezza del parere del Comitato di verifica per la concessione dell'equo indennizzo.

Incarica dell'incombente un collegio di docenti (uno dei quali ordinario) della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Palermo composto da due neuropsichiatri e un esperto di tematiche di mobbing: la composizione del collegio di verificazione è affidata al Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia della predetta Università.

La verificazione si svolgerà in contraddittorio con le parti del giudizio, le quali dovranno essere preavvisate con congruo anticipo (almeno sette giorni) dello svolgimento delle operazioni e della possibilità di farsi assistere da professionista di fiducia.

Il collegio di verificazione depositerà presso la Segreteria di questo Consiglio in triplice copia (delle quali almeno una in versione informatica) relazione con l'esito delle predette operazioni supportata dall'intera documentazione di riferimento.

Il deposito della citata documentazione afferente la verificazione dovrà essere eseguito nel termine di novanta giorni dalla comunicazione in via amministrativa del conferimento dell'incarico da parte del Preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Palermo.

Per le spese di verificazione si rinvia alla pronuncia definitiva.

La nuova udienza di discussione sarà fissata con decreto dal Presidente del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, in esito all'esecuzione degli incombenti istruttori.

Così deciso in Palermo, il 13 ottobre 2010, dal Consiglio di Giustizia amministrativa per la Regione siciliana in sede giurisdizionale, in camera di consiglio, con l'intervento dei signori: Raffaele Maria De Lipsis, Presidente, Filoreto D'Agostino, estensore, Guido Salemi, Pietro Ciani, Giuseppe Mineo, componenti.

F.to Raffaele Maria De Lipsis, Presidente

F.to Filoreto D'Agostino, Estensore

Depositata in Segreteria il 30 dicembre 2010.

Consiglio di Stato "...Con provvedimento anche del 16.1.2007, a seguito della conclusione negativa del procedimento per il transito nei ruoli tecnicoscientifico o tecnico, è stata revocata la speciale aspettativa concessa alla ricorrente ai sensi dell'art. 8 del d.P.R. n. 339 del 1982 ("Passaggio del personale non idoneo all'espletamento dei servizi di polizia ad altri ruoli dell'amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato") e riattivata la procedura di dispensa dal servizio e, con provvedimento n. 333D/0157899/DIS del 28 marzo 2007, la ricorrente è stata dispensata dal servizio per fisica inabilità "ora per allora, a decorrere dal 15.11.1994"...."

IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 10-01-2011, n. 42
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

1. Alla ricorrente signora ####################, dipendente del Ministero dell'interno, appartenente al Corpo della Polizia di Stato, conclusasi negativamente la procedura per il suo transito nei ruoli del personale di altre Amministrazioni dello Stato richiesto con istanza del 17.6.1991, con decreto del Capo della Polizia del 14.11.1994 è stata revocata, a decorrere dal 15.11.1994, la speciale posizione di aspettativa ex art. 8 del d.P.R. n. 339 del 1982, e, con decreto del Capo della Polizia del 13.4.1995, è stata disposta dispensa dal servizio per inabilità fisica a decorrere dal 15.11.1994.

2. La signora #################### ha proposto ricorso avverso il detto decreto del 13.4.1995, nonché avverso il parere della Commissione per il personale non direttivo, anche di data 13.4.1995, recepito nel decreto, che il T.a.r. per il Piemonte ha accolto con sentenza n. 381 del 2000.

3. Il Consiglio di Stato, con sentenza della Sezione VI n. 2515 del 2006, ha confermato la sentenza di primo grado, giudicando fondato il motivo di ricorso avverso il decreto de quo "sotto il profilo dell'indebito avvio del procedimento di dispensa in assenza della previa necessaria valutazione dell'istanza di assegnazione a mansioni impiegatizie compatibili con le condizioni di salute".

4. L'Amministrazione, in data 25.8.2006, ha quindi annullato i sopra citati provvedimenti di revoca della posizione di aspettativa speciale e di dispensa dal servizio e riattivato (comunicandolo alla ricorrente con nota del 26 settembre 2006) il procedimento finalizzato al transito nei ruoli tecnicoscientifici o tecnici della Polizia di Stato, concluso con esito negativo disposto con provvedimento dirigenziale n. 333D/0157899339, del 16.1.2007.

A motivazione del diniego è stato affermato, in particolare da parte della competente Commissione consultiva, che ha espresso parere contrario "ora per allora" e ai cui verbali il detto provvedimento rinvia, che "nei citati ruoli non sono previsti profili professionali con mansioni esclusivamente di tipo impiegatizio, atteso che il citato personale ha in dotazione l'armamento individuale ed assume la qualifica di agente di polizia giudiziaria, ai sensi dell'art. 42 del D.P.R. 337/1982, come modificato dall'art. 6 della legge 7.8.1990, n. 232".

Con provvedimento anche del 16.1.2007, a seguito della conclusione negativa del procedimento per il transito nei ruoli tecnicoscientifico o tecnico, è stata revocata la speciale aspettativa concessa alla ricorrente ai sensi dell'art. 8 del d.P.R. n. 339 del 1982 ("Passaggio del personale non idoneo all'espletamento dei servizi di polizia ad altri ruoli dell'amministrazione della pubblica sicurezza o di altre amministrazioni dello Stato") e riattivata la procedura di dispensa dal servizio e, con provvedimento n. 333D/0157899/DIS del 28 marzo 2007, la ricorrente è stata dispensata dal servizio per fisica inabilità "ora per allora, a decorrere dal 15.11.1994".

5. La sig.na ####################, con ricorso n. 567 del 2007 proposto al T.a.r. per il Piemonte, ha quindi chiesto l'annullamento dei provvedimenti: del 16.1.2007, di diniego di transito nei ruoli tecnicoscientifici o tecnici della Polizia di Stato nonché di revoca dell'aspettativa di cui all'art. 8 del d.P.R. n. 339/1982; del 28.03.2007 notificato il 24.04.2007 recante "Dispensa dal servizio per inabilità fisica"; del Verbale della Commissione Consultiva per l'utilizzazione degli invalidi per servizio in data 23.10.2006 notificato il 7.3.2007; del Verbale della Commissione per il personale del ruolo degli agenti ed assistenti della Polizia di Stato in data 15.11.2006 notificato in data 7.3.2007, nonché di tutti gli atti presupposti, preparatori o conseguenti e segnatamente, se del caso, della nota del Direttore I del Servizio sovrintendenti, assistenti e agenti in data 17.1.2007 n. 333D/0157899339 notificata il 7.3.2007; della nota del Direttore I del Servizio sovrintendenti, assistenti e agenti
in data 17.1.2007 n. 333D/0157899339 notificata il 28.3.2007.

6. Il T.a.r. con sentenza n. 607 del 2008, ha respinto il ricorso. Ha compensato tra le parti le spese del giudizio.

7. Con l'appello in epigrafe è chiesta la riforma della sentenza di primo grado ed il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati.

8. All'udienza del 19 ottobre 2010 la causa è stata trattenuta per la decisione.
Motivi della decisione

1. Nella sentenza di primo grado si afferma:

a) ai sensi degli articoli 22 (rectius 23) e 36 della legge n. 121 del 1981 ("Nuovo ordinamento dell'Amministrazione delle pubblica sicurezza") i tecnici della Polizia sono a tutti gli effetti soggetti appartenenti ai ruoli della Polizia di Stato; ad essi è di conseguenza attribuita la qualifica di agenti di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria (ai sensi dell'art. 5 del d.P.R. n. 335 del 1982, recante "Ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnicoscientifica o tecnica") ed è assegnato l'armamento individuale ai sensi dell'art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 359 del 1991 ("Regolamento che stabilisce i criteri per la determinazione dell'armamento in dotazione all'Amministrazione della pubblica sicurezza e al personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia");

b) né vale a limitare l'attribuzione al personale tecnicoscientifico o tecnico della qualità di agente di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria la previsione che "le disposizioni dell'ordinamento del personale della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia" si applicano a tale personale "per quanto compatibili" (art. 2 del d.P.R. n. 337 del 1982), essendo espressamente attribuite tali qualità dall'art. 42 del d.P.R. n. 337 del 1982, che è norma di rango primario in quanto regolamento di delegificazione (ai sensi dell'art. 36 della legge n. 121 del 1981), ed essendo peraltro in concreto ben possibile che l'agente dei ruoli tecnicoscientifici o tecnico possa dover usare l'arma nell'esercizio delle funzioni;

c) sono perciò infondati, si conclude, il secondo e il penultimo motivo di ricorso;

d) quanto alle restanti censure dedotte si afferma:

d.1) è infondata quella di violazione dell'art. 10 bis della legge n. 241 del 1990, poiché la disposizione è stata introdotta con la legge n. 15 del 2005, posteriore alla domanda della ricorrente presentata il 17.6.1991, ed è perciò inapplicabile nella specie, avendo comunque l'Amministrazione (come sopra visto) motivato il diniego di transito nei ruoli tecnicoscientifico o tecnico, al contrario di quanto asserito dalla ricorrente;

d.2) è inammissibile quella di illegittimità del provvedimento di revoca dell'aspettativa a far data dal 15.11.1994, dedotta per violazione dell'art. 8, ultimo comma, del d.P.R. n. 339 del 1982; la censura è infatti in astratto fondata, in quanto, essendosi conclusa l'ultima procedura di passaggio con diniego datato 9.2.1995, e l'ultimo diniego di transito ad altra Pubblica Amministrazione con altro decreto in data 16.1.2007, "è solo a partire da tale momento che la ricorrente poteva essere privata del beneficio dell'aspettativa e non a far data, retroattivamente, dal 15.11.1994", ma, si soggiunge nella sentenza, non sussiste interesse al ricorso non configurandosi, nella specie, lesione attuale della posizione della ricorrente, poiché dalla retroattività così disposta non scaturiscono conseguenze negative nella sua sfera giuridica, salvi atti consequenziali, quali ad esempio un provvedimento di ripetizione di somme medio tempore percette.

2. Nell'appello si deduce quanto segue.

2.1. E' erroneo (quanto al punto 1d.2), di cui sopra) il presupposto di fatto affermato nella sentenza, poiché la ricorrente sin dai primi anni "90 non ha percepito alcun emolumento da parte del Ministero dell'interno, essendo perciò dovuta la retrodatazione della revoca dell'aspettativa e della dispensa proprio all'intento dell'Amministrazione di non corrisponderle le retribuzioni "dovute dalla data della dispensa a quella di assunzione del provvedimento espulsivo impugnato" e sussistendo perciò il suo interesse al ricorso. Si ribadisce quindi che l'aspettativa di cui all'ultimo comma dell'art. 8 del d.P.R. n. 339 del 1982 riguarda soltanto il periodo relativo al procedimento attivato per il transito ad altre Amministrazioni statali e non quello relativo al transito in altri ruoli della Polizia di Stato, per cui, essendosi perfezionato l'ultimo diniego di passaggio alle dette Amministrazioni il 9 febbraio 1995 è da tale data che dovrebbe, eventualmente, decorrere la cessazione
della dispensa.

Ma invero, si conclude, la dispensa della ricorrente avrebbe dovuto decorrere soltanto dal 16.1.2007, poiché, come previsto dall'art. 9 del d.P.R. n. 339 del 1982 e statuito nella pronuncia del Consiglio di Stato n. 2515 del 2006, la dispensa dal servizio non può precedere il rigetto dell'istanza della ricorrente di essere adibita ad altre mansioni, che si è perfezionato soltanto dalla detta data.

2.2. L'art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 è stato violato, poiché: la norma si applica al caso in esame incidendo la normativa sopravvenuta sugli atti endoprocedimentali non ancora compiuti; alla ricorrente non sono mai stati comunicati i motivi della decisione sfavorevole al trasferimento nei ruoli tecnicoscientifici o tecnici; non risultano considerate tutte le ragioni opposte al riguardo con nota della ricorrente del 13 marzo 2007.

2.3. La ricostruzione del quadro normativo sull'obbligo dell'armamento per il personale tecnicoscientifico o tecnico, fatta nella sentenza, è erronea; trascura infatti le previsioni: dell'art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 337 del 1982, per cui a tale personale si applicano le disposizioni sulla Polizia di Stato "per quanto compatibili", dell'art. 5, comma 1, del d.P.R. n. 335 del 1982, per cui gli agenti e assistenti della Polizia di Stato sono, soltanto perché tali, agenti di pubblica sicurezza e di polizia giudiziaria e dell'art. 42, comma 1, del d.P.R. n. 337 del 1982, per il quale, invece, l'attribuzione al personale tecnicoscientifico o tecnico della qualifica di agente di pubblica sicurezza non è necessaria ma eventuale, in quanto limitata alle funzioni esercitate, per cui gli appartenenti al detto personale sono, per tali funzioni, soltanto agenti di polizia giudiziaria e, quindi, esenti dall'obbligo dell'armamento individuale.

3. Per la decisione sull'appello il Collegio ritiene utile esaminare per primi i motivi di cui ai precedenti punti 2.3. e 2.2., poiché distinti dal punto 2.1. e connessi.

3.1. Entrambi i motivi sono infondati.

Quanto al motivo di cui al punto 2.3. si osserva che è vero che, ai sensi dell'art. 42 del d.P.R. n. 337 del 1982, al personale che espleta attività tecnicoscientifica o tecnica la qualità di agente o ufficiale di pubblica sicurezza "può" essere attribuita (comma 1), mentre quella di agente o ufficiale di polizia giudiziaria "è" attribuita (comma 2), in entrambi i casi, "limitatamente alle funzioni esercitate", ma, ciò richiamato, si deve annotare che la questione in esame è se sia o meno corretta la motivazione del diniego di trasferimento della ricorrente espressa negli impugnati verbali della Commissione consultiva, il cui fondamento è nella asserzione che nei ruoli di cui si tratta non sono previsti profili professionali con mansioni di tipo esclusivamente impiegatizio.

Questa asserzione è corretta, poiché la previsione del comma 1 dell'art. 42 citato, per cui al personale in questione le funzioni di pubblica sicurezza possono essere sempre attribuite, comporta che la qualità di agente o ufficiale di pubblica sicurezza rientra tra le componenti possibili e perciò proprie delle funzioni del detto personale, con la connessa assegnazione di armamento individuale ai sensi dell'art. 3, comma 1, del d.P.R. n. 359 del 1991, non potendo, di conseguenza, essere addetto ai ruoli in questione chi non può assumere tali funzioni perché non può essere dotato di arma, poiché verrebbe a svolgere, altrimenti, mansioni soltanto impiegatizie e quindi non corrispondenti al pieno ambito delle mansioni previste per tali ruoli.

In questo quadro la previsione dell'attribuzione delle funzioni di Polizia non è esclusa dalla contestuale previsione che ciò avviene "limitatamente alle funzioni esercitate", così come da quella dell'art. 2, comma 1, del medesimo d.P.R. n. 337 del 1982, per cui al personale in questione le disposizioni "dell'ordinamento della Polizia di Stato che espleta funzioni di polizia" si applicano "per quanto compatibili", significando tali previsioni soltanto che l'attribuzione delle dette funzioni di polizia, di pubblica sicurezza e giudiziaria, è correlata alle esigenze del servizio per le attività di carattere tecnicoscientifico o tecnico ed in coerenza con l'esercizio di queste.

Da ciò consegue che il provvedimento del 16.1.2007 non avrebbe potuto avere contenuto diverso da quello di diniego del transito della ricorrente nei ruoli suddetti, con esclusione perciò dell'applicazione dell'art. 10 bis della legge n. 241 del 1990 ai sensi dell'art. 21 octies, comma 2, della legge medesima.

3.2. "E fondato invece il motivo di cui al precedente punto 2.1

Infatti:

- per effetto delle relative pronunce giurisdizionali in primo grado e in appello, il provvedimento di dispensa dal servizio del 13.4.1995 è stato annullato e, su questa base, è stato oggetto altresì di annullamento con atto n. 333D/0157899 del 25.8.2006, con la sua conseguente inefficacia ex tunc;

- a seguito di ciò è stato indicato alla ricorrente, con comunicazione notificata il 26 settembre 2006, "che si sta riattivando la procedura relativa al transito nei ruoli del personale della Polizia di Stato che espleta attività tecnicoscientifica o tecnica, ai sensi dell'art. 2 del d.P.R. 24.4.1982, n.339";

- tale procedimento non può essere considerato quale fase o mera prosecuzione del procedimento di trasferimento presso altre Amministrazioni statali conclusosi il 9 febbraio 1995, dal momento che, come emerge dalla ricostruzione in fatto svolta nella sopra richiamata sentenza del T. a. r., n. 381 del 2000, e dalle premesse del citato provvedimento di annullamento del 25.8.2006, l'istanza della ricorrente, presentata il 17.6.1991, risulta contenere la sola domanda di trasferimento presso altre Amministrazioni statali, e non in altri ruoli della Polizia di Stato e che, in ogni caso, pur prescindendo da ciò, per lo svolgimento del procedimento per il transito in altri ruoli della Polizia di Stato è stata eseguita una nuova, specifica istruttoria, conclusa con un provvedimento di diniego sorretto da propria e conseguente motivazione;

- dalla individuazione del procedimento in questione come diverso e nuovo rispetto a quello aperto con l'istanza della ricorrente del 17.6.1991 consegue che la data di decorrenza della dispensa è da individuarsi, come proposto nell'appello, all'atto della determinazione di diniego del trasferimento (16.1.2007), conclusiva del detto procedimento, in quanto presupposto della decisione di dispensa dal servizio, e non alla data del 15.11.1994, determinata con il provvedimento annullato del 13.4.1995, relativa al precedente procedimento.

4. L'appello deve essere perciò accolto in parte per la fondatezza del motivo di cui al precedente punto 2.1. respinti i motivi restanti.

Sussistono ragioni per la compensazione tra le parti delle spese dei due gradi del giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe, lo accoglie in parte come da motivazione e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso originario nei limiti di cui in motivazione.

Compensa tra le parti le spese dei due gradi del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Consiglio di Stato "...Ai sensi dell'art. 9 d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (recante sanzioni disciplinari per il personale di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti) "l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, colto da ordine o mandato di cattura o che si trovi, comunque, in stato di carcerazione preventiva, deve essere sospeso dal servizio con provvedimento del capo dell'ufficio dal quale gerarchicamente dipende, che deve, altresì, riferire immediatamente alla direzione centrale del personale presso il dipartimento della pubblica sicurezza...."

IMPIEGO PUBBLICO
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 12-01-2011, n. 102
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

E' impugnata la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Sardegna n. 1167 del 26 luglio 2004, che ha respinto il ricorso del signor ####################, sovrintendente della Polizia di Stato, avverso il provvedimento del 10 luglio 2003 col quale il Capo della Polizia lo ha sospeso cautelarmente dal servizio ai sensi dell'art. 9, comma 2, d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737.

Assume l'appellante la erroneità della gravata sentenza nella parte in cui ha ritenuto infondata la censura di carenza di motivazione dell'atto impugnato, soprattutto sotto il profilo della mancata differenziazione della sua posizione rispetto a quella degli altri soggetti coinvolti nella medesima vicenda penale, afferente il prospettato approfittamento, in sede di richiesta di erogazione di prestiti di somme di denaro, delle condizioni psichiche di particolare debolezza di altro collega. L'appellante rileva di essere stato assolto dalla imputazione penale, evidenziando di essere stato il solo soggetto, tra i beneficiari dei prestiti, ad avere restituito le somme ricevute a mutuo. Insiste pertanto per l'accoglimento dell'appello e del ricorso di primo grado, in riforma della impugnata sentenza.

Si è costituita in giudizio la intimata amministrazione per resistere al ricorso e per chiederne la reiezione.

All'udienza del 5 novembre 2010 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

L'appello è infondato.

Ai sensi dell'art. 9 d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 (recante sanzioni disciplinari per il personale di pubblica sicurezza e regolamentazione dei relativi procedimenti) "l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, colto da ordine o mandato di cattura o che si trovi, comunque, in stato di carcerazione preventiva, deve essere sospeso dal servizio con provvedimento del capo dell'ufficio dal quale gerarchicamente dipende, che deve, altresì, riferire immediatamente alla direzione centrale del personale presso il dipartimento della pubblica sicurezza. Fuori dai casi previsti nel comma precedente, l'appartenente ai ruoli dell'Amministrazione della pubblica sicurezza sottoposto a procedimento penale, quando la natura del reato sia particolarmente grave, può essere sospeso dal servizio con provvedimento del Ministro su rapporto motivato del capo dell'ufficio dal quale dipende. In caso di concessione di libertà provvisoria ovvero di revoca dell'ordine o mandato di
cattura o dell'ordine di arresto ovvero di scarcerazione per decorrenza dei termini, ove le circostanze lo consiglino, la sospensione cautelare può essere revocata con effetto dal giorno successivo a quello in cui il dipendente ha riacquistato la libertà e con riserva di riesame del caso quando sul procedimento penale si è formato il giudicato. I relativi provvedimenti sono adottati dal Ministro su proposta motivata degli organi indicati nel precedente art. 4 per i rispettivi dipendenti. Se il procedimento penale è definito con sentenza la quale dichiari che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso, la sospensione è revocata a tutti gli effetti."

Come si desume dalla disposizione, fuori dai casi di sospensione obbligatoria, la legge affida all'organo di vertice della Amministrazione della sicurezza un potere discrezionale lato nel disporre sospensione cautelare dal servizio del dipendente sottoposto a procedimento penale, sol sia particolarmente grave il titolo del reato per il quale si procede in confronto dell'appartenente alla Amministrazione.

Nella specie, l'odierno appellante è stato sospeso dal servizio in quanto sottoposto a procedimento penale per circonvenzione di incapace. Lo stesso, secondo l'ipotesi accusatoria a suo tempo prospettata, avrebbe approfittato delle condizioni di debolezza e di sudditanza psicologica di altro collega per farsi dare somme di denaro, poi restituite senza interessi. Inoltre, egli avrebbe avuto un ruolo anche nel facilitare la erogazione, sempre da parte dello stesso collega, di somme di denaro in favore di altri soggetti, costituendosi -sia pure informalmente- come garante per la restituzione delle stesse.

Con il provvedimento impugnato in primo grado l'Amministrazione ha ritenuto che nei fatti oggetto del procedimento penale si potevano ravvisare sufficienti elementi per disporre in via cautelare la sua sospensione dal servizio, dato che la persistenza del rapporto di dipendenza attiva poteva risolversi in una compromissione o nel rischio di compromissione della immagine e del decoro della Amministrazione.

Il Tribunale amministrativo per la Sardegna, superata la questione della competenza ad adottare il provvedimento sospensivo (in considerazione della intervenuta traslazione della stessa competenza dal Ministro al Dirigente -id est, al capo della Polizia - a seguito della riforma di cui al d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29) ha ritenuto immune dai prospettati vizi l'impugnato provvedimento sospensivo, tenuto conto della natura cautelare e del carattere particolarmente riprovevole della condotta ascritta all'odierno appellante in relazione alla ipotesi delittuosa ipotizzata a suo carico.

L'interessato insiste, con l'appello, nel rilevare la erroneità della sentenza e del provvedimento, sottolineando la diversa posizione assunta nello specifico rispetto agli altri soggetti coindagati, i quali, a differenza di lui, avrebbero omesso di restituire il denaro preso a prestito, tant'è che all'esito del procedimento penale egli sarebbe stato mandato assolto dalla imputazione.

Ritiene il Collegio che la censura non meriti condivisione.

Anzitutto, l'esito positivo per l'indagato della vicenda penale, se rappresenta valido presupposto per la revoca del provvedimento cautelare di sospensione dal servizio, non può assurgere a parametro postumo alla cui stregua valutare la legittimità della vicenda cautelare, che va evidentemente individuata con riferimento alla situazione di fatto e di diritto risultante al momento in cui il provvedimento risulta adottato. In tale corretta prospettiva temporale, la decisione cautelare di sospensione dal servizio non appare né irragionevole, né viziata sul piano della carenza di motivazione posto che, come correttamente rilevato dal primo giudice, a fronte delle accuse di circonvenzione di incapace rivolte all'odierno appellante, sussistevano i presupposti per far luogo, nel tempo occorrente ad accertare le effettive responsabilità degli indagati, alla sospensione del rapporto di servizio con l'odierno appellante, avuto riguardo alla preminente esigenza di salvaguardare l'immagine
della Amministrazione in relazione al decoro morale e professionale dei suoi dipendenti. Peraltro non è senza rilievo, come correttamente osservato dal primo giudice, che l'#################### non si era limitato ad ottenere la erogazione di un prestito in proprio favore, ma si era reso parte attiva, in veste di garante della solvibilità dei beneficiari, perché analoghe posizioni creditorie venissero in concreto aperte anche in confronto di altri soggetti (che peraltro, allo stato degli atti e per quanto qui può rilevare, non risulterebbero avere onorato l'impegno). In tale quadro fattuale ed nella fase della pendenza del procedimento penale finalizzato ad accertare l'effettiva sua responsabilità, non appare sproporzionata o altrimenti irragionevole la sospensione cautelare dal servizio. La circostanza che poi egli sia stato assolto dall'imputazione ascrittagli, in quanto evento successivo al provvedimento amministrativo, non refluisce su detta ragionevolezza..

L'appello va quindi respinto e va integralmente confermata l'impugnata sentenza.

La particolarità della vicenda trattata ed il suo particole epilogo giustificano la compensazione delle spese di lite tra le parti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto,

lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Consiglio di Stato "...Le disposizioni in materia di diritto di accesso, infatti, mirano a coniugare la ratio dell'istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità dell'Amministrazione - come enunciato dall'art. 22 della legge n. 241 del 1990..."

ATTI AMMINISTRATIVI
Cons. Stato Sez. VI, Sent., 12-01-2011, n. 116
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Attraverso l'atto di appello in esame, notificato il 18 settembre 2010, si contesta la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Toscana 2 febbraio 2010, n. 176che non risulta notificata, con la quale era stato respinto il ricorso proposto dal signor #################### (Sovrintendente della Polizia di Stato presso il Comando Sezione Polizia Stradale di ####################), per l'annullamento - a norma degli articoli 22 e seguenti l. 7 agosto 1990, n. 241 - della nota del Ministero dell'interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, n. prot. 0917406/104/A - 23 di rigetto dell'istanza del medesimo all'accesso agli atti del proprio fascicolo personale.

Nella sentenza si rilevava l'accoglimento di analoga istanza precedente, con avvenuto accesso in data 3 luglio 2009; la nuova istanza, presentata il giorno successivo, sarebbe stata invece respinta, poiché "genericamente riferita a documenti di cui era solo ipotizzata l'esistenza", senza che al riguardo fossero forniti "indizi certi", non deducibili nemmeno dalla contestazione di un addebito disciplinare il 10 luglio 2009.

In sede di appello, l'interessato ribadiva il proprio convincimento circa l'avvenuta sottrazione di documenti rilevanti dal fascicolo personale in questione, con particolare riguardo ad un esposto del 16 aprile 2009, ritenuto di rilevanza disciplinare.

Premesso quanto sopra, una breve disamina della normativa e della giurisprudenza, rilevanti per la situazione sottoposta a giudizio, non conferma la fondatezza delle ragioni difensive dell'appellante. Le disposizioni in materia di diritto di accesso, infatti, mirano a coniugare la ratio dell'istituto, quale fattore di trasparenza e garanzia di imparzialità dell'Amministrazione - come enunciato dall'art. 22 della legge n. 241 del 1990 - con il bilanciamento da effettuare rispetto ad interessi contrapposti, fra cui anche quello all'efficiente funzionamento degli uffici pubblici; in tale ottica, al comma 3 del successivo art. 24 si dispone l'inammissibilità delle istanze di accesso preordinate ad un controllo generalizzato - come potrebbe apparire quella di cui si discute - dell'operato delle pubbliche amministrazioni; in base al comma 7 dello stesso art. 24, inoltre, "deve...essere garantito ai richiedenti l'accesso ai documenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per
curare o per difendere i propri interessi giuridici"; nel caso di "documenti contenenti dati sensibili e giudiziari", però, la medesima norma precisa che l'accesso è consentito solo "nei limiti in cui sia strettamente indispensabile" (in esito ad un sostanziale bilanciamento di interessi, operato già dalla legge come regola di massima, ma da integrare caso per caso in considerazione delle specifiche esigenze dell'interessato (cfr. Cons. Stato, V, 17 maggio 2007, n. 2513; VI, 6 luglio 2010, n. 4297).

Nella situazione in esame, l'Amministrazione ha puntualmente documentato (e senza adeguate controdeduzioni dell'appellante) di aver già dato positivo riscontro a diverse istanze di accesso del Pantaleoni, anche con riferimento agli atti relativi al procedimento disciplinare di cui alla contestazione n. 09.13730/104.a/11 del 10 luglio 2009 (in cui dovrebbe inserirsi anche il segnalato esposto del 16 aprile 2009). Correttamente, inoltre, l'Amministrazione ha esplicitato, con nota in data 25 novembre 2009, di avere evaso dette richieste di accesso ogni qual volta le medesime risultassero "formulate in termini chiaramente riconducibili all'individuazione dei documenti richiesti" e si riferissero a documenti amministrativi riconducibili agli interessi, anche di difesa, del dipendente stesso; detto accesso sarebbe stato invece negato, nei casi in cui la richiesta risultasse priva di "riferimenti utili all'individuazione dei documenti richiesti", o estranea ai diretti interessi del
richiedente.

In tale situazione, nessuna delle censure di violazione di legge prospettate dall'appellante appare meritevole di accoglimento, essendo ribaditi dalla stessa Amministrazione i principi generali, sottostanti al diritto di accesso in base alle norme di legge richiamate e non risultando, invece, adeguatamente suffragata da elementi probatori la convinzione dell'interessato, secondo cui l'Amministrazione avrebbe sottratto indeterminati documenti dal proprio fascicolo personale.

Per le ragioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che il ricorso debba essere respinto; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ritiene di poterne disporre la compensazione, tenuto conto della materia sottoposta a giudizio e della rilevanza dell'interesse perseguito.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

definitivamente pronunciando, respinge l'appello specificato in epigrafe; compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

Se mi rivolgo al capo dicendogli "non mi rompere il c....", cosa succede? Nulla Dire al capo "non mi rompere il c...." è legittimo secondo la Corte di Cassazione: "assoluzione piena", quindi, per la frase incriminata.





Così, infatti, i giudici della Cassazione hanno stabilito nella sentenza 16 novembre 2010, n. 23132.


LAVORO (RAPPORTO DI)
Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 16-11-2010, n. 23132
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo

La Corte di Appello di Napoli, riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda di G.P., proposta nei confronti della società Azienda Trasporti Campania, avente ad oggetto la declaratoria d' illegittimità del licenziamento per giusta causa, con tutte le conseguenze economiche e giuridiche di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 18 intimatogli in data (OMISSIS) per aver rivolto ingiurie e volgarità a carico del D.N. azionista di riferimento della società controllata SIPPIC. La Corte territoriale, per quello che interessa in questa sede, poneva a fondamento della decisione il rilievo fondante che la sanzione del licenziamento non era proporzionata al comportamento addebitato valutato sotto il profilo oggettivo e soggettivo.

Secondo la predetta Corte venivano in rilievo al riguardo: la situazione di accesa conflittualità che connotava le relazioni industriali al momento del fatto addebitato; lo stato di comprensibile esasperazione nel quale versava il lavoratore già provato da tre ore di colloqui con gli autisti i quali si erano rifiutati di rendere prestazioni di lavoro straordinario vanificando ogni sforzo da lui intrapreso e teso alla organizzazione del servizio; la protrazione per oltre quindici minuti del colloquio telefonico con il D.N. e i toni alterati assunti da questi; la obiettiva gravità della situazione organizzativa sfociata nell'interruzione del servizio di trasporto, la concitazione dei toni assunti dalle parti, le trattative con il personale tali da rendere l'espressione proferita dal lavoratore priva della valenza ingiuriosa conferitale dalla società in quanto frutto del clima incandescente venutosi a creare nell'ambito dei rapporti con il personale.

La Corte territoriale considerava, inoltre, rilevante ai fini della ingiustificatezza dell'intimato licenziamento la obiettiva insussistenza di un legame di subordinazione diretta con il D. N., mero azionista, sia pure di riferimento della società SIPPIC che doveva ritenersi ragionevolmente percepito dal lavoratore quale soggetto estraneo all'organizzazione del servizio e comunque all'assetto gerarchico societario di guisa che anche l'espressione "non mi rompere il cazzo" non poteva essere intesa quale reazione al legittimo esercizio di prerogative conferite alla parte datoriale; il contesto in cui il fatto addebitato si era verificato consistito in un colloquio telefonico in un ambito del tutto estraneo a quello lavorativo e con modalità insuscettibili di determinare una diffusione in un più esteso ambito tanto da poter essere percepita da terzi e da essere quindi connotata da particolare disvalore ambientale, nonchè la mancanza lungo la lunga carriera del lavoratore di
precedenti addebiti.

Avverso tale sentenza la società in epigrafe ricorre in cassazione sulla base di due censure.

Resiste con controricorso il G..
Motivi della decisione

Rileva preliminarmente, il Collegio che risulta infondata l'eccezione d'inammissibilità del ricorso per carente esposizione sommaria dei fatti di causa sollevata da parte resistente.

Invero, dall'intero contesto dell'atto d'impugnazione è possibile desumere una conoscenza del "fatto", sostanziale e processuale, sufficiente per intendere correttamente il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia oggetto di impugnazione (Cass. 24 luglio 2007 n. 16315).

Con il primo motivo la società ricorrente, deducendo vizio di motivazione, allega che la Corte territoriale: ha omesso di procedere a qualsiasi valutazione in ordine alla posizione, al ruolo ed alle responsabilità del G., nonchè alla qualità del rapporto di lavoro ed al grado di fiducia richiesto;non ha considerato che rientrava nelle normali mansioni del lavoratore la contrattazione con gli autisti; non ha valutato che il G. era tenuto a riferire per espressa disposizione del diretto superiore al socio di riferimento D.N.; ha errato nella ricostruzione del contesto oggettivo in cui si è verificato il fatto in quanto quello prospettato non è veritiero ed è indimostrato; ha apoditticamente ritenuta l'assenza di un legame di subordinazione tra il G. ed il D.N.; non ha valutato il documento del (OMISSIS), che ha per destinatario il D.N. e per mittente l'Amministratore unico della SIPPIC, e le dichiarazioni del teste O..

La censura è infondata.

E' necessario premettere che per costante giurisprudenza di questa Corte in tema di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo, il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all'illecito commesso è rimesso al giudice di merito (per tutte Cass. 22 marzo 2010 n. 6848) il cui apprezzamento, che deve tenere conto non solo delle circostanze oggettive, ma anche delle modalità soggettive della condotta, è sottratto a censure in sede di legittimità se la relativa valutazione è sorretta da adeguata e logica motivazione (per tutte Cass. 27 settembre 2007 n. 2021).

Va altresì premesso che per pacifica giurisprudenza il vizio di omessa od insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per Cassazione ai sensi dell'art. 360 c.p.c, n. 5, sussiste solo quando nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile una obiettiva deficienza del criterio logico che lo ha condotto alla formazione del proprio convincimento, mentre il vizio di contraddittoria motivazione presuppone che le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti, in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della "ratio decidendi", e cioè l'identificazione del procedimento logico - il giuridico posto a base della decisione adottata. Questi vizi non possono consistere nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando solo a detto giudice individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le
prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all'uno o all'altro mezzo di prova, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge in cui un valore legale è assegnato alla prova (cfr. ex plurimis da ultimo: Cass. 6 marzo 2008 n. 6064 e Cass. 26 marzo 2010 n. 7394). E nella stessa ottica i giudici di legittimità hanno inoltre precisato che nel caso in cui nel ricorso per cassazione venga prospettato come vizio di motivazione della sentenza una insufficiente spiegazione logica relativa all'apprezzamento, operato dal giudice di merito, di un fatto principale della controversia, il ricorrente non può limitarsi a prospettare una possibilità o anche una probabilità di una spiegazione logica alternativa, essendo invece necessario che tale spiegazione logica alternativa del fatto appaia come l'unica possibile (cfr. in tali sensi: Cass. 12 febbraio 2008 n. 3267 e
27 luglio 2008 n. 20499).

Sulla base di tali principi osserva il Collegio che non possono trovare ingresso in questa sede le censure con le quali si addebita al giudice del merito di aver erroneamente valutato, ai fini dell'apprezzamento della proporzionalità tra fatto addebitato e sanzione irrogata, gli elementi istruttori.

In particolare mette conto sottolineare che il giudice di appello, diversamente da quanto assunto dalla società ricorrente, non oblitera affatto il ruolo ricoperto dal lavoratore nell'ambito dell'organizzazione aziendale tant'è vero che proprio nel considerare la particolare situazione in cui il G. si trovava al momento del fatto, sottolinea che costui era impegnato nella organizzazione del servizio degli autisti che si rifiutavano di rendere prestazioni di lavoro straordinario.

Nè il contesto oggettivo in cui si verificò il comportamento sanzionato, così come ricostruito dal giudice del merito, è sfornito di supporto probatorio in quanto, nella motivazione, si da atto che la situazione di accesa conflittualità. che connotava in quel momento le relazioni industriali ed aveva determinato una estenuante trattativa con gli autisti trova riscontro nelle giustificazioni del G. "il cui contenuto non risulta sostanzialmente contestato ex adverso".

Quanto al rapporto con l'azionista di riferimento è bene sottolineare che la società ricorrente a confutazione dell'assunto del giudice di appello, secondo il quale in base all'id quod plerumque accidit deve ragionevolmente ritenersi fosse percepito dal G. quale soggetto estraneo all'organizzazione del servizio e comunque all'assetto gerarchico societario, richiama una lettera che ha per destinatario il D.N. e per mittente l'Amministratore unico della SIPPIC e, quindi, un documento che non doveva essere necessariamente conosciuto dal G.. Nè è illogico ritenere che il D.N. quale mero azionista della società SIPPIC non fosse percepito dal G., dipendente della società ATAC, quale superiore gerarchico. La stessa deposizione del teste O., almeno per quello che è riportato nel ricorso per cassazione, non smentisce l'assunto della Corte del merito atteso che il teste da conto solo del ruolo svolto dal D.N. e per giunta con una certa approssimazione atteso che riferisce di ritenere
che fosse anche amministratore unico della SIPPIC, ma nulla dice della conoscenza da parte del G. dello specifico ruolo di suo superiore gerarchico.

Nè tanto contrasta con le riportate parziali dichiarazioni dello stesso G. atteso che i passi trascritti, in cui il G. riferisce che il D.N. aveva minacciato di licenziarlo, si riferiscono a situazione antecedente la "cessione". In sostanza e per le esposte ragioni a fronte di una logica e corretta motivazione della sentenza di appello il motivo del ricorso in esame si risolve in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e perciò in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione.

Con la seconda censura la società, denunciando violazione degli artt. 2106, 2119, 1175 e 1375 c.c., formula, ex art. 366 bis c.p.c., i seguenti quesiti di diritto: "se l'espressione mi hai rotto il cazzo proferita da un lavoratore nei confronti dell'azionista di maggioranza della società datrice di lavoro, altresì dotato formalmente del potere di assumere, licenziare e sanzionare il personale dipendente, di coordinare lo svolgimento dell'attività lavorativa aziendale, che aveva chiesto spiegazioni in ordine all'andamento aziendale gestita dal dipendente sia o meno lesiva delle regole della civiltà del lavoro e idonea o meno a,ledere in modo irreparabile il vincolo fiduciario posto a fondamento del rapporto di lavoro subordinato"; "se la mancanza di recidiva o comunque nel non aver commesso infrazioni disciplinari nell'arco della vita lavorativa rileva ai fini del giudizio di proporzionalità tra la condotta posta in essere dal lavoratore e le sanzioni irrogatagli".

La censura, per come formulata, non può essere esaminata in questa sede di legittimità.

Invero nel primo quesito non si tiene conto che la Corte di appello ha accertato, e la censura sul punto è risultata infondata, che il G. non aveva percepito che il D.N. facesse parte dell'assetto gerarchico societario di guisa che anche l'espressione proferita "non mi rompere il cazzo" non poteva essere intesa quale reazione al legittimo esercizio di prerogative conferite alla parte datoriale.

Quindi la risposta anche eventualmente positiva al quesito non è risolutiva ai fini decisori.

Altrettanto è da rilevarsi in ordine al secondo quesito in quanto nella struttura argomentativa della Corte del merito la mancanza di precedenti addebiti non è decisiva, ma costituisce mero elemento rafforzativo delle considerazioni svolte in precedenza riguardo alla valutazione del profilo soggettivo del comportamento del lavoratore.

Sulla base di tali considerazioni, quindi, il ricorso va respinto.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 11,00- oltre Euro 3.000,00 per onorario ed oltre spese, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 ottobre 2010.

SICUREZZA: CAPITANERIA RAVENNA, NUOVO BATTELLO PER SOCCORSO



SICUREZZA: CAPITANERIA RAVENNA, NUOVO BATTELLO PER SOCCORSO =
(AGi)- Ravenna, 4 mar. - Un nuovo battello veloce potenzia la
flotta di mezzi nautici gia' concessi dalla Regione alle
Capitanerie di Porto dell'Emilia-Romagna, per aumentare la
sicurezza dei cittadini sulla costa e in mare. Paola Gazzolo,
assessore regionale alla Protezione civile e Demetrio Egidi,
direttore dell'Agenzia regionale di protezione civile hanno
consegnato il mezzo oggi a Marina di Ravenna alla Capitaneria
di porto-Guardia costiera: si tratta di un battello GC B-88 per
attivita' di vigilanza, assistenza e soccorso sui tratti
costieri frequentati dai bagnanti e da unita' di diporto. Il
battello veloce GC B-88 completa la flotta di 9 mezzi nautici
gia' concessi dalla Regione in comodato d'uso gratuito alle
Capitanerie di porto di Goro, Porto Garibaldi, Ravenna, Cervia,
Cesenatico, Bellaria, Rimini, Riccione e Cattolica. Ha un
raggio di azione di 20 miglia, e' dotato di strumentazioni
all'avanguardia quali un sistema integrato di scoperta
consistente in radar a colori e cartografia della zona di
navigazione, telecomando, Gps, ecoscandaglio e radio Vhf
marino, e puo' essere impiegato anche d'inverno. E' dotato di 2
motori da 150 cavalli che consentono di navigare ad una
velocita' intorno ai 40 nodi. La consegna del nuovo mezzo
rientra nell'ambito di una convenzione quinquennale stipulata
tra l'Agenzia regionale di Protezione civile e la Direzione
marittima regionale delle Capitanerie di porto nel 2007 per
attivita' di previsione e prevenzione dei rischi, interventi di
soccorso in caso di eventi calamitosi o nell'imminenza di essi,
esercitazioni. Dal 1997 la Regione ha assegnato alla Direzione
marittima dell'Emilia-Romagna contributi del valore di oltre
682 mila euro per la fornitura di 9 battelli pneumatici, un
fuoristrada e apparati radio (stazione fissa, apparati
veicolari e portatili testati e resi operativi anche sul mare
fino a 20 miglia dalla costa ). (AGI)
Ari/red
041653 MAR 11

NNNN

ANSA/ SCUOLA: MILANO; STUDENTI IN PIAZZA CONTRO BERLUSCONI VERNICE SU ENEL E UNICREDIT, STRISCIONI CHIEDONO ESILIO PREMIER

ANSA/ SCUOLA: MILANO; STUDENTI IN PIAZZA CONTRO BERLUSCONI
VERNICE SU ENEL E UNICREDIT, STRISCIONI CHIEDONO ESILIO PREMIER
(di Pierpaolo Lio)
(ANSA) - MILANO, 4 MAR - Gli studenti delle scuole superiori
di Milano sono scesi di nuovo in piazza. L'attacco del premier
Silvio Berlusconi contro la scuola pubblica, lanciato sabato
scorso dal palco del congresso dei Cristiano-riformisti, non e'
andato giu' e potrebbe riaccendere le proteste del mondo della
formazione che ha gia' in programma due appuntamenti: il 12 e il
25 marzo.
Intanto oggi in 300 sono tornati a protestare contro il
governo, tra lanci di vernice e fumogeni, con lo sguardo rivolto
a quanto avviene nella costa sud del Mediterraneo. Le parole
d'ordine del corteo che questa mattina ha bloccato le vie del
centro citta', infatti, sono state simili a quelle scandite dai
giovani 'colleghi' protagonisti delle rivolte del Nordafrica:
dall' ''esilio'' prospettato al Cavaliere al grido di ''cacciamo
tutta la cricca'', da ''Berlusconi come Gheddafi'' fino all'idea
di una ''confisca dei beni'' del Presidente del Consiglio da
destinare al mondo della formazione, alla cultura e al welfare.
'6 miliardi e 500 milioni di euro: con il patrimonio del
Berlusca potremmo garantirci 1.300 nuovi asili nido, 13 mila
scuole messe in sicurezza, 220 mila assunzioni di studenti',
recitava uno striscione. I metodi, pero', hanno ricordato piu'
le proteste dell'Argentina post-default, con l'ormai celebre
'cacerolazo', fatto di pentole e coperchi sbattuti a ritmo di
musica, e un fitto lancio di uova cariche di vernice rossa
contro una filiale della banca Unicredit in via Carducci e la
vicina sede dell'Enel.
A dimostrare che la protesta, organizzata dal Coordinamento
dei collettivi studenteschi, avesse come obiettivo Berlusconi e'
stata anche la scelta di far terminare il corteo nei pressi
degli uffici Fininvest, a due passi dalla Stazione Cadorna. Un
'target' a cui i ragazzi hanno cercato di avvicinarsi il piu'
possibile, ma che non e' stato possibile ''assediare'', come era
nelle loro intenzioni, per l'opposizione delle forze dell'
ordine, schierate con forze ingenti per tenere la manifestazione
a debita distanza.
''Berlusconi, come era stato in passato la Gelmini, e' la
valvola di sfogo per 300 'studenti', ovvero lo 0,2% degli
attuali 150 mila'', e' stata l'analisi del vicesindaco di
Milano, Riccardo De Corato, che ha fornito una prima stima dei
danni provocati dalla manifestazione: ''circa 50 mila euro'',
oltre ai rallentamenti e deviazioni che hanno coinvolto ''12
linee'' dei mezzi pubblici.
''Non tolleriamo i continui attacchi da parte del Governo
alla scuola pubblica, in favore di quella privata - hanno
spiegato invece i ragazzi dei collettivi -. Rispondiamo al
premier che ci vorrebbe ignoranti, controllabili e sottomessi,
che invece ci ribelliamo al modello di scuola che ci vorrebbero
imporre: tagli, controriforme, smantellamento sistematico della
formazione pubblica. Pretendiamo le dimissioni immediate della
Gelmini e proponiamo l'esilio del Berlusca e la redistribuzione
delle sue ricchezze'', e' la loro provocazione. Intanto, mentre
una parte del mondo della scuola si prepara al prossimo
appuntamento del 12 marzo, collettivi e centri sociali hanno
rilanciato ''un grande corteo'' per il 25, anticipato da ''due
settimane di mobilitazione dentro alle nostre scuole''. (ANSA).

Y9N-GNN
04-MAR-11 17:26 NNNN

Il professionista che sbaglia la dichiarazione dei redditi è tenuto a risarcire il cliente

- Cassazione, sentenza 26.4.2010 n. 9916
ASSICURAZIONE (CONTRATTO DI)   -   IMPOSTA REDDITO PERSONE FISICHE E GIURIDICHE   -   IMPOSTE E TASSE IN GENERE   -   PROFESSIONI INTELLETTUALI
Cass. civ. Sez. III, 26-04-2010, n. 9916

Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con sentenza 28 gennaio - 4 febbraio 2005, la Corte di appello di Trieste confermava la decisione del Tribunale di Udine - sezione distaccata di Palmanova - che aveva accolto, in parte, la domanda di risarcimento danni da responsabilità professionale, avanzata da Z.F. contro il commercialista F.G., rigettando la domanda di manleva proposta da questi contro la compagnia di assicurazioni Zurigo.

Rilevava la Corte territoriale che, sotto un profilo generale, il professionista ha l'obbligo di espletare l'incarico affidatogli con diligenza e secondo le regole della professione.

Nel caso di specie, l'Ufficio finanziario di Cervignano aveva proceduto alla rettifica della dichiarazione dei redditi presentata dallo Z. per:

- avere il contribuente esposto costi non documentati;

- avere esposto costi non inerenti all'anno al quale si riferiva la dichiarazione dei redditi (1981);

- avere detratto l'ILOR nell'ammontare massimo dell'anno, benchè lo Z. avesse operato in qualità di imprenditore individuale solo per alcuni mesi dell'anno.

I giudici di appello sottolineavano che il F. aveva adombrato la esistenza di un accordo con il cliente per appostazione di costi non dimostrati (poi contestati dall'Ufficio).

Mancava, in effetti, la prova di un tale accordo, che comunque sarebbe stato contrario alla legge ed alle regole professionali. Il commercialista, infatti, era comunque tenuto dal codice di deontologia professionale ad un comportamento corretto ed era pertanto responsabile per il suo operato.

La colpa del professionista risultava di tutta evidenza. Correttamente, pertanto, il primo giudice aveva ritenuto che egli dovesse essere condannato al pagamento della metà delle sanzioni applicate dall'erario (in considerazione della colpa concorrente del contribuente).

Avverso tale decisione il F.ha proposto ricorso per cassazione sorretto da due motivi, illustrati da memoria.

Resistono con distinti controricorsi lo Z. ed la compagnia di assicurazione Zurigo. Questa ha depositato anche essa memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione
Con il primo motivo il ricorrente denuncia erronea e insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, rispetto al combinato disposto di cui agli artt. 2909 e 2729 c.c., su un punto decisivo della controversia, avuto riguardo alla affermazione della responsabilità professionale del Dott. F. sulla scorta del solo contenuto dell'accertamento compiuto dall'Ufficio delle Imposte dirette di Cervignano e dalle Commissioni Tributarie di 1^ e 2^ grado.

L'affermazione di responsabilità del F. poggiava esclusivamente sull'acritico recepimento delle risultanze di un accertamento del reddito compiuto dall'Ufficio delle Imposte Dirette di Cervignano a carico dello Z. per l'anno 1996 e di due sentenze delle Commissioni di 1^ e 2^ grado, tra loro non concordanti.

In pratica, i giudici di appello aveva dato per scontato che la pretesa avanzata dal Fisco nei confronti dello Z. fosse legittima e che spettasse al F. confutare le risultanze delle sentenze pronunciate dalle Commissioni Tributarie.

L'errore compiuto dalla Corte territoriale era evidente. Infatti, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che spetta all'Amministrazione finanziaria provare in giudizio il fondamento delle proprie pretese, non sussistendo in materia tributaria alcuna presunzione di legittimità dell'avviso di accertamento.

Il F. non aveva preso parte al giudizio dinanzi alle Commissioni Tributarie. Egli doveva considerarsi, dunque, terzo e nessuna efficacia (neppure riflessa) potevano svolgere, nei suoi confronti, le due decisioni rese dai giudici tributari.

Sarebbe stato preciso onere dell'attore fornire la prova della responsabilità professionale del F.. Egli, invece, non era stato in grado di fornire alcuna documentazione al consulente nominato dall'ufficio (al quale aveva dichiarato di averla perduta).

Le censure formulate con il primo motivo sono infondate.

Con motivazione adeguata, i giudici di appello hanno osservato che era preciso obbligo di diligenza del professionista non appostare costi privi di documentazione o non inerenti all'anno della dichiarazione.

Ha osservato la Corte territoriale che il F. ebbe ad appostare costi senza avere riscontrato la presenza della relativa documentazione ed ha aggiunto che il F. avrebbe dovuto escludere i costi dalla dichiarazione dei redditi, qualora il cliente non avesse provveduto a fornire la relativa documentazione.

Pertanto, a nulla rilevava - al fine di escludere una responsabilità del commercialista - la circostanza che lo Z. tenesse in modo disordinato la sua contabilità.

Le argomentazioni svolte dalla Corte territoriale sfuggono a qualsiasi censura, in quanto ampiamente motivate.

I giudici di appello hanno rilevato, inoltre, che il F. aveva ritenuto non corrette le rettifiche operate dall'Ufficio finanziario sul reddito dichiarato nel 1991/7 dallo Z., perchè questi non aveva ritenuto - contro il suo parere - di impugnare ulteriormente la decisione dei giudici di secondo grado.

Al riguardo, tuttavia, il F., pur essendo l'estensore dei due ricorsi proposti dalla Z. dinanzi alle Commissioni di 1^ e 2^ grado di Udine, non era stato in grado di svolgere alcuna argomentazione per dedurre la erroneità della seconda decisione.

La semplice osservazione che avrebbe potuto essere proposta impugnazione avverso la decisione della Commissione Tributaria di secondo grado non poteva valere ad escludere la correttezza delle decisione adottata.

Costituisce, infatti, preciso onere di chi contesta la correttezza della decisione del giudice (ai fini della responsabilità professionale per condotta omissiva del professionista) fornire almeno gli argomenti critici ad illustrazione degli errori dai quali sarebbe inficiata la sua decisione.

La Corte territoriale ha concluso che la decisione del primo giudice, che aveva posto a carico del professionista, la metà delle sanzioni applicate allo Z., a titolo di parziale risarcimento dei danni, era del tutto corretta.

Quanto alla obiezione, sollevata dall'appellante, che lo Z. avrebbe potuto ridurre l'entità delle sanzioni applicate dall'Ufficio, avvalendosi del condono di cui alla L. n. 516 del 1982, i giudici di appello hanno opportunamente rilevato che questo argomento era stato già esaminato dal primo giudice che aveva tenuto conto della circostanza per ridurre alla metà l'ammontare della somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno.

La decisione non era stata censurata sul punto dal F., il quale si era limitato a riproporre la questione in sede di appello solo in sede di comparsa conclusionale.

Con il secondo motivo si deduce la erronea motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) su un punto decisivo della controversia, avuto riguardo alla ritenuta, intervenuta, prescrizione della garanzia assicurativa per mancata denuncia scritta del sinistro nei termini.

Ad avviso del ricorrente la Corte triestina avrebbe errato nel ritenere prescritta la garanzia assicurativa per mancata denuncia del sinistro per iscritto nel termine indicato.

La clausola che imponeva tale onere, sostiene il ricorrente, avrebbe dovuto essere approvata per iscritto, costituendo una clausola vessatoria, ex art. 1341 c.c., comma 2, e art. 1342 c.c., comma 2.

In ogni caso, il decorso della prescrizione rimane sospeso per tutto il tempo che intercorre dalla denuncia del sinistro sino al momento in cui il diritto del danneggiato non viene accertato con sentenza passata in giudicato.

La censura è infondata.

Con accertamento di fatto, incensurabile in questa sede di legittimità, i giudici di appello hanno stabilito che tra la richiesta di risarcimento avanzata dallo Z. alla data di notifica della chiamata in causa dell'assicuratore erano decorsi oltre cinque anni e che il F. non aveva provato in causa la esistenza di altra comunicazione scritta, indirizzata alla Zurigo, avente le caratteristiche della messa in mora o comunque interruttiva del termine prescrizionale.

Quanto al carattere vessatorio della clausola contrattuale che prevedeva una forma specifica per la denuncia di sinistro, lo stesso deve essere escluso sulla base della giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale: "La clausola di un contratto di assicurazione della responsabilità civile, la quale stabilisca che tutte le comunicazioni a cui l'assicurato è tenuto devono essere fatte con lettera raccomandata, non ha carattere vessatorio, perchè ha per fine di regolare la prestazione dell'assicuratore, sia pure subordinandola all'osservanza di un onere da parte dell'assicurato, e, quindi, è efficace, anche se non approvata specificamente per iscritto" (Cass. 3881 del 30 marzo 1992).

La eccezione, inoltre, è nuova e pertanto inammissibile.

Il ricorrente non ha, del resto, indicato in quali atti del giudizio di primo e secondo grado la stessa sarebbe stata proposta. L'accertamento del carattere vessatorio della clausola comporterebbe in ogni caso un giudizio di fatto ed una interpretazione del contratto non compatibili con il giudizio di legittimità.

Si richiama sul punto il consolidato orientamento di questa Corte, per il quale: "Il giudizio sulla necessità che una clausola contrattuale sia specificamente approvata per iscritto o sulla sua inefficacia a norma dell'art. 1469 bis c.c. non può essere compiuto per la prima volta in sede di legittimità perchè la valutazione circa la natura della clausola richiede un giudizio di fatto che si può formulare soltanto attraverso l'interpretazione della clausola nel contesto complessivo del contratto per stabilirne il significato e la portata". (Cass. 19 luglio 2004 n. 13359).

Ed ancora, più di recente: "La mancata specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose del contratto indicate nell'art. 1341 c.c., ne comporta la nullità, eccepibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ivi compresa la fase di legittimità dinanzi alla Corte di cassazione, semprechè i presupposti di fatto della detta nullità (carattere vessatorio della clausola ed inesistenza della prescritta approvazione specifica) risultino già acquisiti agli atti del processo" (Cass.14 luglio 2009 n. 16394).

Ipotesi, questa, non realizzatasi nel caso di specie.

Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese che liquida in Euro 800,00 (ottocento/00) per Z. ed Euro 1.200,00 (milleduecento/00) per Zurigo - di cui Euro 200,00 per ciascuno a titolo di spese - oltre spese generali ed accessori di legge.

Cassazione: notifica nulla se ufficiale non rende atto delle ricerche e dell’assenza del destinatario della notifica

Con la sentenza n. 19417 depositata il 13 settembre 2010 la Corte di Cassazione ha stabilito che nel caso di notifica nelle mani del portiere, l’ufficiale ...
NOTIFICAZIONE  IN MATERIA CIVILE   -   SANZIONI AMMINISTRATIVE E DEPENALIZZAZIONE
Cass. civ. Sez. II, Sent., 11-09-2010, n. 19417
Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

I.A. ha impugnato la sentenza n. 9369 del 21 febbraio 2006 con la quale il Giudice di Pace di Romane ha respinto il ricorso avverso la cartella esattoriale n. (OMISSIS) per l'importo complessivo di Euro 42,18 notificatagli in data 10 marzo 2005 ai sensi dell'art. 139 c.p.c. per il mancato pagamento di una sanzione amministrativa emessa dal Comune di Roma nell'anno 2001.

L'Amministrazione intimata non ha svolto attività difensiva.

Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il Procuratore Generale ha fatto pervenire requisitoria scritta nella quale, concordando con il parere espresso nella nota di trasmissione, ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.

Le considerazioni svolte nella relazione e condivise dal Procuratore Generale sono da recepire.

L'odierno ricorrente aveva dedotto con l'opposizione di non aver mai ricevuto la notificazione del verbale di cui alla cartella; quindi, depositatasi dal Comune in sede di costituzione la copia notificata del verbale, aveva contestato la validità della notificazione, in quanto effettuata al portiere dello stabile di sua residenza per difetto dei requisiti di legge.

Il Giudice di Pace ha respinto l'eccezione, ritenendola un indebito ampliamento dei motivi posti a fondamento del ricorso, qualificandola come mutatio libelli.

Con l'unico motivo di ricorso si deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 320 c.p.c., nonchè vizi di motivazione su un punto decisivo della controversia per avere il G.d.P. erroneamente ritenuto di non doversi pronunciare sull'eccezione avanzata a seguito delle deduzioni e produzioni del Comune.

La censura è fondata.

Il motivo d'opposizione sollevato col ricorso era la mancata notifica del verbale posto a fondamento della cartella, onde incombeva al Comune provare l'avvenuta e rituale notifica, cosa che ha ritenuto di fare col deposito della copia notificata; soltanto una volta effettuato tale deposito l'opponente ha potuto sollevare la relativa eccezione di irregolarità della notificazione e, ciò facendo, non ha dedotto un nuovo motivo di opposizione, ma semplicemente specificato quello già proposto con l'atto introduttivo, evidenziando come la già dedotta mancata conoscenza del verbale per sua omessa notificazione fosse conseguenza dell'irritualità della notificazione stessa quale risultante dalla copia depositata dalla controparte.

La legittimità di specificazione siffatta deriva dall'espressa previsione dell'art. 183 c.p.c., comma 5.

L'oggetto, poi, di tale specificazione atteneva ad un vizio effettivo della notificazione, in quanto questa risultava eseguita a mani del portiere senza indovuta specificazione dell'esito negativo delle prioritarie ricerche delle altre persone preferenzialmente destinatarie della consegna.

Al riguardo, le SS.UU. di questa Corte, con sentenze 20.4.05 n. 8214 e 30.5.05 n. 11332, hanno evidenziato che "è principio ripetutamente affermato in materia che, in caso di notifica nelle mani del portiere, l'ufficiale notificante debba dare atto, oltre che dell'inutile tentativo di consegna a mani proprie per l'assenza del destinatario, delle vane ricerche delle altre persone preferenzialmente abilitate a ricevere l'atto, onde nel riferire al riguardo, sebbene non debba necessariamente fare uso di formule sacramentali nè riprodurre testualmente le ipotesi normative, deve, non di meno, attestare chiaramente l'assenza del destinatario e dei soggetti rientranti nelle categorie contemplate dall'art. 139 c.p.c., comma 2, la successione preferenziale dei quali è nella norma tassativamente stabilita ... è, pertanto, nulla la notificazione nelle mani del portiere quando, come nella specie, la relazione dell'ufficiale giudiziario non contenga l'attestazione del mancato rinvenimento
delle persone indicate nella norma citata (e pluribus, Cass. 11.5.98 n. 4739, 7.2.95 n. 1387, 21.11.83 n. 6956)".

L'impugnata sentenza va, dunque, annullata in relazione al motivo accolto e, decidendosi nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, in accoglimento altresì dei corrispondenti motivi d'opposizione, va annullata la cartella esattoriale opposta.

Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.

LA CORTE Accoglie il ricorso, cassa senza rinvio l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, accoglie l'originaria opposizione ed annulla la cartella esattoriale opposta; condanna il Comune di Roma alla refusione delle spese di lite che liquida in Euro 100,00 per esborsi ed Euro 500,00 per diritti ed onorari quanto alla fase di merito ed in Euro 200,00 per esborsi ed in Euro 400,00 per onorari quanto alla fase di legittimità.

Cartellino o targa identificativa per i dipendenti: motivazioni, contenuto e casi particolari




Sicurezza: Fiano (PD), da Tremonti calcio in faccia alla polizia

SICUREZZA: FIANO (PD), DA TREMONTI CALCIO IN FACCIA POLIZIA

(ANSA) - ROMA, 4 MAR - "Dal Ministro Tremonti e dal governo Š
arrivato ieri sera l'ennesimo calcio in faccia ai poliziotti
italiani", ha detto Emanuele Fiano, responsabile del
Dipartimento Sicurezza del Pd. "Al termine della riunione del
Consiglio dei Ministri, Tremonti avrebbe infatti disertato
l'incontro programmato con i colleghi Maroni e La Russa - ha
detto Fiano - per sbloccare gli 80 milioni di fondi promessi da
un anno al comparto sicurezza e difesa. E' l'ennesima
dimostrazione che il governo dei tagli Š incapace di mantenere
gli impegni presi con i rappresentanti del comparto, e che, al
contrario della loro propaganda elettorale, la sicurezza non Š
affatto al centro degli interessi di questo governo. Anzi,
questo Š il governo che pi— di ogni altro nella storia, ha
tagliato fondi alle forze armate e dell'ordine, 3,7 miliardi di
euro in tre anni. Tagli - ha aggiunto Fiano - che in ogni
questura, commissariato, stazione dei carabinieri o caserma
dell'esercito vengono vissuti direttamente sulla pelle dagli
operatori a cui mancano mezzi, strumenti, stipendi, e
investimenti di ogni tipo. Di fronte alla clamorosa mancanza di
responsabilit… di chi governa, non ci resta che confermare - ha
concluso l'esponente del Pd - la nostra vicinanza e il nostro
rispetto per l'abnegazione e il coraggio con cui, nonostante
tutto, le centinaia di migliaia di donne e gli uomini del
settore difendono ogni giorno la sicurezza degli italiani".
(ANSA).

COM-CLA
04-MAR-11 13:14 NNNN

Anno Zero puntata del 3 marzo 2011




Roma, sotto sfratto si barrica in casa e minaccia un'esplosione Riferisce di avere bombola di gas, sul posto polizia e pompieri

Roma, sotto sfratto si barrica in casa e minaccia un'esplosione
Riferisce di avere bombola di gas, sul posto polizia e pompieri

Roma, 4 mar. (TMNews) - Si barricato in casa per evitare lo
sfratto minacciando di far esplodere l'appartamento con una
bombola del gas. successo questa mattina a Roma, in una
palazzina in via Casilina 1072. Sul posto sono intervenuti la
polizia, 5 squadre dei vigili del fuoco, il 118, alcuni
assistenti sociali e i tecnici dell'Italgas, che per sicurezza
hanno chiuso i rubinetti del gas per tutto lo stabile.

Gli agenti della polizia hanno cercato di tranquillizzare l'uomo
e di calmare la situazione. Secondo i vigili del fuoco, in ogni
caso, l'intervento si concluso intorno alle 10:30 e le squadre
dei pompieri sono rientrate nelle caserme. Ancora non noto se
nell'appartamento ci fosse stata davvero la bombola.

Sav

041119 mar 11

Lavori in caserma, il provveditore sfratta la polizia. ..Il sindacato: tanto zelo solo dopo gli scandali...



Uniti contro la mafia. la carovana di 'Libera' fa tappa a Sabaudia


giovedì 3 marzo 2011

GIUSTIZIA: DI PIETRO, VERGOGNA PRESCRIZIONE AD HOC PER BERLUSCONI - GIUSTIZIA: FINOCCHIARO, PRESCRIZIONE BREVE UNA VERGOGNA - GIUSTIZIA: TOGHE SINISTRA, SACCHE IMPUNITA' CON PDL VITALI MAGISTRATURA DEMOCRATICA, SI PENALIZZANO VITTIME REATI -

GIUSTIZIA: DI PIETRO, VERGOGNA PRESCRIZIONE AD HOC PER BERLUSCONI =
(AGI) - Roma, 3 mar. - Antonio Di Pietro ha stigmatizzato le
norme sulla giustizia presentate dalla maggioranza. "In questi
giorni in Parlamento si esaminano tutte quelle norme che
servono a salvare Berlusconi dai processi e non a migliorare il
sistema giustizia", ha dichiarato in una nota.
"Si discute su come limitare l'uso delle intercettazioni,
della prescrizione ad hoc per il presidente del Consiglio, del
finto processo breve, della riforma della Corte Costituzionale
e della riforma dell'azione penale e non dei problemi reali dei
cittadini", ha ricordato.
"Insomma invece di dare al comparto sicurezza mezzi e
procedure che permettano di snellire realmente i processi e a
far funzionare la macchina, il governo, come al solito, pensa
agli affari suoi: vergogna!", ha concluso. (AGI)
Com/Sab
031950 MAR 11
GIUSTIZIA: FINOCCHIARO, PRESCRIZIONE BREVE UNA VERGOGNA

(ANSA) - ROMA, 3 MAR - ''Come volevasi dimostrare. Una
settimana fa avevo chiesto al premier di dirci se la sua
maggioranza stava preparando un progetto di legge sulla
prescrizione breve. Oggi, come temevamo ma come sapevamo, e'
arrivata la conferma. Mentre il governo preannuncia in pompa
magna l'ennesima riforma della giustizia, di cui nessuno conosce
testi e confini, oggi la maggioranza presenta una nuova legge su
misura per Silvio Berlusconi. Una nuova norma che lo salvi dai
suoi processi. E' una vergogna, che dimostra come la maggioranza
parlamentare sia solo schiava delle necessita' e delle paure del
premier. Lo dichiara in una nota la Presidente del Gruppo Pd al
Senato Anna Finocchiaro. (ANSA).

SPA
03-MAR-11 20:34 NNNN
GIUSTIZIA: FINOCCHIARO, MAGGIORANZA SCHIAVA DI NECESSITA' PREMIER =

Roma, 3 mar. - (Adnkronos) - "Come volevasi dimostrare. Una
settimana fa avevo chiesto al premier di dirci se la sua maggioranza
stava preparando un progetto di legge sulla prescrizione breve. Oggi,
come temevamo ma come sapevamo, e' arrivata la conferma". Lo dichiara
in una nota la presidente del gruppo Pd al Senato, Anna Finocchiaro.

"Mentre il governo preannuncia in pompa magna l'ennesima riforma
della giustizia, di cui nessuno conosce testi e confini, oggi la
maggioranza presenta una nuova legge su misura per Silvio Berlusconi.
Una nuova norma che lo salvi dai suoi processi. E' una vergogna, che
dimostra come la maggioranza parlamentare sia solo schiava delle
necessita' e delle paure del premier", conclude.

(Pol-Mon/Ct/Adnkronos)
03-MAR-11 20:33

NNNN
GIUSTIZIA: TOGHE SINISTRA, SACCHE IMPUNITA' CON PDL VITALI
MAGISTRATURA DEMOCRATICA, SI PENALIZZANO VITTIME REATI
(ANSA) - ROMA, 3 MAR - ''E' un testo tecnicamente
incomprensibile, inutile in chiave di durata ragionevole del
processo e penalizzante per le vittime del reato'', oltre a
determinare ''ingiustificate sacche di impunita'''.E' senza
appello la bocciatura della proposta di Legge Vitali da parte di
Magistratura democratica, la corrente di sinistra delle toghe.
''Addirittura sorprendente -dice il segretario del gruppo
Piergiorgio Morosini, gip a Palermo- appare la proposta di
estendere la competenza della corte d'assise, ad accertamenti
tecnicamente complessi come i reati contro la pubblica
amministrazione. La giuria popolare allungherebbe a dismisura i
processi e a pagare il prezzo di simili scelte ancora una volta
sarebbero i cittadini vittima di abusi d'ufficio e di
concussioni''.
Quanto alle proposte sulla prescrizione e sulle attenuanti
generiche, ''determinerebbero solo ingiustificate sacche di
impunit… senza alcuna spiegazione plausibile''.
''Il tocco finale come sempre riguarda i giudici che pensano.
Per loro nuove cause di astensione. Sono proposte che se fossero
approvate - conclude Morosini - verrebbero a deteriorare la
qualit… della giustizia penale''.(ANSA).

FH
03-MAR-11 20:21 NNNN
GIUSTIZIA. FINOCCHIARO: PRESCRIZIONE BREVE È RIFORMA BERLUSCONI


(DIRE) Roma, 3 mar. - "Come volevasi dimostrare. Una settimana fa
avevo chiesto al premier di dirci se la sua maggioranza stava
preparando un progetto di legge sulla prescrizione breve. Oggi,
come temevamo ma come sapevamo, e' arrivata la conferma". Lo
dichiara in una nota la presidente del gruppo Pd al Senato Anna
Finocchiaro.
Mentre il governo, continua, "preannuncia in pompa magna
l'ennesima riforma della giustizia, di cui nessuno conosce testi
e confini, oggi la maggioranza presenta una nuova legge su misura
per Silvio Berlusconi. Una nuova norma che lo salvi dai suoi
processi. E' una vergogna, che dimostra come la maggioranza
parlamentare sia solo schiava delle necessita' e delle paure del
premier".

(Com/Lum/ Dire)
20:13 03-03-11

NNNN


DECRETO LEGISLATIVO 23 dicembre 2010, n. 274 Norme di attuazione dello statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia in materia di sanita' penitenziaria. (11G0049) (GU n. 50 del 2-3-2011 ) note: Entrata in vigore del provvedimento: 17/03/2011

Ma che mondo è?