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Ricorsi nn. 965/00 e 2707/03 Sent. n. 591/06
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima Sezione, con
l’intervento dei magistrati:
Avviso di Depositodel
a norma dell’art. 55
della L. 27 aprile
1982 n. 186
Il Direttore di Sezione
Lorenzo
Stevanato Presidente f.f.
Italo
Franco Consigliere, relatore
Marco
Buricelli Consigliere
ha
pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi n. 965/2000 e n. 2707/2003, proposti da (omissis), rappresentato e
difeso dagli avv. -,
contro
il Ministero dell’Interno e la Questura di (Lpd), in persona del Ministro della
pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato,
domiciliataria ex lege nella sede di Venezia, Piazza S. Marco n. 63,
costituitosi in giudizio soltanto in relazione al ricorso n. 2707/2003,
per l’annullamento
1) quanto al ricorso n. 965/2000, del decreto emesso dal Questore di (Lpd) n.
108 in data 13.1.2000, con il quale è stata inflitta la sanzione disciplinare
del “richiamo scritto”, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o
conseguenziale;
2) quanto al ricorso n. 2707/2003, del provvedimento prot. n. 987 del 19.8.2003,
con il quale il Questore di (Lpd) infligge la sanzione disciplinare della
sanzione della “pena pecuniaria nella misura di 2/30”, nonché degli atti
presupposti, connessi o conseguenziali.
Visti i ricorsi, notificati, rispettivamente, il 17.3.2000 e il 14.11.2003, e
depositati presso la Segreteria il 3.4.2000 e il 25.11.2003, con i relativi
allegati;
visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno in
relazione al ricorso n. 2707/2003, depositato il 18.12.2003;
visti gli atti tutti delle cause;
uditi, alla pubblica udienza del 16 febbraio 2006, relatore il Consigliere
dr. Italo Franco, l’avv. (Lpd), in sostituzione dell’avv. (Lpd) per il
ricorrente, e l’avv. dello Stato Daneluzzi per la P.A. resistente.
Ritenuto in fatto e considerato e in diritto quanto segue.
FATTO
Il sig. (omissis), assistente di polizia in servizio presso il commissariato di
(Lpd) (Lpd), espone che, l’11.9.99, nel corso di un’escursione in canoa in
compagnia di altra persona alla foce del Po, notava un cacciatore intento a
raccogliere selvaggina abusivamente abbattuta (perché in area naturale
protetta), ravvisandone i tratti somatici. Questi si dava alla fuga con un
automezzo di cui il (omissis) riusciva a leggere la targa. Il (omissis), dopo
avere svolto indagini presso il centro informativo dell’ACI dietro
autorizzazione del dirigente del commissariato e controllato l’archivio delle
licenze di caccia con le relative foto, effettuava l’annotazione di servizio
specificando di avere con approssimazione individuato il cacciatore nella
persona di un titolare di una licenza di caccia. Questi risultava estraneo
all’atto dell’identificazione (avvenuta senza la presenza dello steso (omissis),
non autorizzato dal commissario).
A seguito di altre ricerche (mediante più precisa individuazione della targa)
–prosegue l’esposizione- veniva individuata altra persona (sempre con
approssimazione), ed effettuata una seconda annotazione. In una riunione di
cacciatori a (Lpd) (Lpd) del 23.9.99, con la presenza di un rappresentante della
P.S., intanto, questi accusavano il (omissis) di avere effettuato il maggior
numero di segnalazioni in ordine a violazioni delle norme sulla caccia,
auspicandone un’esemplare punizione.
Seguiva la contestazione di addebiti disciplinari, con atto del 21.10.99, per
avere il (omissis) agito “con grave superficialità e negligenza”, venendo meno
ai doveri di correttezza, imparzialità, ecc. Dopo le giustificazioni
dell’interessato, il Questore, con decreto n. 108 del 13.1.2000, irrogava la
sanzione del richiamo scritto (invece della pena pecuniaria, in considerazione
dell’assenza di precedenti), ai sensi dell’art. 3, n. 2 del D.P.R. 25.10.81 n.
737, per redazione dell’annotazione di servizio con superficialità e leggerezza,
essendo risultata estranea ai fatti la persona individuata mediante la
fotografia sul permesso di caccia.
Contro tale sanzione, chiedendone l’annullamento, l’interessato insorge con il
ricorso rubricato al n. 965/2000, deducendo con il primo motivo eccesso di
potere per travisamento dei fatti, sul rilievo che egli aveva sempre
manifestato, nelle annotazioni inerenti alla violazione, di avere riconosciuto
con approssimazione e probabilmente l’autore del reato, e che inutilmente aveva
richiesto di essere presente all’identificazione per meglio osservare di
persona, onde più sicuramente individuarlo, l’autore della trasgressione.
Dell’incertezza del riconoscimento era ben consapevole il dirigente, laddove,
lungi da dimostrare “superficialità e leggerezza”, egli ha dato prova di acume
investigativo, come dimostra l’esito dell’accertamento incrociato con i dati
dell’ACI.
Con il secondo mezzo si deduce violazione degli art. 13 e 14 del D.P.R. n.
737/81 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, sul rilievo che non sono
state svolte le richieste attività istruttorie, essendo stato rifiutata
l’audizione, in qualità di testimoni, di persone informate dei fatti (ciò che
avrebbe giovato al chiarimento dei fatti stessi), con negazione del confronto
tra tesi accusa e difesa.
Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 ed
eccesso di potere per motivazione insufficiente, sul rilievo che la motivazione
addotta a sostegno del provvedimento irrogativo della sanzione appare
apodittica, generica e astratta, avuto riguardo anche al fatto che le
giustificazioni non sono state prese in debita considerazione, come si evince
dalla mancanza di riferimenti al riguardo.
Con il quarto mezzo si deduce incompetenza relativa, assumendosi che la
competenza ad irrogare il richiamo scritto è attribuita ai dirigenti dei
commissariati, e non al questore.
Con il quinto motivo si deduce eccesso di potere per sviamento e ingiustizia
grave e manifesta, come si evince anche dal diniego di accesso a taluni dei
documenti richiesti (in particolare, la relazione redatta in relazione alla
menzionata assemblea dei cacciatori del 23.9.99).
Con il sesto mezzo si lamenta violazione degli art. 3 e 97 Cost., prospettandosi
la questione di costituzionalità della normativa dettata in materia di sanzioni
disciplinari inerenti al personale della Polizia di Stato, di cui al D.P.R. n.
737/81, che non garantisce adeguatamente il diritto di difesa nei relativi
procedimenti, al contrario di quanto avviene, ora, per il personale (affine)
della Polizia penitenziaria, posta con il D.P.R. n. 449/92 assumibile come
tertium comparationis in quanto si tratta di personale di polizia anche in
quel caso (e come vorrebbe l’evoluzione legislativa al riguardo). Ivi, infatti,
è garantita all’incolpato la presenza di un difensore tecnico. In particolare,
gli art. 4 e 20 sarebbero in contrasto con gli art. 3 e 97 Cost..
Non si è costituita l’amministrazione.
Successivamente, iniziava l’iter un nuovo procedimento disciplinare, a seguito
della comparsa sulle pagine locali del quotidiano “Il Gazzettino” del 6.5.2003,
di un articolo a firma del (omissis), in qualità di appartenente
all’associazione “amici del parco del delta del Po”, in cui si rimarcavano i
contrasti in seno a un partito politico di maggioranza in ordine alla
realizzazione dell’ente parco, e si prendeva posizione contro gli oppositori di
tale progetto. Al (omissis) –che poi era uscito indenne da un processo per
diffamazione su un sito internet intentagli dall’associazione nazionale
cacciatori con sentenza di assoluzione n. 104 del 12.8.2003)- veniva notificata
contestazione di addebiti, con nota del 10.5.2003 per avere evidenziato, in
periodo elettorale, le contraddizioni di una formazione politica, con
contestuale affermazione che altro schieramento politico guarda al futuro in
termini più moderni, e che dette dichiarazioni sono state riprese da esponenti
politici. Detto comportamento contrasterebbe con l’assoluta imparzialità delle
funzioni, di cui all’art. 81 della legge n. 121/81, configurando la mancanza di
cui all’art. 4, n. 14 del D.P.R. n. 737/81.
Seguivano circostanziate giustificazioni, disattese dal Questore, che, respinta
anche l’istanza di ricusazione per grave inimicizia (perché prevista solo in
relazione alla sospensione e alla destituzione), irrogava la sanzione
disciplinare della pena pecuniaria di 2/30 della retribuzione (art. 4, n. 14 del
D.P.R. n. 737/81).
Contro tale provvedimento insorge l’interessato con ricorso registrato al n.
2707/2003, deducendo con il primo motivo violazione e falsa applicazione
dell’art. 81 della legge n. 121/81; illegittimità costituzionale per violazione
degli art. 18 e 21 Cost.
Si sostiene che non può darsi un’interpretazione dell’art. 81 citato tanto
rigorosa da impedire agli appartenenti al corpo di polizia di esprimere la
propria argomentata opinione su un tema di interesse politico, specialmente
trattandosi di rappresentante di un’associazione culturale. In tal modo verrebbe
leso, infatti, il diritto di associazione e la libertà di pensiero tutelati,
rispettivamente, dagli art, 18 e 21 Cost. Il divieto per detto personale di
iscriversi a partiti politici, inoltre, sancito nell’art. 114 della stessa
legge, non essendo stato convertito in legge il D.L. che tanto vietava in attesa
di una disciplina della materia, deve ritenersi non più in vigore. L’art. 81 va
interpretato, dunque, evolutivamente, intendendosi che il divieto sia operante
soltanto allorquando gli appartenenti alla P.S. siano in servizio. Tanto,
infatti, viene stabilito per gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria
dall‘art. 19 della legge 15.12.90 n. 395.
Con il secondo mezzo si deduce violazione dell’art. 149 del D.P.R. n. 3/57,
dell’art. 31 del D.P.R. n. 737/81 e del principio di imparzialità del giudice
disciplinare.
Si sostiene che il Questore avrebbe dovuto astenersi dal procedimento
disciplinare, poiché, da un lato, aveva espresso la sua opinione circa la
colpevolezza del (omissis) in un’intervista, dall’altro sussisteva grave
inimicizia con l’incolpato, cui egli aveva irrogato in precedenza la sanzione
disciplinare di cui al ricorso precedente, e in più il ricorrente aveva
segnalato il coinvolgimento nella vicenda della moglie del questore, esponente
politico del partito di cui sopra, ai sensi della norma su menzionata,
richiamata dall’art. 131 della legge n. 121/81.
Con il terzo mezzo si lamenta eccesso di potere per ingiustizia grave e
manifesta, sull’assunto, altresì, di essere sorvegliato dal questore (che aveva
subito informato il Ministero), che è stato assolto nel processo penale con
condanna alle spese a carico dei querelanti e che non era stata annotata nel
foglio matricolare l’ordinanza con la quale questa G.A. aveva accolto la domanda
cautelare inerente al ricorso precedente.
Con il quarto motivo si deduce violazione dell’ordinanza cautelare n. 602/2000
ed eccesso di potere per travisamento dei fatti in relazione alla omessa
annotazione sul foglio matricolare della richiamata ordinanza cautelare.
Con il quinto mezzo si lamenta violazione degli art. 3 e 97 Cost., in relazione
alle garanzie procedimentali e alla mancata previsione di una difesa tecnica,
riproponendosi la questione di costituzionalità già prospettata con il sesto
motivo del ricorso precedente.
Si è costituita l’Amministrazione dell’Interno, eccependo di avere correttamente
applicato la normativa vigente e controdeducendo nel merito in ordine alle
singole censure.
Con memoria conclusionale, infine, il difensore del ricorrente ha riconfermato
le censure già svolte.
All’udienza i difensori comparsi hanno confermato le rispettive conclusioni,
dopo di che le cause sono state trattenute in decisione.
D I R I T T O
1- Preliminarmente il Collegio dispone la riunione dei giudizi, in
considerazione della loro connessione soggettiva, e, in parte, oggettiva, pur
avendo riguardo all’autonomia delle relative vicende.
2- Con il primo dei ricorsi riuniti l’interessato si duole dell’irrogazione
della sanzione disciplinare del “richiamo scritto”, nei termini visti nella
narrativa in fatto che precede. In effetti il ricorrente è stato punito, sia
pure con una sanzione lieve, poiché gli si rimproverava di avere tenuto un
comportamento gravemente superficiale e negligente nell’individuare, a mezzo
della fotografia figurante sul permesso di caccia, la persona che aveva
abbattuto diversi capi di selvaggina in area protetta quale il delta del Po, in
violazione delle norme inerenti, e di non avere osservato il dovere di
imparzialità che sempre deve tenere un appartenente alla P.S.
Tuttavia, l’esame obbiettivo degli atti nonché dello sviluppo cronologico dei
fatti mostra di per sé solo che non sembra potersi addebitare al ricorrente
simili violazioni del D.P.R. n. 737/81 (recante norme sulle sanzioni
disciplinari al personale di pubblica sicurezza e sul relativo procedimento). Al
contrario, sottolineato che in entrambe le annotazioni di servizio il medesimo
aveva indicato le generalità del cacciatore abusivo con approssimazione, e che
inutilmente egli aveva evidenziato la necessità di un raffronto diretto con la
persona, al fine di potere acquisire la certezza dell’individuazione effettuata
mediante ricerche documentali, sembra piuttosto che lo stesso ricorrente si sia
rivelato, nella specie, un valido investigatore (come già posto in risalto nella
motivazione dell’ordinanza di accoglimento della domanda di misure cautelari da
parte della Sezione).
Si manifestano fondate, per tali sintetiche considerazioni, le censure mosse,
con maggiore riguardo all’andamento fattuale, con i primi tre mezzi di
impugnazione.
Ma anche il quarto motivo si manifesta a sua volta fondato. Ed invero, avendo il
questore deciso –in considerazione della mancanza di precedenti in capi
all’incolpato- di irrogare la sanzione del richiamo scritto in luogo di quella
pecuniaria, egli non poteva ignorare che, in base al chiaro disposto dell’art.
2, ultimo comma, detta sanzione va inflitta dal “capo dell’ufficio o dal
comandante del reparto dal quale il trasgressore gerarchicamente dipende”
(organo che, nella fattispecie, era da identificare nel dirigente del
commissariato dove prestava servizio l’incolpato).
Per le ragioni su esposte il ricorso si manifesta fondato e va accolto. Per
l’effetto è annullato il provvedimento sanzionatorio impugnato.
3- Anche il secondo dei ricorsi riuniti è meritevole di accoglimento, sulla
scorta di considerazioni prevalentemente di ordine giuridico di più delicato
apprezzamento, in corrispondenza, del resto, con le censure mosse dal ricorrente
avverso il decreto questorile di irrogazione della sanzione disciplinare
pecuniaria.
La vicenda, come si è visto nella narrativa in fatto, prende le mosse dalla
pubblicazione sulle pagine locali un quotidiano, di un articolo a firma del
ricorrente, ove lo stesso prende posizione sulla questione della realizzazione
dell’ente parco, in ordine alla quale si registravano contrasti in seno al
partito principale della coalizione di maggioranza, con un accenno alla diversa
(più aperta) posizione assunta al riguardo dalla coalizione di opposizione.
Oggettivamente, la cosa poteva assumere maggiore rilievo (come è accaduto in
capo all’organo che ha inflitto la sanzione) per il fatto che la pubblicazione è
avvenuta durante la campagna elettorale relativa alle elezioni amministrative, e
per il fatto che l’autore rimprovera ad una delle formazioni politiche in
competizione di nutrire nel suo seno contrasti (e di non essere, pare di capire,
nel complesso favorevole alla realizzazione dell’ente parco).
Questi ultimi elementi inducono a considerare, tuttavia, con attenzione quanto
già evidenziato dal ricorrente, il quale chiarisce di essersi espresso in quanto
responsabile di un’associazione favorevole alla creazione di detto ente (come si
evince dalla sua stessa denominazione), in cui il ricorrente ricopre un
apposizione di rilievo, e che la firma in calce all’articolo è accompagnata,
appunto, dalla dicitura: “ amici del parco delta Po”. Sembra indubbio, in altre
parole, che l’autore dell’articolo non sottoscrive l’articolo in qualità di
poliziotto, e che il medesimo, nello stilare lo ascritto in questione, non si
trovava in servizio, né si trattava di una manifestazione politica.
Il quesito che si pone è, dunque, se sia lecito per il personale della P.S. che
versi in simile situazione, esprimersi come cittadino appartenente ad una di
quelle “formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” per le quali l’art.
2 della Costituzione appronta una tutela di tutto riguardo. Le stesse, invero,
per la citata norma della Carta, sono un mezzo mediante il quale si esprime
l’individuo, cui essa riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.
Ora, occorre considerare che tali diritti inviolabili attengono eminentemente
alla manifestazione del pensiero (tutelato dall’art. 21 Cost.), e alla libertà
di associazione, riconosciuta e garantita dell’art. 18 Cost.
Orbene, è in tale quadro di garanzie costituzionali che occorre inquadrare la
situazione degli appartenenti al corpo di P.S., per i quali l’art. 98 della
medesima Costituzione prevede che si possano, con legge ordinaria, stabilire
limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici. Senonché, posto che
qui non si fa questione, in senso proprio, di libertà di iscriversi ai partiti
politici, va ricordato -come fa la difesa del ricorrente- che deve ritenersi
inoperante un siffatto divieto, posto con l’art. 114 della legge 1.4.81 n. 121,
posto che non si è a conoscenza di proroghe del termine annuale ivi previsto (in
passato più volte prorogato). Tanto chiarito in via incidentale in ordine al
divieto menzionato, osserva il Collegio che l’interpretazione dell’art. 81 della
stessa legge –di cui la P.A. resistente ha fatto applicazione nel caso di
specie- deve avvenire in senso conforme alle norme Costituzionali sui diritti
fondamentali poco addietro menzionati (art. 21 e art. 18 Cost.).
L’art. 81, al primo comma, testualmente recita:
“Gli appartenenti alle forze di polizia debbono in ogni circostanza mantenersi
al di fuori delle competizioni politiche e non possono assumere comportamenti
che compromettano l'assoluta imparzialità delle loro funzioni. Agli appartenenti
alle forze di polizia è fatto divieto di partecipare in uniforme, anche se fuori
servizio, a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni
politiche o sindacali, salvo quanto disposto dall'articolo seguente. È fatto
altresì divieto di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni,
organizzazioni politiche o candidati ad elezioni”.
Orbene, avuto riguardo anche al tenore letterale del precetto or ora riportato,
osserva il Collegio che, in senso proprio, non si poteva rimproverare al
ricorrente di avere preso parte a una competizione politica, né può ritenersi
che l’avere stilato l’articolo in discussione ne abbia compromesso
l’imparzialità delle funzioni (di funzionario di P.S.) svolte. Né, infine, nella
specie trattatasi di una manifestazione di un’organizzazione o associazione
politica. Semplicemente, l’associazione nel cui nome egli ha sottoscritto
l’articolo è non strettamente politica, ma lato sensu socio- culturale,
e più specificamente, al più, ambientalistica, che in quanto tale non prende
parte alla competizione elettorale, ma è interessata a che la parte politica
vincitrice inserisca nel programma la realizzazione dell’ente che è ragione e
ispirazione della fondazione dell’associazione stessa.
In tale quadro deve ritenersi che la pubblicazione dello scritto de quo
costituisca manifestazione di pensiero e di espressione di tale libertà
nell’ambito di una formazione sociale di cui all’art. 2 della Carta
costituzionale.
Per tale ragione non poteva legittimamente rimproverarsi al ricorrente la
pubblicazione medesima. Degno di favorevole considerazione è, pertanto, il primo
mezzo di impugnazione.
Conclusivamente, per le considerazioni su esposte, il ricorso si manifesta
fondato e va accolto, previo assorbimento di ogni altra censura. Per l’effetto,
è annullato il provvedimento impugnato.
Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo.
P. Q. M.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione prima, definitivamente
pronunziando sui ricorsi in epigrafe, respinta ogni altra domanda o eccezione,
preliminarmente li riunisce; indi li accoglie entrambi. Per l’effetto, sono
annullati i provvedimenti con gli stessi impugnati.
Condanna
l’amministrazione dell’Interno al pagamento delle spese e onorari di giudizio a
favore della parte vittoriosa, che liquida forfetariamente in € 2.500,00, oltre
agli oneri di legge (IVA e cpa).
Ordina
che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così
deciso in Venezia, in camera di consiglio, addì 16 febbraio 2006.
Il Presidente f.f.
l’Estensore
il Segretario
SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Prima Sezione
T.A.R. per il Veneto – I Sezione nn.rr.gg.
965/00-2707/03
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