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giovedì 4 aprile 2013

TAR: Poliziotto ambientalista (purché fuori servizio). Giurisdizione di Merito





Nuova pagina 1
Ricorsi nn. 965/00 e 2707/03     Sent. n. 591/06
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
  Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, prima Sezione, con l’intervento dei magistrati:
Avviso di Deposito
del
a norma dell’art. 55
della   L.   27  aprile
1982 n. 186
Il Direttore di Sezione
    Lorenzo Stevanato  Presidente f.f.
    Italo Franco   Consigliere, relatore
    Marco Buricelli  Consigliere
  ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sui ricorsi n. 965/2000 e n. 2707/2003, proposti da (omissis), rappresentato e difeso dagli avv. -,
contro
il Ministero dell’Interno e la Questura di (Lpd), in persona del Ministro della  pro-tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege nella sede di Venezia, Piazza S. Marco n. 63, costituitosi in giudizio soltanto in relazione al ricorso n. 2707/2003,
per l’annullamento
1) quanto al ricorso n. 965/2000, del decreto emesso dal Questore di (Lpd) n. 108 in data 13.1.2000, con il quale è stata inflitta la sanzione disciplinare del “richiamo scritto”, nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguenziale;
2) quanto al ricorso n. 2707/2003, del provvedimento prot. n. 987 del 19.8.2003, con il quale il Questore di (Lpd) infligge la sanzione disciplinare della sanzione della “pena pecuniaria nella misura di 2/30”, nonché degli atti presupposti, connessi o conseguenziali.
   Visti i ricorsi, notificati, rispettivamente, il 17.3.2000 e il 14.11.2003, e depositati presso la Segreteria il 3.4.2000 e il 25.11.2003, con i relativi allegati;
   visto l’atto di costituzione in giudizio dell’Amministrazione dell’Interno in relazione al ricorso n. 2707/2003, depositato il 18.12.2003;
   visti gli atti tutti delle cause;
   uditi, alla pubblica udienza del 16 febbraio 2006, relatore il Consigliere dr. Italo Franco, l’avv. (Lpd), in sostituzione dell’avv. (Lpd) per il ricorrente, e l’avv. dello Stato Daneluzzi per la P.A. resistente.
   Ritenuto in fatto e considerato e in diritto quanto segue.

FATTO

Il sig. (omissis), assistente di polizia in servizio presso il commissariato di (Lpd) (Lpd), espone che, l’11.9.99, nel corso di un’escursione in canoa in compagnia di altra persona alla foce del Po, notava un cacciatore intento a raccogliere selvaggina abusivamente abbattuta (perché in area naturale protetta), ravvisandone i tratti somatici. Questi si dava alla fuga con un automezzo di cui il (omissis) riusciva a leggere la targa. Il (omissis), dopo avere svolto indagini presso il centro informativo dell’ACI dietro autorizzazione del dirigente del commissariato e controllato l’archivio delle licenze di caccia con le relative foto, effettuava l’annotazione di servizio specificando di avere con approssimazione individuato il cacciatore nella persona di un titolare di una licenza di caccia. Questi risultava estraneo all’atto dell’identificazione (avvenuta senza la presenza dello steso (omissis), non autorizzato dal commissario).
A seguito di altre ricerche (mediante più precisa individuazione della targa) –prosegue l’esposizione- veniva individuata altra persona (sempre con approssimazione), ed effettuata una seconda annotazione. In una riunione di cacciatori a (Lpd) (Lpd) del 23.9.99, con la presenza di un rappresentante della P.S., intanto, questi accusavano il (omissis) di avere effettuato il maggior numero di segnalazioni in ordine a violazioni delle norme sulla caccia, auspicandone un’esemplare punizione.
Seguiva la contestazione di addebiti disciplinari, con atto del 21.10.99, per avere il (omissis) agito “con grave superficialità e negligenza”, venendo meno ai doveri di correttezza, imparzialità, ecc. Dopo le giustificazioni dell’interessato, il Questore, con decreto n. 108 del 13.1.2000, irrogava la sanzione del richiamo scritto (invece della pena pecuniaria, in considerazione dell’assenza di precedenti), ai sensi dell’art. 3, n. 2 del D.P.R. 25.10.81 n. 737, per redazione dell’annotazione di servizio con superficialità e leggerezza, essendo risultata estranea ai fatti la persona individuata mediante la fotografia sul permesso di caccia.
Contro tale sanzione, chiedendone l’annullamento,  l’interessato insorge con il ricorso rubricato al n. 965/2000, deducendo con il primo motivo eccesso di potere per travisamento dei fatti, sul rilievo che egli aveva sempre manifestato, nelle annotazioni inerenti alla violazione, di avere riconosciuto con approssimazione e probabilmente l’autore del reato, e che inutilmente aveva richiesto di essere presente all’identificazione per meglio osservare di persona, onde più sicuramente individuarlo, l’autore della trasgressione. Dell’incertezza del riconoscimento era ben consapevole il dirigente, laddove, lungi da dimostrare “superficialità e leggerezza”, egli ha dato prova di acume investigativo, come dimostra l’esito dell’accertamento incrociato con i dati dell’ACI.
Con il secondo mezzo si deduce violazione degli art. 13 e 14 del D.P.R. n. 737/81 ed eccesso di potere per difetto di istruttoria, sul rilievo che non sono state svolte le richieste attività istruttorie, essendo stato rifiutata l’audizione, in qualità  di testimoni, di persone informate dei fatti (ciò che avrebbe giovato al chiarimento dei fatti stessi), con negazione del confronto tra tesi accusa e difesa.
Con il terzo motivo si lamenta violazione dell’art. 3 della legge n. 241/90 ed eccesso di potere per motivazione insufficiente, sul rilievo che la motivazione addotta a sostegno del provvedimento irrogativo della sanzione appare apodittica, generica e astratta, avuto riguardo anche al fatto che le giustificazioni non sono state prese in debita considerazione, come si evince dalla mancanza di riferimenti al riguardo.
Con il quarto mezzo si deduce incompetenza relativa, assumendosi che la competenza ad irrogare il richiamo scritto è attribuita ai dirigenti dei commissariati, e non al questore.
Con il quinto motivo si deduce eccesso di potere per sviamento e ingiustizia grave e manifesta, come si evince anche dal diniego di accesso a taluni dei documenti richiesti (in particolare, la relazione redatta in relazione alla menzionata assemblea dei cacciatori del 23.9.99).
Con il sesto mezzo si lamenta violazione degli art. 3 e 97 Cost., prospettandosi la questione di costituzionalità della normativa dettata in materia di sanzioni disciplinari inerenti al personale della Polizia di Stato, di cui al D.P.R. n. 737/81, che non garantisce adeguatamente il diritto di difesa nei relativi procedimenti, al contrario di quanto avviene, ora, per il personale (affine) della Polizia penitenziaria, posta con il D.P.R. n. 449/92 assumibile come tertium comparationis in quanto si tratta di personale di polizia anche in quel caso (e come vorrebbe l’evoluzione legislativa al riguardo). Ivi, infatti, è garantita all’incolpato la presenza di un difensore tecnico. In particolare, gli art. 4 e 20 sarebbero in contrasto con gli art. 3 e 97 Cost..
Non si è costituita l’amministrazione.
Successivamente, iniziava l’iter un nuovo procedimento disciplinare, a seguito della comparsa sulle pagine locali del quotidiano “Il Gazzettino” del 6.5.2003, di un articolo a firma del (omissis), in qualità di appartenente all’associazione “amici del parco del delta del Po”, in cui si rimarcavano i contrasti in seno a un partito politico di maggioranza in ordine alla realizzazione dell’ente parco, e si prendeva posizione contro gli oppositori di tale progetto. Al (omissis) –che poi era uscito indenne da un processo per diffamazione su un sito internet intentagli dall’associazione nazionale cacciatori con sentenza di assoluzione n. 104 del 12.8.2003)- veniva notificata contestazione di addebiti, con nota del 10.5.2003 per avere evidenziato, in periodo elettorale, le contraddizioni di una formazione politica, con contestuale affermazione che altro schieramento politico guarda al futuro in termini più moderni, e che dette dichiarazioni sono state riprese da esponenti politici. Detto comportamento contrasterebbe con l’assoluta imparzialità delle funzioni, di cui all’art. 81 della legge n. 121/81, configurando la mancanza di cui all’art. 4, n. 14 del D.P.R. n. 737/81.
Seguivano circostanziate giustificazioni, disattese dal Questore, che, respinta anche l’istanza di ricusazione per grave inimicizia (perché prevista solo in relazione alla sospensione e alla destituzione), irrogava la sanzione disciplinare della pena pecuniaria di 2/30 della retribuzione (art. 4, n. 14 del D.P.R. n. 737/81).
Contro tale provvedimento insorge l’interessato con ricorso registrato al n. 2707/2003, deducendo con il primo motivo violazione e falsa applicazione dell’art. 81 della legge n. 121/81; illegittimità costituzionale per violazione degli art. 18 e 21 Cost.
Si sostiene che non può darsi un’interpretazione dell’art. 81 citato tanto rigorosa da impedire agli appartenenti al corpo di polizia di esprimere la propria argomentata opinione su un tema di interesse politico, specialmente trattandosi di rappresentante di un’associazione culturale. In tal modo verrebbe leso, infatti, il diritto di associazione e la libertà di pensiero tutelati, rispettivamente, dagli art, 18 e 21 Cost. Il divieto per detto personale di iscriversi a partiti politici, inoltre, sancito nell’art. 114 della stessa legge, non essendo stato convertito in legge il D.L. che tanto vietava in attesa di una disciplina della materia, deve ritenersi non più in vigore. L’art. 81 va interpretato, dunque, evolutivamente, intendendosi che il divieto sia operante soltanto allorquando gli appartenenti alla P.S. siano in servizio. Tanto, infatti, viene stabilito per gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria dall‘art. 19 della legge 15.12.90 n. 395.
Con il secondo mezzo si deduce violazione dell’art. 149 del D.P.R. n. 3/57, dell’art. 31 del D.P.R. n. 737/81 e del principio di imparzialità del giudice disciplinare.
Si sostiene che  il Questore avrebbe dovuto astenersi dal procedimento disciplinare, poiché, da un lato, aveva espresso la sua opinione circa la colpevolezza del (omissis) in un’intervista, dall’altro sussisteva grave inimicizia con l’incolpato, cui egli aveva irrogato in precedenza la sanzione disciplinare di cui al ricorso precedente, e in più il ricorrente aveva segnalato il coinvolgimento nella vicenda della moglie del questore, esponente politico del partito di cui sopra, ai sensi della norma su menzionata, richiamata dall’art. 131 della legge n. 121/81.  
Con il terzo mezzo si lamenta eccesso di potere per ingiustizia grave e manifesta, sull’assunto, altresì, di essere sorvegliato dal questore (che aveva subito informato il Ministero), che è stato assolto nel processo penale con condanna alle spese a carico dei querelanti e che non era stata annotata nel foglio matricolare l’ordinanza con la quale questa G.A. aveva accolto la domanda cautelare inerente al ricorso precedente.
Con il quarto motivo si deduce violazione dell’ordinanza cautelare n. 602/2000 ed eccesso di potere per travisamento dei fatti in relazione alla omessa annotazione sul foglio matricolare della richiamata ordinanza cautelare.
Con il quinto mezzo si lamenta violazione degli art. 3 e 97 Cost., in relazione alle garanzie procedimentali e alla mancata previsione di una difesa tecnica, riproponendosi la questione di costituzionalità già prospettata con il sesto motivo del ricorso precedente.
Si è costituita l’Amministrazione dell’Interno, eccependo di avere correttamente applicato la normativa vigente e controdeducendo nel merito in ordine alle singole censure.
Con memoria conclusionale, infine, il difensore del ricorrente ha riconfermato le censure già svolte.
All’udienza i difensori comparsi hanno confermato le rispettive conclusioni, dopo di che le cause sono state trattenute in decisione.

D I R I T T O

1- Preliminarmente il Collegio dispone la riunione dei giudizi, in considerazione della loro connessione soggettiva, e, in parte, oggettiva, pur avendo riguardo all’autonomia delle relative vicende.
2- Con il primo dei ricorsi riuniti l’interessato si duole dell’irrogazione della sanzione disciplinare del “richiamo scritto”, nei termini visti nella narrativa in fatto che precede. In effetti il ricorrente è stato punito, sia pure con una sanzione lieve, poiché gli si rimproverava di avere tenuto un comportamento gravemente superficiale e negligente nell’individuare, a mezzo della fotografia figurante sul permesso di caccia, la persona che aveva abbattuto diversi capi di selvaggina in area protetta quale il delta del Po, in violazione delle norme inerenti, e di non avere osservato il dovere di imparzialità che sempre deve tenere un appartenente alla P.S.
Tuttavia, l’esame obbiettivo degli atti nonché dello sviluppo cronologico dei fatti mostra di per sé solo che non sembra potersi addebitare al ricorrente simili violazioni del D.P.R. n. 737/81 (recante norme sulle sanzioni disciplinari al personale di pubblica sicurezza e sul relativo procedimento). Al contrario, sottolineato che in entrambe le annotazioni di servizio il medesimo aveva indicato le generalità del cacciatore abusivo con approssimazione, e che inutilmente egli aveva evidenziato la necessità di un raffronto diretto con la persona, al fine di potere acquisire la certezza dell’individuazione effettuata mediante ricerche documentali, sembra piuttosto che lo stesso ricorrente si sia rivelato, nella specie, un valido investigatore (come già posto in risalto nella motivazione dell’ordinanza di accoglimento della domanda di misure cautelari da parte della Sezione).
Si manifestano fondate, per tali sintetiche considerazioni, le censure mosse, con maggiore riguardo all’andamento fattuale, con i primi tre mezzi di impugnazione.
Ma anche il quarto motivo si manifesta a sua volta fondato. Ed invero, avendo il questore deciso –in considerazione della mancanza di precedenti in capi all’incolpato- di irrogare la sanzione del richiamo scritto in luogo di quella pecuniaria, egli non poteva ignorare che, in base al chiaro disposto dell’art. 2, ultimo comma, detta sanzione va inflitta dal “capo dell’ufficio o dal comandante del reparto dal quale il trasgressore gerarchicamente dipende” (organo che, nella fattispecie, era da identificare nel dirigente del commissariato dove prestava servizio l’incolpato).
Per le ragioni su esposte il ricorso si manifesta fondato e va accolto. Per l’effetto è annullato il provvedimento sanzionatorio impugnato.
3- Anche il secondo dei ricorsi riuniti è meritevole di accoglimento, sulla scorta di considerazioni prevalentemente di ordine giuridico di più delicato apprezzamento, in corrispondenza, del resto, con le censure mosse dal ricorrente avverso il decreto questorile di irrogazione della sanzione disciplinare pecuniaria.
La vicenda, come si è visto nella narrativa in fatto, prende le mosse dalla pubblicazione sulle pagine locali un quotidiano, di un articolo a firma del ricorrente, ove lo stesso prende posizione sulla questione della realizzazione dell’ente parco, in ordine alla quale si registravano contrasti in seno al partito principale della coalizione di maggioranza, con un accenno alla diversa (più aperta) posizione assunta al riguardo dalla coalizione di opposizione. Oggettivamente, la cosa poteva assumere maggiore rilievo (come è accaduto in capo all’organo che ha inflitto la sanzione) per il fatto che la pubblicazione è avvenuta durante la campagna elettorale relativa alle elezioni amministrative, e per il fatto che l’autore rimprovera ad una delle formazioni politiche in competizione di nutrire nel suo seno contrasti (e di non essere, pare di capire, nel complesso favorevole alla realizzazione dell’ente parco).
Questi ultimi elementi inducono a considerare, tuttavia, con attenzione quanto già evidenziato dal ricorrente, il quale chiarisce di essersi espresso in quanto responsabile di un’associazione favorevole alla creazione di detto ente (come si evince dalla sua stessa denominazione), in cui il ricorrente ricopre un apposizione di rilievo, e che la firma in calce all’articolo è accompagnata, appunto, dalla dicitura: “ amici del parco delta Po”. Sembra indubbio, in altre parole, che l’autore dell’articolo non sottoscrive l’articolo in qualità di poliziotto, e che il medesimo, nello stilare lo ascritto in questione, non si trovava in servizio, né si trattava di una manifestazione politica.
Il quesito che si pone è, dunque, se sia lecito per il personale della P.S. che versi in simile situazione, esprimersi come cittadino appartenente ad una di quelle “formazioni sociali ove si svolge la sua personalità” per le quali l’art. 2 della Costituzione appronta una tutela di tutto riguardo. Le stesse, invero, per la citata norma della Carta, sono un mezzo mediante il quale si esprime l’individuo, cui essa riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo. Ora, occorre considerare che tali diritti inviolabili attengono eminentemente alla manifestazione del pensiero (tutelato dall’art. 21 Cost.), e alla libertà di associazione, riconosciuta e garantita dell’art. 18 Cost.
Orbene, è in tale quadro di garanzie costituzionali che occorre inquadrare la situazione degli appartenenti al corpo di P.S., per i quali l’art. 98 della medesima Costituzione prevede che si possano, con legge ordinaria, stabilire limitazioni al diritto di iscriversi ai partiti politici. Senonché, posto che qui non si fa questione, in senso proprio, di libertà di iscriversi ai partiti politici, va ricordato -come fa la difesa del ricorrente- che deve ritenersi inoperante un siffatto divieto, posto con l’art. 114 della legge 1.4.81 n. 121, posto che non si è a conoscenza di proroghe del termine annuale ivi previsto (in passato più volte prorogato). Tanto chiarito in via incidentale in ordine al divieto menzionato, osserva il Collegio che l’interpretazione dell’art. 81 della stessa legge –di cui la P.A. resistente ha fatto applicazione nel caso di specie- deve avvenire in senso conforme alle norme Costituzionali sui diritti fondamentali poco addietro menzionati (art. 21 e art. 18 Cost.).
L’art. 81, al primo comma, testualmente recita:
“Gli appartenenti alle forze di polizia debbono in ogni circostanza mantenersi al di fuori delle competizioni politiche e non possono assumere comportamenti che compromettano l'assoluta imparzialità delle loro funzioni. Agli appartenenti alle forze di polizia è fatto divieto di partecipare in uniforme, anche se fuori servizio, a riunioni e manifestazioni di partiti, associazioni e organizzazioni politiche o sindacali, salvo quanto disposto dall'articolo seguente. È fatto altresì divieto di svolgere propaganda a favore o contro partiti, associazioni, organizzazioni politiche o candidati ad elezioni”.
Orbene, avuto riguardo anche al tenore letterale del precetto or ora riportato, osserva il Collegio che, in senso proprio, non si poteva rimproverare al ricorrente di avere preso parte a una competizione politica, né può ritenersi che l’avere stilato l’articolo in discussione ne abbia compromesso l’imparzialità delle funzioni (di funzionario di P.S.) svolte. Né, infine, nella specie trattatasi di una manifestazione di un’organizzazione o associazione politica. Semplicemente, l’associazione nel cui nome egli ha sottoscritto l’articolo è non strettamente politica, ma lato sensu socio- culturale, e più specificamente, al più, ambientalistica, che in quanto tale non prende parte alla competizione elettorale, ma è interessata a che la parte politica vincitrice inserisca nel programma la realizzazione dell’ente che è ragione e ispirazione della fondazione dell’associazione stessa.
In tale quadro deve ritenersi che la pubblicazione dello scritto de quo costituisca manifestazione di pensiero e di espressione di tale libertà nell’ambito di una formazione sociale di cui all’art. 2 della Carta costituzionale.
Per tale ragione non poteva legittimamente rimproverarsi al ricorrente la pubblicazione medesima. Degno di favorevole considerazione è, pertanto, il primo mezzo di impugnazione.
Conclusivamente, per le considerazioni su esposte, il ricorso si manifesta fondato e va accolto, previo assorbimento di ogni altra censura. Per l’effetto, è annullato il provvedimento impugnato.
Le spese seguono la soccombenza, e sono liquidate come da dispositivo.      
P. Q. M.
      Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione prima, definitivamente pronunziando sui ricorsi in epigrafe, respinta ogni altra domanda o eccezione, preliminarmente li riunisce; indi li accoglie entrambi. Per l’effetto, sono annullati i provvedimenti con gli stessi impugnati.
      Condanna l’amministrazione dell’Interno al pagamento delle spese e onorari di giudizio a favore della parte vittoriosa, che liquida forfetariamente in € 2.500,00, oltre agli oneri di legge (IVA e cpa).
      Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
      Così deciso in Venezia, in camera di consiglio, addì 16 febbraio 2006.
            Il Presidente f.f.                                        l’Estensore
 
                                           il Segretario
 
SENTENZA DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il……………..…n.………
(Art. 55, L. 27/4/1982, n. 186)
Il Direttore della Prima Sezione



 
T.A.R. per il Veneto – I Sezione nn.rr.gg. 965/00-2707/03




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