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Guardie giurate private, la regolamentazione italiana blocca la concorrenza Ue |
Ingiustificati e troppo restrittivi i requisiti imposti dal Tulps per l'esercizio della professione. Roma condannata per il mancato rispetto dei principi di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi |
SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)
«Inadempimento
di uno Stato – Libera prestazione dei servizi – Diritto di stabilimento
– Professione di operatore della vigilanza – Servizi di vigilanza
privata – Giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana –
Autorizzazione prefettizia – Sede operativa – Numero minimo di personale
– Versamento di una cauzione – Controllo amministrativo dei prezzi dei
servizi forniti»
Nella causa C‑465/05,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 23 dicembre 2005,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. E. Traversa e dalla sig.ra E. Montaguti, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana,
rappresentata dal sig. I.M. Braguglia, in qualità di agente, assistito
dal sig. D. Del Gaizo, avvocato dello Stato, con domicilio eletto in
Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Seconda Sezione),
composta
dal sig. C.W.A. Timmermans, presidente di sezione, dai
sigg. L. Bay Larsen, K. Schiemann, J. Makarczyk (relatore) e dalla
sig.ra C. Toader, giudici,
avvocato generale: sig.ra J. Kokott
cancelliere: sig.ra L. Hewlett, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 14 giugno 2007,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1 Con
il suo ricorso la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte
di dichiarare che la Repubblica italiana, avendo disposto che:
– l’attività
di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione
di un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana;
– l’attività di vigilanza privata possa essere esercitata solamente dopo il rilascio di un’autorizzazione del Prefetto;
– la
suddetta autorizzazione abbia una validità territoriale limitata ed il
suo rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e
dell’importanza delle imprese di vigilanza già operanti nel medesimo
territorio;
– le imprese di vigilanza
privata debbano avere una sede operativa in ogni provincia in cui esse
esercitano la propria attività;
– il personale delle suddette imprese debba essere individualmente autorizzato ad esercitare attività di vigilanza;
– le imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o massimo di personale per essere autorizzate;
– le imprese di vigilanza privata debbano versare una cauzione presso la locale Cassa depositi e prestiti;
– i
prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con
autorizzazione del Prefetto nell’ambito di un determinato margine
d’oscillazione,
è venuta meno agli obblighi che ad essa incombono ai sensi degli artt. 43 CE e 49 CE.
Contesto normativo
2 L’art. 134
del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, approvato con regio
decreto 18 giugno 1931, n. 773 (GURI n. 146 del 26 giugno 1931), così
come modificato (in prosieguo: «il Testo Unico»), recita:
«Senza
licenza del Prefetto è vietato ad enti o privati di prestare opere di
vigilanza o custodia di proprietà mobiliari od immobiliari e di eseguire
investigazioni o ricerche o di raccogliere informazioni per conto di
privati.
Salvo il disposto dell’art. 11, la
licenza non può essere conceduta alle persone che non abbiano la
cittadinanza italiana ovvero di uno Stato membro dell’Unione europea o
siano incapaci di obbligarsi o abbiano riportato condanna per delitto
non colposo.
I cittadini degli Stati membri
dell’Unione europea possono conseguire la licenza per prestare opera di
vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari alle stesse
condizioni previste per i cittadini italiani.
La
licenza non può essere conceduta per operazioni che importano un
esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della libertà
individuale».
«I
direttori suindicati devono (…) tenere nei locali del loro ufficio
permanentemente affissa in modo visibile la tabella delle operazioni
alle quali attendono, con la tariffa delle relative mercedi.
Essi
non possono compiere operazioni diverse da quelle indicate nella
tabella o ricevere mercedi maggiori di quelle indicate nella tariffa o
compiere operazioni o accettare commissioni con o da persone non munite
della carta di identità o di altro documento fornito di fotografia,
proveniente dall’amministrazione dello Stato.
La tabella delle operazioni deve essere vidimata dal Prefetto».
4 Ai
sensi del secondo comma dell’art. 136 del Testo Unico, la licenza può
essere negata in considerazione del numero o della importanza degli
istituti già esistenti.
«Il
rilascio della licenza è subordinato al versamento nella Cassa depositi
e prestiti di una cauzione nella misura da stabilirsi dal Prefetto.
(…)
Il
Prefetto, nel caso di inosservanza, dispone con decreto che la
cauzione, in tutto o in parte, sia devoluta all’erario dello Stato.
(…)».
«Le guardie particolari devono possedere i requisiti seguenti:
1° essere cittadino italiano o di uno Stato membro dell’Unione europea;
2° avere raggiunto la maggiore età ed avere adempiuto agli obblighi di leva;
3° sapere leggere e scrivere;
4° non avere riportato condanna per delitto;
5° essere persona di ottima condotta politica e morale;
6° essere munito della carta di identità;
7° essere iscritto alla cassa nazionale delle assicurazioni sociali e a quella degli infortuni sul lavoro.
La nomina delle guardie particolari deve essere approvata dal prefetto.
Le guardie particolari giurate,
cittadini di Stati membri dell’Unione europea, possono conseguire la
licenza di porto d’armi secondo quanto stabilito dal decreto legislativo
30 dicembre 1992, n. 527, e dal relativo regolamento di esecuzione, di
cui al D.M. 30 ottobre 1996, n. 635 del Ministro dell’interno (…)».
7 L’art. 250
del Regio Decreto 6 maggio 1940, n. 635, recante regolamento per
l’esecuzione del Testo Unico, così come modificato dall’art. 5 della
legge 23 dicembre 1946, n. 478 (in prosieguo: il «regolamento di
esecuzione»), dispone quanto segue:
«Constatato il possesso dei requisiti prescritti dall’art. 138 della legge, il Prefetto rilascia alle guardie particolari il decreto di approvazione.
Ottenuta l’approvazione, le guardie particolari prestano innanzi al Pretore giuramento con la seguente formula:
“Giuro
di essere fedele alla Repubblica italiana ed al suo Capo, di osservare
lealmente le leggi dello Stato e di adempiere le funzioni affidatemi con
coscienza e diligenza e con l’unico intento di perseguire il pubblico
interesse”.
Il Pretore attesta, in calce al decreto del Prefetto, del prestato giuramento.
La guardia particolare è ammessa all’esercizio delle sue funzioni dopo la prestazione del giuramento».
«Salvo quanto disposto da leggi speciali, quando i beni, che le guardie
particolari sono chiamate a custodire, siano posti nel territorio di
province diverse, è necessario il decreto di approvazione da parte del
Prefetto di ciascuna provincia.
Il giuramento è prestato presso uno dei Pretori, nei cui mandamenti siano i beni da custodire».
«La
domanda per ottenere la licenza prescritta dall’art. 134 della legge
deve contenere l’indicazione del Comune o dei Comuni in cui l’istituto
intende svolgere la propria azione, della tariffa per le operazioni
singole o per l’abbonamento, dell’organico delle guardie
adibitevi, delle mercedi a queste assegnate, del turno di riposo
settimanale, dei mezzi per provvedere ai soccorsi in caso di malattia,
dell’orario e di tutte le modalità con cui il servizio deve essere
eseguito.
Alla domanda deve essere allegato il documento comprovante l’assicurazione delle guardie, tanto per gli infortuni sul lavoro che per l’invalidità e la vecchiaia.
Se
trattasi di istituto che intende eseguire investigazioni o ricerche per
conto di privati, occorre specificare, nella domanda, anche le
operazioni all’esercizio delle quali si chiede di essere autorizzati, ed
allegare i documenti comprovanti la propria idoneità.
L’atto
di autorizzazione deve contenere le indicazioni prescritte per la
domanda e l’approvazione delle tariffe, dell’organico, delle mercedi,
dell’orario e dei mezzi per provvedere ai soccorsi in caso di malattia.
Ogni variazione o modificazione nel funzionamento dell’istituto deve essere autorizzata dal Prefetto».
10 Per
quanto riguarda gli atti amministrativi adottati in applicazione della
normativa nazionale, si deve rilevare che numerose autorizzazioni dei
Prefetti all’esercizio di attività di vigilanza privata stabiliscono che
le imprese del ramo debbano avere un numero minimo e/o massimo di
dipendenti.
11 Peraltro,
da una circolare del Ministero dell’Interno risulta che le imprese non
possono esercitare le loro attività al di fuori della giurisdizione di
competenza della Prefettura che ha emesso il provvedimento
autorizzatorio.
Fase precontenziosa del procedimento
12 Con
lettera di costituzione in mora del 5 aprile 2002 la Commissione ha
intimato alla Repubblica italiana di presentare le proprie osservazioni
sulla compatibilità della normativa nazionale di cui trattasi con libera
prestazione dei servizi e la libertà di stabilimento.
13 In
seguito alle risposte fornite dalla Repubblica italiana il 6 giugno
2002, la Commissione ha inviato a detto Stato membro un parere motivato
il 14 dicembre 2004, invitandolo ad adottare le misure necessarie per
conformarsi a tale parere entro un termine di due mesi a decorrere dalla
sua notifica. Una proroga di tale termine, richiesta dalla Repubblica
italiana, è stata rifiutata dalla Commissione.
14 La
Commissione, non soddisfatta delle risposte fornite dalla Repubblica
italiana, ha deciso di proporre il presente ricorso.
Sul ricorso
15 A
sostegno del suo ricorso, la Commissione deduce otto censure relative,
in sostanza, ai requisiti stabiliti dalla normativa italiana per
l’esercizio di un’attività di vigilanza privata in Italia.
16 In
via preliminare, occorre ricordare che, se è pur vero che, in un
settore non assoggettato ad un’armonizzazione completa a livello
comunitario, come accade nel caso dei servizi di vigilanza privata, come
del resto ammesso sia dalla Repubblica italiana sia dalla Commissione
in udienza, gli Stati membri restano, in linea di principio, competenti a
definire le condizioni di esercizio delle attività nel detto settore,
ciò non toglie che essi devono esercitare i loro poteri nel settore
medesimo nel rispetto delle libertà fondamentali garantite dal
Trattato CE (v., in particolare, sentenze 26 gennaio 2006, causa
C‑514/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑963, punto 23, e 14 dicembre
2006).
17 A
tale riguardo, secondo la giurisprudenza della Corte, gli artt. 43 CE e
49 CE impongono l’abolizione delle restrizioni alla libertà di
stabilimento e alla libera prestazione dei servizi. Devono essere
considerate come tali tutte le misure che vietano, ostacolano o rendono
meno attraente l’esercizio di tali libertà (v. sentenze 15 gennaio 2002,
causa C‑439/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑305, punto 22;
5 ottobre 2004, causa C‑442/02, CaixaBank France, Racc. pag. I‑8961,
punto 11; 30 marzo 2006, causa C‑451/03, Servizi Ausiliari Dottori
Commercialisti, Racc. pag. I‑2941, punto 31, e 26 ottobre 2006, causa
C‑65/05, Commissione/Grecia, Racc. pag. I‑10341, punto 48).
18 La
Corte ha anche dichiarato che i provvedimenti nazionali restrittivi
dell’esercizio delle libertà fondamentali garantite dal Trattato devono
soddisfare quattro condizioni per poter risultare giustificati:
applicarsi in modo non discriminatorio, rispondere a motivi imperativi
di interesse pubblico, essere idonei a garantire il conseguimento dello
scopo perseguito e non andare oltre quanto necessario per il
raggiungimento di questo (v. sentenze 4 luglio 2000, causa C‑424/97,
Haim, Racc. pag. I‑5123, punto 57 e giurisprudenza ivi citata, nonché
Commissione/Grecia, cit., punto 49).
19 Alla luce di tali principi si deve procedere all’esame delle censure presentate dalla Commissione.
Sulla prima censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo dell’obbligo di prestare giuramento
Argomenti delle parti
20 La Commissione fa valere che l’obbligo per le guardie
particolari di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana,
di cui all’art. 250 del regolamento di esecuzione, indirettamente
basato sulla cittadinanza, costituirebbe, per gli operatori di altri
Stati membri attivi nell’ambito della vigilanza privata, un ostacolo
ingiustificato tanto all’esercizio del diritto di stabilimento quanto
alla libera prestazione dei servizi.
21 Peraltro,
secondo la Commissione, l’obbligo in parola non può essere considerato
giustificato e proporzionato rispetto allo scopo perseguito, ossia,
assicurare una migliore tutela dell’ordine pubblico.
22 La
Repubblica italiana afferma che le attività di cui è causa, considerate
dal Testo Unico, implicherebbero l’esercizio di pubblici poteri ai
sensi degli artt. 45 CE e 55 CE e, di conseguenza, non rientrerebbero
nel campo di applicazione delle disposizioni dei capi 2 e 3, titolo III,
parte terza, del Trattato.
23 La
Repubblica italiana sostiene, quindi, che le imprese attive nel settore
della vigilanza privata partecipano, in numerosi casi, in modo diretto e
specifico all’esercizio di pubblici poteri.
24 Essa
fa valere, a tal proposito, che dette attività di vigilanza forniscono,
per loro natura, un contributo rilevante alla sicurezza pubblica, ad
esempio per quanto riguarda la vigilanza armata presso istituti di
credito e la scorta di furgoni per il trasporto valori.
25 Lo Stato membro di cui trattasi sottolinea altresì che i verbali redatti dalle guardie particolari giurate
nello svolgimento delle loro attività hanno un valore probatorio
privilegiato rispetto a quello delle dichiarazioni di privati cittadini.
Esso aggiunge che le guardie in parola possono procedere ad arresti in flagranza di reato.
26 In
risposta a siffatta argomentazione, la Commissione sostiene che gli
artt. 45 CE e 55 CE, in quanto disposizioni che derogano a libertà
fondamentali, devono essere interpretati in maniera restrittiva,
conformemente alla giurisprudenza della Corte.
27 Peraltro,
secondo la Commissione, gli elementi prospettati dalla Repubblica
italiana non sarebbero idonei a giustificare un’analisi diversa da
quella che ha indotto la Corte a dichiarare, in modo costante, che le
attività di sorveglianza o di vigilanza privata non costituiscono di
regola una partecipazione diretta e specifica all’esercizio di pubblici
poteri.
28 Indipendentemente
dal richiamo dell’applicazione degli artt. 45 CE e 55 CE, la Repubblica
italiana fa valere i seguenti motivi di difesa.
29 Essa
sostiene che la Commissione potrebbe muovere critiche all’obbligo di
prestare giuramento solo relativamente alle limitazioni che da questo
obbligo deriverebbero per la libera circolazione dei lavoratori e non in
base agli artt. 43 CE e 49 CE, dal momento che le guardie particolari devono necessariamente essere lavoratori subordinati.
30 Inoltre,
essa fa valere che la prestazione di giuramento, che non costituisce
un’operazione obiettivamente gravosa, garantisce il corretto esercizio
delle delicate funzioni che le guardie
sono chiamate a prestare in materia di sicurezza e che sono
disciplinate da leggi dello Stato a carattere imperativo, sottolineando
quindi il legame di causa ad effetto che sussisterebbe fra il giuramento
ed il rafforzamento della tutela preventiva dell’ordine pubblico.
Giudizio della Corte
31 Considerate
le conseguenze derivanti dall’applicazione degli artt. 45 CE e 55 CE,
occorre innanzitutto verificare se tali disposizioni siano
effettivamente da applicare nel caso di specie.
32 Dalla
giurisprudenza della Corte emerge che la deroga di cui agli artt. 45,
primo comma, CE e 55 CE va limitata alle attività che, considerate di
per sé, costituiscono una partecipazione diretta e specifica
all’esercizio di pubblici poteri (v. sentenze 29 ottobre 1998, causa
C‑114/97, Commissione/Spagna, Racc. pag. I‑6717, punto 35; 9 marzo 2000,
causa C‑355/98, Commissione/Belgio, Racc. pag. I‑1221, punto 25, e 31
maggio 2001, causa C‑283/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑4363,
punto 20).
33 La
Corte ha anche dichiarato che l’attività delle imprese di sorveglianza o
di vigilanza privata non costituisce di regola una partecipazione
diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri (v. citate sentenze
Commissione/Belgio, punto 26, e 31 maggio 2001, Commissione/Italia,
punto 20).
34 Peraltro,
al punto 22 della sentenza 31 maggio 2001, Commissione/Italia, cit., la
Corte ha dichiarato che la deroga prevista dall’art. 55, primo comma,
del Trattato CE (divenuto art. 45, primo comma, CE) non si applicava nel
caso di specie.
35 Occorre,
pertanto, accertare se gli elementi presentati dalla Repubblica
italiana nel ricorso in questione, alla luce della formulazione attuale
del Testo Unico e del regolamento di esecuzione, possano indurre ad una
valutazione della situazione in Italia diversa rispetto a quelle
all’origine della giurisprudenza citata ai punti 33 e 34 della presente
sentenza.
36 Secondo
l’art. 134 del Testo Unico, i soggetti operanti nell’ambito della
vigilanza privata si occupano, in linea di principio, di attività di
vigilanza o custodia di beni mobiliari o immobiliari, di investigazioni o
ricerche per conto di privati.
37 Anche
se le imprese di vigilanza privata possono, come confermato dalla
Repubblica italiana all’udienza, in determinate circostanze e in via
eccezionale, prestare assistenza agli agenti di pubblica sicurezza, ad
esempio nel settore dei trasporti di valori o partecipando alla
sorveglianza di taluni luoghi pubblici, detto Stato membro non ha
dimostrato che in tali circostanze si tratti di esercizio di pubblici
poteri.
38 La
Corte, del resto, ha già dichiarato che il mero contributo al
mantenimento della pubblica sicurezza, che chiunque può essere chiamato a
offrire, non costituisce un tale esercizio (v. sentenza 29 ottobre
1998, Commissione/Spagna, cit., punto 37).
39 Peraltro,
l’art. 134 del Testo Unico pone un limite severo all’esercizio delle
attività di sorveglianza, e cioè che queste ultime non possono mai
comportare l’esercizio di pubbliche funzioni o una menomazione della
libertà individuale. Le imprese di vigilanza privata non hanno dunque
alcun potere coercitivo.
40 Pertanto,
la Repubblica italiana non può validamente sostenere che le imprese di
vigilanza privata, nell’ambito delle loro attività, effettuino
operazioni di mantenimento dell’ordine pubblico, assimilabili ad un
esercizio di pubblici poteri.
41 Inoltre, per quanto riguarda l’argomento relativo al valore probatorio dei verbali redatti dalle guardie particolari giurate,
si deve rilevare che, come riconosciuto, del resto, dalla Repubblica
italiana stessa, tali verbali non fanno pienamente fede, diversamente da
quelli redatti nell’esercizio di pubbliche funzioni, segnatamente dagli
agenti della polizia giudiziaria.
42 Infine, relativamente all’argomento attinente alla possibilità, per le guardie particolari giurate,
di procedere ad arresti in flagranza di reato, esso era stato già
avanzato dalla Repubblica italiana nella causa all’origine della citata
sentenza 31 maggio 2001, Commissione/Italia. In tale occasione, la
Corte, al punto 21 della sentenza pronunciata in detta causa, ha
dichiarato che nella fattispecie in esame le guardie non avevano un potere maggiore di qualsiasi altro individuo. Questa conclusione va confermata nell’ambito del presente ricorso.
43 Da
quanto precede risulta che in Italia, allo stato della normativa
vigente, le imprese di vigilanza privata non partecipano in maniera
diretta e specifica all’esercizio di pubblici poteri, in quanto le
attività di vigilanza privata che esse svolgono non possono essere
equiparate ai compiti attribuiti alla competenza dei servizi di pubblica
sicurezza.
45 Per
quanto concerne, poi, specificamente i requisiti di cui all’art. 250
del regolamento di esecuzione, dalla normativa italiana risulta che, per
fornire servizi di vigilanza privata, le imprese possono impiegare
unicamente guardie che abbiano prestato giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato, dinanzi al Prefetto, in italiano.
46 A
tale proposito, benché tale norma si applichi in modo identico sia agli
operatori stabiliti in Italia sia a quelli provenienti da altri Stati
membri che intendono svolgere la loro attività nel territorio italiano,
essa ciò non di meno costituisce per qualsiasi operatore non stabilito
in Italia un ostacolo all’esercizio della sua attività in questo Stato
membro che pregiudica il suo accesso al mercato.
47 Infatti,
rispetto agli operatori provenienti da altri Stati membri che intendono
svolgere la loro attività in Italia, quelli insediati in una provincia
italiana possono disporre con maggiore facilità di personale che accetti
di prestare il giuramento richiesto dalla normativa italiana. È quindi
palese che siffatta promessa solenne di fedeltà alla Repubblica italiana
e al Capo dello Stato, data la sua portata simbolica, sarà pronunciata
più agevolmente da cittadini di tale Stato membro o da soggetti già
stabiliti in detto Stato. Di conseguenza, gli operatori stranieri sono
posti in una situazione svantaggiosa rispetto agli operatori italiani
insediati in Italia.
48 Pertanto,
il giuramento controverso, così imposto ai dipendenti delle imprese di
vigilanza privata, costituisce, per gli operatori non stabiliti in
Italia, un ostacolo alla libertà di stabilimento e alla libera
prestazione dei servizi.
49 Per
quanto riguarda il motivo dedotto in subordine dalla Repubblica
italiana per giustificare l’ostacolo così constatato alle libertà
garantite dagli artt. 43 CE e 49 CE e relativo alla tutela dell’ordine
pubblico, si deve ricordare che la nozione di ordine pubblico può essere
richiamata in caso di minaccia effettiva e sufficientemente grave ad
uno degli interessi fondamentali della collettività. Come tutte le
deroghe ad un principio fondamentale del Trattato, l’eccezione di ordine
pubblico va interpretata in modo restrittivo (v. sentenza
Commissione/Belgio, cit., punto 28 e giurisprudenza ivi citata).
50 Orbene,
non si può ritenere che le imprese di vigilanza privata stabilite in
Stati membri diversi dalla Repubblica italiana potrebbero realizzare,
esercitando il loro diritto alla libertà di stabilimento e alla libera
prestazione dei servizi e assumendo personale che non ha prestato
giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana e al Capo dello Stato,
una minaccia effettiva e grave ad un interesse fondamentale della
collettività.
51 Da
quanto precede emerge che il requisito del giuramento che risulta dalla
normativa italiana è contrario agli artt. 43 CE e 49 CE.
Sulla
seconda censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo
dell’obbligo di detenere una licenza con validità territoriale
Argomenti delle parti
53 Secondo
la Commissione, l’obbligo di ottenere una previa autorizzazione valida
su una data parte del territorio italiano, di cui all’art. 134 del Testo
Unico, per mere prestazioni occasionali di servizi di vigilanza
privata, costituisce una restrizione alla libera prestazione dei servizi
ai sensi dell’art. 49 CE.
54 Siffatte
restrizioni sono giustificabili soltanto nella misura in cui esse
rispondano a motivi imperativi di interesse generale e, in particolare,
tale interesse generale non sia garantito dagli obblighi cui il
prestatore di servizi è già soggetto nello Stato membro in cui è
stabilito.
55 La Repubblica italiana fa valere, in via principale, l’applicazione delle deroghe di cui agli artt. 45 CE e 55 CE.
56 In
subordine, essa sostiene che, dal momento che il settore dell’attività
in questione non è armonizzato e non vige in esso alcun regime di mutuo
riconoscimento, persiste il potere dell’amministrazione dello Stato
membro ospitante di sottoporre ad autorizzazione interna i soggetti
provenienti da altri Stati membri.
57 Infine,
la Repubblica italiana aggiunge che, in ogni caso, per valutare se
l’autorizzazione possa essere concessa, l’amministrazione competente
tiene conto, nella sua prassi, degli obblighi cui i prestatori sono già
soggetti nello Stato di origine.
Giudizio della Corte
58 Secondo
una giurisprudenza costante, una normativa nazionale che subordina
l’esercizio di talune prestazioni di servizi sul territorio nazionale,
da parte di un’impresa avente sede in un altro Stato membro, al rilascio
di un’autorizzazione amministrativa costituisce una restrizione della
libera prestazione dei servizi ai sensi dell’art. 49 CE (v., in
particolare, sentenze 9 agosto 1994, causa C‑43/93, Vander Elst,
Racc. pag. I‑3803, punto 15; Commissione/Belgio, cit., punto 35;
7 ottobre 2004, causa C‑189/03, Commissione/Paesi Bassi,
Racc. pag. I‑9289, punto 17, e 18 luglio 2007, causa C‑134/05,
Commissione/Italia, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 23).
59 Inoltre,
la limitazione dell’ambito di applicazione territoriale
dell’autorizzazione che obbliga il prestatore, ai sensi dell’art. 136
del Testo Unico, a chiedere un’autorizzazione in ognuna delle province
ove intende esercitare la sua attività, tenendo presente la suddivisione
dell’Italia in 103 province, rende ancora più complicato l’esercizio
della libera prestazione dei servizi (v., in tal senso, sentenza 21
marzo 2002, causa C‑298/99, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑3129,
punto 64).
60 Pertanto,
una normativa quale quella in discussione nella presente causa è
contraria, in via di principio, all’art. 49 CE e, di conseguenza,
vietata da tale articolo, salvo essa sia giustificata da motivi
imperativi d’interesse generale e a condizione, peraltro, di essere
proporzionata rispetto allo scopo perseguito (v., in tal senso, sentenza
18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 24).
61 Occorre
in primo luogo rilevare che il requisito di un’autorizzazione
amministrativa o di una licenza preventive per l’esercizio di
un’attività di vigilanza privata appare in sé idoneo a rispondere
all’esigenza di tutela dell’ordine pubblico, tenuto conto della natura
specifica dell’attività di cui trattasi.
62 Tuttavia,
secondo giurisprudenza costante, una restrizione può essere
giustificata solo qualora l’interesse generale dedotto non sia già
tutelato dalle norme cui il prestatore è assoggettato nello Stato membro
in cui è stabilito (v. sentenza 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna,
cit., punto 43).
63 Non
si può dunque considerare necessaria per raggiungere lo scopo
perseguito una misura adottata da uno Stato membro la quale, in
sostanza, si sovrappone ai controlli già effettuati nello Stato membro
in cui il prestatore è stabilito.
64 Nel
caso di specie, la normativa italiana, non prevedendo che, ai fini del
rilascio di una licenza, si tenga conto degli obblighi ai quali il
prestatore di servizi transfrontaliero è già assoggettato nello Stato
membro nel quale è stabilito, eccede quanto necessario per raggiungere
lo scopo perseguito dal legislatore nazionale, che è quello di garantire
uno stretto controllo sulle attività di cui trattasi (v., in tal senso,
sentenze Commissione/Belgio, cit., punto 38; 29 aprile 2004, causa
C‑171/02, Commissione/Portogallo, Racc. pag. I‑5645, punto 60;
Commissione/Paesi Bassi, cit., punto 18, e 18 luglio 2007,
Commissione/Italia, cit. supra, punto 25).
65 Quanto
all’argomento della Repubblica italiana secondo cui vigerebbe una
prassi amministrativa applicando la quale, al momento della decisione
circa le richieste di autorizzazione, l’autorità competente terrebbe
conto degli obblighi posti dallo Stato membro di origine, si deve
rilevare che non è stata fornita prova di tale prassi. In ogni caso, per
giurisprudenza costante, semplici prassi amministrative, per natura
modificabili a piacimento dall’amministrazione e prive di adeguata
pubblicità, non possono essere considerate valido adempimento degli
obblighi del Trattato (v., in particolare, sentenza Commissione/Paesi
Bassi, cit., punto 19).
66 Infine,
come osservato al punto 44 della presente sentenza, le deroghe di cui
agli artt. 45 CE e 55 CE non sono applicabili nella fattispecie in
esame.
67 Pertanto,
la seconda censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo
dell’obbligo di licenza con validità territoriale, è fondata, mancando
nella normativa italiana una disposizione che imponga espressamente di
prendere in considerazione i requisiti previsti nello Stato membro di
stabilimento.
Sulla terza censura, relativa
alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a motivo della territorialità
della licenza e della rilevanza, ai fini del rilascio di tale licenza,
del numero e dell’importanza delle imprese già operanti nel medesimo
territorio
68 Come
osservato al punto 59 della presente sentenza, dall’art. 136 del Testo
Unico risulta che il fatto di disporre di una licenza consente di
esercitare l’attività di vigilanza privata solo nel territorio per il
quale essa è stata rilasciata.
69 Spetta
peraltro al Prefetto valutare l’opportunità di rilasciare le licenze in
considerazione del numero e dell’importanza delle imprese già attive
nel territorio interessato.
Argomenti delle parti
70 Secondo
la Commissione le disposizioni in parola rappresentano una restrizione
ingiustificata e sproporzionata della libertà di stabilimento e, per il
fatto stesso della licenza, della libera prestazione dei servizi.
71 Inoltre,
essa sottolinea che il Prefetto, nel valutare il rischio per l’ordine
pubblico costituito dalla presenza di un numero eccessivo di imprese
attive nel settore della vigilanza privata su un dato territorio,
determinerebbe une situazione di incertezza giuridica per gli operatori
provenienti da un altro Stato membro, aggiungendo che non è stata
peraltro fornita la prova di una minaccia grave ed effettiva all’ordine e
alla sicurezza pubblica.
72 La
Repubblica italiana afferma che tale limitazione territoriale non è
contraria all’art. 43 CE e che essa è direttamente connessa alla
valutazione relativa alla tutela dell’ordine pubblico cui il Prefetto
subordina il rilascio della licenza. Detta valutazione si fonderebbe
necessariamente su circostanze di natura puramente territoriale, come la
conoscenza della criminalità organizzata su un dato territorio.
73 Essa
fa infine valere che è opportuno vegliare a che tali imprese di
vigilanza privata non si sostituiscano alla pubblica autorità.
Giudizio della Corte
74 La
Repubblica italiana non contesta il fatto che la limitazione
territoriale della licenza costituisca una restrizione sia alla libertà
di stabilimento sia alla libera prestazione dei servizi, ai sensi della
giurisprudenza della Corte citata al punto 17 della presente sentenza.
In via principale, a sua difesa, essa richiama la tutela dell’ordine
pubblico e della pubblica sicurezza, sottolineando, a tale riguardo, che
l’attività di vigilanza privata deve svolgersi al riparo da
infiltrazioni criminali di stampo locale.
75 Per
quanto riguarda i motivi di ordine pubblico fatti valere dalla
Repubblica italiana per giustificare siffatta restrizione, e alla luce
della giurisprudenza costante della Corte quale ricordata al punto 49
della presente sentenza, anche ammettendo che il rischio di
infiltrazioni di dette organizzazioni possa essere ritenuto esistente,
la Repubblica italiana non asserisce né dimostra che il sistema delle
licenze territoriali sarebbe l’unico idoneo ad eliminare tale rischio ed
a garantire il mantenimento dell’ordine pubblico.
76 La
Repubblica italiana non ha dimostrato che, al fine di non pregiudicare
l’attuazione di un efficace controllo dell’attività di vigilanza
privata, sia necessario rilasciare un’autorizzazione per ogni ambito
territoriale provinciale in cui un’impresa di un altro Stato membro
intende svolgere l’attività di cui trattasi a titolo della libertà di
stabilimento o della libera prestazione dei servizi; va tenuto presente
al riguardo che l’attività in parola, di per sé, non è tale da creare
turbative per l’ordine pubblico.
77 A
questo proposito, misure meno restrittive di quelle adottate dalla
Repubblica italiana, ad esempio l’introduzione di controlli
amministrativi regolari, potrebbero, in aggiunta al requisito di
un’autorizzazione preventiva non limitata territorialmente, assicurare
un risultato analogo e garantire il controllo dell’attività di vigilanza
privata, in quanto l’autorizzazione in questione potrebbe essere del
resto sospesa o revocata in caso di inadempienza degli obblighi
incombenti alle imprese di vigilanza privata o di turbative all’ordine
pubblico.
78 Infine,
non può essere accolto nemmeno l’argomento secondo cui sarebbe
necessario non consentire ad un numero eccessivo di imprese straniere di
stabilirsi per esercitare attività di vigilanza privata o di offrire i
loro servizi sul mercato italiano della vigilanza privata affinché dette
imprese non si sostituiscano all’autorità di pubblica sicurezza,
segnatamente in mancanza di identità fra l’attività di cui è causa e
quella rientrante nell’esercizio di pubblici poteri, come esposto al
punto 40 della presente sentenza.
79 Di
conseguenza, le restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera
prestazione dei servizi che risultano dalla normativa controversa non
sono giustificate.
80 Pertanto,
la terza censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a
motivo della territorialità della licenza, è fondata.
Sulla
quarta censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo
dell’obbligo di avere una sede operativa in ogni provincia in cui viene
esercitata l’attività di vigilanza privata
81 Dall’applicazione
del Testo Unico e del regolamento di esecuzione risulta che le imprese
di vigilanza privata sono tenute ad avere una sede operativa in ogni
provincia in cui intendono esercitare la loro attività.
Argomenti delle parti
82 La
Commissione sostiene che l’obbligo menzionato è una restrizione alla
libera prestazione dei servizi non giustificata da alcuna ragione
imperativa di interesse generale.
83 La
Repubblica italiana, che non contesta la prassi prefettizia in
questione né la restrizione alla libera prestazione dei servizi che essa
comporta, fa valere che l’obbligo di disporre di una tale sede
operativa o di locali è diretto ad assicurare, in particolare, un
ragionevole livello di prossimità fra l’area di operatività delle guardie particolari giurate e l’esercizio delle responsabilità direttive, di comando e controllo del titolare della licenza.
Giudizio della Corte
84 Occorre,
innanzi tutto, ricordare che, secondo costante giurisprudenza, la
condizione in base alla quale un’impresa di sorveglianza deve avere la
sua sede di attività nello Stato membro in cui è fornito il servizio è
direttamente in contrasto con la libera prestazione dei servizi in
quanto rende impossibile, in tale Stato, la prestazione di servizi da
parte dei prestatori stabiliti in altri Stati membri (v., in
particolare, sentenze Commissione/Belgio, cit., punto 27, nonché 18
luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 43 e giurisprudenza ivi
citata).
85 È
pacifico che la prassi di cui trattasi nella fattispecie costituisce un
ostacolo, in via di principio vietato, alla libera prestazione dei
servizi garantita dall’art. 49 CE, come del resto ammesso dalla la
Repubblica italiana.
86 Orbene,
una tale restrizione alla libera prestazione dei servizi non può
ritenersi giustificata, qualora non siano soddisfatte le condizioni
ricordate al punto 18 della presente sentenza, e ciò in quanto la
condizione relativa alla sede operativa eccede quanto necessario per
raggiungere lo scopo perseguito, che è quello di assicurare un efficace
controllo dell’attività di vigilanza privata.
87 Il
controllo dell’attività di vigilanza privata, infatti, non è
assolutamente condizionato dall’esistenza di una sede operativa in ogni
provincia di detto Stato nell’ambito della quale le imprese intendono
esercitare la loro attività a titolo della libera prestazione dei
servizi. Un regime di autorizzazioni e gli obblighi che ne discendono,
purché, come osservato al punto 62 della presente sentenza, le
condizioni da rispettare per ottenere tale autorizzazione non si
sovrappongano alle condizioni equivalenti già soddisfatte dal prestatore
di servizi transfrontaliero nello Stato membro di stabilimento, sono
sotto quest’aspetto sufficienti per conseguire lo scopo di controllo
dell’attività di vigilanza privata (v., in tal senso, sentenza 11 marzo
2004, causa C‑496/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I‑2351, punto 71).
88 Si
deve quindi constatare che, obbligando i prestatori di servizi ad avere
una sede operativa in ogni provincia in cui viene esercitata l’attività
di vigilanza privata, la Repubblica italiana è venuta meno agli
obblighi che ad essa incombono ai sensi dell’art. 49 CE.
Sulla
quinta censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo
dell’esigenza di autorizzazione del personale delle imprese di vigilanza
privata
90 In
applicazione dell’art. 138 del Testo Unico, l’esercizio dell’attività
di guardia particolare giurata è soggetto ad un certo numero di
requisiti. Peraltro, la nomina delle guardie giurate dev’essere approvata dal Prefetto.
Argomenti delle parti
91 Secondo
la Commissione, l’instaurazione di tale autorizzazione per il personale
delle imprese di vigilanza privata insediate in altri Stati membri è
contraria all’art. 49 CE poiché la legislazione nazionale non tiene
conto dei controlli ai quali ogni guardia particolare giurata è soggetta
nello Stato membro d’origine.
92 La
Repubblica italiana afferma che tale censura dovrebbe essere esaminata
solo sotto il profilo della libera circolazione dei lavoratori. Inoltre,
essa ribadisce la difesa già prospettata in base all’art. 55 CE
relativamente alla partecipazione degli interessati all’esercizio di
pubblici poteri.
Giudizio della Corte
93 La
Corte ha già dichiarato che il requisito secondo il quale gli
appartenenti al personale di un’impresa di vigilanza privata devono
ottenere una nuova autorizzazione specifica nello Stato membro ospitante
costituisce una restrizione non giustificata alla libera prestazione
dei servizi di tali imprese ai sensi dell’art. 49 CE, in quanto non
tiene conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato
membro di origine (citate sentenze Commissione/Portogallo, punto 66;
Commissione/Paesi Bassi, punto 30, e 26 gennaio 2006,
Commissione/Spagna, punto 55).
94 Orbene,
ciò si verifica nel caso del Testo Unico. Pertanto, dal momento che
l’argomento della Repubblica italiana relativo all’applicazione
dell’art. 55 CE non è pertinente, come già dimostrato in precedenza,
anche la quinta censura è fondata.
Sulla
sesta censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a
motivo della fissazione di requisiti relativi al numero dei dipendenti
Argomenti delle parti
95 Secondo
la Commissione, l’art. 257 del regolamento di esecuzione prevede il
requisito di un numero minimo e/o massimo come organico di guardie particolari giurate per ogni impresa di vigilanza privata.
96 Essa
cita, peraltro, tre autorizzazioni prefettizie, rilasciate da Prefetti
di province diverse, in cui è menzionato il numero di guardie particolari assunte da imprese di vigilanza privata.
97 La
Commissione ritiene che sulla gestione delle imprese di vigilanza gravi
un vincolo assai pesante, poiché, da un lato, il numero esatto dei
dipendenti impiegati in ciascuna sede provinciale è un elemento
indefettibile della domanda di licenza e, dall’altro, ogni modifica
dell’organico del personale dipendente deve essere autorizzata dal
Prefetto. Un obbligo siffatto costituirebbe un ostacolo ingiustificato e
sproporzionato sia all’esercizio del diritto di stabilimento sia alla
libera prestazione dei servizi.
98 La
Repubblica italiana fa valere che l’unico obbligo imposto dalla lettera
della legge riguarda la necessità di comunicare al Prefetto la
composizione dell’organico del personale dipendente, al fine di porre
l’autorità di pubblica sicurezza in condizione di sapere quante persone
in armi prestano servizio in un dato territorio, e ciò per
l’espletamento dei necessari controlli.
99 Essa
aggiunge che le autorizzazioni prefettizie, citate a titolo
esemplificativo dalla Commissione, considerano solamente i dipendenti
dichiarati dai responsabili stessi delle imprese di vigilanza privata e,
di per sé, non impongono alcun obbligo.
Giudizio della Corte
100 È
pacifico che, in applicazione dell’art. 257 del regolamento di
esecuzione, qualsiasi variazione o modifica nel funzionamento
dell’impresa, segnatamente una modifica del numero delle [32703mguardie
impiegate, deve essere comunicata al Prefetto e da questo autorizzata.
L’autorizzazione prefettizia necessaria per l’esercizio dell’attività di
vigilanza privata viene quindi concessa tenuto conto, in particolare,
dell’organico del personale dipendente.
101 Una
tale condizione può indirettamente indurre a vietare un aumento o una
diminuzione del numero di persone assunte dalle imprese di vigilanza
privata.
102 Detta
circostanza è tale da incidere sull’accesso degli operatori stranieri
al mercato italiano dei servizi di vigilanza privata. Tenuto conto,
infatti, delle limitazioni così imposte al potere di organizzazione e
direzione dell’operatore economico e delle relative conseguenze in
termini di costi, le imprese straniere di vigilanza privata possono
essere dissuase dal costituire stabilimenti secondari o filiali in
Italia o dall’offrire i loro servizi sul mercato italiano.
103 Per
quanto riguarda il motivo dedotto dalla Repubblica italiana per
giustificare l’ostacolo alle libertà garantite dagli artt. 43 CE e
49 CE, è giocoforza constatare che l’obbligo di assoggettare ad
autorizzazione del Prefetto qualsiasi modifica nel funzionamento
dell’impresa non può essere immediatamente qualificato inidoneo a
conseguire lo scopo ad esso attribuito di realizzare un controllo
efficace sull’attività di cui trattasi (v., in tal senso, sentenza
18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 59).
104 Tuttavia,
la Repubblica italiana non ha sufficientemente dimostrato in diritto
che il controllo della fissazione del numero dei dipendenti richiesto
dalla legislazione in vigore è necessario per raggiungere lo scopo
perseguito.
Sulla
settima censura, relativa alla violazione degli artt. 43 CE e 49 CE a
motivo dell’obbligo di versare una cauzione presso la Cassa depositi e
prestiti
106 Ai
sensi dell’art. 137 del Testo Unico, le imprese di vigilanza privata
sono tenute a versare una cauzione, nella misura da stabilirsi dal
Prefetto, presso la sezione della Tesoreria provinciale dello Stato, a
favore della Cassa depositi e prestiti, in ciascuna provincia in cui
sono autorizzate ad esercitare la loro attività. Detta cauzione è
diretta a garantire il pagamento di eventuali sanzioni amministrative in
caso di inosservanza delle condizioni che disciplinano il rilascio
della licenza.
Argomenti delle parti
107 Secondo
la Commissione, tale requisito impone un onere economico supplementare
alle imprese che non hanno la loro sede principale in Italia, in quanto
la norma di legge italiana non tiene conto dell’eventuale identico
obbligo che può già esistere nello Stato membro di origine.
108 La
Repubblica italiana osserva che, non essendo l’attività di vigilanza
privata soggetta ad armonizzazione comunitaria, non si può che tener
conto caso per caso della possibilità che l’impresa stabilita in altro
Stato membro abbia già potuto prestare nello Stato membro di origine
idonee garanzie presso istituti di credito analoghi alla Cassa depositi e
prestiti italiana.
Giudizio della Corte
109 La
Corte ha già dichiarato, in materia di vigilanza privata, che l’obbligo
di provvedere ad un deposito cauzionale presso una cassa depositi e
prestiti può ostacolare o scoraggiare l’esercizio della libertà di
stabilimento e della libera prestazione dei servizi, ai sensi degli
artt. 43 CE e 49 CE, nella misura in cui essa rende la fornitura di
prestazioni di servizi o la costituzione di una filiale o di uno
stabilimento secondario più onerosa per le imprese di vigilanza privata
stabilite in altri Stati membri rispetto a quelle stabilite nello Stato
membro di destinazione (v. sentenza 26 gennaio 2006, Commissione/Spagna,
cit., punto 41).
110 Si
deve osservare che, nel caso di specie, l’obbligo di versare una
cauzione va adempiuto in ciascuna delle province in cui l’impresa
intende esercitare la sua attività.
111 Una
restrizione siffatta può essere giustificata solo in quanto l’interesse
generale dedotto, vale a dire porre a disposizione delle autorità
italiane somme che garantiscano l’assolvimento di tutti gli obblighi di
diritto pubblico sanciti dalla dalla normativa nazionale vigente, non
sia già tutelato dalle norme cui il prestatore è assoggettato nello
Stato membro in cui è stabilito.
112 A
tale riguardo, la normativa italiana richiede il deposito di cauzioni
senza tenere conto di eventuali garanzie già prestate nello Stato membro
di origine.
113 Orbene,
dalle osservazioni della Repubblica italiana risulta che le autorità
prefettizie competenti, nelle loro prassi, prenderebbero in
considerazione, caso per caso, le cauzioni versate presso istituti di
credito di altri Stati membri analoghi alla Cassa depositi e prestiti.
114 Con
questa prassi, la Repubblica italiana stessa riconosce che il deposito
di una nuova cauzione in ciascuna delle province in cui l’operatore,
proveniente da altri Stati membri, intende esercitare la sua attività in
base alla libertà di stabilimento o della libera prestazione dei
servizi non è necessario per raggiungere lo scopo perseguito.
Sull’ottava
censura, relativa alla violazione dell’art. 49 CE a motivo
dell’imposizione di un controllo amministrativo dei prezzi
116 In
base all’art. 257 del regolamento di esecuzione, il Prefetto è
incaricato di approvare le tariffe applicate dalle imprese a ogni
prestazione di sicurezza privata. Qualsiasi modifica di tali tariffe
deve essere autorizzata alle stesse condizioni.
117 Peraltro,
dalla circolare del Ministero dell’Interno dell’8 novembre 1999,
n. 559/C. 4770.10089. D, risulta che i Prefetti fissano una tariffa
legale per ciascun tipo di servizio, nonché un’oscillazione percentuale
della citata tariffa all’interno della quale ogni impresa è libera di
scegliere la propria tariffa per ciascun servizio.
118 I
Prefetti devono verificare che le tariffe proposte rientrino
nell’ambito della citata fascia di oscillazione prima di approvarle. Nel
caso in cui quest’ultima non sia osservata, i titolari delle imprese
devono giustificare la fissazione di tariffe non conformi, spettando ai
Prefetti accertare se le imprese possano operare su tale base. Se detta
ultima condizione non può essere dimostrata in maniera inequivocabile,
le tariffe non vengono approvate e, di conseguenza, la licenza non può
essere rilasciata.
Argomenti delle parti
119 La
Commissione ritiene che tale disciplina non sia compatibile con la
libera prestazione dei servizi. Considerato il controllo dei prezzi così
realizzato, le tariffe praticate in Italia impedirebbero ad un
prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di presentarsi
sul mercato italiano o di offrire i suoi servizi a prezzi più
vantaggiosi di quelli praticati dai suoi concorrenti in Italia, o di
proporre servizi più costosi ma ad elevato valore aggiunto, e dunque più
concorrenziali.
120 Una
tale disciplina costituirebbe una misura idonea ad ostacolare l’accesso
al mercato dei servizi di vigilanza privata, per il fatto di impedire
un’efficace concorrenza sul piano dei prezzi.
121 La
Repubblica italiana fa valere che la regolamentazione controversa
risulta giustificata dalla necessità di evitare la fornitura di servizi a
prezzi eccessivamente bassi, che determinerebbero inevitabilmente uno
scadimento del servizio, compromettendo quindi, in particolare, la
tutela di interessi fondamentali riguardanti la sicurezza pubblica.
Giudizio della Corte
122 Secondo
una costante giurisprudenza, l’art. 49 CE osta all’applicazione di
qualsiasi normativa nazionale che abbia l’effetto di rendere la
prestazione di servizi tra gli Stati membri più difficile della
prestazione di servizi puramente interna ad uno Stato membro (v. citata
sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, punto 70).
123 Per
quanto riguarda le tariffe minime obbligatorie, la Corte ha già
dichiarato che una normativa che vieti in maniera assoluta di derogare
convenzionalmente agli onorari minimi determinati da una tariffa forense
per prestazioni che sono, al tempo stesso, di natura giudiziale e
riservate agli avvocati, costituisce una restrizione della libera
prestazione dei servizi prevista dall’art. 49 CE (sentenza 5 dicembre
2006, cause riunite C‑94/04 e C‑202/04, Cipolla e a.,
Racc. pag. I‑11421, punto 70, e 18 luglio 2007, Commissione/Italia,
cit., punto 71).
124 Nella
controversia in esame, la circolare n. 559/C. 4770.10089. D, menzionata
al punto 117 della presente sentenza, riconosce ai Prefetti un potere
decisionale relativo alla fissazione di una tariffa di riferimento e
all’approvazione delle tariffe proposte dagli operatori, con conseguente
diniego dell’autorizzazione qualora le dette tariffe non siano state
approvate.
125 La
restrizione così apportata alla libera fissazione delle tariffe è
idonea a restringere l’accesso al mercato italiano dei servizi di
vigilanza privata di operatori, stabiliti in altri Stati membri, che
intendano offrire i loro servizi nello Stato in questione. Tale
limitazione, infatti, ha, da un lato, l’effetto di privare gli operatori
in parola della possibilità di porre in essere, offrendo tariffe
inferiori a quelle fissate da una tariffa imposta, una concorrenza più
efficace nei confronti degli operatori economici installati stabilmente
in Italia e ai quali, pertanto, risulta più facile che agli operatori
economici stabiliti all’estero fidelizzare la clientela (v., in tal
senso, sentenza 18 luglio 2007, Commissione/Italia, cit., punto 72 e
giurisprudenza ivi citata). Dall’altro, questa stessa limitazione è
idonea ad impedire ad operatori stabiliti in altri Stati membri di
inserire nelle tariffe delle loro prestazioni taluni costi che non
devono sopportare gli operatori stabiliti in Italia.
126 Infine,
il margine d’oscillazione concesso agli operatori non è tale da
compensare gli effetti della limitazione così apportata alla libera
fissazione delle tariffe.
127 Si realizza pertanto una restrizione alla libera prestazione dei servizi garantita dall’art. 49 CE.
128 Per
quanto riguarda i motivi dedotti dalla Repubblica italiana per
giustificare la restrizione di cui trattasi, detto Stato membro non ha
fornito elementi idonei a dimostrare le conseguenze positive del regime
di fissazione dei prezzi né in relazione alla qualità dei servizi
prestati ai consumatori, né in relazione alla sicurezza pubblica.
130 Alla luce di quanto precede, si deve constatare che, avendo disposto, nell’ambito del Testo Unico, che:
– l’attività
di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione
di un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana, la Repubblica
italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE
e 49 CE;
– l’attività di vigilanza
privata possa essere esercitata dai prestatori di servizi stabiliti in
un altro Stato membro solo [previo] rilascio di un’autorizzazione del
Prefetto con validità territoriale, senza tenere conto degli obblighi
cui tali prestatori sono già assoggettati nello Stato membro di origine,
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti
dall’art. 49 CE;
– la detta
autorizzazione abbia una validità territoriale limitata ed il suo
rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e
dell’importanza delle imprese di vigilanza privata già operanti nel
territorio in questione, la Repubblica italiana è venuta meno agli
obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;
– le
imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni
provincia in cui esse esercitano la propria attività, la Repubblica
italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;
– il
personale delle suddette imprese debba essere individualmente
autorizzato ad esercitare attività di vigilanza privata, senza tenere
conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro
di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa
derivanti dall’art. 49 CE;
– le
imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o
massimo di personale per essere autorizzate, la Repubblica italiana è
venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;
– le
imprese di cui trattasi debbano versare una cauzione presso la Cassa
depositi e prestiti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi
ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE, e
– i
prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con
autorizzazione del Prefetto nell’ambito di un determinato margine
d’oscillazione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad
essa derivanti dall’art. 49 CE.
Sulle spese
131 Ai
sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte
soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché
la Commissione ne ha fatto domanda, la Repubblica italiana, rimasta
soccombente, deve essere condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara e statuisce:
1) Avendo
disposto, nell’ambito del Testo Unico delle Leggi di Pubblica
Sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, così come
modificato, che:
– l’attività
di guardia particolare possa essere esercitata solo previa prestazione
di un giuramento di fedeltà alla Repubblica italiana, la Repubblica
italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE
e 49 CE;
– l’attività
di vigilanza privata possa essere esercitata dai prestatori di servizi
stabiliti in un altro Stato membro solo [previo] rilascio di
un’autorizzazione del Prefetto con validità territoriale, senza tenere
conto degli obblighi cui tali prestatori sono già assoggettati nello
Stato membro di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli
obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;
– la
detta autorizzazione abbia una validità territoriale limitata ed il suo
rilascio sia subordinato alla considerazione del numero e
dell’importanza delle imprese di vigilanza privata già operanti nel
territorio in questione, la Repubblica italiana è venuta meno agli
obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;
– le
imprese di vigilanza privata debbano avere una sede operativa in ogni
provincia in cui esse esercitano la propria attività, la Repubblica
italiana è venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dall’art. 49 CE;
– il
personale delle suddette imprese debba essere individualmente
autorizzato ad esercitare attività di vigilanza privata, senza tenere
conto dei controlli e delle verifiche già effettuati nello Stato membro
di origine, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa
derivanti dall’art. 49 CE;
– le
imprese di vigilanza privata debbano utilizzare un numero minimo e/o
massimo di personale per essere autorizzate, la Repubblica italiana è
venuta meno agli obblighi ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE;
– le
imprese di cui trattasi debbano versare una cauzione presso la Cassa
depositi e prestiti, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi
ad essa derivanti dagli artt. 43 CE e 49 CE, e
– i
prezzi per i servizi di vigilanza privata siano fissati con
autorizzazione del Prefetto nell’ambito di un determinato margine
d’oscillazione, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad
essa derivanti dall’art. 49 CE.
2) La Repubblica italiana è condannata alle spese.
Firme
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