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Cass. pen. Sez. VI, (ud. 17-10-2007) 07-11-2007, n. 40891
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio Felice - Presidente
Dott. MARTELLA
Ilario Salvatore - Consigliere
Dott. SERPICO Francesco - Consigliere
Dott. CONTI Giovanni - Consigliere
Dott. ROTUNDO Vincenzo -
Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso
proposto da:
1) C.W., N. IL (OMISSIS);
avverso SENTENZA del
23/09/2005 CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, la sentenza ed il
ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere
Dr. MARTELLA ILARIO SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sost.
Proc. Gen. Dr. Galati Giovanni, che ha concluso per l'annullamento
senza rinvio, per intervenuta prescrizione del reato;
udito il
difensore della p.c. avv. Sansonetti MArio;
udito il difensore avv.
Corvaglia Luigi.
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Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della
decisione
1. Con sentenza in data 30.10.2003, il Tribunale di Lecce
dichiarava C.W. colpevole del reato di cui all'art. 81 cpv. c.p. e art.
323 c.p. (commesso in (OMISSIS)) e, in concorso con le riconosciute
attenuanti generiche, lo condannava alla pena - sospesa - di un anno di
reclusione.
All'affermazione di responsabilità seguiva la condanna al
risarcimento del danno - da liquidarsi in separata giudizio - e alla
rifusione delle spese processuali in favore di CO.Ma.
R., costituitasi
parte civile.
Al C. veniva addebitato di avere, quale Sindaco del
Comune di Scorrano, con più azioni esecutive del medesimo disegno
criminoso, abusato della sua qualifica e del suo ufficio, adottando tre
provvedimenti con cui si disponeva che la sig.ra CO.Ma.
R., dipendente
del Comune di Scorrano con la 6^ qualifica funzionale e le mansioni di
coordinatrice economa dell'asilo nido comunale, fosse destinata a
svolgere le mansioni di "prevenzione e accertamento delle violazioni in
materia di sosta", in violazione della L. n. 127 del 1997, art. 17,
commi 132 e 133, della Circolare ministeriale n. (OMISSIS) del 25.9.97,
esplicativa del citato D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 17, commi 132 e 133
e art. 56 (oltre che dell'art. 7 C.C.N.L. approvato con D.P.R. n. 593
del 1993) per avere egli, prima di pervenire all'individuazione della
CO. quale destinataria dei citati provvedimenti, omesso di procedere ad
una comparazione fra il personale dipendente di pari qualifica, nonchè
di valutarne preventivamente l'idoneità e l'indispensabile
qualificazione professionale, così recando un ingiusto danno alla
nominata CO., destinata allo svolgimento di mansioni inferiori rispetto
a quelle per le quali era stata assunta e "costretta ad esercitare un
lavoro all'aperto più gravoso rispetto a quello esercitato in
precedenza". 2. Su gravame dell'imputato, la Corte di Appello di Lecce,
con sentenza in data 23.9.2005, depositata il 12 gennaio 2007,
confermava l'impugnata decisione.
Ritenevano i giudici del merito la
ricorrenza del reato contestato, sulla base del comportamento
vessatorio e persecutorio - ritenuto ampiamente provato - posto in
essere dal C. nei confronti della CO., all'uopo osservando:
la CO.,
dipendente di 6^ livello con funzioni di coordinatrice economa
dell'asilo nido comunale, venne, di punto in bianco, senza alcun
provvedimento formale, spostata di sede e gradatamente esautorata delle
sue funzioni e costretta a svolgere mansioni appartenenti a qualifiche
inferiori: tale comportamento si riteneva di per sè bastevole ad
evidenziare l'atteggiamento tenuto nei confronti della CO. dal C., fin
dagli inizi della sua esperienza sindacale (l'imputato era stato eletto
sindaco nel novembre 1993 e il provvedimento nei confronti della CO.
risaliva al 2 febbraio 1994) culminato, poi, nei tre provvedimenti
oggetto del processo;
la CO. fu destinataria dei provvedimenti
adottati dal C. ai sensi della L. n. 127 del 1997, art. 17, ma nessuno
dei testi escussi (meno che mai i segretari comunali succedutisi presso
il Comune di Scorrano), avevano saputo riferire come mai si fosse
giunti ad individuare nella "direttrice dell'asilo nido", dipendente di
6^ livello, la persona più adatta a svolgere le mansioni di ausiliario
del traffico (senza alcuna preventiva visita medica e senza alcuna
preventiva riqualificazione professionale, in spregio alla circolare
ministeriale 25.9.1997); ulteriore manifestazione di umiliazione e
dequalificazione professionale della CO., era dato constatare dalla
circostanza che dopo l'ennesima visita collegiale che aveva certificato
l'idoneità della predetta alle mansioni per cui era stata assunta, la
medesima venne restituita all'asilo nido senza che, tuttavia, ne
venissero precisate le mansioni da svolgere e che non furono, di certo,
quelle per cui era stata assunta.
Tali emergenze fattuali inducevano i
giudici del merito a ravvisare nella condotta del C., gli estremi del
mobbing, rilevabili in quei comportamenti con cui il datore di lavoro o
il superiore gerarchico esercita una sorta di terrorismo psicologico
(fatto di vessazioni, umiliazioni, dequalificazioni professionali,
eccessivo ricorso alle visite mediche di controllo anche a fronte di
referti confermativi della patologia denunciata dal lavoratore, ecc.),
nei confronti di uno o più dipendenti, così da coartarne o piegarne la
volontà e che sovente è causa di gravi patologie interessanti la sfera
neuropsichica del soggetto esposto.
Tale conclusione - oltre che utile
a lumeggiare la personalità dell'imputato posta in stretta connessione
con i tre provvedimenti adottati dal C. fra il 15.9.97 ed il 31.1.98 e
indicati nel capo di imputazione - valeva ad integrare, alla stregua
della valutazione espressa in sede di merito, il contestato reato di
abuso d'ufficio.
Ritenuta la fondatezza delle doglianze della CO. e la
non legittimità dei provvedimenti adottati dal C. nei confronti della
predetta (sia perchè non rispettosi del disposto di cui al D.Lgs. n. 29
del 1993, art. 56 - cui la L. n. 127 del 1997, art. 17, va
necessariamente raccordato - non risultando evidenziate le ragioni
sulla base delle quali fu individuata proprio la CO., piuttosto che
altri dipendenti comunali, a svolgere le mansioni di ausiliario del
traffico, sia perchè, come detto, questi costituirono il suggello di
tutta una serie di condotte "mobbizzanti", tese a dequalificare
professionalmente la parte lesa), veniva ravvisato un comportamento da
parte del C. idoneo ad integrare altresì l'illecito di cui all'art.
2043 c.c., non potendosi dubitare che la descritta condotta del
pubblico ufficiale avesse prodotto un evidente danno alla parte lesa,
costituito dalla dequalificazione professionale conseguente
all'esercizio di mansioni inferiori rispetto a quelle di appartenenza,
da cui è derivata una serie patologia neuro-psichiatrica,
analiticamente descritta dal dott. T., consulente della parte civile
(in cui si evidenzia come la sintomatologia lamentata dalla CO. -
puntate ipertensive, tachicardia, stato d'ansia, agitazione e tensione
emotiva - fosse dovuta allo stato di stress derivatole dai fatti
oggetto di giudizio).
Da tali emergenze fattuali si è, quindi, dedotto
il convincimento che il C. intese recare intenzionalmente pregiudizio
alla parte lesa, "coprendo" tale condotta sotto supposte (ma non
provate) ragioni di interesse pubblico. Di qui la sussistenza del dolo,
nei termini di cui all'art. 323 c.p..
3. Con il proposto ricorso per
Cassazione, l'imputato, a mezzo dei difensori avv.ti Pietro QUINTO e
Luigi CORVAGLIA, denuncia:
violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1,
lett. b) ed e), in relazione all'art. 323 c.p. Si eccepisce che, in
applicazione della normativa vigente, il provvedimento sindacale n.
12082 del 15.9.97 che, con adeguata motivazione, disponeva che la sig.
ra CO.Ma.
R. fosse destinata dal 16.9.97 al 29.9.97 a svolgere
mansioni di "prevenzione e accertamento delle violazioni in materia di
sosta" è un atto amministrativo legittimo e conforme alla legge, in
quanto detta normativa consentiva di adibire il dipendente a svolgere
occasionalmente e ove possibile con criteri di rotazione, compiti o
mansioni immediatamente inferiori..., senza che ciò comportasse alcuna
variazione del trattamento economico.
Si richiama che, a seguito
dell'indagine integrativa disposta dal G.U.P., ai sensi dell'art. 421 c.
p.p., veniva acquisita una nota redatta dalla segreteria comunale di
Scorrano, dalla quale si evince che, tra i dipendenti con la 6^
qualifica funzionale, l'unica che potesse essere destinata a svolgere
le funzioni di ausiliaria del traffico era la sig.ra CO.Ma.Ro., talchè
non poteva essere adottato il criterio della rotazione essendosi la
stessa CO. sottratta all'espletamento del servizio.
Comunque, non è da
ritenersi configurabile, il delitto di cui all'art. 323 c.p. allorchè
sussista la violazione di un contratto collettivo applicabile ai
rapporti di pubblico impiego (Cass., Sez. 6, 3.11.2005, n. 13511), per
mancanza del presupposto necessario della "violazione di legge o di
regolamento".
Peraltro, tutti i provvedimenti che hanno interessato la
sig.ra CO. e che sono stati oggetto di imputazione, sono stati adottati
in forma scritta e puntualmente motivati, mentre non può ritenersi
integrata la violazione dell'obbligo di motivazione, entrando nel
merito della stessa al fine di condividerla o meno, poichè in tal modo
si travalica il compito consentito al giudice penale, al quale compete
solo l'accertamento dell'esistenza della motivazione e non la "qualità
della stessa".
In conclusione, la condotta del ricorrente,
nell'adozione degli atti amministrativi indicati nel capo
d'imputazione, è da ritenersi legittima e conforme alle norme di legge
regolanti la materia, talchè nella fattispecie non può ravvisarsi il
dolo come richiesto dall'art. 323 c.p..
4. Il reato ascritto
all'imputato - abuso d'ufficio continuato - va dichiarato estinto per
prescrizione, per essere decorso dal tempus commissi delicti
(15.9.1997) il termine previsto dalla legge, non sussistendo i
presupposti per il proscioglimento nel merito, ex art. 129 c.p.p.,
comma 2 - come difensivamente richiesto - poichè dagli atti non risulta
"evidente" che il fatto non sussiste o non costituisce reato.
Osserva
il Collegio: la censura mossa dal ricorrente alla sentenza impugnata è
che la condotta posta in essere dall'imputato, nella sua veste di
pubblico ufficiale (quale Sindaco del Comune di Scorrano), nei
confronti della dipendente comunale CO.Ma.Ro., non possa sussumersi
nella fattispecie delittuosa, ex art. 323 c.p., non avendo in alcun
modo inciso sul buon funzionamento e imparzialità dell'azione
amministrativa, in quanto non in contrasto con norme "specificamente
mirate ad inibire o prescrivere la condotta stessa", norme che,
comunque, non presenterebbero i caratteri formali e il regime giuridico
della legge o dei regolamenti.
Tale assunto non può ritenersi fondato,
in quanto le risultanze processuali evidenziate nelle decisioni di
merito, attestano inequivocamente la ricorrenza degli elementi
costitutivi del contestato reato di abuso d'ufficio.
Quanto alla
violazione delle norme di legge, il demansionamento della dipendente
comunale CO.Ma.Ro. da economo e ragioniere presso l'asilo nido di
Scorrano, a mansioni di "prevenzione e di accertamento delle violazioni
in materia di sosta", appare essere stato adottato dal Sindaco C. in
evidente violazione del disposto del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 56 sui
dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni e dell'art. 7 C.C.N.L. dei
dipendenti degli enti locali recepito nel D.P.R. n. 593 del 1993. Pur
consentendo tali norme che un dipendente possa essere adibito a
svolgere compiti di qualifica immediatamente inferiore, ne evidenziano,
tuttavia, l'occasionalità di tale destinazione e la possibilità che ciò
avvenga con criteri di rotazione.
Tale ratio legis risulta inosservata
dal Sindaco C.:
per non avere dato conto con adeguata motivazione dei
criteri d'individuazione del dipendente da demansionare, sia pure
occasionalmente; - per aver omesso di prevedere una rotazione per tutti
i dipendenti astrattamente idonei ad essere nominati;
per aver omesso
di motivare sulle cause che hanno reso impossibile il ricorso a tali
canoni di comportamento espressamente richiamati dalla legge.
Quanto
all'elemento soggettivo del reato, l'avverbio intenzionalmente, che
figura nel testo della norma incriminatrice, esclude la configurabilità
del dolo sotto il profilo indiretto od eventuale; e richiede che
l'evento costituito dall'ingiusto vantaggio patrimoniale o dal danno
ingiusto sia voluto dall'agente e non già semplicemente previsto ed
accettato come possibile conseguenza della propria condotta, in ipotesi
diretta ad un fine pubblico, sia pure perseguito con una condotta
illegittima. Ciò, beninteso, a patto che il perseguimento di tale fine
non rappresenti un mero pretesto, col quale venga mascherato
l'obiettivo reale della condotta.
Ne deriva che, per escludere il dolo
sotto il profilo dell'intenzionalità, occorre ritenere, con ragionevole
certezza, che l'agente si proponga il raggiungimento di un fine
pubblico, proprio del suo ufficio. Un'ipotesi del genere, in subiecta
materia, è stata motivatamente esclusa dai giudici del merito, che
hanno ritenuto indubbia la ricorrenza dell'intenzionalità dell'abuso in
danno, sia per quanto dianzi rilevato, sia perchè la reiterata condotta
del Sindaco C. a destinare persistentemente la CO., piuttosto che altri
dipendenti comunali, a svolgere le mansioni di ausiliario del traffico,
appaiono costituire il suggello di tutta una serie di elementi
caratterizzanti quel fenomeno sociale noto come mobbing, consistente in
atti e comportamenti posti in essere dal datore di lavoro o dal
superiore gerarchico che mira a danneggiare il dipendente, così da
coartarne o da piegarne la volontà:
comportamenti tesi, nella
fattispecie, a dequalificare professionalmente la parte lesa, tali da
concretare oltre che il reato di abuso d'ufficio in danno di costei, da
integrare, altresì, l'illecito di cui all'art. 2043 c.c., essendo
derivata, quale ulteriore conseguenza di detti comportamenti
"mobbizzanti" del C., una seria patologia neuro-psichiatrica a carico
della CO.: attività amministrativa illegittima, dunque, da cui è
derivata, in una con la lesione dell'interesse legittimo in sè
considerato, quella dell'interesse al bene della vita, che risulta
meritevole di protezione, con conseguente risarcibilità del danno
causato (cfr.: Cass., Sez. 6, 24 febbraio 2000, Genazzani).
Per quanto
sopra va disposto l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata
per essere il reato estinto per prescrizione, ferme restando le
statuizioni civili.
Il ricorrente va, altresì, condannato alla
rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado di
giudizio, spese che vengono liquidate in complessivi Euro 2.168,44,
oltre I.V.A. e C.P.A..
P.Q.M.
LA CORTE Annulla senza rinvio la
sentenza impugnata perchè il reato è estinto per prescrizione, ferme
restando le statuizioni civili.
Condanna il ricorrente alla rifusione
delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado di giudizio,
che liquida in complessivi Euro 2.168,44, oltre I.V.A. e C.P.A..
Così
deciso in Roma, il 17 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 7
novembre 2007
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