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Spaccio di stupefacenti, per provare il reato non è necessario il rinvenimento della sostanza |
La consumazione della fattispecie criminosa può essere dimostrata attraverso intercettazioni, accertamenti di polizia, deposizioni di testimoni e ammissioni dell'imputato |
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:
Dott. MARINI Lionello - Presidente
Dott. CAMPANATO
Graziana - Consigliere
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere
Dott. NOVARESE Francesco - Consigliere
Dott. PICCIALLI Patrizia -
Consigliere
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso
proposto da:
M.S., n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di
Appello di Torino in data 9 gennaio 2006;
udita la relazione fatta dal
Consigliere Dott. Patrizia Piccialli;
udito il Procuratore Generale
nella persona del Sost. Proc. Gen. Dott. Anna Maria De Sandro che ha
concluso chiedendo l'inammissibilità dei ricorsi;
udito il difensore
avv. Perga Wilmer del Foro di Torino che ha concluso chiedendo
l'annullamento del provvedimento impugnato.
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Fatto - Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo - Motivi della
decisione
Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di
Torino, in parziale riforma della sentenza di primo grado, derubricato
il reato di detenzione ai fini di spaccio di un rilevante quantitativo
di sostanza stupefacente - contestato al capo A - ad ipotesi di
tentativo, esclusa l'aggravante contestata, riteneva reato più grave
quello contestato al capo F (altro episodio di cessione di sostanza
stupefacente di tipo cocaina) e rideterminava la pena complessiva
inflitta a M.S. in quella di anni 10 di reclusione ed Euro 46.000,00 di
multa.
L'imputato sopra indicato, in concorso con altri - non
ricorrenti - è stato coinvolto a diverso titolo in diversi episodi di
acquisto e detenzione di sostanze stupefacenti, di tipo cocaina, tutti
commessi, come risulta dalla contestazione tra il novembre 2003 ed il
febbraio 2004.
La sentenza impugnata, dato atto della acquiescenza del
M. in ordine alla affermazione di responsabilità per i delitti di cui
ai capi da D ad I, accoglieva il motivo di appello con riferimento al
capo A della imputazione, derubricando l'acquisto ad ipotesi di
tentativo ed escludeva l'aggravante contestata D.P.R. n. 309 del 1990,
ex art. 80, comma 2; ritenuto, pertanto, reato più grave quello
contestato al capo F, applicava, in relazione al reato di cui al capo
A, quale aumento ex art. 81 c.p., comma 2, la pena di anni uno, mesi 10
di reclusione ed Euro 6000,00 di multa a titolo di continuazione,
tenendo fermi gli aumenti di pena già fissati per gli altri reati
satellite.
La sentenza respingeva, invece, l'appello con riferimento
ai reati contestati sub B e C, sottolineando di condividere la
ricostruzione dei fatti e la motivazione posta a fondamento della
decisione di primo grado, che aveva valorizzato, oltre il contenuto di
intercettazioni telefoniche, i pregressi rapporti tra il M. ed altro
coimputato, l'uso da parte di quest'ultimo dell'auto del primo e la
preoccupazione manifestata dal ricorrente per il mancato rientro
dell'amico a seguito dell'arresto.
M.S. propone due distinti ricorsi,
tramite diversi difensori.
L'avv. Basilio Foti con il primo motivo
censura la sentenza impugnata con riferimento al giudizio di
responsabilità per i reati, entrambi contestati in concorso, di
tentativo di acquisto di sostanze stupefacenti (ex artt. 110, 56 c.p. e
D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 di cui al capo B) ed acquisto e
trasporto di sostanze stupefacenti (D.P.R. n. 309 del 1990, ex art. 73,
di cui al capo C). In proposito si duole della manifesta illogicità
della motivazione in relazione alla valutazione del quadro indiziario,
che non sarebbe caratterizzato dai requisiti di gravità, precisione e
concordanza, ex art. 192 c.p.p., comma 2. In particolare, con
riferimento al capo B, la Corte di merito, ai fini del giudizio di
responsabilità, avrebbe valorizzato alcune conversazioni telefoniche,
oggetto di intercettazione, già indicate nella sentenza di primo grado,
arrivando illogicamente a qualificare come tentativo punibile atti non
idonei ed equivoci, mancando sia la certezza del fatto che un corriere
albanese avrebbe dovuto giungere a Padova con il carico di sostanze
stupefacenti sia la prova dell'accordo su qualità e prezzo della
sostanza stupefacente.
Analoga censura viene proposta con riferimento
al giudizio di responsabilità per il reato di cui al capo C, sul
rilievo che la Corte di merito avrebbe anche in questo caso fondato il
giudizio di responsabilità su indizi non univoci quale il fatto che un
coimputato, al momento dell'arresto, fosse alla guida di un'autovettura
normalmente in uso al ricorrente e su di una conversazione telefonica
intercettata con il fornitore albanese, effettuata mentre i due
coimputati erano insieme nella stessa città.
Con il secondo motivo si
duole della eccessività della pena detentiva irrogata a titolo di
continuazione con riferimento al reato contestato al capo A,
derubricato ad ipotesi di tentativo ed esclusa l'aggravante di cui al D.
P.R. n. 309 del 1990, art. 80, comma 2.
L'illogicità della decisione
sarebbe evidente, ad avviso del difensore, dalla valutazione
comparativa della pena detentiva inflitta per il reato di cui al capo B
(mesi 7 di reclusione).
L'avv. Wilmer Perga articola quattro motivi.
Con il primo censura la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte
di merito con riferimento al reato di cui al capo B, avrebbe omesso
ogni riferimento ai fatti dai quali ha tratto la conclusione che
l'accordo fosse stato raggiunto, non essendo sufficiente il richiamo
alle telefonate intercettate, nelle quali mancherebbe ogni riferimento
al prezzo, qualità e quantità della droga, per cui il mancato arrivo
della droga non può costituire tentativo punibile ex art. 56 c.p..
Con
il secondo motivo si duole della manifesta illogicità della motivazione
in relazione al giudizio di responsabilità con riferimento al reato di
cui al capo C, laddove la condotta del M. (preoccupato del mancato
rientro a casa del coimputato) non poteva costituire un valido elemento
indiziante.
Con il terzo si duole della manifesta illogicità della
motivazione nella parte in cui i giudici di appello hanno qualificato
come reato più grave quello di cui al capo F, laddove, non solo non
erano rinvenibili modalità particolarmente allarmanti della condotta
delittuosa ma oltretutto, come evidenziato dalla stessa Corte di
merito, trattatasi di cd." droga parlata", priva di ogni reperto
obiettivo.
Con il quarto motivo lamenta la manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla valutazione relativa alla mancata
concessione delle attenuanti generiche fondato su una violazione da
parte del ricorrente del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 14 sulla
immigrazione clandestina, oggetto di giudizio in quella stessa udienza,
ma non acquisito agli atti del procedimento.
La mancata acquisizione
non avrebbe reso possibile valutare le ragioni che potevano
giustificare il mancato allontanamento del M..
Il ricorso è infondato.
In proposito, i motivi di ricorso vanno trattati congiuntamente,
apprezzando quelli relativi al compendio probatorio e quelli relativi
al trattamento sanzionatorio (più specificamente, agli aumenti
stabiliti per la continuazione e alla concessioni delle attenuanti
generiche).
Relativamente ai primi, la motivazione di condanna appare
corretta, con riferimento all'applicazione della disciplina di settore.
A tal riguardo, per contrastare la doglianza secondo cui la condanna
avrebbe riguardato una fattispecie caratterizzata dalla cd. "droga
parlata", basta ricordare quella giurisprudenza (cfr., tra le altre,
Cassazione, Sezione 6^, 14 ottobre 1986, Manara; di recente, Sezione
4^, 20 novembre 2003, De Lorenzo ed altri; Sezione 4^, 30 novembre
2005, Garuccio; nonchè, Sezione 4^, 28 ottobre 2005, Secchi, che, nella
specie, ha dedotto la prova del reato dal contenuto delle
intercettazioni) secondo la quale, per provare il delitto di spaccio di
droga e ciò vale anche per le altre condotte illecite punite dal D.P.R.
n. 309 del 1990, art. 73), non sono indispensabili il sequestro o il
rinvenimento di sostanze stupefacenti, poichè la consumazione di tale
reato può essere dimostrata attraverso le risultanze di altre fonti
probatorie, quali le ammissioni dello stesso imputato, le deposizioni
dei testimoni, gli accertamenti di polizia, le risultanze delle
intercettazioni o qualsiasi altro elemento di significato univoco.
Mentre per quanto riguardo la doglianza che vorrebbe sostenere esservi
stata condanna per un episodio di tentato acquisto di droga privo dei
requisiti dell'univocità ed in equivocità, la soluzione interpretativa
va trovata ricostruendo quello che è il proprium della condotta di
acquisto di droga e delle condizioni per apprezzarne la relativa
consumazione.
Detta soluzione, in altri termini, passa attraverso
l'attenta lettura del testo della norma (il D.P.R. n. 309 del 1990,
art. 73), dove si prevede, per quanto interessa, accanto alle condotte
dell'acquisto e della ricezione, quella della "detenzione".
Quest'ultima, per assunto pacifico (v., tra le altre, Cassazione
Sezione 6^, 9 giugno 1997, Satanassi ed altro; e, più di recente,
Sezione 5^, 4 dicembre 2002, Nobile ed altro), non implica
necessariamente un contatto fisico immediato con la sostanza
stupefacente, ma va intesa come "disponibilità di fatto" di questa.
Evidentemente, la condotta di acquisto, per conservare un autonomo
spazio applicativo, non può che riguardare quelle situazioni,
prodromiche alla detenzione, in cui il soggetto acquirente non ha
ancora materialmente o di fatto acquisito la disponibilità della
sostanza.
Ne discende che per ritenere l'acquisto consumato è
sufficiente (ma necessario) l'accordo (sulla quantità e qualità della
sostanza e sul prezzo da pagare) tra acquirente e venditore, senza che
siano richieste la traditio e la corresponsione del prezzo (cfr.
Cassazione, Sezione 6^, 17 aprile 2003, Visciglia ed altri; nonchè, di
recente, Sezione 4^, 10 marzo 2005, Orlando).
Sufficiente, perchè,
appunto, con la traditio (ed eventualmente il pagamento del prezzo) la
condotta applicabile sarebbe quella della detenzione (non a caso
costruita dalla norma incriminatrice di cui all'art. 73 come
onnicomprensiva e residuale: "...e comunque illecitamente detiene").
Necessario, perchè in difetto di un accordo nei termini suesposti,
potrebbe discutersi semmai di applicabilità della fattispecie tentata
(sulla configurabilità del tentativo di acquisto, v.
Cassazione,
Sezione 6^, 26 novembre 1987, Trimboli, e Sezione 1^, 2 dicembre 1985,
Bonvicini; nonchè, di recente, Sezione 4^, 10 marzo 2005, Orlando,
secondo la quale, qualora tra acquirente e venditore della sostanza
stupefacente non si raggiunga l'accordo sulla quantità e qualità della
sostanza e sul prezzo da pagare, a carico dell'acquirente è
configurabile il reato di tentato acquisto di sostanza stupefacente).
Da quanto esposto discende la correttezza dell'impostazione giuridica
della sentenza gravata.
Mentre, sotto il profilo dell'apprezzamento
del quadro probatorio a carico, si è in presenza di una motivazione
analitica e satisfattiva - anche alla luce di quella della sentenza di
primo grado - che qui non può essere sindacata.
Relativamente ai
motivi di ricorso afferenti al trattamento sanzionatorio, va ricordato
che rientrano nella discrezionalità valutativa del giudice di merito il
potere di pervenire alla quantificazione della pena ritenuta adeguata,
quello di determinare gli aumenti per la continuazione quello di
riconoscere/negare le attenuanti generiche. Ciò che è imposto al
giudice è di fornire, in proposito, adeguata motivazione che faccia
riferimento ai parametri di cui all'art. 133 c.p..
Ciò che nella
specie non può essere messo in dubbio, non potendosi quindi, qui,
censurare, nel merito, l'apprezzamento reso in proposito dal
giudicante.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e
condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così
deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 ottobre 2007.
Depositato in Cancelleria il 30 novembre 2007
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