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mercoledì 14 agosto 2013

Cassazione: Guinzaglio al cane sempre obbligatorio in luogo pubblico







Guinzaglio al cane sempre obbligatorio in luogo pubblico
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 03-10-2007) 23-11-2007, n. 43390


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri
Magistrati:

Dott. MARINI Lionello - rel. Presidente

Dott. CAMPANATO
Graziana - Consigliere

Dott. BARTOLOMEI Luigi - Consigliere

Dott.
BRUSCO Carlo Giuseppe - Consigliere

Dott. PICCIALLI Patrizia -
Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso
proposto da:

...omissismsmvld...., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza emessa in
data 27/1/2003 dalla CORTE D'APPELLO DI ROMA;

visti gli atti, la
sentenza impugnata e il ricorso;

udita IN PUBBLICA UDIENZA la
relazione svolta dal Consigliere Dott. MARINI LIONELLO;

sentite le
conclusioni del Procuratore Generale, Dott. SANTI CONSOLO, il quale ha
chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;

sentite le conclusioni
del difensore della parte civile ...omissismsmvld...., AVV. SCALISE GAETANO del Foro
di Roma, il quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso e
condannarsi il ricorrente alla rifusione delle spese di P.C.;

sentite
le conclusioni del difensore del ricorrente, AVV. ANDRIANI RICCARDO del
Foro di Roma, il quale ha chiesto l'annullamento della sentenza
impugnata.


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Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
Con sentenza emessa il
24 settembre 2001 il giudice monocratico del Tribunale di Roma
dichiarava ...omissismsmvld.... responsabile del reato di lesioni colpose gravi
commesso il giorno (OMISSIS) in danno di ...omissismsmvld.... - caduto a terra mentre
correva all'interno del parco di (OMISSIS) della capitale perchè il
cane (pastore tedesco) di proprietà dell'imputato gli aveva tagliato la
strada e l'aveva assalito - e, riconosciute le circostanze attenuanti
generiche giudicate equivalenti alla contestata aggravante, lo
condannava alla pena di un mese di reclusione, con ambo i benefici di
legge, nonchè al risarcimento dei danni cagionati alla persona offesa
costituitasi parte civile, concedendo una provvisionale immediatamente
esecutiva nella misura di L. 20.000.000.

Assolveva invece V.G. dallo
stesso reato, a lei contestato come commesso in cooperazione colposa
con il coimputato (art. 113 c.p.) per non avere commesso il fatto.

Il
giudicante, ricostruita la vicenda nel senso che indubbiamente la
rovinosa caduta a terra dello Sc. era stata causata dal violento
impatto con il cane, a seguito del quale era mancato alla persona
offesa l'appoggio del piede, affermava non esservi dubbi sulla
responsabilità dello S., il quale era accorso subito sul luogo del
fatto, aveva richiamato il cane e lo aveva tenuto fermo per il collare
(non avendo seco il guinzaglio) ed aveva dichiarato, in quel contesto,
allo Sc. di essere il proprietario dell'animale.

L'esclusione della
responsabilità di V.G. veniva motivata con il duplice rilievo della
mancanza di prova di un vero "rapporto di possesso" tra costei -
presente al momento di verificazione dell'infortunio - ed il cane, e
della irrilevanza del fatto che la donna, a distanza di circa dieci
giorni dall'incidente, avesse provveduto a registrare al proprio nome
il pastore tedesco presso l'anagrafe canina; tale condotta, spiegata
dalla V. con la circostanza che lo S. si era, dopo l'accaduto, disfatto
dell'animale cedendolo all'amica la quale lo aveva pertanto portato
seco a (OMISSIS), era, anzi, dimostrativa della buona fede della
coimputata, la quale, nonostante fosse perfettamente al corrente
dell'incidente occorso alo Sc., aveva voluto acquistare il cane dallo
S. ed espletare le formalità di legge per la registrazione.

Avverso la
suddetta sentenza proponevano appello la parte civile - la quale
chiedeva la condanna anche della V. al risarcimento dei danni ed
all'assegnazione di una provvisionale - e l'imputato ...omissismsmvld.....

Quest'ultimo faceva richiesta di assoluzione per difetto di prova del
fatto che il cane avesse urtato lo Sc. e lo avesse fatto cadere, e per
essere comunque provato che l'animale non era di proprietà
dell'imputato, bensì della V.; formulava, inoltre, richieste
subordinate attinenti il giudizio di comparazione delle circostanze,
l'entità e la specie della pena irrogata, la mancata applicazione,
comunque, della pena della multa in via sostitutiva ed, infine, la
concessa provvisionale, della quale chiedeva la revoca, o la
sospensione o la riduzione nel quantum.

La Corte d'appello di Roma,
con sentenza emessa il 27 gennaio 2003, rideterminava la pena in 100
euro di multa, revocando il beneficio della sospensione, e confermava
nel resto la sentenza impugnata.

I secondi giudici affermavano che non
erano emersi nei due gradi di giudizio elementi che inducessero "a
ritenere che non fu il cane del prevenuto ad urtare lo Sc. ed a farlo
cadere", essendo attendibile la deposizione testimoniale della persona
offesa e, del resto, non apparendo" pensabile che la parte lesa
medesima, nello stato di shock derivategli (sic) dal grave infortunio
occorsogli (sic) e dal dolore che lo stesso comportava, fosse nelle
condizioni di architettare una falsa attribuzione dell'incidente al
comportamento cane (sic) dello S."; lo stesso accorrere di quest'ultimo
sul luogo dell'incidente, ove ancora si trovava il cane, costituiva un
importante riscontro alle affermazioni della persona offesa. Inoltre,
la rivendicazione della proprietà dell'animale cane spontaneamente
operata da parte dell'imputato nell'immediatezza dell'evento non era
superabile - non vedendosi per quale ragione il prevenuto avrebbe
dovuto attribuirsi la proprietà del medesimo, ove non suo - sulla base
delle conversazioni intercorse tra questi e la V. durante il trasporto
dello Sc. in ospedale nè delle prodotte fotografie dell'animale
nell'abitazione della donna, dimostrative unicamente del fatto che
costei lo teneva talora presso di sè, e d'altra parte se la coimputata
aveva, pochi giorni dopo la verificazione dell'incidente, fatto
iscrivere il cane al proprio nome, era attendibile la versione di
costei di averlo fatto solo perchè lo S. aveva manifestato l'intenzione
di disfarsi dell'animale e perchè il padre l'aveva invitata a
registrare l'animale onde evitare di incorrere in violazioni di legge.

Atteso che lo Sc. aveva riportato lesioni dalle quali era derivato un
indebolimento permanente della mano sinistra, non v'era motivo di
revocare la provvisionale assegnata, ampiamente giustificata.

La Corte
territoriale rigettava, infine, per le sopra esposte ragioni, l'appello
della parte civile.

Ha proposto ricorso per cassazione il difensore
dello S. deducendo, con un primo motivo la "insufficienza della
motivazione e la sua illogicità manifesta" laddove i secondi Giudici
hanno illogicamente utilizzato lo stato di choc derivato alla persona
offesa dall'infortunio anzichè come causa di possibili errori o vuoti
di memoria, per escludere gli stessi sul riflesso di una sua inidoneità
ad architettare una falsa ricostruzione dell'incidente, ipotesi,
questa, mai affacciata dalla difesa.

Con un secondo motivo il
ricorrente ha dedotto che la motivazione resa è soltanto apparente ed è
incorsa in una "immutazione del vero", non avendo lo S. mai affermato
che il cane fosse di sua proprietà.

Una terza censura, intestata alla
violazione dell'art. 62 c.p.p., e connessa a quella che precede,
concerne l'avvenuta utilizzazione di un elemento (unico posto a base
dell'affermazione di responsabilità), costituito dalle asserite
dichiarazioni autoaccusatorie - rese dall'imputato mentre la persona
offesa sporgeva denuncia - sulle quali lo Sc. aveva deposto in
dibattimento.

Secondo il ricorrente, tali dichiarazioni non potevano
essere oggetto di testimonianza a norma del citato art. 62, si da
essere inutilizzabili nella specie.

Da ultimo, il ricorrente ha
dedotto la prescrizione del reato, intervenuta nella data
dell'(OMISSIS), nelle more del decorso del termine per proporre
ricorso.

Motivi della decisione
I primi tre motivi posti a base di
ricorso sono costituiti in parte da mere censure in punto di fatto, non
consentite nella presente sede di legittimità, e per il resto da
doglianze manifestamente infondate.

Rientra indubbiamente nel novero
dei motivi non consentiti quello con il quale il ricorrente afferma
apoditticamente di non avere mai ammesso di essere (stato) il
proprietario del pastore tedesco, in un contesto nel quale entrambi i
giudici di merito hanno valorizzato la testimonianza della persona
offesa sul fatto che lo S. affermò, nella immediatezza dell'incidente,
dopo essere corso a prelevare l'animale che aveva appena cagionato la
rovinosa caduta dello Sc., di esserne il proprietario; dato fattuale,
questo, che non illogicamente è stato tratto anche dal comportamento
tenuto dall'imputato nell'occasione e che altrettanto non illogicamente
è stato ritenuto, da ambo i Giudici di merito, tutt'altro che inficiato
dalla successiva registrazione dell'animale all'anagrafe canina
effettuata, a circa dieci giorni di distanza, dalla coimputata V.G..

Del resto - osserva questa Corte - ciò che rilevava ai fini della
individuazione del soggetto penalmente responsabile non era tanto
l'accertare chi, tra lo S. e la V., avesse la proprietà dell'animale,
bensì chi di costoro, in quel contesto temporale, avesse condotto il
pastore tedesco in luogo pubblico senza adottare le necessarie cautele
(leggasi: senza tenerlo al guinzaglio), ed il fatto così come
ricostruito dai giudici di merito ha condotto ad identificare, non
irrazionalmente, tale persona nell'odierno ricorrente.

Al riguardo, va
osservato che l'assunto del ricorrente secondo cui la Corte
territoriale - nell'affermare che la persona offesa, nello stato in cui
si trovava a seguito dell'infortunio appena subito, non sarebbe stata
di certo nelle condizioni per architettare una falsa attribuzione
dell'incidente al cane dello S. - non avrebbe correttamente
interpretato il motivo di appello con il quale si era sostenuto,
diversamente, che lo Sc., a causa dello stato suddetto, poteva avere
fatto confusione ed essere incorso in errore nella ricostruzione dei
fatti e delle responsabilità, non vale ad inficiare la motivazione
volta a sostenere l'attendibilità del deposto della persona offesa,
posto che i secondi giudici hanno risposto, nel modo sopra riportato,
ad un motivo di appello con il quale si contestava addirittura che
fosse provata la circostanza che lo Sc. fosse caduto a terra a seguito
dell'urto con il pastore tedesco in questione, ed atteso che la
individuazione di colui il quale doveva rispondere della condotta
tenuta dal suddetto animale poggia anche su altri facta concludentia,
relativi al comportamento tenuto dallo S. nell'immediatezza del fatto.

E' poi manifestamente infondato il motivo con il quale il ricorrente
sostiene che lo Sc. non avrebbe potuto testimoniare - donde la
inutilizzabilità della sua deposizione in parte qua - sulla circostanza
che lo S. aveva dichiarato di essere il proprietario dell'animale, in
quanto a ciò osterebbe il disposto dell'art. 62 c.p.p., a tenore del
quale " Le dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento
dall'imputato o dalla persona sottoposta alle indagini non possono
formare oggetto di testimonianza".

Invero lo Sc. ha deposto su di una
circostanza appresa de auditu dallo S. (nonchè su quanto da lui stesso
constatato de visu, già da solo significativo) "nell'immediatezza
dell'evento" (vedasi foglio 3 della sentenza gravata di ricorso; vedasi
anche foglio 3 della sentenza di primo grado), e quindi non "nel corso
del procedimento" (e tanto varrebbe anche ove, come il ricorrente
equivocamente assume, la "dichiarazione accusatoria sulla proprietà del
cane", che peraltro non si assume essere stata resa alla polizia
giudiziaria, fosse stata riferita al momento temporale in cui lo Sc.
"stava denunciando" i fatti), dovendo questa Corte rilevare che, se per
consolidata giurisprudenza di legittimità (vedasi, per tutte, Cass.
Sez. 2^, 19-12-2005, n. 1863, Portogallo) il divieto di assunzione di
testimonianza avente ad oggetto le dichiarazioni comunque rese nel
corso del procedimento dall'imputato o dall'indagato ha carattere
assoluto e generale, e non fa distinzione tra dichiarazioni sollecitate
e dichiarazioni spontanee nè tra dichiarazioni di chi abbia già la
veste formale di imputato o di persona sottoposta alle indagini e
dichiarazioni di chi, pur trovandosi sostanzialmente nella condizione
di imputato o indagato, non ne abbia ancora assunto la qualità formale,
tuttavia il suddetto divieto in tanto opera, per espresso dictum
normativo, soltanto ove le dichiarazioni siano state rese in un
procedimento in corso, il che palesemente non si da nella fattispecie
concreta qui in esame.

Va richiamata, sul punto, la costante
giurisprudenza di legittimità secondo la quale l'ammissibilità della
testimonianza indiretta sulle dichiarazioni rese dall'imputato o
dall'indagato fuori del procedimento si desume a contrario dall'art. 62
c.p.p., che vieta la deposizione laddove questa abbia per oggetto le
sole dichiarazioni rese nel corso del procedimento. Conseguentemente
non è vietata la deposizione sulle dichiarazioni, aventi anche
contenuto confessorio, rese al di fuori della specifica sede
processuale a soggetti non preposti istituzionalmente a raccogliere in
forma tipica le dichiarazioni degli indagati o imputati, che sono
suscettibili di libero apprezzamento da parte del giudice di merito
(vedansi Cass. Sez. 1^, 26-2-2004, n. 25096, Alampi ed altro; Sez. 5^,
12-11-2003, n. 47739, P.M. in proc. Arena ed altri; Sez. 1^, 14-7-2003,
n. 35422, Carella ed altri; Sez. 6^, 7-5-2003, n. 29711, Cobo; Sez. 6^,
9-12-2003, n. 6085, n. 6085, la quale afferma, richiamando Corte cost.
n. 237 del 1993, che il divieto di cui all'art. 62 c.p., opera solo per
le dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria, alla polizia
giudiziaria e al difensore nell'ambito dell'attività investigativa;
Sez. 2^, 18-2-2000, n. 7255, Tornatore ed altri; Sez. 5^, 5-11-1998, n.
2245, D'Angelo ed altro).

Quanto all'avvenuta deduzione, in ricorso,
del fatto che il reato di lesioni volontarie in oggetto si è estinto
per prescrizione dopo la pronuncia della sentenza della Corte
territoriale ma in pendenza del termine per proporre la impugnazione,
la Corte rileva quanto segue.

Un "motivo" di impugnazione, per potersi
definire tale, deve necessariamente consistere in una (motivata)
censura mossa al provvedimento impugnato, volta a far emergere un error
in iudicando vel in procedendo della medesima, mentre non può ritenersi
tale la denuncia di un avvenimento successivo alla pronuncia di detto
provvedimento. Orbene, la intervenuta prescrizione successivamente alla
pronuncia della sentenza impugnata è stata dedotta unitamente a motivi
di ricorso che, per le ragioni sin qui illustrate, devono essere
ritenuti inammissibili per cause cosiddette "originarie" (tali, dunque,
da non consentire il formarsi di un valido rapporto di impugnazione,
con conseguente preclusione della possibilità di rilevare e dichiarare
cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., in tali casi la
dichiarazione di inammissibilità del Giudice ad quem rivestendo valore
meramente ricognitivo della già intervenuta irrevocabilità della
precedente decisione, risalente alla pronuncia di questa, restando del
tutto irrilevante il decorso del tempo successivo: Cass. Sez. Un. 22-11-
2000. n. 32, De Luca; Sez. 4^, 20-1-2004, n. 18641, Tricomi; Sez. 3^, 8-
3-2000, n. 1073, Foglia), sicchè la deduzione di prescrizione non può
"reggersi" da sola nel corpo di un ricorso basato su censure mosse alla
sentenza impugnata che siano, come nella specie, in mero punto di fatto
od affette da infondatezza manifesta.

Si configura nella specie,
invero, una situazione sovrapponibile a quella considerata dalle
Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza 27-6-2001. n. 33542,
Cavalera, nella quale è stato affermato che è inammissibile il ricorso
per cassazione proposto unicamente per far valere la prescrizione
maturata dopo la decisione impugnata e prima della sua presentazione,
privo di qualsiasi doglianza relativa alla medesima, in quanto viola il
criterio della specificità dei motivi enunciato nell'art. 581 c.p.p.,
lett. c), ed esula dai casi in relazione ai quali può essere proposto a
norma dell'art. 606 c.p.p.. (La Corte, in motivazione, ha chiarito che
nella specie si è in presenza di un ricorso soltanto apparente e,
pertanto, inidoneo a instaurare il rapporto di impugnazione).

Ritenere
che tale regola non trovi applicazione anche nel caso in cui (come in
quello qui in esame) alla deduzione di prescrizione maturatasi
internamente al termine per la proposizione del ricorso per Cassazione
si accompagnino altri motivi inammissibili per causa originaria
condurrebbe al risultato del tutto irragionevole che per aggirare il
suddetto principio di diritto sarebbe sufficiente unire alla deduzione
della causa estintiva maturatasi dopo la pronuncia della sentenza un
"motivo" purchessia, anche il più generico ed inconsistente possibile
(eventualmente anche del tutto estraneo alla vicenda processuale in
oggetto).

Tanto più la irragionevolezza di una siffatta
interpretazione è manifesta ove si consideri che - del tutto
significativamente anche per quanto si è qui appena ritenuto e rilevato
- le Sezioni Unite di questa Corte, nella sentenza 22-3-2005, n. 23428,
Bracale, hanno affermato che la inammissibilità del ricorso per
cassazione (nella specie, per assoluta genericità delle doglianze),
preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio,
ai sensi dell'art. 129 c.p.p., l'estinzione del reato per prescrizione
anche quando la suddetta causa estintiva sia maturata in data anteriore
alla pronunzia della sentenza di appello.

Per le ragioni che precedono
il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente ...omissismsmvld.... va
condannato al pagamento delle spese processuali ed al versamento, in
favore della Cassa delle Ammende (ricorrendone ictu oculi i presupposti
ex art. 616 c.p.p., così come da leggersi alla luce della sentenza
della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n. 186), di una somma che va
congruamente determinata in Euro 1000,00 nonchè a rifondere appa parte
civile costituita ...omissismsmvld.... le spese da questa sostenute per il presente
grado di giudizio, spese che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in
favore della Cassa delle Ammende, nonchè a rifondere alla parte civile
...omissismsmvld.... le spese da questa sostenute per il presente grado di giudizio,
spese che liquida in complessivi Euro 2250,00, oltre spese generali,
IVA e C.P.A., come per legge.

Così deciso in Roma, il 3 ottobre 2007.

Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2007


 

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