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Pignorabile il credito relativo all'equo indennizzo se il lavoratore è stato condannato a risarcire il danno erariale |
La compensazione dei crediti del dipendente non deve avvenire necessariamente nella misura di un quinto, soprattutto se l'obbligazione risarcitoria deriva da una grave violazione dei doveri dell'impiegato |
N. 5836/2007
Reg. Dec.
N. 3262
Reg. Ric.
Anno 2000
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 3262 del 2000 proposto dal Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio per legge in Roma, Via dei Portoghesi n.12;
contro
...omissismsmvld....
...omissismsmvld...., rappresentato e difeso dall’Avv. Cosimo
D’Alessandro, per legge elettivamente domiciliato – in assenza di
elezione in Roma – presso la Segreteria del Consiglio di Stato;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, 29 novembre 1999, n.1205;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione prodotta dall’appellato a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 29 maggio 2007 il Consigliere Vito Carella;
Udito l’Avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri.Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con
il provvedimento impugnato in primo grado, il Ministero della Difesa
incamerava d’autorità la somma di £ 5.986.300 (spettante al ricorrente
originario a titolo di indennizzo per infermità riconosciuta dipendente
da causa di servizio) quale parziale restituzione del danno erariale che
l’interessato era stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale in epigrafe indicato, con la gravata
sentenza, ha accolto il ricorso proposto dal reclamante nell’assunto
che il credito relativo all’equo indennizzo non rientra tra gli assegni e
i cespiti vari contemplati dall’art.1 del RDL n.295/1939, per tutti i
quali, oltretutto, viene previsto il rispetto del limite del quinto.
Con l’appello in esame il Ministero della Difesa ha dedotto l’erroneità della sentenza di primo grado, evidenziando che apoditticamente il TAR:
- – aveva negato la possibilità di autotutela, sostenendo viceversa la necessità di pignoramento;
- – aveva confuso l’autotutela amministrativa con l’istituto della compensazione legale ex art. 1243 c.c., concretamente applicata nel caso di specie.
Ha
resistito in giudizio l’appellato con la memoria depositata il 9 maggio
2000, rilevando l’impignorabilità dell’equo indennizzo in base all’art.
545, comma 2°, c.p.c. o, al massimo, la sua aggredibilità nella misura
di un quinto ai sensi del comma 4° di detto articolo, e rilevando che,
comunque, la compensazione dovrebbe rispettare i limiti previsti
dall’art. 1246, n.3, codice civile.
All’udienza pubblica del 29 maggio 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.
– E’ controversa la legittimità del provvedimento di totale
incameramento da parte dell’Amministrazione statale – per danno erariale
– della somma relativa all’equo indennizzo dovuta al ricorrente di
primo grado, anziché almeno nei limiti del quinto del suo ammontare.
Contrariamente
a quanto ritenuto dai primi giudici (secondo cui il credito relativo
all’equo indennizzo è pignorabile ma nei limiti del quinto perché
assegno non indicato dall’art.1 del R.D.L., 19 gennaio 1939, n.295), il
Ministero appellante muove dal potere di ritenzione in virtù della
disposta compensazione legale tra i due titoli (art. 1243 c.c.).
L’appello va accolto e, quindi la sentenza gravata deve essere riformata.
2.
– L’appellato fonda la sua contraria tesi sull’argomento della totale
impignorabilità dell’equo indennizzo ex art. 545, comma 2, cpc, (perché
afferente a sussidio per infermità) ovvero, in subordine, per la sua
parziale pignorabilità nei limiti del quinto, come da art. 545, comma
quarto cpc, (perché emolumento indennitario relativo a rapporto di
lavoro pubblico), con la conseguenza della non totale aggredibilità di
tale provvidenza reintegratoria, concludendo – in caso di diversa
interpretazione – per la incostituzionalità del R.D.L. n.295 del 1939 in
base alle stesse ragioni enunciate dalla Corte Costituzionale con la
sentenza 19.6.1997, n.225.
Con
questa decisione la Corte si è pronunciata nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 4 della L. 8 giugno 1966, n.424 (Abrogazione di
norme che prevedono la perdita, la riduzione o la sospensione delle
pensioni a carico dello Stato) e dell’art. 21 del DPR 29 dicembre 1973,
n.1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni
previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato),
dichiarandone l’illegittimità nella parte in cui prevedono, per i
dipendenti civili e militari dello Stato, la sequestrabilità o
pignorabilità delle indennità di fine rapporto di lavoro, anche per i
crediti da danno erariale, senza osservare i limiti stabiliti
dall’art.545, quarto comma, del codice di procedura civile.
La
questione dibattuta riguarda, però, la diversa fattispecie di un
credito da delitto opposto in compensazione nell’ambito dello stesso
rapporto di lavoro e deve perciò trovare risoluzione in altra sentenza
della Corte Costituzionale, e cioè la n. 259 del 4 luglio 2006.
3.
- Come precisato nella esposizione in fatto, l’appellato è stato
condannato dalla Corte dei Conti a risarcire l’Amministrazione per fatti
da delitto, mentre quest’ultima è a sua volta debitrice dell’equo
indennizzo.
Ora,
è indiscutibile che l’equo indennizzo abbia natura reintegratoria, non
retributiva, e carattere previdenziale: ma la questione non è questa,
bensì la rilevanza della condizione di debito-credito vantata dal datore
di lavoro (nella specie pubblico) in dipendenza del rapporto di impiego
(c.d. compensazione atecnica).
In
tema di pignoramento dei crediti del lavoratore, la citata sentenza
n.259 del 2006 ha sancito la non fondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1246, comma primo, numero 3
cod.civ. e dell’art.545, comma quarto, cod. proc.civ. che, secondo
consolidata interpretazione della Corte di Cassazione, costituente
“diritto vivente”, non prevedono che la compensazione dei crediti del
lavoratore per stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto
di lavoro, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, debba
avvenire nei limiti della misura di un quinto anche nel caso in cui il
credito opposto in compensazione abbia origine dal medesimo rapporto di
lavoro (così, ex multis, Cass. 17 aprile 2004, n.7337).
Questo
orientamento giurisprudenziale muove dalla premessa in base alla quale
“l’istituto della compensazione presuppone l’autonomia dei rapporti cui
si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, autonomia che non
sussisterebbe allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da
un unico rapporto… nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese
importa soltanto un semplice accertamento di dare ed avere, con
elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca
concorrenza”.
Secondo
la Corte Costituzionale, questo orientamento “non può certamente
ritenersi confliggente con l’art. 3 della Costituzione nella parte in
cui vieta ingiustificate disparità di trattamento (qui, tra creditori)”.
La circostanza che il credito del datore di lavoro abbia il fatto
costitutivo in un delitto “non è idonea a rendere in toto equiparabile
il credito del datore di lavoro a quello di un qualsiasi altro
creditore, e quindi a rendere privo di razionale giustificazione
l’orientamento giurisprudenziale che ravvisa la specificità di quel
credito nella circostanza che l’obbligazione risarcitoria dell’ex
dipendente scaturisce da un comportamento che non solo ha
nell’esistenza del rapporto di lavoro la sua necessaria ed
insostituibile occasione, ma che costituisce anche grave violazione dei
doveri del prestatore di lavoro verso il datore”.
Non
sussiste neppure la violazione dell’art.36 Cost., in relazione
all’art.545, comma quarto, cod. proc. Civ., dal momento che “la norma
del codice di rito – se è vero che contempera l’interesse del creditore
al recupero del proprio credito e quello del lavoratore a non veder
vanificata la funzione alimentare del credito retributivo […] – non
costituisce una modalità obbligata per realizzare tale contemperamento
[…] e, tanto meno, per realizzarlo nella misura ivi prevista nei
confronti di qualsiasi credito”.
Consegue
da tale pronunciato che le segnalate peculiarità del credito del datore
di lavoro nei confronti dell’appellato consentono di opporgli ad
integrale compensazione le somme dovute, anche se inerenti ad equo
indennizzo, perché contrapposte pretese patrimoniali relative allo
stesso ed unico rapporto di impiego.
4.
– In conclusione, l’appello va accolto e, per l’effetto, va riformata
la sentenza gravata, con rigetto del ricorso di primo grado.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate per giusti ed equi motivi.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, accoglie l’
appello in epigrafe e, per l’effetto, a riforma della sentenza gravata,
rigetta il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio del 29 maggio 2007 e del 19 ottobre 2007, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio con l’intervento dei signori:
Carlo Saltelli Presidente, f.f.
Salvatore Cacace Consigliere
Sergio De Felice Consigliere
Sandro Aureli Consigliere
Vito Carella Consigliere, rel-est.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE, f.f.
Vito Carella Carlo Saltelli
IL SEGRETARIO
Giacomo Manzo
Depositata in Segreteria
Il 16/11/2007(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)
Il Dirigente
Dott. ...omissismsmvld.... Testa
- -
N.R.G. 3262/2000
RL
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Pignorabile il credito relativo all'equo indennizzo se il lavoratore è stato condannato a risarcire il danno erariale |
La compensazione dei crediti del dipendente non deve avvenire necessariamente nella misura di un quinto, soprattutto se l'obbligazione risarcitoria deriva da una grave violazione dei doveri dell'impiegato |
N. 5836/2007
Reg. Dec.
N. 3262
Reg. Ric.
Anno 2000
R E P U B B L I C A I T A L I A N A
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello n. 3262 del 2000 proposto dal Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio per legge in Roma, Via dei Portoghesi n.12;
contro
...omissismsmvld....
...omissismsmvld...., rappresentato e difeso dall’Avv. Cosimo
D’Alessandro, per legge elettivamente domiciliato – in assenza di
elezione in Roma – presso la Segreteria del Consiglio di Stato;
per l’annullamento
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Friuli Venezia Giulia, 29 novembre 1999, n.1205;
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione prodotta dall’appellato a sostegno delle proprie difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Relatore alla pubblica udienza del 29 maggio 2007 il Consigliere Vito Carella;
Udito l’Avvocato dello Stato Fabrizio Urbani Neri.Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:
FATTO
Con
il provvedimento impugnato in primo grado, il Ministero della Difesa
incamerava d’autorità la somma di £ 5.986.300 (spettante al ricorrente
originario a titolo di indennizzo per infermità riconosciuta dipendente
da causa di servizio) quale parziale restituzione del danno erariale che
l’interessato era stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire.
Il
Tribunale Amministrativo Regionale in epigrafe indicato, con la gravata
sentenza, ha accolto il ricorso proposto dal reclamante nell’assunto
che il credito relativo all’equo indennizzo non rientra tra gli assegni e
i cespiti vari contemplati dall’art.1 del RDL n.295/1939, per tutti i
quali, oltretutto, viene previsto il rispetto del limite del quinto.
Con l’appello in esame il Ministero della Difesa ha dedotto l’erroneità della sentenza di primo grado, evidenziando che apoditticamente il TAR:
- – aveva negato la possibilità di autotutela, sostenendo viceversa la necessità di pignoramento;
- – aveva confuso l’autotutela amministrativa con l’istituto della compensazione legale ex art. 1243 c.c., concretamente applicata nel caso di specie.
Ha
resistito in giudizio l’appellato con la memoria depositata il 9 maggio
2000, rilevando l’impignorabilità dell’equo indennizzo in base all’art.
545, comma 2°, c.p.c. o, al massimo, la sua aggredibilità nella misura
di un quinto ai sensi del comma 4° di detto articolo, e rilevando che,
comunque, la compensazione dovrebbe rispettare i limiti previsti
dall’art. 1246, n.3, codice civile.
All’udienza pubblica del 29 maggio 2007 la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
1.
– E’ controversa la legittimità del provvedimento di totale
incameramento da parte dell’Amministrazione statale – per danno erariale
– della somma relativa all’equo indennizzo dovuta al ricorrente di
primo grado, anziché almeno nei limiti del quinto del suo ammontare.
Contrariamente
a quanto ritenuto dai primi giudici (secondo cui il credito relativo
all’equo indennizzo è pignorabile ma nei limiti del quinto perché
assegno non indicato dall’art.1 del R.D.L., 19 gennaio 1939, n.295), il
Ministero appellante muove dal potere di ritenzione in virtù della
disposta compensazione legale tra i due titoli (art. 1243 c.c.).
L’appello va accolto e, quindi la sentenza gravata deve essere riformata.
2.
– L’appellato fonda la sua contraria tesi sull’argomento della totale
impignorabilità dell’equo indennizzo ex art. 545, comma 2, cpc, (perché
afferente a sussidio per infermità) ovvero, in subordine, per la sua
parziale pignorabilità nei limiti del quinto, come da art. 545, comma
quarto cpc, (perché emolumento indennitario relativo a rapporto di
lavoro pubblico), con la conseguenza della non totale aggredibilità di
tale provvidenza reintegratoria, concludendo – in caso di diversa
interpretazione – per la incostituzionalità del R.D.L. n.295 del 1939 in
base alle stesse ragioni enunciate dalla Corte Costituzionale con la
sentenza 19.6.1997, n.225.
Con
questa decisione la Corte si è pronunciata nel giudizio di legittimità
costituzionale dell’art. 4 della L. 8 giugno 1966, n.424 (Abrogazione di
norme che prevedono la perdita, la riduzione o la sospensione delle
pensioni a carico dello Stato) e dell’art. 21 del DPR 29 dicembre 1973,
n.1032 (Approvazione del testo unico delle norme sulle prestazioni
previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato),
dichiarandone l’illegittimità nella parte in cui prevedono, per i
dipendenti civili e militari dello Stato, la sequestrabilità o
pignorabilità delle indennità di fine rapporto di lavoro, anche per i
crediti da danno erariale, senza osservare i limiti stabiliti
dall’art.545, quarto comma, del codice di procedura civile.
La
questione dibattuta riguarda, però, la diversa fattispecie di un
credito da delitto opposto in compensazione nell’ambito dello stesso
rapporto di lavoro e deve perciò trovare risoluzione in altra sentenza
della Corte Costituzionale, e cioè la n. 259 del 4 luglio 2006.
3.
- Come precisato nella esposizione in fatto, l’appellato è stato
condannato dalla Corte dei Conti a risarcire l’Amministrazione per fatti
da delitto, mentre quest’ultima è a sua volta debitrice dell’equo
indennizzo.
Ora,
è indiscutibile che l’equo indennizzo abbia natura reintegratoria, non
retributiva, e carattere previdenziale: ma la questione non è questa,
bensì la rilevanza della condizione di debito-credito vantata dal datore
di lavoro (nella specie pubblico) in dipendenza del rapporto di impiego
(c.d. compensazione atecnica).
In
tema di pignoramento dei crediti del lavoratore, la citata sentenza
n.259 del 2006 ha sancito la non fondatezza della questione di
legittimità costituzionale dell’art. 1246, comma primo, numero 3
cod.civ. e dell’art.545, comma quarto, cod. proc.civ. che, secondo
consolidata interpretazione della Corte di Cassazione, costituente
“diritto vivente”, non prevedono che la compensazione dei crediti del
lavoratore per stipendio, salario o altre indennità relative al rapporto
di lavoro, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, debba
avvenire nei limiti della misura di un quinto anche nel caso in cui il
credito opposto in compensazione abbia origine dal medesimo rapporto di
lavoro (così, ex multis, Cass. 17 aprile 2004, n.7337).
Questo
orientamento giurisprudenziale muove dalla premessa in base alla quale
“l’istituto della compensazione presuppone l’autonomia dei rapporti cui
si riferiscono i contrapposti crediti delle parti, autonomia che non
sussisterebbe allorché i rispettivi crediti e debiti abbiano origine da
un unico rapporto… nel qual caso la valutazione delle reciproche pretese
importa soltanto un semplice accertamento di dare ed avere, con
elisione automatica dei rispettivi crediti fino alla reciproca
concorrenza”.
Secondo
la Corte Costituzionale, questo orientamento “non può certamente
ritenersi confliggente con l’art. 3 della Costituzione nella parte in
cui vieta ingiustificate disparità di trattamento (qui, tra creditori)”.
La circostanza che il credito del datore di lavoro abbia il fatto
costitutivo in un delitto “non è idonea a rendere in toto equiparabile
il credito del datore di lavoro a quello di un qualsiasi altro
creditore, e quindi a rendere privo di razionale giustificazione
l’orientamento giurisprudenziale che ravvisa la specificità di quel
credito nella circostanza che l’obbligazione risarcitoria dell’ex
dipendente scaturisce da un comportamento che non solo ha
nell’esistenza del rapporto di lavoro la sua necessaria ed
insostituibile occasione, ma che costituisce anche grave violazione dei
doveri del prestatore di lavoro verso il datore”.
Non
sussiste neppure la violazione dell’art.36 Cost., in relazione
all’art.545, comma quarto, cod. proc. Civ., dal momento che “la norma
del codice di rito – se è vero che contempera l’interesse del creditore
al recupero del proprio credito e quello del lavoratore a non veder
vanificata la funzione alimentare del credito retributivo […] – non
costituisce una modalità obbligata per realizzare tale contemperamento
[…] e, tanto meno, per realizzarlo nella misura ivi prevista nei
confronti di qualsiasi credito”.
Consegue
da tale pronunciato che le segnalate peculiarità del credito del datore
di lavoro nei confronti dell’appellato consentono di opporgli ad
integrale compensazione le somme dovute, anche se inerenti ad equo
indennizzo, perché contrapposte pretese patrimoniali relative allo
stesso ed unico rapporto di impiego.
4.
– In conclusione, l’appello va accolto e, per l’effetto, va riformata
la sentenza gravata, con rigetto del ricorso di primo grado.
Le spese del doppio grado di giudizio possono essere compensate per giusti ed equi motivi.
P.Q.M.
Il
Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, accoglie l’
appello in epigrafe e, per l’effetto, a riforma della sentenza gravata,
rigetta il ricorso di primo grado.
Spese del doppio grado compensate.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.
Così deciso in Roma, nelle camere di consiglio del 29 maggio 2007 e del 19 ottobre 2007, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, nella Camera di Consiglio con l’intervento dei signori:
Carlo Saltelli Presidente, f.f.
Salvatore Cacace Consigliere
Sergio De Felice Consigliere
Sandro Aureli Consigliere
Vito Carella Consigliere, rel-est.
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE, f.f.
Vito Carella Carlo Saltelli
IL SEGRETARIO
Giacomo Manzo
Depositata in Segreteria
Il 16/11/2007(Art. 55, L. 27.4.1982, n. 186)
Il Dirigente
Dott. ...omissismsmvld.... Testa
- -
N.R.G. 3262/2000
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