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Buche stradali e danni da incidenti connessi: è responsabile l'appaltatore della manutenzione |
Lavori non ancora effettuati o in corso e assenza di adeguata segnalazione: la ditta che gestisce le opere di ripristino del manto stradale risponde anche penalmente |
REATO IN GENERE
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 15-11-2007) 08-02-2008, n. 6267
Cass. pen. Sez. IV, (ud. 15-11-2007) 08-02-2008, n. 6267
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con
la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Roma confermava la
sentenza in primo grado emessa in data 5 novembre 2001 dal Tribunale
della stessa città, con la quale, per quanto qui rileva, M. I. era stato
ritenuto colpevole del reato di omicidio colposo in danno di S.E.,
mentre era stato assolto con la formula per non aver commesso il fatto
il capo squadra dell'ACEA. Il grave sinistro stradale aveva coinvolto
S.E. nella notte del (OMISSIS), quando, percorrendo il tratto di via
Salaria corrispondente all'ingresso di (OMISSIS), alla guida di un
ciclomotore, a causa della presenza di tre "buche" corrispondenti a
chiusini non livellati, aveva perso il controllo del veicolo ed era
caduta all'indietro, battendo la testa contro il piano stradale.
L'odierno
ricorrente era stato chiamato a risponderne in qualità di titolare
della ditta omonima, società appaltatrice delle opere di manutenzione
del manto stradale per la zona comprendente il tratto di via (OMISSIS)
interessato dal sinistro.
A carico del M.
erano stati ravvisati profili di colpa generica, sub specie
dell'imprudenza, imperizia e negligenza, in particolare perchè, in
violazione dell'obbligo di garanzia assunto nella qualità sopra
indicata, ometteva di approntare adeguata sorveglianza ed idonea
segnalazione di emergenza laddove si erano prodotte nella zona in
questione una serie di cedimenti del tratto stradale, tali da
determinare vere e proprie buche di profondità pari a 5-7 centimetri,
così cagionando la morte della S. che, proprio a causa di tali buche
profonde ed insidiose, perdeva il controllo del mezzo, e rovinava a
terra, riportando lesioni gravissime a causa delle quali decedeva poco
dopo il sinistro.
La Corte di merito, a
seguito della rinnovazione della istruttoria dibattimentale attraverso
l'effettuazione di perizia tecnica, confermava la penale responsabilità
dell'imputato per il reato di omicidio colposo, evidenziando come
sussistenti i profili di colpa contestati, in relazione alla violazione
dell'obbligo gravante sul medesimo, nella qualità di titolare della
impresa appaltatrice,ai sensi dell'art. 18 del capitolato di appalto,
secondo il quale, con la consegna dell'appalto l'impresa era obbligata
ad iniziare immediatamente il servizio di sorveglianza ed il conseguente
pronto intervento sulla sede stradale.
I
giudici di appello evidenziavano altresì che all'epoca dell'incidente il
cantiere, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non era più
sotto la sorveglianza dell'ACEA, che in precedenza aveva effettuato
alcuni lavori, ed alla quale rimaneva affidato solo il cantiere relativo
alla posa di un cavo, limitato ad un rettangolo intorno ad uno dei
tombini, mentre restavano fuori del controllo dell'ACEA i due
avallamenti esistenti sul primo e sul terzo tombino, che produssero la
perdita di equilibrio del ciclomotore.
Avverso la predetta decisione propone ricorso per cassazione M.I., tramite difensore, articolando due motivi.
Con
il primo, censura l'affermazione di responsabilità, prospettando la
violazione di legge ed il difetto di motivazione con riferimento alla
ritenuta sussistenza della posizione di garanzia del M., sul rilievo che
la Corte di merito avrebbe erroneamente fatte proprie le apodittiche
osservazioni del perito d'ufficio, senza considerare la particolare
esimente prevista dall'art. 22 del Capitolato, secondo il quale
l'impresa appaltatrice era sollevata da ogni responsabilità conseguente i
lavori eseguiti a cura dell'Azienda comunale a partire dal momento di
inizio di installazione del cantiere per l'apertura del cavo, fino alla
riconsegna all'Amministrazione della relativa pavimentazione,
riservandosi il Comune di far eseguire la sorveglianza di tali lavori ad
altra impresa.
Richiamando tale norma il
difensore sostiene l'assenza di responsabilità del M., avendo i giudici
di merito pretermesso di considerare che all'epoca del sinistro l'ACEA
aveva intrapreso una operazione di apertura cavi e che, pertanto, gli
obblighi di sorveglianza e controllo dell'area sarebbero tornati a
gravare sull'impresa appaltatrice solo dopo tale riconsegna.
Si
sostiene, inoltre, che le conclusioni del perito d'ufficio, secondo le
quali il sinistro era stato determinato dalla prima buca, erano state
contraddette dalle dichiarazioni di un teste secondo il quale, tutte le
buche, ma in particolare la seconda, di competenza dell'ACEA, avevano
contribuito al verificarsi del sinistro.
Con
il secondo motivo censura la sentenza impugnata per violazione di legge e
difetto di motivazione, laddove il giudicante avrebbe omesso di
effettuare qualsiasi analisi dell'asserita condotta colposa della
vittima, che per ammissione dello stesso perito, procedeva ad una
velocità massima per il ciclomotore (40-45 Km H), concentrandosi
esclusivamente sulla disconnessione del manto stradale.
Il
ricorso è manifestamente infondato, trattandosi, peraltro,
prevalentemente di mera reiterazione dei motivi di appello, in ordine ai
quali la Corte territoriale ha correttamente motivato le ragioni per le
quali non meritavano accoglimento.
Manifestamente
infondato sotto tutti i profili prospettati è il primo motivo, con il
quale si contesta nel merito il giudizio di responsabilità.
La
pronunzia è immune dai vizi dedotti dal difensore ed è in linea con la
consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di obblighi connessi
alla posizione di garanzia e di causalità della condotta.
La
Corte di merito, infatti,attraverso la disamina degli atti di causa ed
il richiamo per relationem alla sentenza di primo grado, ha ampiamente
argomentato sulla titolarità della posizione di garanzia in capo al M. e
sulla spiegazione causale del sinistro, corrispondendo del resto
puntualmente alle doglianze proposte con l'appello.
In
particolare, a base dell'affermato giudizio di colpevolezza, i giudici
d'appello hanno posto l'omessa manutenzione del tratto stradale in cui
si è verificato il sinistro, gravante ai sensi dell'art. 18 del
capitolato di appalto sulla Ditta individuale M., che aveva comportato
l'omesso ripristino del manto stradale laddove si erano determinati una
serie di cedimenti del tratto stradale, già segnalati in epoca
precedente all'incidente.
Non è infatti
dubitabile, la posizione di garanzia in cui si trovava il M., nella
qualità di titolare della ditta appaltatrice delle opere di manutenzione
del manto stradale nel tratto di via Salaria interessato dal sinistro,
in ragione dei compiti assunti contrattualmente con il Comune di Roma,
che gli imponevano di iniziare immediatamente il servizio di
sorveglianza ed il conseguente pronto intervento su tutte le superfici
stradali, che non fossero oggetto di specifico appalto di manutenzione
(art. 18 del capitolato di appalto).
Al
riguardo, dovendosi solo precisare, che tra le fonti dell'obbligo di
garanzia, tali da potere fondare la responsabilità omissiva ex art. 40 c.p.,
comma 2, rientrano - oltre che le norme di legge - anche le fonti
convenzionali, tra le quali è certamente da ricomprendere un contratto
tipico, come quello di appalto (cfr. in generale Sez. 4^, 22 maggio
2007, Conzatti; nonchè, Sez. 3^, 22 settembre 2004, Lilli ed altro).
Ciò
che rileva ovviamente per l'operatività dell'obbligo di garanzia, quale
che sia la fonte a cui il medesimo si riconduce, è che, in ossequio al
principio di personalità della responsabilità penale, vi sia stata la
concreta assunzione da parte del garante dei poteri-doveri impeditivi
non solo giuridici, ma anche fattuali dell'evento dannoso o pericoloso
(cfr. la citata sentenza Conzatti), la cui sussistenza nella fattispecie
in esame è stato oggetto di specifico e puntuale accertamento, non
incrinato dalle deduzioni difensive.
In
proposito, la Corte di merito ha anche affrontato la questione,
reiterata in questa sede, in merito alla titolarità del dovere di
sorveglianza dell'area, da individuarsi, secondo la tesi difensiva,
nell'ACEA, che aveva intrapreso una operazione di apertura cavi e che,
pertanto, ai sensi dell'art. 22 del Capitolato di appalto, sarebbe stata
tenuta agli obblighi di sorveglianza e di controllo dell'area.
L'assunto non è condivisibile.
In
particolare, come emerge compiutamente dalla sentenza, la perizia
disposta in sede di rinnovazione del dibattimento ha accertato che la
causa determinante dell'incidente era da identificare nello sfortunato
inserimento della ruota anteriore del motociclo all'interno della
frattura presente nel primo avallamento (confermata dalla lacerazione
del copertone anteriore) che aveva portato alla perdita di equilibrio
del ciclomotore, aggravata dalla presenza di un secondo ravvicinato
avallamento, che aveva colto impreparata la giovane vittima.
Il
dato qui rilevante è che l'accertamento tecnico svolto, condiviso dai
giudici di merito, con motivazione coerente e logica, aveva escluso che
il tratto stradale in questione fosse ancora sotto la sorveglianza
dell'ACEA, che in precedenza aveva svolto alcuni lavori ed aveva con
chiarezza concluso che i due avallamenti esistenti sul terzo, quarto
tombino - che produssero la perdita di equilibrio del ciclomotore -
restavano fuori del controllo dell'ACEA. Alla luce di tali elementi, i
giudici di merito hanno condivisibilmente ritenuto la sussistenza del
nesso eziologico tra la condotta del M., il quale negligentemente aveva
trascurato l'adempimento degli obblighi assunti in sede contrattuale -
ed il verificarsi dell'evento mortale. La dettagliata rappresentazione
del fatto descritto in conformità alle risultanze dell'accertamento
tecnico, ed il compiuto ed insindacabile apprezzamento dello stesso
operato dai giudici di merito, consentono di escludere i vizi
motivazionali dedotti in ricorso.
In proposito, non è inutile ricordare i rigorosi limiti del controllo di legittimità sulla sentenza di merito.
In
questa sede, non è possibile una rinnovata valutazione dei fatti e
degli elementi di prova. E' principio non controverso, infatti, che nel
momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non deve
stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione
dei fatti, nè deve condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a
verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune
e con i limiti di una "plausibile opinabilità di apprezzamento". Ciò in
quanto l'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), non consente alla
Corte di cassazione una diversa lettura dei dati processuali o una
diversa interpretazione delle prove, perchè è estraneo al giudizio di
legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto
ai dati processuali (Cass., Sezione 5^, 13 maggio 2003, Pagano ed
altri). In altri termini, il giudice di legittimità, che è giudice della
motivazione e dell'osservanza della legge, non può divenire giudice del
contenuto della prova, in particolare non competendogli un controllo
sul significato concreto di ciascun elemento di riscontro probatorio
(Cass., Sezione 4^, 14 dicembre 2006, Guarneri).
Tenuta
presente tale regola e ribadito che la motivazione resa in ordine alla
responsabilità dell'imputato è caratterizzata da un ragionamento
coerente e logico, devono ritenersi privi di rilievo gli argomenti con i
quali il ricorrente ripropone una diversa valutazione dei fatti.
Inoltre, è evidente che l'accertamento di eventuali comportamenti
colposi di terzi nella determinazione dell'evento non avrebbero escluso
la violazione della posizione di garanzia assunta dal M., con la
conseguenza che la responsabilità penale di altri non sarebbe valsa ad
escludere, alla luce della ricostruzione dei fatti operata dai giudici
di merito, in questa sede non censurabile, quella del prevenuto.
Analoghe
conclusioni valgono con riferimento all'altra questione sollevata dalla
difesa con il secondo motivo, con il quale si lamenta la carenza di
motivazione, in relazione alla valutazione della asserita condotta
colposa della vittima, laddove la Corte di merito avrebbe esclusivamente
dato rilievo alla disconnessione del manto stradale, senza prendere in
considerazione la velocità del mezzo, non adeguata ai luoghi.
Anche
tale motivo è manifestamente infondato limitandosi a riproporre una
diversa ricostruzione dei fatti, arrivando a sostenere la colpa
esclusiva della giovane motociclista nella determinazione del sinistro.
Sul
punto, la Corte di appello, con argomentazione condivisibile, ha
ritenuto insussistente il concorso di colpa della vittima, che procedeva
a velocità moderata in un tratto stradale in cui non vi era un limite
particolare di velocità, riconducendo la causa della caduta in via
esclusiva alla "trappola stradale" che si era venuta a creare nel tratto
stradale, alla quale il M., violando gli obblighi contrattualmente
assunti non aveva posto rimedio.
Il
ricorrente, dietro l'apparente schermo del difetto di motivazione,
trascurando di considerare i limiti del sindacato di legittimità,
vorrebbe che qui si effettuasse una rinnovata ed inammissibile
valutazione delle emergenze fattuali della vicenda come ricostruite dal
giudice di merito, pur in presenza di una motivazione coerente e logica
in ordine alle ritenute modalità di verificazione de sinistro, che, come
già sopra evidenziato, non può essere posta in discussione in questa
sede.
Alla inammissibilità del ricorso,
riconducibile a colpa del ricorrente (v. sentenza Corte Cost. 7-13
giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del medesimo al pagamento
delle spese del procedimento e di una somma, che congruamente si
determina in mille Euro, in favore della Cassa delle ammende, oltre che
alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado
di giudizio, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
dichiara
inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di Euro 1000,00 (mille) in favore della
Cassa delle ammende oltre alla rifusione delle spese sostenute dalla
parte civile che liquida in Euro 2500,00, oltre IVA, CPA e spese
generali come per legge.
Così deciso in Roma, il 15 novembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 8 febbraio 2008
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