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Cassazione: statale naviga troppo sul web? E' peculato |
Lo statale che trascorre troppo tempo a navigare
nel web per ragioni non legate al suo impiego richia la sospensione
dal posto di lavoro. Tale conmportamento, infatti, puo' configurare
il reato di peculato punito al pari delle telefonate private fatte
dall'ufficio. E' quanto afferma la Corte di Cassazione (Sesta
sezione penale sentenza 20326/2008) che sulla base di questo
principio ha accolto il ricorso della Procura di Bari contro la
revoca della sospensione dall'esercizio di pubblico servizio
accordata ad un dipendente comunale sorpreso a servirsi per sopi
personali della rete informatica del comune. L'impiegato comunale,
spiega la Corte, "navigava in internet su siti non istituzionali,
scaricando su archivi personali dati e immagini non inerenti alla
pubblica funzione, prevalentemente materiale di carattere
pornografico, con danno economico dell'ente". L'uomo, in un primo
tempo sospeso, era stato riammesso dal Tribunale di Bari sulla base
del fatto che il reato di peculato "tutela il patrimonio della P.A.
e che lo stesso non poteva essere depauperato a seguito dei
collegamenti in questione di un computer comunque e sempre collegato
alla rete elettrica e telefonica indipendentemente dall'uso della
navigazione". Di diverso avviso la Corte di Cassazoine che nella
sentenza ricorda come "l'art. 314 c.p., oltre a tutelare il
patrimonio della pubblica amministrazione, mira ad assicurare anche
il corretto andamento degli uffici della stessa basato su un
rapporto di fiducia e di lealta' con il personale dipendente". La
Corte rileva inoltre che "sono stati trovati sull'apparecchio in
questione e sul disco esterno ben 10 mila files, di cui solo una
modestissima parte di natura attinente alle funzioni esercitate".
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Cass. pen. Sez. VI, (ud. 15-04-2008)
21-05-2008, n. 20326
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Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di
Bari, in accoglimento dell'appello proposto da D.M.M. nei confronti
dell'ordinanza del Tribunale di (Lpd) del 24 aprile 2007, con la
quale era stata applicata al medesimo la misura interdittiva della
sospensione dall'esercizio del pubblico servizio, revocava
l'ordinanza stessa, ritenendo la insussistenza di gravi indizi di
colpevolezza e di esigenze cautelari.
All'indagato - dipendente del Comune di (Lpd)
- era stato contestato il reato di peculato perchè si serviva del
computer dell'ufficio, cui era collegato un masterizzatore DVD, per
uso personale usufruendo della rete elettrica e informatica del
Comune: navigava in internet su siti non istituzionali, scaricando
su archivi personali dati e immagini non inerenti alla pubblica
funzione - prevalentemente materiale di carattere pornografico - con
danno economico dell'Ente.
Sul computer in questione e sul sopporto
esterno, venivano rinvenuti circa 10.000 documenti di cui solo una
minima parte di natura lavorativa.
Il Tribunale, nel revocare la misura
cautelare, osservava che il reato di peculato tutela il patrimonio
della P.A. e che lo stesso non poteva essere depauperato a seguito
dei collegamenti in questione di un computer "comunque e sempre
collegato alla rete elettrica e telefonica indipendentemente
dall'uso e dalla navigazione". Con particolare riferimento al
collegamento alla rete elettrica, non si era "indicato il danno
patrimoniale", atteso che "i computers sono sempre collegati alla
rete elettrica, nè può ritenersi ulteriore consumo di energia
elettrica per il fatto che a un computer siano collegate una o più
periferiche".
II Tribunale disconosceva anche la
sussistenza di esigenze cautelari perchè "pur ritenendo un danno
patrimoniale per l'ente per la navigazione in internet sino al 2003"
(il consulente tecnico aveva accertato che la navigazione in
internet si arrestava al giugno 2003) non era ipotizzabile un
pericolo di reiterazione "in considerazione della sua illibata
personalità e dell'atteggiamento pacatamente esplicativo tenuto in
occasione del suo interrogatoria.
Avverso la predetta ordinanza propone ricorso
per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale
di Bari il quale richiama tutta la giurisprudenza di questa Corte di
cassazione che ritiene che con il reato di peculato non sia offeso
solo il patrimonio dell'ente pubblico, ma anche il buon andamento
degli uffici della pubblica amministrazione il quale può non essere
turbato solo da un uso occasionale della cosa pubblica, ma non in
caso di condotta reiterata e consolidata nel tempo. Peraltro, non
risultava affatto accertato agli atti del processo se il contratto
del Comune con l'ente gestore di internet prevedesse un uso
illimitato del servizio con tariffa fissa, circostanza per nulla
verificata da parte dei giudici di merito, ma solo supposta. Del
tutto inadeguata appariva infine la motivazione sulle esigenze
cautelari sopra riportata.
Premesso che l'ordinanza impugnata sembra
quasi trascurare la circostanza che la disposizione dell'art.
314 c.p., oltre a tutelare il patrimonio della pubblica
amministrazione mira ad assicurare anche il corretto andamento degli
uffici della stessa basato su un rapporto di fiducia e di lealtà col
personale dipendente, secondo la costante giurisprudenza di questa
Corte, il Tribunale del riesame da per scontato un dato che non
emerge affatto dagli atti, cioè che il computer fosse perennemente
collegato alla rete elettrica e telefonica in modo da comportare
costi fissi per la pubblica amministrazione indipendente dalla
navigazione in internet. Ora, a parte il fatto che tale assunto è
errato per ciò che attiene alla energia elettrica, che viene
consumata in quanto l'apparecchio sia acceso, ciò che più conta è
che da nessun dato si ricava che il tipo di convenzione con il
provider prevedesse un accesso costante al web a un costo fisso
anzichè un accesso di volta in volta consentito solo previo contatto
telefonico, non occorrendo spendere parole per dimostrare come in
questo secondo caso l'indagato si sarebbe appropriato anche delle
energie appartenenti all'ente sotto forma di telefonate di volta in
volta eseguite per la navigazione in internet per finalità
totalmente estranee alla pubblica funzione (masterizzazione di DVD
audio e scaricamento di immagini e di film).
L'ordinanza impugnata da la prima ipotersi
come appartenente al notorio ma ciò è del tutto arbitrario, specie
in considerazione che tale tipo di convenzione si è diffusa
recentemente, mentre i fatti di cui è causa risalgono all'anno 2003,
onde la questione avrebbe dovuto formare oggetto di dimostrazione
precisa. L'ordinanza va quindi annullata in punto di gravi indizi di
colpevolezza con rinvio al Tribunale di Bari perchè spieghi non solo
per quali motivi ha ritenuto la insussistenza dei gravi indizi del
reato solo in relazione al danno cagionato (asseritamene mancante),
ma anche da quali dati probatori concreti relativi al caso di specie
abbia desunto l'esistenza di un certo tipo di convenzione con l'ente
gestore del servizio telefonico.
Ma l'ordinanza impugnata va annullata anche
in punto di esigenze cautelari perchè la incensuratezza, considerato
il tipo e la reiterazione del reato di specie, non ha un significato
decisivo;
significato men che meno attribuibile
all'"atteggiamento esplicativo" avuto dall'indagato in sede di
interrogatorio. Il Tribunale dovrà motivare se sussista un pericolo
di reiterazione, tenuto conto del fatto che sono stati trovati
sull'apparecchio in questione e sul disco esterno ben 10.000 files,
di cui solo una modestissima parte di natura attinente alle funzioni
esercitate.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia al
Tribunale di Bari per nuovo esame.
Così deciso in Roma, il 15 aprile 2008.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2008
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