Svolgimento del processo
Con
distinti ricorsi, poi riuniti, A.L. ed altri lavoratori in epigrafe
indicati, dipendenti della @@@@@@, con la qualifica di conduttore,
esponevano che lo svolgimento della prestazione lavorativa era stato
sempre articolato sulla base di una turnazione predisposta autonomamente
dalla società datrice di lavoro per 26 giorni lavorativi mensili, ma
che a causa delle carenze strutturali della azienda non erano stati
posti in grado di conoscere sempre con adeguato anticipo l'orario di
lavoro relativo al giorno seguente.
Precisavano
che erano stati posti in una posizione denominata "disponibile" per cui
erano in grado di conoscere preventivamente la turnazione relativa a
sole 10 giornate mensili, mentre per le rimanenti 16 giornate venivano a
conoscenza del turno assegnato solo il giorno precedente a quello di
svolgimento della prestazione lavorativa.
Aggiungevano
che dal 10 luglio al 10 settembre di ogni anno per il personale in
disponibilità la mancata comunicazione dei turni riguardava tutti i
giorni ricompresi nel periodo.
Osservavano,
quindi, che tale organizzazione del lavoro era pregiudizievole per la
vita extralavorativa in quanto impediva loro di programmare le ore di
svago, la vita di relazione e i riposi quotidiani, non essendo posti
nella condizione di conoscere, con adeguato anticipo, quale parte della
giornata sarebbe stata impegnata dal lavoro.
Rilevavano,
poi, la illegittimità della condotta della azienda per violazione
dell'art. 3 del CCNL del 23/7/1986, che prevedeva l'obbligo per
l'azienda di esaminare e risolvere tutte le problematiche connesse alla
turnazione di lavoro, nonchè per violazione del R.D. 19 ottobre 1923, n.
2328, art. 10, che imponeva l'obbligo alle aziende esercenti pubblici
servizi di trasporto, di affiggere i turni di servizio in modo che il
personale potesse prenderne conoscenza e, da ultimo, per violazione dell'art. 1375 c.c..
Affermavano,
infine, che il disagio nello svolgimento della prestazione lavorativa e
la sua onerosità, determinando una compromissione delle attività
complementari od integrative della attività lavorativa, ovvero della
c.d. vita di relazione, integrava una fattispecie di danno biologico, da
liquidarsi a prescindere dalla sussistenza di una diminuita capacità di
guadagno.
Chiedevano, pertanto, la condanna
della @@@@@@ al pagamento di un compenso per il maggiore disagio
affrontato nell'espletamento della prestazione lavorativa, da liquidarsi
nella misura indicata nei rispettivi ricorsi introduttivi o da fissarsi
in via equitativa, oltre interessi e rivalutazione, nonchè
l'accertamento dell'esistenza di un danno biologico.
La società convenuta, costituitasi, eccepiva preliminarmente la nullità del ricorso per violazione dell'art. 414 c.p.c.,
e nel merito concludeva per il rigetto della domanda in quanto
infondata, eccependo, altresì, la prescrizione quinquennale. Con
sentenza del 11/4/2001, il Tribunale di Napoli, condannava la @@@@@@ al
pagamento in favore dei ricorrenti della somma di L. 6.000 per ogni
giorno effettivo di turno in disponibilità, nel periodo ricompreso dal
1/1/93 al 31/12/97, da quantificarsi in separato giudizio e su cui
corrispondere gli interessi e la rivalutazione, mentre rigettava la
domanda di risarcimento del danno biologico e compensava le spese.
Avverso
la detta sentenza, con ricorso del 7 settembre 2001, proponeva appello
la @@@@@@, chiedendone la riforma, con la declaratoria di nullità dei
ricorsi introduttivi ovvero con il rigetto integrale degli stessi, con
ogni conseguenza di legge.
All'uopo
l'appellante deduceva che i ricorsi introduttivi erano malli per
mancanza degli elementi di fatto posti a sostegno della domanda, nulla
essendo stato specificato in ordine ai turni di servizio concretamente
espletati, ai criteri di organizzazione dei turni in azienda ed alle
modalità con cui questi erano comunicati ai dipendenti; che erroneamente
il primo Giudice aveva sostanzialmente equiparato la situazione degli
attori a quella dei lavoratori part- time, laddove, invece, il rapporto a
tempo pieno lasciava all'imprenditore il potere di organizzazione
dell'attività aziendale, potere che poteva soffrire limiti solo in
dipendenza di accordi che lo vincolassero o lo condizionassero a
particolari procedure; che, pertanto, non ravvisandosi nella fattispecie
alcuna violazione di legge e neppure alcun inadempimento contrattuale,
la domanda doveva essere respinta; che al riguardo il richiamo al R.D. n. 1955 del 1923, art. 12,
era irrilevante giacchè la norma nulla imponeva circa i tempi in cui
l'orario di lavoro doveva essere comunicato e che inammissibile era la
applicazione analogica dell'art. 2109 c.c., data la specificità
della disciplina dell'orario di lavoro e la netta diversità della
disciplina delle ferie; che in sostanza nella fattispecie non vi era
alcuna modificazione di orari concordati nè violazione della volontà
contrattuale, mentre i lavoratori conoscevano con notevole anticipo la
fascia in cui ricadeva il proprio turno e solo l'inizio della
prestazione veniva loro comunicato al massimo il giorno prima, il tutto
secondo le esigenze organizzative aziendali, per di più caratterizzate
dal profilo pubblicistico del servizio da assicurare;
che,
inoltre, la posizione di disponibilità non poteva essere equiparata al
lavoro effettivo e neppure a quella di reperibilità, essendo
quest'ultima propria dei non turnisti ed essendo, invece, la
disponibilità un vero e proprio turno di lavoro; che, per altro, il
primo Giudice (che pur aveva respinto la domanda risarcitoria del danno
biologico) erroneamente, aveva proceduto alla liquidazione del danno per
il lamentato disagio, non solo in difetto di qualunque indicazione del
diritto che sarebbe stato violato ma ponendo a parametro per la
determinazione del danno una indennità contrattuale (di reperibilità)
riconosciuta come diversa, senza chiarire le ragioni per le quali la
stessa andava considerata nella percentuale dei 2/3.
Si costituivano i lavoratori appellati chiedendo il rigetto dell'appello.
Con
sentenza del 10 dicembre 2003-25 febbraio 2004, l'adita Corte d'appello
di Napoli, ritenuto che la pretesa dei lavoratori risultava priva di
fondamento sia in relazione a disposizioni legislative sia a clausole
contrattuali e, segnatamente, a quelle invocate dagli istanti,
accoglieva il gravame, rigettando le domande proposte con i ricorso
introduttivi.
Per la cassazione di tale pronuncia ricorrono i lavoratori con tre motivi.
Resiste la SEP SA con controricorso.
Motivi della decisione
Va
preliminarmente disattesa l'eccezione - sollevata dalla società contro
ricorrente nel proprio atto difensivo - di inammissibilità del ricorso
per mancata precisazione delle ragioni delle proposte censure,
esaurentisi in una generica postulazione di erroneità della sentenza
impugnata, risultando l'atto contestato provvisto dei requisiti di forma
e di contenuto indicati dall'art. 366 c.p.c., come emerge dall'analisi dello stesso.
Con
il primo mezzo d'impugnazione, infatti, i ricorrenti, denunciando
violazione o falsa applicazione di norme di diritto ed omessa,
insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della
controversia, osservano che in tema di orario di lavoro degli
autoferrotranvieri, l'art. 3 del C.C.N.L. del 1976 e del 1985 prevede
"il preventivo e periodico esame tra le aziende e le RSA delle
organizzazioni sindacali dei lavoratori stipulanti sui problemi relativi
alle condizioni ambientali, ai ritmi e turni di lavoro ...
"nonchè il R.D.L. n. 2328 del 1923, art. 10 e L. n. 138 del 1958, art. 10,
prevedono altresì l'obbligo per le aziende di affiggere negli uffici,
nelle stazioni, negli scali, nei depositi e nelle officine i turni di
servizio in modo che il personale possa prenderne conoscenza".
Lamentano
che il Giudice d'appello abbia rigettato le domande dei lavoratori
applicando "letteralmente" le norme in questione sostenendo la mancata
previsione, in esse, del tempo necessario per un'adeguata conoscenza
preventiva, senza avvedersi che così interpretando la normativa di
riferimento ha riconosciuto, irragionevolmente, all'imprenditore totale
libertà di avvisare i lavoratori a suo completo piacimento, sia per ciò
che concerneva i turni che per l'orario di lavoro (quindi un mese prima,
un giorno prima, 10 minuti prima, tutto a sua completa discrezione).
Il
Giudice d'appello, inoltre - osservano ancora i lavoratori con il
secondo motivo di ricorso -, con la impugnata pronuncia avrebbe violato l'art. 1375 c.c., che impone che l'esecuzione del contratto avvenga secondo buona fede, nonchè l'art. 1175 c.c.,
secondo cui "il debitore ed il creditore devono comportarsi secondo le
regole della correttezza", non tenendo conto che il rapporto di lavoro,
avendo natura contrattuale, soggiace alle suddette disposizioni;
disposizioni
da ritenersi violate ove - come nella specie - l'orario di lavoro venga
variato con un preavviso di appena 24 ore circa i turni da osservare il
giorno successivo.
Tali modalità del preavviso comporterebbero anche una violazione dell'art. 2087 c.c.
(terzo motivo) concernente l'obbligo del datore di lavoro di adottare
tutte le misure necessarie "a tutelare l'integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro".; e di tanto il Giudice a
quo avrebbe dovuto tener conto nella sua decisione, anche - come dedotto
con il quarto motivo - alla luce dell'art. 32 Cost. (tutela della salute).
Il
ricorso va accolto, essendo fondato il primo motivo, mentre gli altri,
tutti volti a dimostrare l'illegittimità, sotto diversi profili, della
condotta datoriale, sono assorbiti dalla soluzione offerta.
Dispone la L. 14 febbraio 1958, n. 138, art. 10,
che le aziende esercenti autoservizi pubblici di linea extraurbani
adibiti al trasporto dei viaggiatori "devono affiggere i turni di
servizio negli uffici, nelle autostazioni, nei depositi e nelle officine
in modo che il personale ne possa prendere conoscenza".
Tale
disposizione, imponendo al datore di lavoro di affiggere i turni, è
intesa a consentire al lavoratore stesso una ragionevole programmazione
del proprio tempo in relazione agli impegni lavorativi e non può quindi
essere interpretata nel senso che l'affissione possa avvenire a ridosso
dell'inizio della prestazione.
Dalla lettura
delle norme in questione risulta, infatti, di tutta evidenza come il
legislatore, imponendo l'affissione dei turni e degli orari di lavoro e,
quindi, la pubblicizzazione degli stessi, abbia inteso assicurare ai
lavoratori interessati una conoscenza anticipata in un tempo ritenuto
"ragionevole".
La Corte d'appello, al
contrario, ha affermato, a sostegno della propria decisione, che, in
tema di orario di lavoro, limiti allo ius variandi non sarebbero
configurabili, trattandosi di rapporti di lavoro a "tempo pieno",
rispetto ai quali nessuna norma di legge o di contratto, ne faceva
previsione, sicchè il comportamento dell'azienda doveva ritenersi
legittimo.
Ma così interpretando la
disposizione in oggetto, il Giudice a quo non si è fatto carico di
considerare la finalità della stessa, ritenendo, in mancanza di una
norma che specificasse il tempo necessario per una adeguata conoscenza
preventiva, che anche una comunicazione dell'inizio del turno lavorativo
avvenuta soltanto il giorno precedente, fosse rispettosa del generico
dettato legislativo.
Tale convincimento appare
del tutto arbitrario e lesivo della dignità del lavoratore che la norma
di riferimento, letta anche alla luce dell'art. 32 Cost., mira, invece, a tutelare.
Nè
può sostenersi che un tale ragionamento sarebbe applicabile solo al
lavoro part-time (nel quale, prima la L. 19 dicembre 1984, n. 263, art. 5
e poi il D.Lgs. 25 febbraio 2000, n. 61, art. 2, hanno
previsto espressamente l'indicazione della collocazione temporale della
prestazione lavorativa), giacchè le esigenze di programmabilità del
tempo libero, ravvisate espressamente dal legislatore nell'ambito del
rapporto di lavoro part-time, sussistono, anche se in maniera meno
pressante, all'interno del rapporto di lavoro a tempo pieno. Anche per i
rapporti a tempo pieno, infatti, il tempo libero ha una sua specifica
importanza stante il rilievo sociale che assume lo svolgimento, anche
per il lavoratore a tempo pieno, di attività sportive, ricreative,
culturali, sociali, politiche, scolastiche ecc., o anche di un secondo
lavoro, nel caso in cui non sia prevista una clausola di esclusiva.
Il
ricorso va, pertanto, accolto nei termini suddetti, con conseguente
annullamento della impugnata decisione e rinvio alla medesima Corte
d'appello di Napoli affinchè, in diversacomposizione, riesamini la
controversia alla luce della illustrata interpretazione della normativa
di riferimento. La stessa Corte provvedere anche alla regolamentazione
delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche
per le spese, alla Corte d'appello di Napoli, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 29 gennaio 2008.
Depositato in Cancelleria il 21 maggio 2008
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