INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. civ. Sez. lavoro, 23-04-2008, n. 10529 | |
Svolgimento del processo
Il
signor M.C., dipendente della società di fatto impresa lavorazione
marmi Fratelli F., ha subito il (OMISSIS) infortunio sul lavoro,
rimanendo schiacciato sotto le ruote di una autogru in lento movimento
che accompagnava a piedi per evitare le oscillazioni della pedana carica
di marmi sospesa con funi di acciaio al braccio della stessa autogru.
L'azione
di regresso dell'Inail per L. 69.515.395 è stata accolta dal primo
giudice, e poi dalla Corte di appello di Caltanissetta con sentenza 10
dicembre 2003/2 marzo 2004 n. 197.
Avverso
tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la soc. di fatto F.lli
Falzone, in persona dei due soci, con cinque motivi.
L'Istituto intimato si è costituito con controricorso, resistendo;
ha proposto ricorso incidentale, per l'aggiornamento del valore capitale.
Motivi della decisione
Devono esser riuniti il ricorso principale ed il ricorso incidentale proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., e art. 360 c.p.c., n. 4.
Contestano alla sentenza impugnata di avere basato l'accoglimento della domanda sulla colpa del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c., laddove l'Inail aveva dedotto la violazione solo del D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, artt. 169, 170, 68 e 70;
in tal modo la sentenza impugnata avrebbe deciso la causa sulla base di
un titolo nuovo e diverso da quello posto a base della domanda.
Il motivo non è fondato.
Il principio della corrispondenza tra il chiesto il pronunciato, fissato dall'art. 112 c.p.c.,
implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non
richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi
corrispondenza nella domanda; esso non preclude che il giudice renda la
pronuncia richiesta non solo in base all'applicazione di una norma
giuridica diversa da quella invocata dall'istante, ma altresì in base ad
una ricostruzione e valutazione dei fatti autonoma rispetto a quella
prospettata dalle parti, nei limiti delle allegazioni delle parti (Cass.
19 giugno 2004 n. 11455).
Nel caso di specie non è dubbio che l'Inail basasse la propria azione di regresso sul D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, e sulla responsabilità civile del datore di lavoro dalla norma stessa richiesta.
Poichè
la sentenza del giudice penale che aveva condannato i datori di lavoro
per il reato di lesioni colpose è stata riformata in appello, con
declaratoria di improcedibilità per estinzione del reato per intervenuta
prescrizione dello stesso, l'accertamento della responsabilità civile
del datore di lavoro nella causazione dell'infortunio sul lavoro è
demandato al giudice civile (Corte cost. 28 febbraio 1967 n. 28).
Nel
far ciò, il giudice deve individuare le norme applicabili ai fatti
narrati dall'Istituto ricorrente e qualificare la responsabilità del
datore di lavoro, anche ai sensi dell'art. 2087 c.c..
Costituisce ormai jus receptum che la responsabilità conseguente alla violazione dell'art. 2087 c.c., ha natura contrattuale, perchè il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) (Cass. 25 maggio 2006 n. 12445), che entra così a far parte del sinallagma contrattuale.
Ne
consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da
infortunio sul lavoro proposta dal lavoratore, o dall'Istituto
assicuratore in via di regresso, si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 c.c., sull'inadempimento delle obbligazioni (Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184).
La regola sovrana in tale materia, desumibile dall'art. 1218 c.c.,
è che il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve
provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno, e la
sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione, limitandosi alla mera
allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte,
mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare
il proprio adempimento, o che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non
imputabile (Cass. Sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533, cui si è
conformata tutta la giurisprudenza di legittimità successiva: ex
plurimis Cass. 25 ottobre 2007 n. 22361, Cass. 19 aprile 2007 n. 9351,
Cass. 26 gennaio 2007 n. 1743).
Nell'applicare
tali fondamentali civilistici alle complesse obbligazioni scaturenti
dal contratto di lavoro, in particolare alla distribuzione degli oneri
probatori per la responsabilità del danno da infortunio sul lavoro,
questa Corte ha ritenuto, ad es., in caso di infortunio provocato
dall'uso di un macchinario, che il lavoratore deve provare il nesso
causale tra uso del macchinario ed evento dannoso, restando gravato il
datore di lavoro dell'onere di dimostrare di avere osservato le norme
stabilite in relazione all'attività svolta, nonchè di avere adottato, ex
art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie per tutelare
l'integrità del lavoratore (Cass. 1 ottobre 2003 n. 14645, Cass. 28
luglio 2004 n. 14270);
analoga soluzione in
caso, ad es., di caduta accidentale di operaio edile da palazzo in
costruzione, dove nessuno sostiene che tocchi al lavoratore provare
l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza
nell'apprestamento delle opere provvisionali.
Più
complessa la problematica per la prova delle malattie professionali, in
rapporto alla nocività dell'ambiente di lavoro, che però non rileva in
questa sede (per riferimenti Cass. 2 agosto 2007 n. 17017, Cass. 29
maggio 1990 n. 5002).
La formulazione che si
rinviene in alcune pronunce di questa Corte, secondo cui il lavoratore
infortunato ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento
del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza (Cass. 24 febbraio 2006 n.
4184, Cass. 11 aprile 2006 n. 8386, Cass. 25 maggio 2006 n. 12445,
Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, 19 luglio 2007 n. 16003) non appare
coerente con il principio enunciato dalle Sezioni Unite (e con
l'applicazione coerente che ne ha fatto questa Sezione Lavoro nei casi
sopra citati), e non può pertanto essere seguita.
Il principio sopra esposto non comporta l'affermazione di una responsabilità oggettiva ex art. 2087 c.c.,
nella stessa misura in cui l'allegazione del mancato pagamento di una
somma di denaro non comporta una responsabilità oggettiva del debitore,
ai sensi dell'art. 1218 c.c..
La
colpa del danneggiante è essenziale per qualsiasi tipo di responsabilità
civile. Vi è però una diversità di regime probatorio: nella
responsabilità extracontrattuale, il danneggiato deve provare il fatto,
il danno, il nesso causale, e la colpa del danneggiante, ai sensi dell'art. 2697 c.c.; nella responsabilità contrattuale l'art. 1218 c.c. (e l'art. 2087 c.c.)
pone una presunzione legale di colpa del debitore, ed opera una
inversione dell'onere probatorio, nel senso che il debitore è ammesso a
provare l'assenza di colpa, pur sempre elemento essenziale anche della
sua responsabilità contrattuale.
Si deve conclusivamente formulare sul punto il seguente principio di diritto:
"La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c.,
è di carattere contrattuale, perchè il contenuto del contratto
individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art.
1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo
inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli
oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone
negli stessi termini che nell'art. 1218 c.c.,
sull'inadempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il lavoratore
che agisca per il riconoscimento del danno da infortunio sul lavoro, o
l'Istituto assicuratore che agisca in via di regresso, deve allegare e
provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il
nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro
deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè
di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le
misure per evitare il danno".
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2697 c.c.,
e contraddittoria motivazione in ordine a punto decisivo della
controversia, perchè la sentenza impugnata avrebbe da una parte
affermato l'imprudenza del M. nel camminare in prossimità dell'autogru
in movimento, e dall'altra la responsabilità esclusiva del datore di
lavoro, così configurando una responsabilità oggettiva di costui.
Con
il terzo motivo i ricorrenti insistono sulla violazione delle norme
sopra riportate e sul vizio di motivazione, in relazione alla
valutazione delle risultanze istruttorie. Le riportano ampiamente,
rilevando che il M. si infortunò perchè accompagnava con le mani,
camminando tra la ruota dell'autogru ed il carico, una pedana carica di
blocchi di sabucina che erano sospesi al gancio dell'autogru con funi di
acciaio. Questa condotta sarebbe imprevedibile ed escluderebbe la colpa
del datore di lavoro.
I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati.
Il
giudice d'appello ha affermato la responsabilità del datore di lavoro
sulla circostanza di fatto che egli, che quel giorno aveva personalmente
controllato le operazioni di lavoro svolte dell'infortunato, aveva
consentito quella imprudente modalità di lavoro, consistente
nell'accompagnare il movimento, a passo d'uomo, dell'autogru, al fine di
evitare le oscillazioni del carico. Nessuna affermazione pertanto di
responsabilità oggettiva, nè di condotta imprevedibile, ma solo di culpa
in vigilando del datore di lavoro.
Con il quarto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 1916 c.c. e art. 1227 c.c., comma 1;
D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10;
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punto
decisivo della controversia, censurano la sentenza impugnata perchè li
avrebbe condannati a pagare una somma superiore al danno civilistico del
M.. Il motivo presenta due profili distinti: quello degli oneri
probatori, e quello dei mezzi di prova.
Sul primo punto, occorre rifarsi ai fondamentali sopra indicati, ed affermare il seguente principio di diritto:
"l'Inail,
che agisce quale creditore in via di regresso, deve provare la
responsabilità civile del datore di lavoro ed il danno, cioè le
prestazioni erogate e da erogare in conseguenza dell'infortunio sul
lavoro (in caso di rendita, la sua capitalizzazione) ; il datore di
lavoro che eccepisca la eccessività della somma pretesa, per superamento
del limite del danno civilistico, deve provare il fatto impeditivo".
Tale principio, già enunciato da questa Corte con la sentenza 17 gennaio
1987 n. 389, non risulta più ripetuto in seguito, a causa della sua
pacificità, e va qui ribadito.
Nessun
argomento in contrario può trarsi dalla sentenza di questa Corte 9
agosto 2006 n. 17960, la quale, nel riaffermare il limite del danno
civilistico, non tratta il punto specifico del riparto tra l'azione e
l'eccezione. Sul secondo punto, relativo ai mezzi di prova del credito
dell'Istituto, costituisce jus reception che la congruità della
indennità corrisposta dall'INAIL al lavoratore nel giudizio di regresso
intentato nei confronti del datore di lavoro, può essere fornita con
l'attestato del direttore della sede erogatrice, poichè l'Istituto
svolge la sua azione attraverso attiemanati a conclusione di
procedimenti amministrativi; tali atti sono assistiti dalla presunzione
di legittimità propria di tutti gli atti amministrativi, che può venir
meno solo di fronte a contestazioni precise e puntuali che individuino
il vizio da cui l'atto in considerazione sarebbe affetto e offrano
contestualmente di provarne il fondamento; pertanto, in difetto di
contestazioni specifiche, deve ritenersi che la liquidazione delle
prestazioni sia avvenuta nel rispetto dei criteri enunciati dalla legge,
e che il credito relativo alle prestazioni erogate sia esattamente
indicato in sede di regresso sulla base della certificazione del
direttore della sede (Cass. 1 dicembre 1999 n. 13377, Cass. 14 luglio
2001 n. 9601, Cass. 14 aprile 2003 n. 5909, Cass. 15 ottobre 2007 n.
21540).
Non costituisce contestazione specifica la richiesta di ctu.
Con il quinto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 429 c.p.c.,
comma 3; L. n. 412 del 1999, art. 17, comma 6, censurano la sentenza
impugnata per avere liquidato gli interessi legali sulle somme già
rivalutate anno per anno.
Il motivo è infondato.
Da
una parte, l'aggiornamento del valore capitale della rendita che
l'Inail deve corrispondere all'infortunato non costituisce rivalutazione
ai sensi dell'art. 429 c.p.c., comma 3.
Dall'altra
esso è un credito di valore, e non di valuta, e pertanto consente il
cumulo tra i due accessori (Cass. 17 febbraio 2004 n. 3040, Cass.
5683/94 e 5062/2000).
Con ricorso incidentale
l'Inail si duole che il giudice d'appello abbia confermato la sentenza
di accoglimento della domanda dell'Inail del primo giudice, senza
considerare che l'Istituto aveva depositato in Cancelleria, in data 29
novembre 2002, attestato di aggiornamento dell'importo delle prestazioni
in Euro 65.851,00.
Il ricorso, fondato in apicibus, urta contro il rilievo che il documento, pur precisamente indicato, non risulta agli atti.
Vanno pertanto respinti entrambi i ricorsi.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li respinge; compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 12 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2008
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domenica 2 febbraio 2014
Cassazione: Danno da infortunio su lavoro.Il lavoratore non è tenuto a provare la colposa inadempienza del datore di lavoro
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