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domenica 2 febbraio 2014

Cassazione: Danno da infortunio su lavoro.





 
INFORTUNI SUL LAVORO
Cass. civ. Sez. lavoro, 23-04-2008, n. 10529
Fatto Diritto P.Q.M.

Svolgimento del processo

Il signor M.C., dipendente della società di fatto impresa lavorazione marmi Fratelli F., ha subito il (OMISSIS) infortunio sul lavoro, rimanendo schiacciato sotto le ruote di una autogru in lento movimento che accompagnava a piedi per evitare le oscillazioni della pedana carica di marmi sospesa con funi di acciaio al braccio della stessa autogru.
L'azione di regresso dell'Inail per L. 69.515.395 è stata accolta dal primo giudice, e poi dalla Corte di appello di Caltanissetta con sentenza 10 dicembre 2003/2 marzo 2004 n. 197.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la soc. di fatto F.lli Falzone, in persona dei due soci, con cinque motivi.
L'Istituto intimato si è costituito con controricorso, resistendo;
ha proposto ricorso incidentale, per l'aggiornamento del valore capitale.

Motivi della decisione

Devono esser riuniti il ricorso principale ed il ricorso incidentale proposti avverso la stessa sentenza, ai sensi dell'art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., e art. 360 c.p.c., n. 4.
Contestano alla sentenza impugnata di avere basato l'accoglimento della domanda sulla colpa del datore di lavoro, ex art. 2087 c.c., laddove l'Inail aveva dedotto la violazione solo del D.P.R. 27 aprile 1955 n. 547, artt. 169, 170, 68 e 70; in tal modo la sentenza impugnata avrebbe deciso la causa sulla base di un titolo nuovo e diverso da quello posto a base della domanda.
Il motivo non è fondato.
Il principio della corrispondenza tra il chiesto il pronunciato, fissato dall'art. 112 c.p.c., implica il divieto per il giudice di attribuire alla parte un bene non richiesto o comunque di emettere una statuizione che non trovi corrispondenza nella domanda; esso non preclude che il giudice renda la pronuncia richiesta non solo in base all'applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante, ma altresì in base ad una ricostruzione e valutazione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, nei limiti delle allegazioni delle parti (Cass. 19 giugno 2004 n. 11455).
Nel caso di specie non è dubbio che l'Inail basasse la propria azione di regresso sul D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10, e sulla responsabilità civile del datore di lavoro dalla norma stessa richiesta.
Poichè la sentenza del giudice penale che aveva condannato i datori di lavoro per il reato di lesioni colpose è stata riformata in appello, con declaratoria di improcedibilità per estinzione del reato per intervenuta prescrizione dello stesso, l'accertamento della responsabilità civile del datore di lavoro nella causazione dell'infortunio sul lavoro è demandato al giudice civile (Corte cost. 28 febbraio 1967 n. 28).
Nel far ciò, il giudice deve individuare le norme applicabili ai fatti narrati dall'Istituto ricorrente e qualificare la responsabilità del datore di lavoro, anche ai sensi dell'art. 2087 c.c..
Costituisce ormai jus receptum che la responsabilità conseguente alla violazione dell'art. 2087 c.c., ha natura contrattuale, perchè il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza (art. 2087 c.c.) (Cass. 25 maggio 2006 n. 12445), che entra così a far parte del sinallagma contrattuale.
Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro proposta dal lavoratore, o dall'Istituto assicuratore in via di regresso, si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 c.c., sull'inadempimento delle obbligazioni (Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184).
La regola sovrana in tale materia, desumibile dall'art. 1218 c.c., è che il creditore che agisca per il risarcimento del danno deve provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto, il danno, e la sua riconducibilità al titolo dell'obbligazione, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell'inadempimento della controparte, mentre è il debitore convenuto ad essere gravato dell'onere di provare il proprio adempimento, o che l'inadempimento è dovuto a causa a lui non imputabile (Cass. Sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533, cui si è conformata tutta la giurisprudenza di legittimità successiva: ex plurimis Cass. 25 ottobre 2007 n. 22361, Cass. 19 aprile 2007 n. 9351, Cass. 26 gennaio 2007 n. 1743).
Nell'applicare tali fondamentali civilistici alle complesse obbligazioni scaturenti dal contratto di lavoro, in particolare alla distribuzione degli oneri probatori per la responsabilità del danno da infortunio sul lavoro, questa Corte ha ritenuto, ad es., in caso di infortunio provocato dall'uso di un macchinario, che il lavoratore deve provare il nesso causale tra uso del macchinario ed evento dannoso, restando gravato il datore di lavoro dell'onere di dimostrare di avere osservato le norme stabilite in relazione all'attività svolta, nonchè di avere adottato, ex art. 2087 c.c., tutte le misure necessarie per tutelare l'integrità del lavoratore (Cass. 1 ottobre 2003 n. 14645, Cass. 28 luglio 2004 n. 14270);
analoga soluzione in caso, ad es., di caduta accidentale di operaio edile da palazzo in costruzione, dove nessuno sostiene che tocchi al lavoratore provare l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza nell'apprestamento delle opere provvisionali.
Più complessa la problematica per la prova delle malattie professionali, in rapporto alla nocività dell'ambiente di lavoro, che però non rileva in questa sede (per riferimenti Cass. 2 agosto 2007 n. 17017, Cass. 29 maggio 1990 n. 5002).
La formulazione che si rinviene in alcune pronunce di questa Corte, secondo cui il lavoratore infortunato ha l'onere di provare il fatto costituente l'inadempimento del datore di lavoro all'obbligo di sicurezza (Cass. 24 febbraio 2006 n. 4184, Cass. 11 aprile 2006 n. 8386, Cass. 25 maggio 2006 n. 12445, Cass. 8 maggio 2007 n. 10441, 19 luglio 2007 n. 16003) non appare coerente con il principio enunciato dalle Sezioni Unite (e con l'applicazione coerente che ne ha fatto questa Sezione Lavoro nei casi sopra citati), e non può pertanto essere seguita.
Il principio sopra esposto non comporta l'affermazione di una responsabilità oggettiva ex art. 2087 c.c., nella stessa misura in cui l'allegazione del mancato pagamento di una somma di denaro non comporta una responsabilità oggettiva del debitore, ai sensi dell'art. 1218 c.c..
La colpa del danneggiante è essenziale per qualsiasi tipo di responsabilità civile. Vi è però una diversità di regime probatorio: nella responsabilità extracontrattuale, il danneggiato deve provare il fatto, il danno, il nesso causale, e la colpa del danneggiante, ai sensi dell'art. 2697 c.c.; nella responsabilità contrattuale l'art. 1218 c.c. (e l'art. 2087 c.c.) pone una presunzione legale di colpa del debitore, ed opera una inversione dell'onere probatorio, nel senso che il debitore è ammesso a provare l'assenza di colpa, pur sempre elemento essenziale anche della sua responsabilità contrattuale.
Si deve conclusivamente formulare sul punto il seguente principio di diritto:
"La responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c., è di carattere contrattuale, perchè il contenuto del contratto individuale di lavoro risulta integrato per legge (ai sensi dell'art. 1374 c.c.) dalla disposizione che impone l'obbligo di sicurezza e lo inserisce nel sinallagma contrattuale. Ne consegue che il riparto degli oneri probatori nella domanda di danno da infortunio sul lavoro si pone negli stessi termini che nell'art. 1218 c.c., sull'inadempimento delle obbligazioni; da ciò discende che il lavoratore che agisca per il riconoscimento del danno da infortunio sul lavoro, o l'Istituto assicuratore che agisca in via di regresso, deve allegare e provare la esistenza dell'obbligazione lavorativa, del danno, ed il nesso causale di questo con la prestazione, mentre il datore di lavoro deve provare che il danno è dipeso da causa a lui non imputabile, e cioè di avere adempiuto al suo obbligo di sicurezza, apprestando tutte le misure per evitare il danno".
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 2697 c.c., e contraddittoria motivazione in ordine a punto decisivo della controversia, perchè la sentenza impugnata avrebbe da una parte affermato l'imprudenza del M. nel camminare in prossimità dell'autogru in movimento, e dall'altra la responsabilità esclusiva del datore di lavoro, così configurando una responsabilità oggettiva di costui.
Con il terzo motivo i ricorrenti insistono sulla violazione delle norme sopra riportate e sul vizio di motivazione, in relazione alla valutazione delle risultanze istruttorie. Le riportano ampiamente, rilevando che il M. si infortunò perchè accompagnava con le mani, camminando tra la ruota dell'autogru ed il carico, una pedana carica di blocchi di sabucina che erano sospesi al gancio dell'autogru con funi di acciaio. Questa condotta sarebbe imprevedibile ed escluderebbe la colpa del datore di lavoro.
I due motivi, da esaminare congiuntamente per la loro connessione, non sono fondati.
Il giudice d'appello ha affermato la responsabilità del datore di lavoro sulla circostanza di fatto che egli, che quel giorno aveva personalmente controllato le operazioni di lavoro svolte dell'infortunato, aveva consentito quella imprudente modalità di lavoro, consistente nell'accompagnare il movimento, a passo d'uomo, dell'autogru, al fine di evitare le oscillazioni del carico. Nessuna affermazione pertanto di responsabilità oggettiva, nè di condotta imprevedibile, ma solo di culpa in vigilando del datore di lavoro.
Con il quarto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2087 e 1916 c.c. e art. 1227 c.c., comma 1;
D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 10; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine a punto decisivo della controversia, censurano la sentenza impugnata perchè li avrebbe condannati a pagare una somma superiore al danno civilistico del M.. Il motivo presenta due profili distinti: quello degli oneri probatori, e quello dei mezzi di prova.
Sul primo punto, occorre rifarsi ai fondamentali sopra indicati, ed affermare il seguente principio di diritto:
"l'Inail, che agisce quale creditore in via di regresso, deve provare la responsabilità civile del datore di lavoro ed il danno, cioè le prestazioni erogate e da erogare in conseguenza dell'infortunio sul lavoro (in caso di rendita, la sua capitalizzazione) ; il datore di lavoro che eccepisca la eccessività della somma pretesa, per superamento del limite del danno civilistico, deve provare il fatto impeditivo". Tale principio, già enunciato da questa Corte con la sentenza 17 gennaio 1987 n. 389, non risulta più ripetuto in seguito, a causa della sua pacificità, e va qui ribadito.
Nessun argomento in contrario può trarsi dalla sentenza di questa Corte 9 agosto 2006 n. 17960, la quale, nel riaffermare il limite del danno civilistico, non tratta il punto specifico del riparto tra l'azione e l'eccezione. Sul secondo punto, relativo ai mezzi di prova del credito dell'Istituto, costituisce jus reception che la congruità della indennità corrisposta dall'INAIL al lavoratore nel giudizio di regresso intentato nei confronti del datore di lavoro, può essere fornita con l'attestato del direttore della sede erogatrice, poichè l'Istituto svolge la sua azione attraverso attiemanati a conclusione di procedimenti amministrativi; tali atti sono assistiti dalla presunzione di legittimità propria di tutti gli atti amministrativi, che può venir meno solo di fronte a contestazioni precise e puntuali che individuino il vizio da cui l'atto in considerazione sarebbe affetto e offrano contestualmente di provarne il fondamento; pertanto, in difetto di contestazioni specifiche, deve ritenersi che la liquidazione delle prestazioni sia avvenuta nel rispetto dei criteri enunciati dalla legge, e che il credito relativo alle prestazioni erogate sia esattamente indicato in sede di regresso sulla base della certificazione del direttore della sede (Cass. 1 dicembre 1999 n. 13377, Cass. 14 luglio 2001 n. 9601, Cass. 14 aprile 2003 n. 5909, Cass. 15 ottobre 2007 n. 21540).
Non costituisce contestazione specifica la richiesta di ctu.
Con il quinto motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 429 c.p.c., comma 3; L. n. 412 del 1999, art. 17, comma 6, censurano la sentenza impugnata per avere liquidato gli interessi legali sulle somme già rivalutate anno per anno.
Il motivo è infondato.
Da una parte, l'aggiornamento del valore capitale della rendita che l'Inail deve corrispondere all'infortunato non costituisce rivalutazione ai sensi dell'art. 429 c.p.c., comma 3.
Dall'altra esso è un credito di valore, e non di valuta, e pertanto consente il cumulo tra i due accessori (Cass. 17 febbraio 2004 n. 3040, Cass. 5683/94 e 5062/2000).
Con ricorso incidentale l'Inail si duole che il giudice d'appello abbia confermato la sentenza di accoglimento della domanda dell'Inail del primo giudice, senza considerare che l'Istituto aveva depositato in Cancelleria, in data 29 novembre 2002, attestato di aggiornamento dell'importo delle prestazioni in Euro 65.851,00.
Il ricorso, fondato in apicibus, urta contro il rilievo che il documento, pur precisamente indicato, non risulta agli atti.
Vanno pertanto respinti entrambi i ricorsi.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li respinge; compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 12 febbraio 2008.
Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2008
 

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