T.A.R. Campania Salerno Sez. I, Sent., (ud. 20/10/2023) 23-10-2023, n. 2353
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania
sezione staccata di Salerno (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1590 del 2018, proposto da S.D.F., rappresentato e difeso dagli avvocati
contro
Questura di Avellino, Ministero Interno, non costituiti in giudizio; Ministero dell'Interno, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Distrettuale Salerno, domiciliataria ex lege in Salerno, c.so Vittorio Emanuele, 58;
per l'annullamento
del provvedimento Cat 14e2018/PASI - notificato in data 01 agosto 2018 - con il quale il Questore di Avellino rigettava l'istanza avanzata dal ricorrente, già titolare di licenza per commercio preziosi, intesa ad ottenere l'autorizzazione al trasferimento dei locali della sede ubicata in S. (A.) dalla via R. n 56 ai nuovi locali ubicati nello stesso comune in Via S.P. e disponeva contestualmente la revoca della licenza precedentemente rilasciata in data 11.01.2012; nonché di ogni altro atto presupposto, connesso o conseguente.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Ministero dell'Interno;
Visti tutti gli atti della causa;
Visto l'art. 87, comma 4-bis, cod.proc.amm.;
Relatore all'udienza straordinaria di smaltimento dell'arretrato del giorno 20 ottobre 2023 il dott. Luca Iera e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il signor D.F. è titolare della licenza rilasciata in data 11.01.2012 dalla Questura della Provincia di Avellino avente ad oggetto il commercio di oggetti preziosi da esercitarsi presso la sede ubicata nel Comune di Serino (AV) via Roma.
Con successiva istanza (non versata in giudizio) il signor D.F. ha chiesto l'autorizzazione al trasferimento dello svolgimento dell'attività presso i nuovi locali ubicati nello stesso Comune in via S.P..
La Questura della Provincia di Avellino, con provvedimento n. 14E.2018 PASI del 22.6.2018, ha respinto l'istanza di trasferimento della sede e al contempo ha revocato la precedente licenza all'esercizio dell'attività commerciale, in quanto si dubita della "certa e completa affidabilità" dell'istante in ordine al "buon uso del titolo di polizia".
Nel provvedimento si afferma, in particolare, che l'istante avrebbe dato inizio "abusivamente all'attività di commercio preziosi, senza il possesso di licenza, nei locali ubicati in via S.P. …" e che inoltre questi risulta deferito per alcuni reati, è stato destinatario di un decreto penale di condanna ad ammendo per commercio non autorizzato di cose preziose e che ha violato varie prescrizioni concernenti lo svolgimento dell'attività commerciale di oggetti preziosi.
Il signor D.F. ha impugnato il Provv. del 22 giugno 2018 affidando il ricorso a cinque motivi.
Con il primo motivo evidenzia come "non vi stata alcuna violazione ed abuso da parte del sig. D.F.S. che non ha posto in essere alcun commercio non autorizzato di cose preziose". Volendo semplicemente trasferire la sede della propria attività, il ricorrente si era limitato a "spostare parte della propria merce ed avviare la nuova sede nelle more della definizione delle procedure", fermo restando che all'interno dei nuovi locali, oggetto di controllo in data 16.12.2027, non erano mai stati presenti oggetti qualificabili come preziosi".
Con il secondo motivo deduce che decisione della Questura che si impugna appare tanto più incomprensibile se si considera che "la maggioranza delle argomentazioni" addotte per fondare il diniego sarebbero relative a fatti antecedenti al rilascio della licenza avvenuta in data 11 gennaio 2012, allorquando la Questura, nel rilasciare la licenza, aveva espresso un giudizio positivo sulla affidabilità. Inoltre la denuncia per calunnia e violazione obblighi assistenza familiare non era sfociato in un procedimento penale e il decreto penale di condanna del 2018 è oggetto di opposizione.
Con il terzo motivo lamenta la violazione dell'art. 10-bis della L. n. 241 del 1990 e il difetto di istruttoria in quanto con la comunicazione di avvio del procedimento non stato contestato "di aver violato delle prescrizioni in merito alla consegna del certificato di verifica dell'impianto di allarme installato nell'esercizio di vendita". Del resto, tale assunto sarebbe comunque non corretto dal momento che questi aveva consegnato il certificato sia per l'anno 2016 che per l'anno 2017 "come dimostra il fatto che nessun provvedimento è stato adottato dalla Questura nei confronti del ricorrente per l'asserita assenza".
Con il quarto motivo rileva l'irrazionalità dell'agire amministrativo poiché la stessa Questura, nel valutare la domanda presentata, evidenziava al ricorrente la necessità di sostituire le vetrine esterne che dovevano avere caratteristiche pari ad Uni EN 1063 classe BR3, lasciando così intendere la conclusione positiva del procedimento.
Con il quinto motivo, infine, rileva la mancanza delle "condizioni ostative previste dagli artt. 11 e 31 del TULPS" al mantenimento del titolo abilitativo e quindi l'assenza di "pericolosità sociale", anche in considerazione della circostanza che egli "operava nel settore da tempo risalente, otteneva la licenza nel 2012 e da allora non aveva mai avuto problemi o fatto registrare condotte che potessero fondare dubbi circa le modalità con cui lo stesso svolge il proprio operato".
L'amministrazione intimata si è costituita con memoria di stile, depositando tuttavia la documento oggetto del procedimento poi sfociato nel provvedimento gravato.
All'udienza del 20.10.2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
L'attività del commercio di oggetto preziosi è disciplinata, per quanto di interesse in questa sede, dagli artt. 127 e 128 del R.D. n. 773 del 1931.
Ai sensi dell'art. 127 cit. "I fabbricanti, i commercianti, i mediatori di oggetti preziosi, hanno l'obbligo di munirsi di licenza del Questore … Essa è valida per tutti gli esercizi di vendita di oggetti preziosi appartenenti alla medesima persona o alla medesima ditta, anche se si trovino in località diverse".
L'art. 11 del medesimo r.d. prevede inoltre che " … Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta.
Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione".
La Corte costituzionale, con sentenza 2-16 dicembre 1993, n. 440, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'ultima disposizione in esame nella parte in cui pone a carico dell'interessato l'onere di provare la sua buona condotta.
Dal tenore dell'art. 11 cit. che fonda il potere amministrativo di negare e revocare l'autorizzazione di polizia emerge che il rilascio del titolo è subordinato, tra gli altri presupposti, alla sussistenza della "buona condotta" dell'istante o dell'"affidamento di non abusare delle armi", circostanze la cui prova è posta a carico dell'amministrazione.
La sussistenza di questi due presupposti è frutto di una valutazione discrezionale dell'amministrazione in ordine al profilo del quomodo, dovendosi effettuare una compiuta e attenta valutazione e ponderazione degli interessi in gioco, rappresentati dalla tutela della pubblica incolumità (interesse pubblico primario) e dall'interesse materiale sotteso al rilascio del permesso (interesse privato), al fine di evitare che il titolo possa essere rilasciato in favore di cui può abusarne lucrando profitti illeciti, in considerazione degli oggetti preziosi oggetto di commercio, in danno della collettività.
Il provvedimento della Questura provinciale di Avellino, impugnato dal ricorrente, è plurimotivato in quanto è sorretto da autonome ragioni, ognuna delle quali è idonea sostenerne la validità. Sotto il profilo processuale ciò comporta che, laddove il motivo di ricorso che colpisce una delle ragioni autonome del provvedimento plurimotivato dovesse essere respinto, il provvedimento rimarrebbe comunque in piedi in virtù delle altre ragioni che lo sorreggono e di conseguenza il ricorso proposto andrebbe comunque respinto.
Nel caso di specie, con il primo motivo di ricorso si censura la ragione posta a fondamento del provvedimento del diniego con cui si rileva la non affidabilità dell'istante in considerazione che, prima di ricevere l'autorizzazione allo sposamento della sede dell'attività, aveva avviato presso i nuovi locali l'attività del commercio preziosi.
Ad avviso del Collegio una simile condotta è di per sé idonea a giustificare il provvedimento di diniego del trasferimento e quindi la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività di commercio di preziosi poiché dimostra l'inaffidabilità dell'interessato a svolgere regolarmente l'attività di commercio.
Il primo motivo di ricorso non è fondato.
Dalla documentazione versata in atti emerge che i Carabinieri del Comando provinciale di Avellino - che hanno agito nell'esercizio delle proprie attività istituzionali nell'ambito dei "servizi straordinari controllo territorio finalizzati alle verifiche del C.O." richiesti dal Comando Interregionale dei Carabinieri - hanno riscontrato in data 27.12.2017 presso l'attività commerciale "La Giada" in via in via S.P., in titolarità dello stesso ricorrente che il signor D.F. effettuava l'attività del commercio di cose preziose presso quei locali in violazione dell'art. 705 c.p. e dell'art. 127 del R.D. n. 773 del 1931 in quanto privo del necessario titolo abilitativo a svolgere tale attività presso quella sede, essendo autorizzato alla vendita unicamente presso la sede di via S.P. (segnalazione del 28.12.2017).
L'accertamento dell'esercizio abusivo dell'attività di commercio preziosi è stato poi oggetto del successivo provvedimento cautelare della Questura di cessazione immediata dell'attività svolta presso la sede di via S.P. "in difetto della prescritta autorizzazione" (provvedimento CAT 14E/2018 PASI in data 11.1.2018).
Il predetto accertamento è stato poi posto a fondamento del provvedimento definitivo della Questura di diniego dell'istanza di autorizzazione al trasferimento della sede e di revoca della precedente autorizzazione all'esercizio del commercio.
Alla luce del quadro fattuale su descritto, il provvedimento gravato resiste in parte qua alle censure contenute nel primo motivo di ricorso.
Il ricorrente evidenzia come "non vi stata alcuna violazione ed abuso da parte del sig. D.F.S. che non ha posto in essere alcun commercio non autorizzato di cose preziose"; che si era limitato a "spostare parte della propria merce ed avviare la nuova sede nelle more della definizione delle procedure"; che all'interno dei locali non erano comunque presenti "oggetti qualificabili come preziosi".
Nel corso del giudizio il ricorrente ha poi depositato la sentenza del Tribunale di Avellino - Prima Sezione Penale, n. 1899/2022, con il quale è stato annullato il decreto penale di condanna emesso dal Tribunale di Avellino - GIP n. 1495/2018 per i reati di cui agli artt. 243, 245, del Regolamento di esecuzione del TULPS (R.D. n. 635 del 1940) e dell'art. 221 del TULPS, in quanto esercitava senza la prescritta autorizzazione l'attività di commercio di vendita di preziosi presso la sede commerciale di via S.P. (procedimento scaturito dall'accesso ispettivo del 27.12.2017).
Va osservato al riguardo che la sentenza del Tribunale di Avellino n. 1899/2022 ha circoscritto il capo di imputazione al reato previsto dall'art. 243 del Regolamento di esecuzione del TULPS (R.D. n. 635 del 1940) per essere, l'imputato, privo della licenza commerciale all'esercizio dell'attività di vendita di preziosi.
L'art. 245 cit. prevede che "L'obbligo di munirsi della licenza stabilita dall'art. 127 della legge incombe ai fabbricanti, ai commercianti, ai mediatori di oggetti preziosi, tanto se lavorino o negozino abitualmente, quanto occasionalmente. Non ricorre l'obbligo della licenza per gli institori e i rappresentanti di commercio, i quali devono, tuttavia, munirsi di copia della licenza concessa alla ditta rappresentata. Tale copia è rilasciata dal Questore e deve indicare il nome, il cognome, la paternità e la qualifica dell'institore o del rappresentante di commercio. La disposizione di cui al comma precedente non si applica agli institori e ai rappresentanti di case estere.
L'art. 245 cit. prevede invece che "La licenza è valida per tutti gli esercizi di vendita di oggetti preziosi, appartenenti alla medesima persona od alla medesima ditta, ancorché siti in località diverse. In ogni esercizio deve, tuttavia, essere conservata copia della licenza, rilasciata ai sensi dell'art. 243. Nella copia deve essere annotata dal Questore la sede dell'esercizio per la quale è rilasciata. Ove si tratti di succursali non comprese nella giurisdizione del Questore che rilascia la licenza, la copia deve essere vistata dal Questore nella cui giurisdizione si trova la succursale dell'esercizio".
Il giudice penale ha assolto il ricorrente dal reato di cui all'art. 243 del Regolamento di esecuzione del TULPS (R.D. n. 635 del 1940) poiché il "fatto non sussiste" (art. 530, comma 1, c.p.p.) sulla base della seguente motivazione: l'agente che effettuato l'accesso ispettivo presso la sede commerciale "senza soffermarsi, appunto, all'eventuale violazione del citato art. 245, ha invece sostenuto la necessità, per il prevenuto, di munirsi nuovamente dell'autorizzazione di cui al precedente art. 243, di cui gli agenti operanti avrebbero invece constato la mancata reiterazione della richiesta". Il giudice penale ha tuttavia accertato che il testimone aveva ritenuto che tale "richiesta" era necessaria per "consentire ogni prescritto controllo di idoneità dello stabile … ed in tal modo … mostrando di confondere … l'autorizzazione di polizia … con quelle più strettamente di competenza dell'autorità comunale".
Ad avviso del Collegio il contenuto nella sentenza di assoluzione non smentisce la sussistenza del fatto storico che poi è stato oggetto di valutazione da parte della Questura, conducendo all'adozione del provvedimento di revoca.
Nel provvedimento impugnato l'amministrazione ha infatti accertato che presso la sede di via S.P. il ricorrente svolgeva attività di commercio di preziosi senza il titolo prescritto per legge (autorizzazione ai sensi dell'art. 127 del TULPS). La sentenza penale di assoluzione ha del resto confermato, sia pur in modo indiretto, che il ricorrente non fosse munito della prescritta autorizzazione ad esercitare l'attività presso la sede di via S.P.. Quindi, al di là di quanto ritenuto dall'agente, il ricorrente era privo dell'autorizzazione dell'art. 127 del TULPS.
Gli assunti e/o gli elementi di prova contraria forniti con il gravame non sono in grado di smentire l'accertamento compiuto dalla Questura e quindi la valutazione di inaffidabilità dell'istante a svolgere l'attività commerciale in oggetto.
La reizione del primo motivo di ricorso comporta l'assorbimento dell'esame degli altri motivi poiché il loro eventuale accoglimento non modificherebbe l'esito del ricorso in quanto il provvedimento gravato rimarrebbe comunque in piedi poiché fondato sull'autonoma ragione dell'esercizio abusivo dell'attività commerciale che, alla luce della ragionevole valutazione dell'amministrazione, rende non affidabile l'istante al mantenimento del titolo abilitativo e di conseguenza al trasferimento della sede dell'attività commerciale.
In conclusione, il ricorso non è fondato e va pertanto respinto.
In considerazione della natura della controversia e del mancato svolgimento dell'attività difensionale del Comune, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Salerno nella camera di consiglio del giorno 20 ottobre 2023 con l'intervento dei magistrati:
Francesco Riccio, Presidente
Eleonora Monica, Consigliere
Luca Iera, Referendario, Estensore
Nessun commento:
Posta un commento