T.A.R. Calabria Reggio Calabria, Sent., (ud. 20/09/2023) 24-10-2023, n. 779
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria
Sezione Staccata di Reggio Calabria
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 254 del 2022, proposto da -OMISSIS-, rappresentato e difeso dall'avvocato
contro
il Ministero dell'Interno e l'Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, rappresentati e difesi ex lege dall'Avvocatura Distrettuale di Reggio Calabria, domiciliata in Reggio Calabria, via del Plebiscito, n. 15;
per l'annullamento
del decreto Prot. n. (...) del 4.3.2022, notificato il 29.3.2022, con il quale la Prefettura di Reggio Calabria ha decretato il divieto di detenere a qualsiasi titolo armi, munizioni e materiale esplodente ed il ritiro del titolo di polizia abilitativo alla detenzione
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero dell'Interno e dell'Ufficio Territoriale del Governo di Reggio Calabria;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 20 settembre 2023 la dott.ssa Agata Gabriella Caudullo e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
1. Con ricorso ritualmente proposto il ricorrente ha impugnato il provvedimento in epigrafe con cui la Prefettura di Reggio Calabria ha posto a suo carico il divieto di detenere armi munizioni ed esplosivi.
Il provvedimento, preceduto dal ritiro cautelativo delle armi detenute dal ricorrente nella stessa abitazione del padre, destinatario di un divieto di detenzione delle armi, si fonda sul rapporto di parentela e convivenza con tale soggetto.
La Prefettura ha ritenuto che la suddetta stretta relazione parentale, peraltro accompagnata dalla convivenza accertata dal predetto Organo di polizia al momento dell'eseguito ritiro cautelare del materiale in questione, è da ritenersi idonea ad integrare il presupposto di pericolo per la pubblica sicurezza in un contesto sociale in cui non è improbabile che chi abbia necessità di rifornirsi di ami possa vantare diritti morali sui propri familiari.
Dalla produzione documentale di parte ricorrente emerge che il padre ha suo carico un decreto penale di condanna per la contravvenzione prevista dall'art. 21 lett. b) e punito dall'art. 30 lett. d della L. n. 157 del 1992 per aver esercitato la caccia all'interno della zona protetta SIC-ZSC e in particolare nella F.A.. Avverso tale decreto di condanna è stata presentata opposizione con richiesta di messa alla prova ai sensi dell'artt. 168 bis c.p. e 464 bis c.p.p.
Lamenta il ricorrente la illegittimità del provvedimento impugnato per violazione di legge ed eccesso di potere sotto i profili del difetto di motivazione e di istruttoria, illogicità, irragionevolezza, violazione del principio di proporzionalità dell'eccesso di potere.
Non sussisterebbero i presupposti per l'emissione del gravato divieto atteso che la condanna a carico del padre non è definitiva avendo lo stesso chiesto la messa alla prova in sede di opposizione al decreto penale di condanna
Ferma restando la discrezionalità del Prefetto il pericolo di abuso delle armi deve scaturire da una adeguata valutazione e deve essere comprovato. Nel caso di specie di tale valutazione non vi è traccia nel provvedimento.
La Prefettura non avrebbe, inoltre, tenuto conto del fatto che il padre del ricorrente è stato condannato solo per essere stato controllato all'interno dell'area protetta, peraltro, non segnalata dall'apposizione di cartelli.
Il signor -OMISSIS-, inoltre, ha chiesto la messa alla prova e neanche di questo la Prefettura avrebbe tenuto conto.
Non si sarebbe nemmeno tenuto conto della incensuratezza del ricorrente.
Il provvedimento si fonda, altresì, su una presunta convivenza del ricorrente con il padre e non avrebbe tenuto conto del fatto che il ricorrente è sposato dal 2020 e da allora non convive con il padre (anche se ha cambiato formalmente residenza dolo dopo la vicenda che ha coinvolto il padre).
Non rileverebbe, peraltro, che le armi siano state rinvenute nell'abitazione del padre essendo le stesse riposte in un armadio blindato le cui chiavi rimangono nella piena ed esclusiva disponibilità del ricorrente.
2. Si è costituita in giudizio la Prefettura di Reggio Calabria per resistere al ricorso.
3. In data 6 luglio 2023 il ricorrente ha versato in atti la sentenza del Tribunale di Reggio Calabria n. 269/2022 del 13 dicembre 2022 con cui è stato dichiarato non luogo a procedere nei confronti di -OMISSIS- perché il reato è estinto per l'esito positivo della messa alla prova.
4. All'udienza pubblica del 2 settembre 2023 la causa è stata trattenuta in decisione.
5. Il ricorso è infondato.
5.1. Come questo Tribunale ha avuto più volte modo di affermare (ex multis, TAR Reggio Calabria, sent. n. 788 del 28.12.2018, n. 1331 del 23.12.2016 e n. 840 dell'8.7.2014), la normativa applicabile alla materia oggetto del contendere è rappresentata:
- dall'art. 11 del TULPS (R.D. 18 giugno 1931, n. 773) che, per quanto qui rileva, così dispone:
" Le autorizzazioni di polizia possono essere negate a chi ha riportato condanna per delitti contro la personalità dello Stato o contro l'ordine pubblico, ovvero per delitti contro le persone commessi con violenza, o per furto, rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di rapina o di estorsione, o per violenza o resistenza all'autorità, e a chi non può provare la sua buona condotta" (comma 2)
"Le autorizzazioni devono essere revocate quando nella persona autorizzata vengono a mancare, in tutto o in parte, le condizioni alle quali sono subordinate, e possono essere revocate quando sopraggiungono o vengono a risultare circostanze che avrebbero imposto o consentito il diniego della autorizzazione" (comma 3);
- dall'art. 43 dello stesso TULPS, ai sensi del quale "La licenza può essere ricusata ai condannati per delitto diverso da quelli sopra menzionati e a chi non può provare la sua buona condotta o non dà affidamento di non abusare delle armi" (comma 2).
5.2. La citata normativa, nel prevedere che l'autorizzazione in argomento possa essere negata nel caso in cui il richiedente non venga ritenuto completamente affidabile, attribuisce, dunque, all'autorità di pubblica sicurezza un ampio potere valutativo in ordine ai requisiti di idoneità alla detenzione delle armi.
Alla luce di tale quadro normativo si è formata una ormai univoca giurisprudenza che afferma l'assenza di posizioni di diritto soggettivo con riguardo alla detenzione e al porto di armi, "costituendo tali situazioni delle eccezioni al generale divieto di cui art. 699 c.p. e all'art. 4 comma 1, L. 18 aprile 1975, n. 110. Da tanto deriva che l'Autorità di pubblica sicurezza gode di ampia discrezionalità nel valutare la sussistenza dei requisiti di affidabilità del soggetto nell'uso e nella custodia delle armi, a tutela della pubblica incolumità; ai sensi degli artt. 11, 39 e 43 del T.U.L.P.S., il compito che esercita l'Autorità non è di tipo sanzionatorio, né tantomeno punitivo, ma di natura cautelare, consistente nel prevenire abusi nell'uso delle armi a tutela della incolumità privata e pubblica. Pertanto, ai fini della revoca dell'autorizzazione e del divieto di detenzione di armi e munizioni, non è necessario che sia stato accertato un determinato abuso delle armi da parte del soggetto istante, ma è sufficiente la sussistenza di circostanze che dimostrino come questi non sia del tutto affidabile al loro uso; ne consegue che, stante l'ampia discrezionalità dei provvedimenti inibitori, non è neppure necessario un particolare onere motivazionale, bastando piuttosto che nei provvedimenti siano presenti elementi idonei a far ritenere che le valutazioni effettuate dall'Autorità non siano irrazionali o arbitrarie" (Consiglio di Stato, Sez. I, 11 aprile 2018, n. 943; Sez. III, 17 maggio 2018, n. 2974).
Il R.D. 18 giugno 1931, n. 773, autorizza, infatti l'Amministrazione allo "svolgimento di valutazioni discrezionali ad ampio spettro che diano la prevalenza alle esigenze di tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica rispetto a quelle del privato sì che non possano emergere sintomi e nemmeno sospetti di utilizzo improprio dell'arma in pregiudizio ai tranquilli ed ordinati rapporti con gli altri consociati" (Cons. St., Sez. I, 13 marzo 2018, n. 617). … Peraltro, come ripetutamente è stato affermato dalla Sezione, "il divieto di detenzione di armi, munizioni ed esplosivi non implica un concreto ed accertato abuso nella tenuta delle armi, risultando sufficiente che il soggetto non dia affidamento di non abusarne, sulla base del prudente apprezzamento di tutte le circostanze di fatto rilevanti nella concreta fattispecie da parte dell'Autorità amministrativa competente (Cons. St., Sez. III, 10 ottobre 2014, n. 5039; Sez. III, 31 marzo 2014, n. 1521; Sez. VI, 10 maggio 2006, n. 2576).
Tenuto conto del carattere preventivo e cautelare del divieto di detenzione delle armi, l'esistenza di sospetti o indizi negativi, che facciano perdere all'Autorità competente la fiducia in merito al buon uso delle armi, è sufficiente ai fini della valutazione negativa formulata nella fattispecie dall'amministrazione" (Consiglio di Stato, sezione III, sentenza n. 4887 del 9 agosto 2018).
5.3. Più in particolare, con riferimento a fattispecie simili a quella in esame, è stato rilevato che legittimamente l'amministrazione adotta un provvedimento di divieto di detenzione armi o di revoca del porto d'armi ad un soggetto legato da rapporti di parentela con soggetti controindicati, nel timore che questi possano esigere, vantando diritti morali, aiuto da parte dei propri congiunti, anche solo nella fornitura delle armi (cfr. tra le più recenti: Tar Reggio Calabria, sentenza 859 dell'8 novembre 2021; n. 512 del 24 agosto 2019; n. 497 del 2 agosto 2019).
È stato chiarito, inoltre, che non può ritenersi irragionevole il diniego fondato sui rapporti di parentela atteso che chi chiede il rilascio o il rinnovo di licenze di porto d'armi deve dare pieno affidamento sulla sua buona condotta e sull'improbabilità che faccia abuso dell'arma, con l'ulteriore precisazione che qualunque elemento di pericolo, anche determinato da fattori non strettamente relativi alla persona del destinatario, ma comunque ad esso riconducibili, come la presenza di un soggetto vicino a pregiudicati legato da vincoli di parentela o convivente, giustifica il divieto di porto d'armi (cfr., tra le tante, Consiglio di Stato, sez. III, sentenza n. 2406 del 6 giugno 2016; TAR Napoli, Sez. V, sentenza n. 3001 del 3 giugno 2019, n. 2859 del 7 giugno 2016 e n. 4154 del 2 settembre 2016).
5.4. Nella fattispecie in esame, le affermazioni dell'odierno ricorrente non sono idonee a contrastare la rilevanza del contesto fattuale su cui si è basata l'Amministrazione nell'assumere il provvedimento gravato.
Va osservato, infatti, che la non contestata vicinanza e frequentazione dei due soggetti (che, va ricordato, sono padre e figlio) è circostanza di per sé sufficiente a fondare il timore di un abuso delle armi che, come chiarito dalla giurisprudenza sopra richiamata, può derivare anche da rapporti di parentela con soggetti controindicati o, comunque, ritenuti non affidabili.
Non rileva, pertanto, che il ricorrente abbia spostato la sua residenza "dopo la vicenda che
ha coinvolto il padre" (cfr. pag. 10 del ricorso introduttivo) risultando incontestato che al momento del ritiro cautelare le armi erano custodite nella stessa abitazione del padre, già destinatario di un divieto di detenzione delle armi.
Parte ricorrente, peraltro, non ha neanche dimostrato di aver cambiato residenza prima dell'adozione del provvedimento impugnato (v. doc. n. 4 allegato al ricorso introduttivo, certificato di residenza rilasciato dal Comune di Condofuri il 7 aprile 2022).
Non può che ribadire il Collegio come, nel caso di autorizzazioni di polizia non venga in discussione la limitazione della sfera di libertà del singolo in un'ottica sanzionatoria, ma un giudizio di affidabilità nell'uso di armi da fuoco (in via generale vietato dall'ordinamento), per cui è del tutto evidente che l'Autorità di Pubblica Sicurezza, dovendo valutare la compatibilità dell'interesse pretensivo del singolo all'autorizzazione a detenere le armi ed al conseguente rilascio del porto d'armi, per finalità ludico-venatorie, con l'interesse pubblico della sicurezza e dell'incolumità delle persone, legittimamente può far prevalere quest'ultimo, ogni qual volta lo ritenga minacciato dalle frequentazioni del titolare della licenza.
Tanto premesso, non sembra che possano essere attribuite patenti di illogicità all'impugnato provvedimento che, stante l'ampia discrezionalità di cui gode l'amministrazione preposta alla cura ed alla tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, mostra, invece, un corretto apprezzamento di elementi aventi rilevanza ai fini del diniego di rilascio del titolo abilitativo.
7. In ragione di quanto esposto il ricorso è infondato e deve, pertanto, essere rigettato pur sussistendo giusti motivi per compensare tra le parti le spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria Sezione Staccata di Reggio Calabria definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'articolo 52, commi 1 e 2, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e dell'articolo 10 del Regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 aprile 2016, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, manda alla Segreteria di procedere all'oscuramento delle generalità nonché di qualsiasi altro dato idoneo ad identificare il ricorrente ed ogni persona richiamata in motivazione.
Così deciso in Reggio Calabria nella camera di consiglio del giorno 20 settembre 2023 con l'intervento dei magistrati:
Caterina Criscenti, Presidente
Agata Gabriella Caudullo, Primo Referendario, Estensore
Andrea De Col, Primo Referendario
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