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lunedì 6 giugno 2011

TAR "...Nel precisare il ricorrente che il gravato provvedimento di destituzione dal servizio è stato adottato a conclusione del procedimento penale in cui si è accertato l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti e sulla base della considerazione della reiterazione di un comportamento già sanzionato con la sospensione dal servizio, nega che sia stata in precedenza inflitta la sanzione disciplinare di cui all'art. 5 lett. f) del D.Lgs. n. 449 del 1992,  essendo stato per la prima volta accertato l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti, in relazione al quale avrebbe dovuto applicarsi la sospensione dal servizio con indicazione delle iniziative di recupero  socioterapeutico obbligatoriamente previste...."

FORZE ARMATE
T.A.R. Lazio Roma Sez. I, Sent., 29-03-2011, n. 2755
Fatto Diritto P.Q.M.
Svolgimento del processo
L'odierno  ricorrente, avente la qualifica di Assistente di Polizia Penitenziaria,  dopo aver illustrato il procedimento confluito nell'adozione del gravato provvedimento, con il quale è stata inflitta la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, deduce avverso lo stesso i seguenti motivi di censura:
1 - Violazione di legge (art. 12 del D.Lgs. n. 449 del 1992 in relazione all'art. 3, comma 1, della legge n. 241 del 1990). Eccesso di potere per illogicità, sviamento ed erronea presupposizione. Difetto di motivazione per carenza di istruttoria.
Lamenta innanzitutto parte ricorrente la genericità della contestazione degli addebiti contenuta nella nota del 5  novembre 1999, la quale si limita a richiamare il contenuto della disposizione normativa che si ritiene violata per effetto della contestata trasgressione.
Né l'onere di specificazione dei fatti potrebbe ritenersi soddisfatto per relationem, non contenendo detta nota alcun rinvio ad ulteriori atti.
La contestazione degli addebiti sarebbe, altresì,  viziata non sussistendo alcuna ipotesi di reiterazione di infrazioni già sanzionate con la sospensione dal servizio né di persistente condotta riprovevole, significando il ricorrente come il procedimento penale, a conclusione del quale è stato avvito il procedimento disciplinare, è stato definito con rito abbreviato con sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste e perché il fatto non costituisce reato con riferimento alle due ipotesi contestate di detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente.
2 - Violazione di legge (art. 5, commi 3, lett. f) e 5 del D.Lgs. n. 449 del 1992).  Eccesso di potere sotto specie di perplessità, illogicità, contraddittorietà, travisamento ed ingiustizia manifesta dell'azione amministrativa. Carenza di istruttoria.
Nel precisare il ricorrente che il gravato provvedimento di destituzione dal servizio è stato adottato a conclusione del procedimento penale in cui si è accertato l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti e sulla base della considerazione della reiterazione di un comportamento già sanzionato con la sospensione dal servizio, nega che sia stata in precedenza inflitta la sanzione disciplinare di cui all'art. 5 lett. f) del D.Lgs. n. 449 del 1992,  essendo stato per la prima volta accertato l'uso non terapeutico di sostanze stupefacenti, in relazione al quale avrebbe dovuto applicarsi la sospensione dal servizio con indicazione delle iniziative di recupero  socioterapeutico obbligatoriamente previste.
Il gravato provvedimento, oltre che adottato in violazione delle norme di riferimento, sarebbe altresì viziato per sproporzione ed anomalia della sanzione, nonché per mancanza di qualsivoglia motivazione in ordine alla graduazione della sanzione rispetto al fatto.
3 - Eccesso di potere per illogicità, incoerenza, contraddittorietà, difetto di motivazione per carenza di istruttoria.
Il gravato provvedimento sarebbe altresì fondato su di una motivazione illogica, contraddittoria e frutto di mere supposizioni, avuto particolare riguardo all'affermato venir meno del rapporto di fiducia e di affidabilità in ragione dell'uso di sostanze stupefacenti, per il quale è prevista la sanzione della sospensione dal servizio e la sottoposizione del dipendente ad iniziative di recupero.
Si è costituita in resistenza l'intimata Amministrazione depositando relazione redatta dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria.
Con ordinanza n. 7986/2000 è stata rigettata la domanda incidentale di sospensione degli effetti del gravato decreto.
Con memoria successivamente depositata parte ricorrente ha insistito nelle proprie deduzioni, ulteriormente argomentando.
Alla Pubblica Udienza del 9 marzo 2011 la causa è stata chiamata e trattenuta per la decisione, come da verbale.Motivi della decisione
Con  il ricorso in esame è proposta azione impugnatoria avverso gli atti, meglio indicati in epigrafe nei loro estremi, inerenti il procedimento disciplinare avviato a carico del ricorrente e confluito nella irrogazione allo stesso della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, in relazione all'infrazione di cui all'art. 6, comma 2, lett. b) e f) del D.Lgs. n. 449 del 1992.
Il ricorso, per le considerazioni che si andranno ad illustrare, non merita accoglimento.
Giova precisare, al fine di meglio delineare i contorni della controversia in esame e meglio comprendere la portata delle censure che alla stessa afferiscono, che la sanzione disciplinare della destituzione dal servizio è stata inflitta al ricorrente in relazione all'accertamento, risultante dagli atti del procedimento penale conclusosi con sentenza di assoluzione quanto alla detenzione di sostanze stupefacenti a fini di spaccio, dell'uso non terapeutico, da parte del ricorrente, di sostanze stupefacenti, con reiterazione di un comportamento infrattivo già sanzionato con la sospensione dal servizio.
Con un primo ordine di censure deduce parte ricorrente l'illegittimità dell'atto di contestazione degli addebiti, in  quanto si limiterebbe a richiamare il contenuto della disposizione normativa che si ritiene violata per effetto della contestata trasgressione, affermando altresì l'insussistenza di ipotesi di reiterazione di infrazioni già sanzionate con la sospensione dal servizio o di persistente condotta riprovevole.
Le censure non hanno pregio.
L'atto di contestazione degli addebiti, oltre all'indicazione della norma che si assume violata, contiene l'espresso riferimento alla condotta contesta, consistente nell'aver il ricorrente "tenuto un comportamento complessivo fuori dal servizio, tale da evidenziare una palese mancanza del senso morale e del rispetto dei doveri assunti con il giuramento. Tale comportamento è desunto dai diversi provvedimenti delle AA. GG. emanati nei confronti della S.V. che, già contestati nelle forme rituali, hanno già originato la sospensione dal servizio in più occasioni".
Tale atto reca, quindi, tutti gli elementi che consentono all'interessato l'esercizio delle proprie prerogative difensive, venendo ivi indicata la norma di riferimento e la sommaria descrizione dei fatti oggetto di accertamento disciplinare.
Non risponde, inoltre, al vero quanto affermato da parte ricorrente circa l'inesistenza di precedenti provvedimenti disciplinari di sospensione dal servizio, risultando egli essere stato destinatario di siffatta misura per un mese a decorrere dal 5 marzo 1999  all'esito del procedimento penale conclusosi con sentenza passata in giudicato del 19 giugno 1998 del Tribunale di Roma di condanna alla pena  di 5 mesi e 20 giorni per il reato di detenzione di munizioni non consentite.
Risulta pertanto corretto il riferimento, contenuto nell'atto di contestazione degli addebiti e nel decreto di irrogazione della destituzione dal servizio, alla reiterazione di un comportamento infrattivo già sanzionato con la sospensione dal servizio, non occorrendo, al fine di configurare tale reiterazione, l'identità dei comportamenti disciplinarmente rilevanti, rilevando tale reiterazione quale sintomo di  un comportamento contrastante con i doveri assunti con il giuramento e della persistenza di atteggiamenti riprovevoli.
Il rilievo disciplinare del comportamento contestato al ricorrente non viene meno per effetto dell'intervenuta assoluzione del ricorrente, con le formule perché il fatto non sussiste e  perché il fatto non costituisce reato, con riferimento alle due ipotesi  contestate in sede penale di detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente, e ciò in quanto dagli atti del procedimento penale emerge la detenzione, da parte del ricorrente, per uso personale non terapeutico, di sostanze stupefacenti, cui il provvedimento disciplinare  fa riferimento.
Il gravato decreto, risulta inoltre essere stato adottato in corretta applicazione dell'art. 6, comma 1, lett. b) e d), del D.Lgs. n. 449 del 1992, che prevede la destituzione dell'appartenente al Corpo di polizia penitenziaria la cui condotta abbia reso incompatibile la sua ulteriore permanenza in servizio nei casi di atti che siano in grave contrasto con i doveri assunti con il giuramento(lett. b) e nei casi di reiterazione delle infrazioni per le quali è prevista la sospensione dal servizio o per persistente riprovevole condotta dopo che siano stati adottati altri provvedimenti disciplinari (lett. f), risultando integrati, nella fattispecie in esame, i presupposti per l'applicazione di detta sanzione.
Erroneo e privo di rilievo è, dunque, il riferimento di parte ricorrente all'art. 5, lett. f) del D.Lgs. n. 449 del 1992,  ai sensi del quale è applicata la sanzione disciplinare della sospensione dal servizio nei casi di "uso non terapeutico, provato, di sostanze stupefacenti o psicotrope", non venendo, nella fattispecie in esame, in rilievo - e quindi sanzionata - l'infrazione riferita all'uso di sostanze stupefacenti, ma la reiterazione di comportamenti disciplinarmente rilevanti e l'essere stato il ricorrente già destinatario dell'applicazione della sanzione della sospensione dal servizio, con conseguente irrilevanza della dedotta circostanza inerente  l'essere stato tale uso accertato per la prima volta con il procedimento penale a conclusione del quale ha preso avvio il procedimento disciplinare.
Né la gravata sanzione appare sproporzionata o anomala rispetto all'infrazione accertata, e ciò in considerazione della  ricorrenza dei presupposti, indicati nella citata norma, per la sua irrogazione, e della reiterazione, da parte del ricorrente, di comportamenti disciplinarmente rilevanti che, in relazione al ruolo dell'Agente di Polizia Penitenziaria, ha determinato l'incompatibilità della sua permanenza in servizio, sulla base delle ragioni esaustivamente indicate nel gravato decreto, che risulta dunque immune anche dalle proposte censure di difetto di motivazione.
Parimenti da disattendere è l'ulteriore profilo di censura con il quale parte ricorrente lamenta la contraddittorietà del gravato decreto laddove fa riferimento al venir meno del rapporto di  fiducia e di affidabilità in ragione dell'uso di sostanze stupefacenti,  sostenendo in proposito parte ricorrente che per tale comportamento è prevista la sanzione della sospensione dal servizio e la sottoposizione del dipendente ad iniziative di recupero.
Richiamato quanto sopra illustrato circa l'individuazione del parametro normativo di riferimento della fattispecie, da ricondursi alle previsioni di cui all'art. 6 del D.Lgs. n. 449 del 1992,  con esclusione della possibilità di applicazione dell'art. 5 riferito alla sanzione della sospensione dal servizio, il pregiudizio al rapporto  di fiducia e di affidabilità sul quale deve basarsi il servizio nell'ambito dell'Amministrazione Penitenziaria viene, nel gravato provvedimento, diffusamente motivato e trova adeguato fondamento nella considerazione della gravità dell'azione, che ha implicato l'avere il ricorrente intrattenuto contatti con persone che, spacciando sostanze stupefacenti, si sono poste contro la legge e la cui eventuale detenzione in carcere determinerebbe una situazione di incompatibilità con il ricorrente, incaricato di vigilare su coloro che potrebbero essere stati i
suoi fornitori.
Il gravato provvedimento fa altresì riferimento al delicato ruolo dell'Agente di Polizia Penitenziaria destinato a prestare servizio in ambienti in cui sono presenti soggetti ristretti per reati legati all'uso di stupefacenti, nei cui confronti è chiamato a  svolgere un compito non di semplice custodia ma anche di partecipazione  alla rieducazione ed al recupero.
Le riferite ragioni, quindi, pienamente e condivisibilmente danno conto del pregiudizio al rapporto di affidabilità che deve intercorrere tra l'Amministrazione e gli Agenti di  Polizia Penitenziaria in ragione dei compiti cui gli stessi sono chiamati posti in correlazione con il comportamento tenuto dal ricorrente, risultando pertanto il gravato provvedimento immune, anche sotto tale profilo, dai denunciati vizi.
In conclusione, alla luce delle considerazioni sin qui illustrate, il ricorso in esame va rigettato stante la rilevata infondatezza delle censure con lo stesso proposte.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.P.Q.M.
definitivamente pronunciando sul ricorso N. 13953/2000 R.G., come in epigrafe proposto, lo rigetta.
Condanna il ricorrente al pagamento, a favore della resistente Amministrazione, delle spese di giudizio, che liquida forfetariamente in complessivi euro 1.000,00 (mille/00).
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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