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domenica 31 marzo 2013

Il trattamento provvisorio di pensione percepito comunque in buona fede da non restituire




 
Corte dei Conti - Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte - Sentenza n. 137/2005
FATTO
L’INPDAP, con provvedimento in data 5/3/2004, chiedeva alla signora A. A. la restituzione dell’importo di euro 9.811,92.
Tale somma costituisce, ad avviso dell’Amministrazione procedente, credito erariale prodotto da indebite erogazioni pensionistiche effettuate alla ricorrente, titolare di pensione diretta – iscrizione n. 12048535 con decorrenza dal 1/9/1989.
Più in particolare, il predetto credito erariale risulta dalla differenza fra il trattamento pensionistico provvisorio erogato a far data dal 1/9/1989 e quello definitivo di cui al decreto n. 1476 del 25/9/2001, registrato alla Corte dei Conti il 14/3/2003 e pervenuto all’Istituto previdenziale il 16/5/2003.
L’INPDAP, con la citata comunicazione, accertato il credito erariale asseritamente accumulatosi nel periodo 1/9/1989-31/3/2004 di erogazione del trattamento pensionistico provvisorio, nel richiedere alla signora A. di rifondere il debito di euro 9.811,92, informava quest’ultima che a decorrere dal 1/4/2004 avrebbe trattenuto l’importo di euro 338,34 mensili sulla pensione de qua.
Ricevuto l’invito a rimborsare la somma, la signora A. proponeva ricorso introduttivo del presente giudizio, ricorso notificato all’INPDAP l’8/5/2004 e depositato presso la Segreteria della Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti il 24/05/2004, al fine di ottenere l’annullamento dell’indebito ed una declaratoria di irripetibilità delle somme richieste dall’INPDAP con la comunicazione in premessa per il periodo 1/9/1989-31/3/2004.
Sostiene la ricorrente che dalla documentazione in atti, dal passaggio del trattamento provvisorio a quello definitivo, si sarebbe creato, per motivi non spiegati, un indebito pari ad euro 9.811,92 (ridotto a tale misura per applicazione d’ufficio della sanatoria di cui alla legge 662/1996[1]).
In particolare, e con maggiore ampiezza esplicativa, la difesa sostiene che nell’indebito previdenziale - diversamente dalla regola civilistica di cuiall’art. 2033 c.c. [2] di incondizionata ripetibilità dell’indebito - trova applicazione il peculiare principio di settore che esclude la ripetizione in presenza di situazione di fatto avente come caratteristica la non addebitabilità al percipiente dell’erogazione non dovuta, tenendo, altresì, in considerazione il tempo trascorso fra l’inizio dell’erogazione parzialmente errata e la data in cui l’indebito viene comunicato al pensionato.
La difesa ha, pertanto, concluso chiedendo una declaratoria di irripetibilità delle somme richieste dall’INPDAP e, in via subordinata, di dichiarare prescritto il diritto dell’INPDAP a recuperare l’indebito formatosi nel periodo 1/9/1989-1/4/1994, e ciò stante la circostanza che, a fronte del regimedecennale previsto dall’art. 2946 c.c. [2], la prima richiesta di restituzione è stata formulata solo con la lettera del 5/3/2004.
L’INPDAP, costituitosi in giudizio con memoria del 22/3/2005, ha richiesto il rigetto del ricorso nonché declaratoria di ripetibilità delle somme percepite nel decennio precedente la comunicazione di avvio del procedimento.
L’INPDAP si è opposta all’accoglimento del ricorso, eccependo, preliminarmente, il proprio difetto di legittimazione dato che il trattamento pensionistico era stato determinato dal Provveditorato agli Studi di Torino e, pertanto, solo quest’ultimo sarebbe stato il legittimo contraddittore.
Il Provveditorato interessato, ricevuto l’avviso di fissazione dell’udienza di discussione, si è costituito in giudizio, rimettendosi alle valutazioni della Corte.
All’odierna pubblica udienza, sentite le parti, la causa è stata trattenuta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il "thema decidendum" posto dal ricorso presentato dalla ricorrente riguarda la ripetibilità o meno delle somme erogate nel periodo 1/9/1989-31/3/2004 e derivanti dalla differenza fra il trattamento provvisorio di pensione e quello definitivo.
La difesa, in relazione all’indebito previdenziale oggetto della discussione, ha richiamato principi di settore che si discostano da quelli fissati dalla generale regola codicistica di cui all’art. 2033 c.c. [2]
Secondo quest’ultima disposizione, in materia di pagamento d’indebito, chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha sempre diritto di ripetere ciò che ha pagato, salvo che si tratti di prestazione che costituisce offesa al buon costume.
Ciò premesso, occorre verificare se tale generale principio esplichi efficacia immediata e diretta anche in tema di indebito previdenziale, in presenza, cioè, di richieste di recupero di somme indebitamente corrisposte su trattamenti pensionistici.
In tale fattispecie, occorre tener presente che al momento del collocamento in quiescenza è corrisposta al percipiente una pensione provvisoria non esattamente determinata e che si protrae nel tempo finché non viene calcolata la pensione definitiva.
Ciò accade conformemente al disposto di cui all’art. 162 del DPR 29/12/1973, n. 1062, come modificato dall’art. 7 del D.P.R. 19/4/1986, n. 138, secondo cui alla data di cessazione del servizio e sino all’inizio del pagamento della pensione definitiva sia corrisposto all’avente diritto un trattamento provvisorio determinato in relazione ai servizi prestati risultanti dalla documentazione in possesso dell’Amministrazione; qualora l’importo della pensione definitiva non sia uguale a quella concessa in via provvisoria l’Ente previdenziale deve provvedere alle variazioni, erogando il conguaglio se la pensione definitiva è superiore a quella provvisoria, ovvero recuperare quanto versato in eccedenza nel caso opposto.
Tale referente normativo appare, pertanto, avallare l’azione di recupero da parte dell’Ente previdenziale delle somme pagate in eccesso al pensionato a seguito della determinazione del trattamento pensionistico definitivo.
L’unica fattispecie normativa che in linea generale esclude la ripetizione e, pertanto, esclude che il percipiente debba restituire all’Ente previdenziale le somme ricevute in eccesso è quella di cui gli articoli 204 e seg. del DPR n. 1092/1973, secondo cui è esclusa la ripetibilità delle somme erogate in base a trattamento pensionistico definitivo, modificato o revocato dopo un anno dalla concessione.
La ratio di una simile previsione è quella di far prevalere sull’eventuale pretesa dell’Amministrazione l’affidamento generato nel pensionato dalla concessione del trattamento definitivo di pensione e, di conseguenza, la buona fede del percipiente che introita somme che la stessa Amministrazione ha riconosciuto come definitivamente dovute, dopo che il trattamento pensionistico ha subito nel tempo dei mutamenti.
Al riguardo, la stessa giurisprudenza contabile (v. Corte dei Conti, Sez. riun., 14 gennaio 1999, n. 1/QM; Corte dei Conti, Sez. II, 10 luglio 2002, n. 228) ha chiesto come l’affidamento dell’accipiens è ammissibile solo con riferimento ad una determinazione conclusa con carattere di definitività, per cui "al di fuori delle ipotesi di cui agli articoli 205-206 del T.U. conseguenti a provvedimenti di revoca o modifica di pensioni definitive" che hanno carattere eccezionale e derogatorio e non sono suscettibili di interpretazione analogica "non sussista la possibilità per il giudice di attribuire rilievo alla buona fede del percettore per somme erroneamente corrisposte dall’Amministrazione sui trattamenti provvisori".
Nella fattispecie in esame, la ripetizione dell’indebito risulta esercitata, a seguito del conguaglio fra le somme dovute a titolo di pensione definitiva con quelle pagate a titolo di pensione provvisoria, nel limite temporale previsto dai citati articoli 204 e seg. del D.P.R. 1092/1973.
Conseguentemente, appare pertinente il richiamo - operato dalla difesa - alla giurisprudenza della Corte Costituzionale ed anche a quella contabile soprattutto di primo grado, secondo cui l’erroneità dell’erogazione di somme non dovute non legittima l’azione di recupero da parte dell’Ente previdenziale nei confronti del percipiente quando questi abbia ricevuto le somme in buona fede e sia trascorso un tempo così lungo da indurre nel medesimo il ragionevole convincimento che le somme risultassero effettivamente dovute (Corte dei Conti. Sez. giurisd. Piemonte, 15 settembre 2003, n. 1590; Sez. giurisd. Sicilia, 2 gennaio 2004, n. 1).
Ciò costituirebbe il corollario di quanto autorevolmente statuito dal Giudice delle Leggi secondo cui, nel settore previdenziale, sembra essersi affermato un principio di settore per cui "diversamente dalla regola civilistica di incondizionata ripetibilità dell’indebito, trova applicazione la diversa regola, propria di tale sottosistema, che esclude la ripetizione in presenza di una situazione di fatti aventi come minimo comune denominatore la non addebitabilità al percipiente dell’erogazione non dovuta" (Corte Cost., 24 maggio 1996, n.166 [3]).
Ad avviso di questo giudice, e conformemente all’avviso espresso dalla Sezione (v. "ex plurimis", sent. n. 346 del 13 novembre 2003), la regola dell’irripetibilità - normativamente contemplata dalle disposizioni citate - delle sole somme erogate in base a pensione definitiva appare applicabile solo se il periodo di tempo intercorrente fra la concessione del trattamento provvisorio e l’erogazione del definitivo è tale da non indurre in errore il percipiente in buona fede che faccia affidamento sulla pensione per soddisfare le sue esigenze di vita.
In effetti, al momento del collocamento in quiescenza del dipendente viene ad instaurarsi un procedimento amministrativo di concessione del trattamento pensionistico che contempla sia l’accertamento del diritto al trattamento stesso che la determinazione dell’ammontare dovuto.
La mancanza di una norma che indichi il termine entro il quale il procedimento deve concludersi non implica che al procedimento non sia applicabile alcun termine e che l’Amministrazione possa protrarlo indefinitamente senza giungere alla sua conclusione.
Non a caso l’articolo 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241 [4] (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi) stabilisce che ogni amministrazione deve determinare il termine entro il quale ogni procedimento deve concludersi, a meno che il termine stesso sia già determinato dalla legge e che in mancanza di determinazioni dell’amministrazione il procedimento deve concludersi entro trenta giorni.
Si tratta di un principio di civiltà giuridica diretto a favorire l’efficienza dell’azione amministrativa e ad evitare che l’incertezza delle situazioni giuridiche si prolunghi indefinitamente, con danno sia per l’amministrazione che, soprattutto, per il cittadino.
Appare, pertanto, ragionavole ritenere che a soprattutto, per dirla con la Corte Costituzionale, nel sottosistema, esista una norma generale che impone all’Amministrazione di appartenenza del pensionato ed all’ente previdenziale di concludere in tempi brevi e ragionevoli il procedimento per la concessione del trattamento definitivo di pensione; qualora tale termine venga superato, deve ritenersi consolidato il diritto del pensionato a percepire il trattamento pensionistico provvisorio, anche ove ecceda quello definitivo, poiché il pensionato può ritenere in buona fede che il procedimento di concessione della pensione si sia ormai concluso.
Così posta la questione ed in relazione al "thema decidendum", occorre stabilire se a causa dell’inerzia dell’amministrazione che ha protratto indefinitamente un procedimento amministrativo, il diritto al mantenimento delle somme si sia consolidato nel percipiente, tenendo presente il ricordato limite alla ripetizione rappresentato dalla circostanza secondo cui il pensionato in buona fede, decorso un congruo lasso di tempo, sia portato ragionevolmente a ritenere concluso il procedimento per la concessione della pensione definitiva.
L’applicazione del principio sopra esposto al caso di specie comporta l’accoglimento della domanda proposta dalla signora A. e la dichiarazione dell’irripetibilità delle somme a quest’ultima erogate nel periodo 1/9/1989-31/3/2004, restando così assorbita l’eccezione di prescrizionedecennale ex art. 2946 c.c. [2] con conseguente esclusione della "repetitio indebito" sui ratei maturati nel decennio precedente la richiesta di rifusione.
Risulta, infatti, che la ricorrente è stata collocata in quiescenza a far data dal 1° settembre 1989 e che, perlomeno a partire da tale data, è stato avviato il procedimento per la concessione del trattamento pensionistico definitivo ed è stato concesso il trattamento provvisorio.
Il procedimento si è protratto sino al mese di marzo 2004, allorquando è stato comunicato alla ricorrente l’esistenza di un indebito derivante dalla determinazione del trattamento provvisorio definitivo.
Il protrarsi del procedimento di determinazione del trattamento pensionistico per un periodo quasi prossimo ai quindici anni senza che la ricorrente sia stata interpellata o abbia omesso di fornire dati od informazioni all’Amministrazione e, di conseguenza, non cagionato da comportamento della pensionata, è palesemente ingiustificato e legittima la percezione da parte della ricorrente delle somme erogate dall’ente previdenziale, posto che appare ragionevole ritenere che la ricorrente in buona fede fosse ormai convinta che il procedimento fosse concluso e che il trattamento pensionistico inizialmente attribuito fosse definitivo ed esatto.
Deve essere, conseguentemente, dichiarata l’irripetibilità delle somme rivendicate dall’INPDAP con il provvedimento in data 5 marzo 2004.
L’irripetibilità dell’importo di euro 9.811,92, per le ragioni sopra esposte, comporta l’illegittimità del recupero che, in applicazione del citato provvedimento, l’INPDAP aveva attivato ed il diritto della signora A. ad ottenere la restituzione di ogni somma.
Le eventuali somme recuperate dall’Amministrazione vanno restituite maggiorate degli interessi legali dalla data di ogni trattenuta mensile fino all’effettivo soddisfo ma non della rivalutazione monetaria, non trattandosi di arretrati pensionistici non corrisposti (e, così, di crediti aventi natura di retribuzione differita) ma di somme corrisposte per l’applicazione dell’eccezionale disciplina preclusiva, in materia pensionistica, della ripetizione di somme non dovute.
Sussistono giusti motivi, inerenti alla natura ed alla complessità della controversia, per disporre la compensazione delle spese.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte dei conti-Sezione giurisdizionale per la Regione Piemonte, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, accoglie il ricorso n. 16734/C, presentato dalla signora A. A. e per l’effetto accerta l’irripetibilità delle somme maturate nel periodo 1/9/1989-31/3/2004 ed il diritto della ricorrente ad ottenere le somme eventualmente recuperate dall’INPDAP, maggiorate degli interessi legali dalla data di ogni trattenuta mensile fino all’effettivo soddisfo.
Ordina la restituzione degli atti all’autorità amministrativa affinché assuma i provvedimenti di competenza.
Compensa le spese di giudizio.
Così deciso in Torino, nella camera di consiglio del 14 aprile 2005. Depositata in Segreteria il 26 Aprile 2005



[1] Legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica).
Art. 1. Misure in materia di sanità, pubblico impiego, istruzione, finanza regionale e locale, previdenza e assistenza.
260. Nei confronti dei soggetti che hanno percepito indebitamente prestazioni pensionistiche o quote di prestazioni pensionistiche o trattamenti di famiglia nonché rendite, anche se liquidate in capitale, a carico degli enti pubblici di previdenza obbligatoria, per periodi anteriori al 1° gennaio 1996, non si fa luogo al recupero dell’indebito qualora i soggetti medesimi siano percettori di un reddito personale imponibile IRPEF per l’anno 1995 di importo pari o inferiore a lire 16 milioni.
261. Qualora i soggetti che hanno indebitamente percepito i trattamenti di cui al comma 260 siano percettori di un reddito personale imponibile IRPEF per l’anno 1995 di importo superiore a lire 16 milioni non si fa luogo al recupero dell’indebito nei limiti di un quarto dell’importo riscosso.
262. Il recupero è effettuato mediante trattenuta diretta sulla pensione in misura non superiore ad un quinto. L’importo residuo è recuperato ratealmente senza interessi entro il limite di ventiquattro mesi. Tale limite può essere superato al fine di garantire che la trattenuta di cui al presente comma non sia superiore al quinto della pensione.
263. Il recupero non si estende agli eredi del pensionato, salvo che si accerti il dolo del pensionato medesimo.
264. Le disposizioni di cui ai commi 260, 261 e 263 si applicano anche nei confronti dei soggetti che hanno percepito indebitamente somme a titolo di pensioni di guerra, ovvero a titolo di assegni accessori delle medesime, per periodi anteriori al 1° novembre 1996. Sono fatti salvi i provvedimenti di revoca emanati, alla data di entrata in vigore della presente legge, in base alla precedente disciplina ed i provvedimenti di recupero in corso. In tali casi, i benefìci economici di cui ai commi 260 e 261 sono riferiti e calcolati soltanto sul residuo debito al 1° gennaio 1997 e non sull’intero indebito riscosso dal pensionato. È altresì escluso che le più favorevoli disposizioni della presente legge possano applicarsi nei casi in cui vi sia dolo da parte dell’interessato. La rateazione del recupero è definita ai sensi dell’articolo 3, secondo comma, del DPR 30 giugno 1955, n. 1544, entro il periodo massimo di cinque anni.
265. Qualora sia riconosciuto il dolo del soggetto che abbia indebitamente percepito i trattamenti INPS, INAIL e pensionistici di guerra, il recupero di cui ai commi 260, 261 e 264 si esegue sull’intera somma.





[2] Codice civile
Art. 2033. Indebito oggettivo.
Chi ha eseguito un pagamento non dovuto ha diritto di ripetere ciò che ha pagato. Ha inoltre diritto ai frutti e agli interessi dal giorno del pagamento, se chi lo ha ricevuto era in mala fede, oppure, se questi era in buona fede, dal giorno della domanda

2946. Prescrizione ordinaria.
Salvi i casi in cui la legge dispone diversamente i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni.





[3] Corte Costituzionale - Sentenza n. 166 del 16 maggio 1996
Non è fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale - sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. - dell’art. 6 del decreto legge 12 settembre 1983 n. 463, comma 11-quinquies, (recante: "Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della Pubblica Amministrazione e proroga di taluni termini"), convertito in legge 11 novembre 1983 n. 638 - il quale, consentendo il recupero delle somme erogate in eccedenza senza limiti e condizioni, "anche in deroga alla normativa vigente", nel caso di doppia integrazione al trattamento minimo corrisposta al titolare di più pensioni, risultante non dovuta sulla seconda pensione per superamento dei limiti di reddito indicati nel comma 1, determinerebbe un’ingiustificata disparità di trattamento sia nei rapporti interni tra pensionati dell’INPS, sia nei rapporti esterni dei pensionati I.N.P.S. con i pensionati ex dipendenti pubblici - in quanto, sotto il primo profilo, il "tertium comparationis", cioè l’art. 52 della legge 9 marzo 1989 n. 88, non è proponibile, sia perché i pagamenti indebiti della cui ripetizione si controverte sono avvenuti nella massima parte prima dell’entrata in vigore di questa legge, sia soprattutto per la diversità di fattispecie delle norme messe a confronto; e, sotto il secondo profilo, il termine di confronto, cioè l’art. 206 del DPR 29 dicembre 1973 n. 1092, sulle pensioni dei dipendenti statali, non è idoneo perché, per costante giurisprudenza della Corte, non sono istituibili paragoni tra sistemi previdenziali diversi, tanto più che il sistema pensionistico dei dipendenti pubblici ignora l’istituto dell’integrazione al minimo.





[4] Legge 7 agosto 1990 n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi).
Art. 2. Conclusione del procedimento.
(nel testo sostituito dall’art. 3, comma 6-bis, DL 14 marzo 2005, n. 35, ndr).1. Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso.
2. Con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta del Ministro competente, di concerto con il Ministro per la funzione pubblica, sono stabiliti i termini entro i quali i procedimenti di competenza delle amministrazioni statali devono concludersi, ove non siano direttamente previsti per legge. Gli enti pubblici nazionali stabiliscono, secondo i propri ordinamenti, i termini entro i quali devono concludersi i procedimenti di propria competenza. I termini sono modulati tenendo conto della loro sostenibilità, sotto il profilo dell’organizzazione amministrativa, e della natura degli interessi pubblici tutelati e decorrono dall’inizio di ufficio del procedimento o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte.
3. Qualora non si provveda ai sensi del comma 2, il termine è di novanta giorni.
Ndr. Nel precedente testo il termine era di trenta giorni.
4. Nei casi in cui leggi o regolamenti prevedono per l’adozione di un provvedimento l’acquisizione di valutazioni tecniche di organi o enti appositi, i termini di cui ai commi 2 e 3 sono sospesi fino all’acquisizione delle valutazioni tecniche per un periodo massimo comunque non superiore a novanta giorni. I termini di cui ai commi 2 e 3 possono essere altresì sospesi, per una sola volta, per l’acquisizione di informazioni o certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell’amministrazione stessa o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni. Si applicano le disposizioni dell’articolo 14, comma 2.
5. Salvi i casi di silenzio assenso, decorsi i termini di cui ai commi 2 o 3, il ricorso avverso il silenzio dell’amministrazione, ai sensi dell’articolo 21-bis della legge 6 dicembre 1971, n. 1034, può essere proposto anche senza necessità di diffida all’amministrazione inadempiente, fintanto che perdura l’inadempimento e comunque non oltre un anno dalla scadenza dei termini di cui ai predetti commi 2 o 3. Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza. È fatta salva la riproponibilità dell’istanza di avvio del procedimento ove ne ricorrano i presupposti.

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Le differenze in più percepite per quasi quindici anni a titolo di trattamento provvisorio di pensione prima che sia stato liquidato il trattamento pensionistico definitivo di importo inferiore a quello provvisorio, per il pensionato che le ha percepite in buona fede non possono costituire un indebito da rimborsare all’ente previdenziale. Infatti, se l’Amministrazione d’appartenenza e l’ente previdenziale competente non concludano il procedimento per la concessione del trattamento definitivo della pensione nel termine da essi prestabilito o in quello previsto dalle norme pensionistiche o, in mancanza dell’uno e dell’altro, nel termine fissato in generale dall’art. 2, comma 3, delle legge 7 agosto 1990, n. 241, per la definizione di tutti i procedimenti amministrativi, il diritto del pensionato a percepire il trattamento pensionistico provvisorio si consolida, stante la buonafede dell’interessato a ritenere che, dopo la scadenza di quel termine, il procedimento di concessione della pensione si sia ormai concluso. In tal senso si è pronunciata la Sezione Giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Piemonte nella Sentenza 14-26 aprile 2005, n. 137, accogliendo il ricorso proposto da una ex dipendente dello Stato, avverso il provvedimento in data 5 marzo 2004, con il quale l’INPDAP le aveva chiesto di restituire oltre 9.000 euro per indebite somme pensionistiche erogate nel periodo dal 1° settembre 1989 al 31 marzo 2004 e derivanti dalle differenze fra l’importo del trattamento provvisorio di pensione corrisposto durante quel periodo e quello del trattamento definitivo, liquidato con decreto emesso in data 25 settembre 2001 e registrato alla Corte dei Conti il 14 marzo 2003. Al riguardo, la Sezione della Corte dei Conti ha ritenuto di dovere sottolineare che al momento del collocamento in quiescenza del dipendente viene ad instaurarsi un procedimento amministrativo di concessione del trattamento pensionistico che contempla sia l’accertamento del diritto al trattamento stesso che la determinazione dell’ammontare dovuto. La mancanza di una norma che indichi il termine entro il quale detto procedimento deve concludersi, non implica che al procedimento non sia applicabile alcun termine e che l’Amministrazione possa protrarlo indefinitamente senza giungere alla sua conclusione. Non a caso l’art. 2 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente norme in materia di procedimento amministrativo, stabilisce che ogni amministrazione deve determinare il termine entro il quale ogni procedimento deve concludersi, a meno che il termine stesso sia già determinato dalla legge, e che in mancanza di determinazioni dell’amministrazione, il procedimento deve concludersi entro il termine fissato dal comma 3 del citato articolo 2. Esiste, pertanto, una norma di carattere generale che impone all’Amministrazione d’appartenenza del pensionato e all’ente previdenziale di concludere in tempi brevi e ragionevoli il procedimento per la concessione della pensione per cui, qualora tale termine venga superato, deve ritenersi consolidato il diritto del pensionato a percepire il trattamento pensionistico provvisorio. Ciò anche se il trattamento provvisorio ecceda quello definitivo, in quanto il pensionato può in buona fede ritenere che il procedimento di concessione della pensione sia ormai concluso. Quindi, il ricorso è stato accolto perché, ad avviso della Sezione della Corte dei Conti, è ragionevole ritenere che la ricorrente in buona fede fosse ormai convinta che il procedimento fosse concluso e che il trattamento pensionistico che le era stato attribuito sin dall’inizio fosse definitivo ed esatto
))))

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