Cassazione - si sarebbero procurati rimborsi superiori
rispetto a quelli loro spettanti attraverso artifizi e raggiri, consistiti, da
un canto, nell'allegare falsamente di avere utilizzato, per il viaggio, mezzi
diversi da quelli di proprietà dell'amministrazione o dalla stessa previamente
autorizzati e, dall'altro, nell'indicare una durata della missione superiore a
quella effettiva.
Cass. pen.
Sez. I, Sent., (ud. 12/07/2023) 21-12-2023, n. 51152
TRUFFA
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MOGINI Stefano - Presidente -
Dott. BIANCHI Michele - Consigliere -
Dott. CASA Filippo - Consigliere -
Dott. CAPPUCCIO Daniele - rel. Consigliere -
Dott. TOSCANI Eva - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
OMISSIS, nato a (Omissis);
OMISSIS, nato a (Omissis);
avverso la sentenza del 30/11/2022 della CORTE MILITARE
APPELLO di ROMA;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. DANIELE
CAPPUCCIO;
udito il P.G. Militare, il quale conclude chiedendo il
rigetto di entrambi i ricorsi.
uditi i difensori, avvocato DE JORIO FILIPPO, del foro di
ROMA, in difesa di OMISSIS, il quale conclude insistendo per l'accoglimento del
ricorso; avvocato NACCARATO ROSELLINA, del foro di COSENZA, in difesa di OMISSIS,
la quale conclude riportandosi ai motivi di ricorso.
Svolgimento del processo
1. Con sentenza del 30 novembre 2022 la Corte militare di
appello, in parziale riforma di quella emessa dal Tribunale militare di Verona
nei confronti di OMISSIS e OMISSIS, ha, previa concessione delle circostanze
attenuanti generiche in rapporto di prevalenza sulle contestate aggravanti,
rideterminato le pene loro inflitte, e condizionalmente sospese, per il reato
di truffa militare pluriaggravata continuata rispettivamente in sei mesi e due
giorni, per il primo, e cinque mesi e quattro giorni, per il secondo, di
reclusione militare, confermando, contestualmente, l'applicazione della
sanzione accessoria della rimozione dal grado.
2. Il procedimento penale nell'ambito del quale sono state
emesse le sentenze testè menzionate concerne la condotta di OMISSIS e OMISSIS
-entrambi in forza all'OMISSIS con il grado di Caporal Maggiore Capo ed in
servizio a (Omissis), l'uno, ed a (Omissis), l'altro - i quali, comandati, in
più occasioni, tra il 2018 ed il 2019, in missione a Roma perchè delegati della
Sezione OMISSIS del Consiglio Centrale di Rappresentanza (COCER), si sarebbero
procurati rimborsi superiori rispetto a quelli loro spettanti attraverso
artifizi e raggiri, consistiti, da un canto, nell'allegare falsamente di avere
utilizzato, per il viaggio, mezzi diversi da quelli di proprietà
dell'amministrazione o dalla stessa previamente autorizzati e, dall'altro,
nell'indicare una durata della missione superiore a quella effettiva.
La Corte militare di appello, nel mutuare, quanto alla
ricostruzione delle vicende di interesse processuale ed alla loro
qualificazione giuridica, le considerazioni svolte dal giudice di primo grado,
ha, in primo luogo, disatteso la questione di legittimità costituzionale, posta
da OMISSIS, dell'art. 234 c.p.m.p., comma 3, nella parte in cui dispone che la
condanna per il reato di truffa militare importa, in via automatica, la
rimozione, e quella che attiene alla disparità di trattamento tra la truffa
comune e quella militare.
Nel merito, ha ritenuto la fondatezza dell'impostazione
accusatoria e disatteso tutte le obiezioni sollevate dagli imputati,
concernenti, tra l'altro: l'interpretazione della normativa secondaria in
materia di rimborsi, che rimette a chi intende avvalersene la scelta tra il
regime c.d. "a piè dl lista" e quello "à forfait";
l'effettivo utilizzo, in occasione delle trasferte in relazione alle quali è
stato chiesto ed ottenuto il rimborso, del mezzo di trasporto indicato in
ciascuna distinta; la determinazione degli orari di inizio e di fine delle
missioni.
Ha, quindi, sancito, in accordo con il primo giudice,
l'illiceità del contegno serbato dagli imputati, concretatosi nell'esporre,
dolosamente, circostanze false in ordine ad orari e modalità degli spostamenti
tra le rispettive sedi di servizio ed il luogo ove erano stati comandati in
missione, in tal modo traendo in inganno l'amministrazione di appartenenza,
indotta ad erogare somme superiori a quelle che, se i due non avessero fatto
ricorso al malizioso mendacio, sarebbero state liquidate.
La Corte militare di appello ha, inoltre, escluso
l'applicabilità della causa di esclusione della punibilità prevista dall'art.
131-bis c.p. per i casi di particolare tenuità del fatto, preclusa: dalla
modalità ripetitiva delle condotte; dalla consistenza del danno, considerato
sia nel complesso che con riguardo alle singole missioni; dall'abitualità dei
comportamenti illeciti, protrattisi per più di un anno.
3. OMISSIS propone, con l'assistenza dell'avv. Filippo De
Jorio, ricorso per cassazione affidato a sei motivi, dei quali, in ossequio
alla previsione dell'art. 173 disp. Att. c.p.p., comma 1si darà atto, al pari
di quanto accadrà all'atto di dar conto del ricorso di OMISSIS, nei limiti
strettamente necessari per la motivazione.
3.1. Con il primo motivo, deduce violazione di legge e vizio
di motivazione per avere la Corte militare di appello disatteso l'eccezione di
illegittimità costituzionale dell'art. 234 c.p.m.p., comma 3, senza tener
conto: del precedente intervento della Corte costituzionale che, nel
dichiarare, con sentenza n. 258 del 1993, la parziale illegittimità
costituzionale dell'art. 29 c.p.m.p., ha stigmatizzato, con decisione di
portata generale, il ricorso ad irragionevoli automatismi sanzionatori;
dell'immotivata disparità di trattamento tra la truffa ed altri reati, pure
previsti dal c.p.m.p., quali le lesioni personali gravi o gravissime o la
diffamazione, per il quale la rimozione non è automaticamente prevista in caso
di condanna; del contrasto tra la disposizione de qua agitur e la finalità
rieducativa della pena consacrata all'art. 27 Cost., comma 3.
Sollecita, pertanto, l'interpretazione costituzionalmente e
convenzionalmente conforme dell'art. 234 c.p.m.p., comma 3, ovvero, qualora
tale operazione si rivelasse impossibile, la proposizione alla Consulta della
questione già sottoposta al giudice di merito.
3.2. Con il secondo motivo, lamenta, ancora nell'ottica
della violazione di legge e del vizio di motivazione, che la Corte militare di
appello abbia ingiustificatamente respinto l'eccezione di illegittimità
costituzionale dell'art. 234 c.p.m.p., comma 3, per disparità di trattamento
rispetto alla truffa comune, sanzionata dall'art. 640 c.p., che prevede una
sanzione accessoria, l'interdizione dai pubblici uffici, temporanea anzichè
perpetua e, comunque, avente quale presupposto la condanna alla reclusione per
un tempo non inferiore a tre anni.
Osserva al riguardo, che, in tal modo, si determina, in
spregio alla sostanziale identità delle fattispecie ed ai principi stabiliti
agli art. 3 e 27 Cost., l'irragionevole discriminazione dell'imputato militare
rispetto a quello civile, fenomeno analogo a quelli che, in altri settori
dell'ordinamento penalistico militare, ha stimolato ripetuti interventi della
Corte costituzionale, diretti a parificare, al cospetto di identici
presupposti, la disciplina del c.p.m.p. rispetto a quella del c.p..
3.3. Con il terzo motivo, OMISSIS eccepisce violazione di
legge e vizio di motivazione con riferimento all'affermazione della sua penale
responsabilità in ordine ai reati ascrittigli.
Sostiene, in proposito, di avere sempre utilizzato, per le
trasferte connesse alle missioni, il treno, mezzo di trasporto non di proprietà
dell'amministrazione ma specificamente autorizzato e di essersi, per questa
via, scrupolosamente attenuto alle previsioni della circolare illo tempore
vigente, che non imponevano l'allegazione, ai fini del rimborso, del titolo di
viaggio, che poteva essere sostituita dalla produzione di un estratto delle
tariffe praticate, sul web, dalle compagnie ferroviarie.
Evidenzia, pertanto, l'assenza, nel suo comportamento, degli
elementi costitutivi dell'ipotizzata truffa, dall'adozione di artifizi o
raggiri all'induzione in errore dell'amministrazione sino all'indebita
disposizione patrimoniale ed alla produzione di un danno per la persona offesa,
con suo contestuale, ingiusto profitto.
Aggiunge, con riferimento al residuo profilo, di avere
correttamente indicato giorno ed ora dell'inizio e della fine di ciascuna
missione, di essere partito a ridosso delle riunioni cui egli era stato
convocato e di essere rientrato nella sede di servizio súbito dopo la loro
conclusione.
Rileva, ulteriormente, che la praticata opzione per il
regime di rimborso forfettario esclude, in concreto, che sia verificata la
paventata lesione del bene giuridico tutelato dalla norma incriminatrice.
3.4. Con il quarto motivo, il ricorrente si duole - nella
prospettiva dell'esercizio, da parte del giudice, di una potestà riservata
dalla legge ad organi legislativi, oltre che della violazione di legge - che i
giudici di merito abbiano, in violazione del divieto di analogia in materia
penale, qualificato in termini di artifizi e raggiri condotte integranti
ipotesi di falsità ideologica, ovvero fattispecie di reato non contemplate dal
c.p.m.p..
3.5. Con il quinto motivo, OMISSIS lamenta violazione di
legge rilevando che la Corte militare di appello ha orientato la decisione sul
fallace presupposto della chiarezza e dell'univocità del quadro normativo
trascurando di considerare la concreta possibilità che egli sia stato indotto in
errore dalle complesse e contraddittorie disposizioni amministrative di
settore, circostanza idonea, con ogni evidenza, ad escludere, ai sensi
dell'art. 47 c.p., il dolo del reato di truffa e che ha spinto lo stesso
Ministero della Difesa ad adottare, nel 2022, una nuova Direttiva in punto di
"Rimborso delle spese di viaggio in favore del personale delle Forze
Armate comandato in missione".
Detto provvedimento, nota, è stato emesso sulla premessa che
"Le numerose direttive attualmente vigenti, la cui emanazione è stata
dettata dall'evoluzione della normativa di settore, hanno tuttavia comportato
stratificazione delle relative disposizioni generando, talvolta, situazioni di
complessità interpretativa" ed allo scopo di "riordinare la materia
del rimborso delle spese di viaggio e l'utilizzo dei mezzi di trasporto,
fornendo un unico quadro di riferimento applicativo quanto più chiaro
possibile".
Sottolinea, subito dopo, che la prova del reato è stata
tratta dalla compilazione, da parte sua, di moduli, destinati a raccogliere le
dichiarazioni sostitutive delle certificazioni, predisposti in difformità alle
previsioni di legge e, in particolare, privi del richiamo alle sanzioni penali
di cui al D.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, art. 76, e dell'informativa sul
trattamento dei dati personali.
3.6. Con il sesto motivo, il ricorrente deduce violazione di
legge e vizio di motivazione per avere i giudici di merito offerto un'illogica
interpretazione delle risultanze istruttorie, privilegiando, senza spiegarne le
ragioni, l'attendibilità di alcuni testimoni a scapito di quella di altri e
giungendo, infine, alla sua condanna pur in presenza di consistenti zone
d'ombra nell'accertamento dei fatti di causa e senza che si sia prodotta
l'offesa al bene tutelato.
Ribadisce, a quest'ultimo proposito, che egli ha percepito
un rimborso forfettario e, quindi, del tutto scollegato dalle spese
effettivamente sostenute e che deve, pertanto, escludersi che l'amministrazione
abbia patito una ingiustificata deminutio pattimonii.
4. OMISSIS propone, tramite l'avv. Rosellina Naccarato,
ricorso per cassazione articolato su due motivi.
4.1. Con il primo motivo, eccepisce violazione di legge e
vizio di motivazione per avere la Corte militare di appello trattato
unitariamente le posizioni dei due imputati i quali, però, rispondono di fatti
commessi autonomamente anzichè in concorso tra loro.
Rilevato che egli, a differenza di OMISSIS, non ha mai
ammesso di avere utilizzato, per le trasferte, il treno, taccia di illogicità
il percorso argomentativo che ha condotto i giudici di merito a stimare - in
violazione, peraltro, delle regole che presiedono alla ripartizione dell'onere
probatorio - che egli si sia effettivamente servito di quel mezzo di trasporto,
presupposto imprescindibile per ritenere la sussistenza, nella loro duplice
configurazione, delle ipotizzate truffe.
Rileva, sotto altro aspetto, che la sentenza impugnata muove
dall'erroneo postulato che i convogli ferroviari rientrerebbero nel novero di
mezzi di proprietà dell'amministrazione della Difesa e poggia su pilastri di
marcata fragilità, specificamente in relazione alla ricostruzione degli
spostamenti effettuati in occasione di ciascuna trasferta, al rispetto delle
prescrizioni contenute nella circolare sui rimborsi al tempo vigente, al
pregiudizio arrecato all'amministrazione dall'opzione per i rimborsi forfettari.
Segnala - in termini sovrapponibili a quelli già esposti
all'atto di esporre i motivi di ricorso spiegati da OMISSIS - che l'oscurità
della normativa in materia, non a caso successivamente sostituita da altra più
lineare, è spia dell'assenza di dolo ovvero dell'essere egli caduto in errore
in ordine alla procedura finalizzata a conseguire i ristori.
4.2. Con il secondo motivo, OMISSIS eccepisce violazione di
legge e vizio di motivazione per avere la Corte militare di appello respinto la
censura vertente sull'applicazione della causa di esclusione della punibilità
per particolare tenuità del fatto sulla scorta di argomentazioni assertive ed
apodittiche e, vieppiù, senza considerare che le condotte incriminate non hanno
prodotto alla persona offesa pregiudizi economici di sorta.
Motivi della decisione
1. I ricorsi sono infondati e, pertanto, passibili di
rigetto.
2. Preliminarmente, avendo i ricorrenti articolato doglianze
anche ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), occorre ricordare, con
la giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Sez. 3, n. 18521 del
11/01/2018, Ferri, Rv. 273217), che il sindacato demandato alla Corte di
cassazione sulla motivazione della sentenza impugnata non può concernere nè la
ricostruzione del fatto, nè il relativo apprezzamento, ma deve limitarsi al
riscontro dell'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità
di una diretta rivisitazione delle acquisizioni processuali.
Il controllo di legittimità, invero, non è diretto a
sindacare l'intrinseca attendibilità dei risultati dell'interpretazione delle
prove, nè a ripercorrere l'analisi ricostruttiva della vicenda processuale
operata nei gradi anteriori, ma soltanto a verificare che gli elementi posti a
base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e
secondo linee giustificative adeguate, che rendano persuasive, sul piano della
consequenzialità, le conclusioni tratte (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003,
Petrella, Rv. 226074-01).
Sarebbero, quindi, inammissibili censure che si fondassero
su alternative letture del quadro istruttorio, sollecitando il diverso
apprezzamento del materiale probatorio acquisito da parte di questa Corte,
secondo lo schema tipico di un gravame di merito, il quale esula, tuttavia,
dalle funzioni dello scrutinio di legittimità, volto ad enucleare l'eventuale
sussistenza di uno dei vizi logici, mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità, tassativamente previsti dall'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), riguardanti
la motivazione della sentenza di merito in ordine alla ricostruzione del fatto
(Sez. 6 n. 13442 dell'8/03/2016, De Angelis, Rv. 266924; Se:z. 6 n. 43963 del
30/09/2013, Basile, Rv. 258153).
Ne discende, è stato, da ultimo, ribadito (Sez. 2, n. 9106
del 12/02/2021, Caradonna, Rv. 280747), che "In tema di motivi di ricorso
per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione
diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua
contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente,
o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa
conclusione del processo, sicchè sono inammissibili tutte le doglianze che
"attaccano" la persuasività, l'inadeguatezza, la mancanza di rigore o
di puntualità, la stessa illogicità quando non manifesta, così come quelle che
sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire
alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni
differenti sui punti dell'attendibilità, della credibilità, dello spessore
della valenza probatoria del singolo elemento".
La mancanza, l'illogicità e la contraddittorietà della
motivazione, come vizi denunciabili in sede di legittimità, devono, pertanto,
risultare di spessore tale da risultare percepibili ictu oculi, dovendo il
sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica
evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi
disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate,
siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè siano spiegate
in modo logico ed adeguato le ragioni del convincimento senza vizi giuridici
(in tal senso, conservano validità, e meritano di essere tuttora condivisi, i
principi affermati da questa Corte, Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella,
Rv. 226074; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260; Sez. U, n. 24 del
24/11/1999, Spina, Rv. 214794).
Deve tuttora escludersi per il giudice di legittimità, la
possibilità di "un'analisi orientata ad esaminare in modo separato ed
atomistico i singoli atti, nonchè i motivi di ricorso su di essi
imperniati" e quindi "di fornire risposte circoscritte ai diversi
atti ed ai motivi ad essi relativi" in quanto ciò "si risolverebbe in
una impropria riedizione del giudizio di merito e non assolverebbe alla
funzione essenziale del sindacato sulla motivazione" (Sez. 6, n. 14624 del
20/03/2006, Vecchio, Rv. 233621), ovvero di procedere ad una rilettura degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione ovvero di adottare nuovi e
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (Sez. 6, n. 25255
del 14/02/20122012, Minervini, Rv. 25309901; Sez. 6, n. 27429 del 04/07/2006,
Lobriglio, Rv. 234559).
3. Nel caso in esame, la Corte militare di appello risulta
essersi confrontata con le doglianze sviluppate con le impugnazioni di merito e
reiterate con i ricorsi per cassazione, che ha disatteso seguendo un iter
motivazionale che si sottrae alle censure articolate in sede di legittimità.
3.1. Ha, in primo luogo, ritenuto che gli imputati abbiano
partecipato a tutte le riunioni del COCER indicate nell'imputazione spostandosi
in treno ed utilizzando i biglietti che, a loro nome, erano stati
preventivamente acquistati, pagando un prezzo sempre inferiore a quello
riportato nelle richieste di rimborso, estratto dai siti web di Trenitalia o
Italo e parametrato al costo di biglietti di prima classe acquistati ad
immediato ridosso di ciascuna trasferta.
A tal fine, hanno tratto argomento, attraverso
considerazioni esenti da qualsivoglia frattura razionale, dalle verifiche
effettuate presso i vettori (cfr. pag. 56-57), dalle, pur parziali, ammissioni
di OMISSIS e, soprattutto, dalla considerazione - francamente invincibile - di
ordine logico che fa leva sull'essere stati acquistati i titoli di viaggio da
parte degli imputati e sulla precisa corrispondenza, di giorno ed ora, tra tali
biglietti e le missioni cui i due avrebbero dovuto partecipare.
Ha gioco facile, dunque, la Corte di militare di appello
nell'osservare che, quantunque non sia stato possibile accertare - in ragione
del fatto che le compagnie ferroviarie non sono solite identificare il
viaggiatore all'atto del controllo del biglietto - se e chi viaggiò servendosi
di quei titoli, la costante ed assoluta coincidenza con le missioni e l'assenza
di diverse, plausibili spiegazioni da parte dei diretti interessati concorrono
nel dimostrare, al di là di ogni ragionevole dubbio, che OMISSIS e OMISSIS si
spostarono grazie ai biglietti da loro effettivamente acquistati, il cui
costo" si ripete, era largamente inferiore a quello indicato nella
richiesta di rimborso.
3.2. Parimenti ineccepibile è la ricostruzione della
normativa di riferimento operata dai giudici di merito.
La circolare al tempo vigente, invero (cfr. pagg. 52-56
della sentenza impugnata), assegnava agli interessati - sia nel caso di
rimborso a piè di lista che di ristoro à forfait (operazione che attiene,
invece, alle spese di vitto ed alloggio) - l'alternativa, per le trasferte, tra
l'utilizzo di un veicolo di proprietà dell'amministrazione o dalla stessa
previamente autorizzato e la scelta di un mezzo diverso: nel primo caso, le
spese di viaggio sarebbero state rimborsate a fronte dell'esibizione del titolo
in originale e per l'importo ivi indicato; nel secondo, il militare in missione
avrebbe avuto diritto ad un indennizzo pari al costo di un biglietto di prima
classe o equiparato.
Nel caso di specie, dall'istruttoria dibattimentale (cfr.,
in particolare, le dichiarazioni del teste C.C. e la documentazione acquisita
in primo grado) è emerso che OMISSIS e OMISSIS hanno preventivamente chiesto ed
ottenuto, in vista delle missioni cui avrebbero dovuto, volta per volta,
partecipare, l'autorizzazione all'uso del treno, ciò che, in virtù delle
disposizioni testè richiamate, li avrebbe dovuti indurre a circoscrivere l'ammontare
delle spese di viaggio da rimborsare nei limiti della somma effettivamente
sborsata.
Il sistema - a dispetto della presenza, nei moduli compilati
dagli imputati, di qualche marginale ed irrilevante imprecisione terminologica
(quale quella che pare assimilare il treno ai mezzi di proprietà
dell'amministrazione) - era, quindi, assolutamente chiaro nell'imporre ai
militari, già autorizzati, su loro istanza (cfr., tra gli altri, il Foglio di
viaggio n. (Omissis), con il quale OMISSIS è stato autorizzato all'uso del
treno per la trasferta del 23 luglio 2018), a servirsi del treno, di allegare,
ai fini del ristoro delle spese, i biglietti materialmente acquistati ed
utilizzati anzichè le stampe tratte dai siti delle compagnie, che avrebbero
dovuto esibire, invece, nell'opposto caso in cui la preventiva autorizzazione
non fosse stata chiesta o, comunque, rilasciata.
In proposito, la Corte militare di appello, svolgendo un
ragionamento ampio e coerente, ha spiegato che la normativa regolamentare del
tempo era tutt'altro che oscura e contraddittoria e non consentiva, vieppiù
avuto riguardo alle concrete connotazioni della vicenda in esame, dubbi o
perplessità di sorta e che il contegno serbato dagli imputati è stato frutto di
deliberata consapevolezza della natura indebita della prestazione richiesta e
dell'attitudine della condotta artificiosa a trarre in inganno l'amministrazione
che, indotta in errore dal malizioso stratagemma da loro architettato - cioè
portata a ritenere che gli imputati avessero effettivamente sopportato
l'esborso corrispondente al prezzo indicato sui documenti materialmente
allegati alle richieste - ha affrontato una spesa maggiore rispetto a quella
che sarebbe derivata dalla fedele esposizione della sequenza degli eventi, onde
del tutto infondate si rivelano le doglianze avanzate dai ricorrenti in punto
di concreta offensività del fatto illecito.
3.3. Nè, va aggiunto, miglior sorte meritano le obiezioni
imperniate sulla astratta qualificazione del comportamento truffaldino in
chiave di falsità ideologica - reato non previsto dall'ordinamento penalistico
militare che, infatti, non è stato oggetto di autonoma contestazione - che
muovono dall'assunto, del tutto fallace, della necessaria rilevanza criminale
di "artifizi o raggiri" che, piuttosto, devono avere, sebbene non
integranti, nella loro materialità, autonomi reati attribuiti alla giurisdizione
militare (come, del resto, precisato dalla Corte militare di appello alla pag.
68 della sentenza impugnata), attitudine ingannatoria della persona offesa che,
indotta in errore, si risolve a porre in essere un atto di disposizione
patrimoniale (qui identificato nella liquidazione di rimborsi superiori a
quelli spettanti ai richiedenti) che, altrimenti, avrebbe avuto diverse
connotazioni e che, nel garantire agli agenti un profitto ingiusto, le arreca
un pregiudizio patrimoniale.
Esente dai denunciati vizi si rivela, pertanto, in
conclusione, l'apprezzamento, da parte dei giudici di merito, della
sussistenza, nella fattispecie, di tutti gli elementi costitutivi dell reato
contestato.
3.4. Lo stesso è a dirsi in relazione alle residue truffe
consumate dagli imputati indicando, nelle richieste di rimborso, orari di
partenza e di rientro diversi da quelli in cui i mezzi di trasporto da loro
effettivamente utilizzati sono partiti ed arrivati dalle rispettive sedi di
servizio, ciò che ha consentito loro di estendere la durata complessiva delle
missioni in termini tali da incrementare l'importo dell'indennità loro
riconosciuta.
Le giustificazioni offerte al riguardo dagli imputati si
infrangono, invero, secondo quanto debitamente illustrato dalla Corte militare
di appello (cfr. pagg. 55-56 e, poi, 59-60 e, ancora, 70-72 della sentenza
impugnata), con il disposto normativo e, in particolare, con il punto:3.4.
della Circolare n. 26794 dell'8 febbraio 2018, dal quale si evince che la
missione comincia e finisce nel momento in cui il militare lascia il - e
rientra nel - territorio del comune in cui egli presta servizio: ne discende l'illegittimità
della dilatazione della durata della missione in modo da comprendere il tempo
occorrente per gli spostamenti dal luogo di arrivo del treno, se ubicato nel
comune di servizio, sino all'edificio in cui l'interessato presta attività
lavorativa.
4. Il secondo motivo del ricorso di OMISSIS, vertente sul
rigetto dell'impugnazione proposta in relazione alla declaratoria di non
punibilità per particolare tenuità del fatto, è manifestamente infondato.
La Corte militare di appello ha ritenuto che la vicenda si
connoti per un significativo coefficiente di disvalore fattuale e giuridico,
desunto: dall'elevato numero (trentadue, per OMISSIS, diciotto, per OMISSIS)
delle condotte; dalla loro modalità ripetitiva, rispondente ad un clichè
predeterminato; dalla consistenza del danno, considerato sia nel complesso
(stimabile nell'ordine di alcune migliaia di Euro per ciascuno degli imputati)
che con riguardo alle singole missioni; dall'abitualità dei comportamenti
illeciti, protrattisi per più di un anno.
Il ricorrente, per contro, svolge contestazioni di tangibile
fragilità, che attengono all'astratta riconoscibilità del beneficio e formula
obiezioni che -nel riproporre, in termini della cui fallacia si è già detto, il
tema dell'assenza di pregiudizio economico per l'amministrazione - non tengono
conto delle caratteristiche dell'istituto evocato e, precipuamente,
dell'interpretazione che ne ha fornito la giurisprudenza di legittimità,
rispetto alla quale la decisione impugnata si pone in linea di coerente continuità.
Pertinente si palesa, al riguardo, il richiamo all'indirizzo
ermeneutico secondo cui nell'interpretazione dell'istituto della non punibilità
per particolare tenuità del fatto il giudice di merito, chiamato a pronunziarsi
sulla relativa richiesta, è tenuto a fornire adeguata motivazione del suo
convincimento, frutto della valutazione complessa e congiunta di tutte le
peculiarità della fattispecie concreta, compiuta utilizzando quali parametri di
riferimento i criteri previsti dall'art. 133 c.p., comma 1, - modalità della
condotta, grado di colpevolezza da esse desumibile ed entità del danno o del
pericolo - e, specificamente, indicando quelli ritenuti all'uopo rilevanti
(Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590; Sez. 2, n. 37834 del
02/12/2020, Mifsud, Rv. 280466 - 01; Sez. 6, n. 5107 del 08/11/2018, Milone,
Rv. 274647).
5. Le doglianze espresse da OMISSIS in relazione alla
legittimità costituzionale della disposizione che, nel caso di condanna per il
reato di truffa militare, impone, in via automatica, la rimozione sono
infondate.
5.1. Il ricorrente, in proposito, ha posto l'accento, in
primis, sulla portata della sentenza della Corte costituzionale n. 258 del
1993, che ha dichiarato la parziale illegittimità costituzionale dell'art. 29
c.p.m.p..
Nell'occasione, il giudice delle leggi ha, in particolare,
stimato la contrarietà alla Carta fondamentale della previsione, contenuta nel
testo originario della norma, secondo cui la rimozione - sanzione accessoria
prevista dal c.p.m.p. che si applica "a tutti i militari rivestiti di un
grado o appartenenti a una classe superiore all'ultima" e "priva il
militare condannato del grado e lo fa discendere alla condizione di semplice
soldato o di militare di ultima classe" - conseguiva al superamento di un
limite di pena, inflitto all'imputato con la sentenza di condanna, diversamente
stabilito per ufficiali e sottufficiali, da un canto, e per gli altri militari,
dall'altro.
Per effetto della citata pronunzia, dunque, la rimozione
costituisce conseguenza dell'irrogazione, nei confronti dell'imputato, della
pena alla reclusione militare superiore, per entità, ad un limite unitariamente
determinato in tre anni di reclusione militare, a prescindere dalla qualifica e
dal grado del soggetto interessato.
L'art. 29, nondimeno, fa espressamente salve le ipotesi
nelle quali la legge disponga altrimenti, ovvero, come nel caso della truffa
militare, la rimozione consegua indefettibilmente alla condanna, anche a pena
inferiore al limite indicato dalla norma generale sulla rimozone, per reati la
cui commissione, evidentemente, il legislatore - come attestato anche dalla
giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. 1, n. 30245 del 25/01/2016, Cavalieri,
Rv. 268054 - 01; Sez. 1, n. 34368 del 15/07/2009, Di Castro, Rv. 244818 - 01;
Sez. 1, n. 17311 del 30/03/2007, Bozzoli, non massimata) - ha ritenuto
assolutamente inconciliabile con il mantenimento del grado o della classe, in
ragione dell'esigenza di escludere una condizione soggettiva implicante poteri
gerarchici di natura militare, ritenuta dal sistema codicistico incompatibile
con il riconoscimento di responsabilità penali conseguenti alla consumazione di
condotte quali quelle, appunto, della truffa militare.
In questa cornice si innesta l'eccezione del ricorrente, che
si appunta sul carattere automatico ed indefettibile della rimozione, a suo
dire irragionevole, se circoscritto ad alcuni comportamenti criminosi, non più
gravi di altri, pure sanzionati dal c.p.m.p., che, tuttavia, non contemplano la
rimozione, e contrario, comunque, al principio del finalismo rieducativo della
pena.
Trattasi, è agevole replicare, di argomenti manifestamente
infondati, posto, innanzitutto, che rientra senz'altro nella discrezionalità
del legislatore l'apprezzamento dell'incidenza di specifiche condotte
sull'esercizio dei poteri gerarchici connessi all'attribuzione di un grado e
che, nel caso di specie, l'opzione normativa appare coerente con la tipica
offensività della truffa e le sue modalità esecutive, in alcun modo comparabili
con le corrispondenti caratteristiche di reati che, pur connotati da elevato
coefficiente di lesività, ledono differenti beni giuridici e la cui
realizzazione prescinde in toto dalla collocazione dell'agente nell'ambito
dell'organizzazione del corpo.
In questo senso si è, del resto, espressa, i// tempore, la
Corte costituzionale che, con sentenza n. 383 del 1997 (richiamata, da ultimo,
da Sez. 1, n. 20444 del 22/04/2022, Francavilla, non massimata), ha dichiarato
l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata da un
giudice militare di merito proprio con riferimento all'art. 3 Cost. e art. 27
Cost., comma 3, ed all'automatica applicazione della pena accessoria della
rimozione nel caso di condanna per il reato di truffa militare.
In tale occasione, la Consulta non ha mancato di
sottolineare che il rigore del contestato automatismo è mitigato dalla
previsione dell'art. 166 c.p., nel testo modificato dalla L. 7 febbraio 1990,
n. 19, art. 4, secondo cui "la sospensione condizionale della pena si
estende alle pene accessorie", beneficio che, nel caso di specie, è stato
concesso ad entrambi gli imputati.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha, peraltro,
chiarito che "La sospensione condizionale delle pene accessorie, a seguito
della modificazione dell'art. 166 c.p., introdotta dalla L. 7 febbraio 1990, n.
19, art. 4 è un effetto della sospensione condizionale della pena principale e
si realizza automaticamente senza necessità di un provvedimento che faccia
esplicito riferimento alle pene accessorie" (Sez. 3, n. 27113 del
19/02/2015, Merlo, Rv. 264019 - 01).
5.2. Non meno infondata è l'ulteriore questione di
legittimità costituzionale posta da OMISSIS con il secondo motivo di ricorso,
vertente sulla pretesa discriminatorietà del trattamento riservato ai militari
autori del delitto di truffa rispetto a chi, estraneo all'apparato delle forze
armate, si renda responsabile di identico comportamento.
Se è vero, infatti, che la struttura dei reati è
sostanzialmente analoga, non è men vero, per contro, che la previsione della
rimozione obbligatoria discende, nel caso di truffa militare, dalla già
ricordata incompatibilità tra la commissione di siffatte condotte illecite e la
titolarità e l'esercizio dei poteri gerarchici connessi al grado o alla classe
rivestiti, sicchè la differenziazione, per questa parte, del trattamento
sanzionatorio appare tutt'altro che irragionevole o ingiustificatamente vessatoria.
6. Dal rigetto del ricorso discende la condanna di OMISSIS e
OMISSIS al pagamento delle spese processuali ai sensi dell'art. 616 c.p.p.,
comma 1, primo periodo.
P.Q.M.
rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso in Roma, il 12 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2023
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