Tar - Prevedono una concertazione tra varie amministrazioni,
i rappresentanti delle OO.SS. legittimate a parteciparvi e i rappresentanti del
Consiglio centrale di rappresentanza (COCER), mentre l'iniziativa del
procedimento per la concertazione spetta al Ministro per la pubblica
amministrazione e la semplificazione. Dette procedure si concludono con
l'emanazione di appositi decreti del Presidente della repubblica.
T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., (ud. 18/12/2023)
19-12-2023, n. 3792
Fatto Diritto P.Q.M.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 351 del 2022,
proposto da OMISSIS e consorti, rappresentati e difesi dall'avvocato
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della
Difesa, Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, in persona
del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura
Distrettuale, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, 6;
per
il risarcimento del danno per mancata istituzione di forme
pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del D.Lgs. 21 aprile 1993,
n. 124, e successive modificazioni.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio di Presidenza del
Consiglio dei Ministri, del Ministero della Difesa e del Ministero delle
Politiche Agricole, Alimentari e Forestali;
Visti tutti gli atti della causa;
Viste le note di udienza, con le quali il difensore di parte
ricorrente ha chiesto che la causa venisse posta in decisione senza
discussione;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2023
il dott. Bartolo Salone; nessuno è presente per le parti come specificato nel
verbale;
Svolgimento del processo
I ricorrenti in epigrafe espongono di essere attualmente
dipendenti del Ministero della Difesa, in quanto trasferiti dal Corpo forestale
dello Stato, forza di polizia ad ordinamento civile, all'Arma dei Carabinieri,
con assegnazione nella qualifica militare corrispondente a quella rivestita
nella forza di polizia ad ordinamento civile, a decorrere dal 1 gennaio 2017.
Con il ricorso in epigrafe gli esponenti lamentano che per
il personale delle Forze Armate, delle Forze di Polizia e per i Vigili del
Fuoco, a 27 anni dall'entrata in vigore della L. n. 335 del 1995, non siano mai
state attivate le procedure per la determinazione delle forme di previdenza
complementare. Precisano che l'obbligo di attuare la previdenza complementare,
nonché l'obbligo di assumere l'iniziativa del procedimento per la
concertazione/contrattazione avente ad oggetto la realizzazione della stessa,
incombeva ed incombe sulle Amministrazioni convenute (Ministero della Difesa,
Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Presidenza del
Consiglio dei Ministri), le quali si sono rese e sono tutt'oggi inadempienti a
tali obblighi.
A sostegno della loro pretesa, i ricorrenti denunciano, in
sintesi, la violazione dell'art. 26 c. 20 della L. n. 448 del 1998, dell'art. 1
e ss. della L. n. 335 del 1995, della L. n. 243 del 2004, dell'art. 3 del
D.Lgs. n. 252 del 2005, oltre alla contrarietà della condotta omissiva ai
principi di buon andamento della P.A. e di efficacia ed efficienza dell'azione
amministrativa. Invocano, infine, anche il mancato rispetto dell'art. 1 del
Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU e la violazione dell'art. 12 della Carta
sociale europea riveduta letto in connessione con l'art. E della medesima Carta
per l'ingiustificata disparità di trattamento che la persistente inerzia della
p.a. determinerebbe tra i ricorrenti e i dipendenti pubblici appartenenti a
comparti diversi da quello della sicurezza e della difesa, i quali hanno già la
possibilità di aderire a forme di previdenza complementare di tipo categoriale.
Dalla omessa attivazione di tale istituto previdenziale
integrativo deriverebbe ai ricorrenti - quali portatori di un interesse
legittimo pretensivo all'istituzione, per il comparto di appartenenza, della
previdenza complementare - un danno alla propria posizione pensionistica, il
quale andrebbe "parametrato al mancato versamento a carico delle
Amministrazioni della quota parte dovuta per la costituzione dei fondi pensione
(…), oltre all'impossibilità di avere un risparmio in termini di tassazione IRPEF
sulla quota parte di versamento al fondo gravante sul dipendente (ogni anno è
possibile dedurre dal reddito dichiarato ai fini IRPEF fino a 5.164,57 euro di
contributi alla pensione integrativa, compresi quelli versati dal datore di
lavoro) ed, infine, al pregiudizio economico conseguente alla mancata
possibilità di destinare al fondo l'integralità o quota parte del trattamento
di fine rapporto o del trattamento di fine servizio e conseguire un
rendimento".
Per la stima del danno asseritamente sofferto i ricorrenti
ritengono che debbano prendersi a riferimento i rendimenti del fondo
"Espero", unico fondo negoziale in essere per i dipendenti pubblici
con una serie storica sufficientemente lunga.
Si costituivano in giudizio a mezzo dell'Avvocatura
Distrettuale dello Stato di Palermo le amministrazioni intimate (Ministero
della Difesa, Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali,
Presidenza del Consiglio dei Ministri), deducendo, con memoria depositata il 9
novembre 2023:
1) l'inammissibilità del ricorso per il difetto di
legittimazione attiva in capo ai singoli ricorrenti, relativamente
all'accertamento incidentale (presupposto) dell'illegittimità dell'inerzia
dell'Amministrazione e alla conseguenziale domanda di risarcimento del danno;
2) la carenza di interesse ad agire in chiave risarcitoria,
"risultando del tutto illogico risarcire un danno per equivalente in
denaro quando non sussiste (come nel caso di specie) il diritto dei singoli
amministrati a ottenere il bene della vita in forma specifica, essendo essi
portatori di un mero interesse indiretto";
3) il difetto di legittimazione passiva delle
amministrazioni convenute poiché a norma dell'art. 7 del D.Lgs. n. 195 del 1995
la competenza a dare impulso al procedimento di negoziazione e concertazione
ivi disciplinato non spetta né alle Amministrazioni datrici di lavoro
(Ministero della Difesa e, in passato, Ministero delle Politiche agricole,
alimentari e forestali) né alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, bensì al
Ministro per la funzione pubblica (oggi Ministro per la Pubblica
Amministrazione), non evocato in giudizio;
4) l'infondatezza della pretesa risarcitoria, sia per la
mancanza di un ritardo imputabile, rilevandosi in proposito che "il
ritardo nelle procedure non possa essere ascritto all'inerzia dei ministeri
intimati, bensì alle lentezze di un tavolo tecnico del quale fanno parte anche
i rappresentanti sindacali delle categorie lavorative interessate" (cfr.
TAR Lazio, Roma, Ibis 25.06.2019, n. 8286), sia per la mancata di "un
autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni pubbliche, in
assenza della definizione della materia in sede di contrattazione collettiva e,
nel caso dei militari, delle specifiche procedure di concertazione, ai sensi
del D.Lgs. n. 195 del 1995" (Cons. Stato, II, 8440/2021) sia per la
mancanza di attualità del danno, che si manifesterà al pensionamento e potrà
essere calcolato in termini non ipotetici, ma reali, sulla base della normativa
in vigore in quel momento.
All'udienza pubblica del 18 dicembre 2023, previo deposito
di memoria di replica dei ricorrenti, la causa è stata trattenuta per la
decisione.
Motivi della decisione
La controversia in esame riguarda la mancata attivazione, da
parte delle amministrazioni pubbliche evocate in giudizio, di forme di
previdenza integrativa, per la categoria di lavoratori dell'Arma dei
Carabinieri.
Più in particolare, il presupposto da cui muove l'impianto
argomentativo costruito dai ricorrenti è che le amministrazioni pubbliche da
cui essi dipendono hanno l'obbligo giuridico di avviare le procedure di
creazione di forme previdenziali complementari, e - non avendo adempiuto a tale
obbligo - le stesse sono responsabili del danno patrimoniale causato ai
lavoratori.
L'azione promossa col ricorso in esame tende quindi, in
prima battuta, ad accertare, seppure incidentalmente (non essendo stato
contestualmente proposto dai ricorrenti ricorso ai sensi degli artt. 31 e 117,
c.p.a.), l'inadempimento da parte delle PP.AA. in rapporto all'obbligo di
avviare e portare a compimento le citate procedure istitutive della previdenza
complementare e, in seconda battuta, ad ottenere condanna delle stesse
amministrazioni a risarcire i danni arrecati ai lavoratori in conseguenza del
denunciato omesso avvio delle procedure.
Tanto premesso, il Collegio osserva che, secondo il
consolidato indirizzo giurisprudenziale, "l'ingiustizia e la sussistenza
stessa del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum, in
meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del
provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c.,
provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in
particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del
suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di
carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante)" (tra tante, T.A.R.
Milano, n. 2431/2019).
Nel caso di specie, come emerge chiaramente dalle
considerazioni che seguono, l'azione risarcitoria così introdotta, anche
prescindendosi dalle eccezioni preliminari sollevate dalla difesa erariale, non
può essere accolta, non essendo stata offerta la prova né dell'ingiustizia né
della sussistenza del danno prospettato e del suo ammontare.
Si rileva innanzitutto, sotto il profilo normativo, come
l'art. 26, co. 20, L. n. 448 del 1998 abbia riservato espressamente alle
procedure di negoziazione e di concertazione previste dal D.Lgs. n. 195 del
1995 sia la disciplina del trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2, co.
5-8, L. n. 335 del 1995 sia l'istituzione delle forme pensionistiche
complementari ai sensi dell'art. 3, D.Lgs. n. 124 del 1993.
Gli artt. 40 e 67 del D.P.R. n. 254 del 1999 (recepimento
dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del
provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare)
e l'art. 24 del D.P.R. n. 255 del 1999, con riferimento al personale delle
Forze Armate, hanno precisato, altresì, che le procedure di negoziazione e di
concertazione attivate ai sensi del citato art. 26, co. 20, L. n. 448 del 1998
sono abilitate a definire la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione
complementare; la misura percentuale della quota di contribuzione a carico
delle amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore nonché la retribuzione
utile alla determinazione delle quote stesse; le modalità di trasformazione
della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per
gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di
trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare. Prevedono
una concertazione tra varie amministrazioni, i rappresentanti delle OO.SS.
legittimate a parteciparvi e i rappresentanti del Consiglio centrale di
rappresentanza (COCER), mentre l'iniziativa del procedimento per la
concertazione spetta al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione.
Dette procedure si concludono con l'emanazione di appositi decreti del
Presidente della repubblica.
Nel contesto del quadro normativo testé delineato, la
costante giurisprudenza del Consiglio di Stato è solita affermare che i
dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del
decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di
concertazione sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e
non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine
all'avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti
in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative
(per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati
centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali d'interessi collettivi
(per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al
personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti
procedimenti negoziali (v. Cons. Stato, 20.12.2021 n. 8440, le cui conclusioni
sono state da ultimo ribadite da Cons. Stato, Sez. II, 08.04.2022 n. 2593).
In particolare, si è sottolineato che "la
legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell'obbligo di adozione di
provvedimenti amministrativi, anche attraverso la speciale procedura di
impugnazione del silenzio inadempimento, appartiene in via generale ai soli
soggetti titolari dell'interesse, concreto ed attuale, direttamente riguardato
dalla norma attributiva del potere autoritativo, i quali proprio in ragione di
tale titolarità sono dunque legittimati a partecipare al relativo procedimento
amministrativo", mentre i dipendenti sono portatori di un interesse
soltanto indiretto in relazione all'effettiva entrata in vigore del nuovo
regime previdenziale, in quanto potenziale destinatario delle misure da
adottarsi anche all'esito del procedimento di concertazione di cui si lamenta
la mancata attuazione; ciò in ragione della natura normativa dell'atto
conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di
pubblico impiego; ma non sono legittimati a partecipare al relativo procedimento,
non essendo titolari in proposito di un interesse personale, concreto ed
attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere con la
previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni
competenti (Cons. Stato Sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 502; n. 503, n. 504; 24
ottobre 2011, n. 5697; n. 5698).
Si è quindi concluso che "è la disciplina legislativa
che attribuisce la materia alla contrattazione e alla concertazione sindacale,
con ciò sottraendola alle posizioni soggettive dei singoli dipendenti, i quali
pacificamente, anche nell'ambito del pubblico impiego privatizzato, non possono
intraprendere autonome azioni per la tutela di posizioni affidate alla
contrattazione collettiva, ad esempio per eventuali aumenti retributivi o per
la rimodulazione dell'orario di lavoro negli ambiti di competenza della
contrattazione" (cfr., ancora, Cons. Stato, 20.12.2021 n. 8440).
Da quanto sopra, deriva pertanto che i ricorrenti non
possono rivendicare un diritto al risarcimento del danno connesso all'inerzia o
al ritardo asseritamente imputabile alle Amministrazioni convenute nella
conduzione e definizione del procedimento de quo, in primo luogo per la
mancanza di "ingiustizia" del danno stesso, non rinvenendosi in capo
ai ricorrenti, ai sensi dell'art. 2043 c.c. e dell'art. 2 bis della L. n. 241
del 1990, situazioni giuridiche soggettive qualificabili in termini di interesse
legittimo o di diritto soggettivo, bensì solo un interesse indiretto e di mero
fatto la cui lesione non integra il presupposto della tutela risarcitoria.
Una diversa considerazione della posizione legittimante
degli istanti non può, d'altro canto, essere desunta dalle norme sovranazionali
indicate in ricorso.
In primo luogo, l'aspettativa, ancorché fondata sulla legge,
all'introduzione della previdenza complementare di categoria non costituisce un
"bene" ai sensi dell'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU, neanche
nella sua più ampia accezione accolta dalla giurisprudenza della Corte di
Strasburgo, nei cui confronti l'inerzia datoriale della p.a. possa quindi
configurare una indebita ingerenza.
La Corte EDU, nella sentenza emessa sul ricorso Agrati e
altri c. Italia, 7.6.2011 ( 73), rammenta che "secondo la sua
giurisprudenza, un ricorrente può addurre una violazione dell'articolo 1 del
Protocollo n. (...)solo se le decisioni da lui contestate si riferiscono ai
suoi "beni" ai sensi di tale disposizione. Il concetto di
"beni" può coprire tanto i "beni attuali" quanto i valori
patrimoniali, compresi, in alcune situazioni ben definite, i crediti. Perché un
credito possa essere considerato un "valore patrimoniale" rientrante
nel campo di applicazione dell'articolo 1 del Protocollo n. (...), il titolare
del credito deve dimostrare che esso ha una base sufficiente nel diritto
interno, ad esempio che è confermato da una giurisprudenza ben consolidata
degli organi giudicanti. Una volta acquisito ciò, può entrare in gioco il
concetto di "legittima aspettativa" (Maurice c. Francia GC, n.
11810/03, 63, CEDU 2005 IX)".
Oggetto di tutela, da parte della previsione convenzionale,
è in altri termini qualsiasi elemento del patrimonio dell'individuo,
costituito, oltre che da beni corporali (mobili e immobili), anche da diritti
di credito. Viceversa, la mera aspettativa all'introduzione di sistemi di
previdenza complementare non può assimilarsi a un diritto di credito, quale
posta attiva "attuale" del patrimonio del lavoratore ai sensi
dell'art. 2740 c.c. Ed invero, diritti di credito del lavoratore rispetto a prestazioni
di previdenza integrativa a carico dei fondi di previdenza collettiva potranno
sorgere eventualmente dopo, in seguito alla costituzione dei fondi e al
concreto versamento di una quota della retribuzione o del TFR del lavoratore a
uno specifico fondo pensione.
In secondo luogo, non trovano applicazione immediata nella
presente vicenda le norme della Carta sociale europea, in particolare l'art. 12
("Diritto alla sicurezza sociale") in connessione con il suo articolo
E ("Non discriminazione" nel godimento dei diritti riconosciuti dalla
medesima Carta), di cui i ricorrenti assumono la violazione.
Come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, "la
Carta (…) deve qualificarsi fonte internazionale, ai sensi dell'art. 117, primo
comma, Cost. Essa è priva di effetto diretto e la sua applicazione non può
avvenire immediatamente ad opera del giudice comune ma richiede l'intervento di
questa Corte, cui va prospettata la questione di legittimità costituzionale,
per violazione del citato primo comma dell'art. 117 Cost., della norma
nazionale ritenuta in contrasto con la Carta. Ciò tanto più in considerazione
del fatto che la sua struttura si caratterizza prevalentemente come
affermazione di princìpi ad attuazione progressiva, imponendo in tal modo una
particolare attenzione nella verifica dei tempi e dei modi della loro
attuazione" (Corte cost. n. 120/2018, 10.1).
Nel caso di specie, non vengono prospettati dalla parte
ricorrente dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina primaria
relativa alla previdenza complementare alla stregua delle disposizioni della
Carta quali parametri interposti per giudicare della legittimità costituzionale
della legge ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost.; al contrario, l'art. 12
della Carta in connessione col suo articolo E viene richiamato al fine di
stigmatizzare un asserito ritardo amministrativo nell'attuazione della disciplina
legislativa e sulla base di un presunto effetto diretto che le norme della
Carta sociale europea in realtà non possiedono.
A ogni modo, ancorché le disposizioni della Carta invocate
dai ricorrenti siano prive di effetti diretti, il Collegio ritiene che comunque
sia da escludere che il complesso delle disposizioni legislative regolanti lo
svolgimento delle procedure di concertazione sindacale nel settore considerato
integri una possibile violazione dei menzionati parametri, in quanto la
possibilità di situazioni differenziate tra i comparti della difesa e pubblica
sicurezza e gli altri comparti del pubblico impiego quanto ai sistemi di
previdenza complementare, una volta devoluta l'istituzione e attuazione di tali
sistemi al metodo della contrattazione/concertazione collettiva, è una
evenienza del tutto fisiologica e normale della libertà negoziale delle parti
sociali e dei diritti sindacali riconosciuti dalla legge e tutelati dall'art. 5
della Carta, la cui rubrica reca "Diritti sindacali", e prevede che:
"Per garantire o promuovere la libertà dei lavoratori e dei datori di
lavoro di costituire organizzazioni locali, nazionali o internazionali per la
protezione dei loro interessi economici e sociali ed aderire a queste
organizzazioni, le Parti s'impegnano affinché la legislazione nazionale non
pregiudichi questa libertà né sia applicata in modo da pregiudicarla. La misura
in cui le garanzie previste nel presente articolo si applicheranno alla polizia
sarà determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale. Il
principio dell'applicazione di queste garanzie ai membri delle forze armate e
la misura in cui sarebbero applicate a questa categoria di persone è parimenti
determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale".
Dalla disciplina normativa nazionale prima richiamata
risulta altresì evidente, come chiarito in giurisprudenza (v. Cons. Stato,
20.12.2021 n. 8440 e Sez. II, 08.04.2022 n. 2593), che non sussiste alcun
autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni pubbliche, in
assenza della definizione della materia in sede di contrattazione collettiva e,
nel caso dei militari, delle specifiche procedure di concertazione, ai sensi
del D.Lgs. n. 195 del 1995, non potendo esse unilateralmente disciplinare la materia
né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla
detta previdenza complementare.
Nessun potere in ordine all'avvio e alla conduzione delle
procedure di negoziazione per il personale del comparto sicurezza e difesa
volte ad istituire le forme pensionistiche complementari previste dalla legge
può essere infine ravvisato in capo alle Amministrazioni resistenti. Invero,
l'obbligo di avviare il procedimento di concertazione, ai sensi dell'art. 7 del
D.Lgs. n. 195 del 1995, è rimesso al Ministro per la Pubblica Amministrazione
(il quale non è stato neppure chiamato in giudizio), non già ai singoli
Ministeri datori di lavoro e neppure alla Presidenza del Consiglio dei
Ministri. In ogni caso, come condivisibilmente rilevato dal Consiglio di Stato
nella fondamentale decisione n. 8440/21, "si tratterebbe eventualmente di
un obbligo di avvio del procedimento e non di conclusione dello stesso, da cui
non potrebbe derivare, quindi, né la possibilità di agire con il rito del
silenzio né una responsabilità, ai sensi dell'art. 2 bis della L. n. 241 del
1990".
L'assenza, nella materia de qua, di un obbligo di provvedere
da parte delle Amministrazioni resistenti e di termini tassativi per la
definizione della propedeutica e imprescindibile procedura di concertazione
sindacale impediscono, pertanto, di riconoscere un ritardo imputabile, foriero
di responsabilità risarcitoria, in capo alle predette Amministrazioni.
Infine, nel caso di specie, non vi è prova di un danno
effettivo alla posizione pensionistica degli odierni istanti, concretamente
apprezzabile in termini di attualità e di concretezza, visto che, come è noto,
in base al D.Lgs. n. 252 del 2005, i trattamenti pensionistici integrativi
maturano in parallelo al diritto alla pensione e i ricorrenti, al contrario,
sono tutti dipendenti in servizio. Il danno è altresì generico, indeterminato e
congetturale, perché non si può stabilire allo stato quali forme di previdenza
complementare saranno concretamente istituite all'esito della procedura di
concertazione prevista dalla legge né si possono fare previsioni fondate
sull'adesione o meno, e a quali condizioni, dei ricorrenti a forme di
previdenza attualmente inesistenti.
Vi è da considerare, inoltre, l'intrinseca incertezza e
aleatorietà legata ai costi e ai rendimenti dei fondi pensione che potrebbero
essere introdotti nello specifico comparto e che rendono vieppiù ardua la
possibilità di determinare attualmente il danno, all'uopo distinguendosi i
fondi a prestazione definita (i quali garantiscono un risultato predeterminato,
ma esigono il versamento di contributi in misura variabile secondo l'andamento
della gestione) dai fondi a contribuzione definita, i quali richiedono
dall'assicurato dazioni in misura fissa, ma pagano prestazioni parametrate al
risultato finanziario (che in ipotesi potrebbe anche essere negativo)
conseguito da chi li amministra.
A ogni modo, anche a voler assumere quale riferimento le
prestazioni attualmente garantite dal fondo di previdenza complementare
"ESPERO" (non potendosi certo prevedere il livello di rendimento del
fondo per il futuro fino al tempo in cui i ricorrenti andranno in pensione), il
Collegio deve prendere atto che i ricorrenti non hanno fornito - come era loro
onere - alcun dato retributivo e contabile da cui potere desumere e calcolare,
del caso tramite CTU, il danno secondo i criteri prospettati.
Infine, in un'ottica di contenimento del danno
"futuro" astrattamente allegato, resta, comunque, ferma la
possibilità di sottoscrivere forme di previdenza complementare su base
volontaria, usufruendo dei benefici anche di carattere fiscale previsti dalla
legge, potendo in tal modo i ricorrenti premunirsi contro il danno temuto per
la propria posizione pensionistica.
Il ricorso, per tutte le considerazioni esposte, è quindi
infondato e deve essere rigettato, non essendovi prova né dell'an né del
quantum del pregiudizio lamentato e constando l'insussistenza del nesso di
causalità con la condotta omissiva asseritamente imputabile alle
Amministrazioni resistenti, oltre alla mancanza dei requisiti
dell'antigiuridicità della condotta produttiva di danno e dell'ingiustizia di
quest'ultimo.
Le spese del giudizio, ai sensi degli artt. 26 c.p.a. e 91
c.p.c., seguono la soccombenza e si liquidano, ai sensi del D.M. n. 55 del
2014, nella misura quantificata in dispositivo, tenuto conto del valore
indeterminabile della controversia, della media complessità delle questioni
giuridiche affrontate, avendo riguardo ai minimi tariffari in ragione della
concreta attività difensiva svolta limitata alla fase studio, alla fase
introduttiva e a quella decisionale; non si procede alla liquidazione della fase
istruttoria/trattazione, in quanto nessuna attività difensiva rilevante è stata
concretamente spesa.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia
(Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe
proposto, lo rigetta.
Condanna i ricorrenti in solido tra loro a rifondere alle
Amministrazioni resistenti le spese del giudizio, che liquida in € 3.500,00
(tremilacinquecento/00) per compensi, oltre spese forfettarie, IVA e CPA come
per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità
amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno
18 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati:
Guglielmo Passarelli Di Napoli, Presidente
Bartolo Salone, Referendario, Estensore
Mario Bonfiglio, Referendario
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