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sabato 9 marzo 2024

Tar - Prevedono una concertazione tra varie amministrazioni, i rappresentanti delle OO.SS. legittimate a parteciparvi e i rappresentanti del Consiglio centrale di rappresentanza (COCER), mentre l'iniziativa del procedimento per la concertazione spetta al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Dette procedure si concludono con l'emanazione di appositi decreti del Presidente della repubblica.

 

Tar - Prevedono una concertazione tra varie amministrazioni, i rappresentanti delle OO.SS. legittimate a parteciparvi e i rappresentanti del Consiglio centrale di rappresentanza (COCER), mentre l'iniziativa del procedimento per la concertazione spetta al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Dette procedure si concludono con l'emanazione di appositi decreti del Presidente della repubblica.

 

 

T.A.R. Sicilia Palermo Sez. III, Sent., (ud. 18/12/2023) 19-12-2023, n. 3792

 

Fatto Diritto P.Q.M.

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia

 

(Sezione Terza)

 

ha pronunciato la presente

 

SENTENZA

 

sul ricorso numero di registro generale 351 del 2022, proposto da OMISSIS e consorti, rappresentati e difesi dall'avvocato  

contro

 

Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Difesa, Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale, domiciliataria ex lege in Palermo, via Valerio Villareale, 6;

 

per

 

il risarcimento del danno per mancata istituzione di forme pensionistiche complementari, di cui all'articolo 3 del D.Lgs. 21 aprile 1993, n. 124, e successive modificazioni.

 

Visti il ricorso e i relativi allegati;

 

Visto l'atto di costituzione in giudizio di Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero della Difesa e del Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali;

 

Visti tutti gli atti della causa;

 

Viste le note di udienza, con le quali il difensore di parte ricorrente ha chiesto che la causa venisse posta in decisione senza discussione;

 

Relatore nell'udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2023 il dott. Bartolo Salone; nessuno è presente per le parti come specificato nel verbale;

Svolgimento del processo

 

I ricorrenti in epigrafe espongono di essere attualmente dipendenti del Ministero della Difesa, in quanto trasferiti dal Corpo forestale dello Stato, forza di polizia ad ordinamento civile, all'Arma dei Carabinieri, con assegnazione nella qualifica militare corrispondente a quella rivestita nella forza di polizia ad ordinamento civile, a decorrere dal 1 gennaio 2017.

 

Con il ricorso in epigrafe gli esponenti lamentano che per il personale delle Forze Armate, delle Forze di Polizia e per i Vigili del Fuoco, a 27 anni dall'entrata in vigore della L. n. 335 del 1995, non siano mai state attivate le procedure per la determinazione delle forme di previdenza complementare. Precisano che l'obbligo di attuare la previdenza complementare, nonché l'obbligo di assumere l'iniziativa del procedimento per la concertazione/contrattazione avente ad oggetto la realizzazione della stessa, incombeva ed incombe sulle Amministrazioni convenute (Ministero della Difesa, Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Presidenza del Consiglio dei Ministri), le quali si sono rese e sono tutt'oggi inadempienti a tali obblighi.

 

A sostegno della loro pretesa, i ricorrenti denunciano, in sintesi, la violazione dell'art. 26 c. 20 della L. n. 448 del 1998, dell'art. 1 e ss. della L. n. 335 del 1995, della L. n. 243 del 2004, dell'art. 3 del D.Lgs. n. 252 del 2005, oltre alla contrarietà della condotta omissiva ai principi di buon andamento della P.A. e di efficacia ed efficienza dell'azione amministrativa. Invocano, infine, anche il mancato rispetto dell'art. 1 del Protocollo addizionale n. 1 alla CEDU e la violazione dell'art. 12 della Carta sociale europea riveduta letto in connessione con l'art. E della medesima Carta per l'ingiustificata disparità di trattamento che la persistente inerzia della p.a. determinerebbe tra i ricorrenti e i dipendenti pubblici appartenenti a comparti diversi da quello della sicurezza e della difesa, i quali hanno già la possibilità di aderire a forme di previdenza complementare di tipo categoriale.

 

Dalla omessa attivazione di tale istituto previdenziale integrativo deriverebbe ai ricorrenti - quali portatori di un interesse legittimo pretensivo all'istituzione, per il comparto di appartenenza, della previdenza complementare - un danno alla propria posizione pensionistica, il quale andrebbe "parametrato al mancato versamento a carico delle Amministrazioni della quota parte dovuta per la costituzione dei fondi pensione (…), oltre all'impossibilità di avere un risparmio in termini di tassazione IRPEF sulla quota parte di versamento al fondo gravante sul dipendente (ogni anno è possibile dedurre dal reddito dichiarato ai fini IRPEF fino a 5.164,57 euro di contributi alla pensione integrativa, compresi quelli versati dal datore di lavoro) ed, infine, al pregiudizio economico conseguente alla mancata possibilità di destinare al fondo l'integralità o quota parte del trattamento di fine rapporto o del trattamento di fine servizio e conseguire un rendimento".

 

Per la stima del danno asseritamente sofferto i ricorrenti ritengono che debbano prendersi a riferimento i rendimenti del fondo "Espero", unico fondo negoziale in essere per i dipendenti pubblici con una serie storica sufficientemente lunga.

 

Si costituivano in giudizio a mezzo dell'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Palermo le amministrazioni intimate (Ministero della Difesa, Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, Presidenza del Consiglio dei Ministri), deducendo, con memoria depositata il 9 novembre 2023:

 

1) l'inammissibilità del ricorso per il difetto di legittimazione attiva in capo ai singoli ricorrenti, relativamente all'accertamento incidentale (presupposto) dell'illegittimità dell'inerzia dell'Amministrazione e alla conseguenziale domanda di risarcimento del danno;

 

2) la carenza di interesse ad agire in chiave risarcitoria, "risultando del tutto illogico risarcire un danno per equivalente in denaro quando non sussiste (come nel caso di specie) il diritto dei singoli amministrati a ottenere il bene della vita in forma specifica, essendo essi portatori di un mero interesse indiretto";

 

3) il difetto di legittimazione passiva delle amministrazioni convenute poiché a norma dell'art. 7 del D.Lgs. n. 195 del 1995 la competenza a dare impulso al procedimento di negoziazione e concertazione ivi disciplinato non spetta né alle Amministrazioni datrici di lavoro (Ministero della Difesa e, in passato, Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali) né alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, bensì al Ministro per la funzione pubblica (oggi Ministro per la Pubblica Amministrazione), non evocato in giudizio;

 

4) l'infondatezza della pretesa risarcitoria, sia per la mancanza di un ritardo imputabile, rilevandosi in proposito che "il ritardo nelle procedure non possa essere ascritto all'inerzia dei ministeri intimati, bensì alle lentezze di un tavolo tecnico del quale fanno parte anche i rappresentanti sindacali delle categorie lavorative interessate" (cfr. TAR Lazio, Roma, Ibis 25.06.2019, n. 8286), sia per la mancata di "un autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni pubbliche, in assenza della definizione della materia in sede di contrattazione collettiva e, nel caso dei militari, delle specifiche procedure di concertazione, ai sensi del D.Lgs. n. 195 del 1995" (Cons. Stato, II, 8440/2021) sia per la mancanza di attualità del danno, che si manifesterà al pensionamento e potrà essere calcolato in termini non ipotetici, ma reali, sulla base della normativa in vigore in quel momento.

 

All'udienza pubblica del 18 dicembre 2023, previo deposito di memoria di replica dei ricorrenti, la causa è stata trattenuta per la decisione.

Motivi della decisione

 

La controversia in esame riguarda la mancata attivazione, da parte delle amministrazioni pubbliche evocate in giudizio, di forme di previdenza integrativa, per la categoria di lavoratori dell'Arma dei Carabinieri.

 

Più in particolare, il presupposto da cui muove l'impianto argomentativo costruito dai ricorrenti è che le amministrazioni pubbliche da cui essi dipendono hanno l'obbligo giuridico di avviare le procedure di creazione di forme previdenziali complementari, e - non avendo adempiuto a tale obbligo - le stesse sono responsabili del danno patrimoniale causato ai lavoratori.

 

L'azione promossa col ricorso in esame tende quindi, in prima battuta, ad accertare, seppure incidentalmente (non essendo stato contestualmente proposto dai ricorrenti ricorso ai sensi degli artt. 31 e 117, c.p.a.), l'inadempimento da parte delle PP.AA. in rapporto all'obbligo di avviare e portare a compimento le citate procedure istitutive della previdenza complementare e, in seconda battuta, ad ottenere condanna delle stesse amministrazioni a risarcire i danni arrecati ai lavoratori in conseguenza del denunciato omesso avvio delle procedure.

 

Tanto premesso, il Collegio osserva che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale, "l'ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono in linea di principio presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell'adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda e, in particolare, sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quelli di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante)" (tra tante, T.A.R. Milano, n. 2431/2019).

 

Nel caso di specie, come emerge chiaramente dalle considerazioni che seguono, l'azione risarcitoria così introdotta, anche prescindendosi dalle eccezioni preliminari sollevate dalla difesa erariale, non può essere accolta, non essendo stata offerta la prova né dell'ingiustizia né della sussistenza del danno prospettato e del suo ammontare.

 

Si rileva innanzitutto, sotto il profilo normativo, come l'art. 26, co. 20, L. n. 448 del 1998 abbia riservato espressamente alle procedure di negoziazione e di concertazione previste dal D.Lgs. n. 195 del 1995 sia la disciplina del trattamento di fine rapporto di cui all'art. 2, co. 5-8, L. n. 335 del 1995 sia l'istituzione delle forme pensionistiche complementari ai sensi dell'art. 3, D.Lgs. n. 124 del 1993.

 

Gli artt. 40 e 67 del D.P.R. n. 254 del 1999 (recepimento dell'accordo sindacale per le Forze di polizia ad ordinamento civile e del provvedimento di concertazione delle Forze di polizia ad ordinamento militare) e l'art. 24 del D.P.R. n. 255 del 1999, con riferimento al personale delle Forze Armate, hanno precisato, altresì, che le procedure di negoziazione e di concertazione attivate ai sensi del citato art. 26, co. 20, L. n. 448 del 1998 sono abilitate a definire la costituzione di uno o più fondi nazionali pensione complementare; la misura percentuale della quota di contribuzione a carico delle amministrazioni e di quella dovuta dal lavoratore nonché la retribuzione utile alla determinazione delle quote stesse; le modalità di trasformazione della buonuscita in trattamento di fine rapporto, le voci retributive utili per gli accantonamenti del trattamento di fine rapporto, nonché la quota di trattamento di fine rapporto da destinare a previdenza complementare. Prevedono una concertazione tra varie amministrazioni, i rappresentanti delle OO.SS. legittimate a parteciparvi e i rappresentanti del Consiglio centrale di rappresentanza (COCER), mentre l'iniziativa del procedimento per la concertazione spetta al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. Dette procedure si concludono con l'emanazione di appositi decreti del Presidente della repubblica.

 

Nel contesto del quadro normativo testé delineato, la costante giurisprudenza del Consiglio di Stato è solita affermare che i dipendenti pubblici destinatari dell'attività contrattuale collettiva o del decreto presidenziale di recepimento degli esiti della procedura di concertazione sono titolari di un interesse del tutto indiretto e riflesso, e non già di un interesse concreto, attuale e direttamente tutelabile in ordine all'avvio e conclusione dei procedimenti negoziali in questione, appartenenti in via esclusiva alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento civile) e ai Comitati centrali di rappresentanza, quali organismi esponenziali d'interessi collettivi (per quanto attiene alle Forze di Polizia ad ordinamento militare e al personale delle Forze Armate), chiamati entrambi a partecipare ai predetti procedimenti negoziali (v. Cons. Stato, 20.12.2021 n. 8440, le cui conclusioni sono state da ultimo ribadite da Cons. Stato, Sez. II, 08.04.2022 n. 2593).

 

In particolare, si è sottolineato che "la legittimazione a far valere eventuali inadempimenti dell'obbligo di adozione di provvedimenti amministrativi, anche attraverso la speciale procedura di impugnazione del silenzio inadempimento, appartiene in via generale ai soli soggetti titolari dell'interesse, concreto ed attuale, direttamente riguardato dalla norma attributiva del potere autoritativo, i quali proprio in ragione di tale titolarità sono dunque legittimati a partecipare al relativo procedimento amministrativo", mentre i dipendenti sono portatori di un interesse soltanto indiretto in relazione all'effettiva entrata in vigore del nuovo regime previdenziale, in quanto potenziale destinatario delle misure da adottarsi anche all'esito del procedimento di concertazione di cui si lamenta la mancata attuazione; ciò in ragione della natura normativa dell'atto conclusivo, destinato a disciplinare una serie indeterminata di rapporti di pubblico impiego; ma non sono legittimati a partecipare al relativo procedimento, non essendo titolari in proposito di un interesse personale, concreto ed attuale, specificamente tutelato dalla norma attributiva del potere con la previsione di un correlato obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni competenti (Cons. Stato Sez. IV, 4 febbraio 2014, n. 502; n. 503, n. 504; 24 ottobre 2011, n. 5697; n. 5698).

 

Si è quindi concluso che "è la disciplina legislativa che attribuisce la materia alla contrattazione e alla concertazione sindacale, con ciò sottraendola alle posizioni soggettive dei singoli dipendenti, i quali pacificamente, anche nell'ambito del pubblico impiego privatizzato, non possono intraprendere autonome azioni per la tutela di posizioni affidate alla contrattazione collettiva, ad esempio per eventuali aumenti retributivi o per la rimodulazione dell'orario di lavoro negli ambiti di competenza della contrattazione" (cfr., ancora, Cons. Stato, 20.12.2021 n. 8440).

 

Da quanto sopra, deriva pertanto che i ricorrenti non possono rivendicare un diritto al risarcimento del danno connesso all'inerzia o al ritardo asseritamente imputabile alle Amministrazioni convenute nella conduzione e definizione del procedimento de quo, in primo luogo per la mancanza di "ingiustizia" del danno stesso, non rinvenendosi in capo ai ricorrenti, ai sensi dell'art. 2043 c.c. e dell'art. 2 bis della L. n. 241 del 1990, situazioni giuridiche soggettive qualificabili in termini di interesse legittimo o di diritto soggettivo, bensì solo un interesse indiretto e di mero fatto la cui lesione non integra il presupposto della tutela risarcitoria.

 

Una diversa considerazione della posizione legittimante degli istanti non può, d'altro canto, essere desunta dalle norme sovranazionali indicate in ricorso.

 

In primo luogo, l'aspettativa, ancorché fondata sulla legge, all'introduzione della previdenza complementare di categoria non costituisce un "bene" ai sensi dell'art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU, neanche nella sua più ampia accezione accolta dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, nei cui confronti l'inerzia datoriale della p.a. possa quindi configurare una indebita ingerenza.

 

La Corte EDU, nella sentenza emessa sul ricorso Agrati e altri c. Italia, 7.6.2011 ( 73), rammenta che "secondo la sua giurisprudenza, un ricorrente può addurre una violazione dell'articolo 1 del Protocollo n. (...)solo se le decisioni da lui contestate si riferiscono ai suoi "beni" ai sensi di tale disposizione. Il concetto di "beni" può coprire tanto i "beni attuali" quanto i valori patrimoniali, compresi, in alcune situazioni ben definite, i crediti. Perché un credito possa essere considerato un "valore patrimoniale" rientrante nel campo di applicazione dell'articolo 1 del Protocollo n. (...), il titolare del credito deve dimostrare che esso ha una base sufficiente nel diritto interno, ad esempio che è confermato da una giurisprudenza ben consolidata degli organi giudicanti. Una volta acquisito ciò, può entrare in gioco il concetto di "legittima aspettativa" (Maurice c. Francia GC, n. 11810/03, 63, CEDU 2005 IX)".

 

Oggetto di tutela, da parte della previsione convenzionale, è in altri termini qualsiasi elemento del patrimonio dell'individuo, costituito, oltre che da beni corporali (mobili e immobili), anche da diritti di credito. Viceversa, la mera aspettativa all'introduzione di sistemi di previdenza complementare non può assimilarsi a un diritto di credito, quale posta attiva "attuale" del patrimonio del lavoratore ai sensi dell'art. 2740 c.c. Ed invero, diritti di credito del lavoratore rispetto a prestazioni di previdenza integrativa a carico dei fondi di previdenza collettiva potranno sorgere eventualmente dopo, in seguito alla costituzione dei fondi e al concreto versamento di una quota della retribuzione o del TFR del lavoratore a uno specifico fondo pensione.

 

In secondo luogo, non trovano applicazione immediata nella presente vicenda le norme della Carta sociale europea, in particolare l'art. 12 ("Diritto alla sicurezza sociale") in connessione con il suo articolo E ("Non discriminazione" nel godimento dei diritti riconosciuti dalla medesima Carta), di cui i ricorrenti assumono la violazione.

 

Come chiarito dalla giurisprudenza costituzionale, "la Carta (…) deve qualificarsi fonte internazionale, ai sensi dell'art. 117, primo comma, Cost. Essa è priva di effetto diretto e la sua applicazione non può avvenire immediatamente ad opera del giudice comune ma richiede l'intervento di questa Corte, cui va prospettata la questione di legittimità costituzionale, per violazione del citato primo comma dell'art. 117 Cost., della norma nazionale ritenuta in contrasto con la Carta. Ciò tanto più in considerazione del fatto che la sua struttura si caratterizza prevalentemente come affermazione di princìpi ad attuazione progressiva, imponendo in tal modo una particolare attenzione nella verifica dei tempi e dei modi della loro attuazione" (Corte cost. n. 120/2018, 10.1).

 

Nel caso di specie, non vengono prospettati dalla parte ricorrente dubbi sulla legittimità costituzionale della disciplina primaria relativa alla previdenza complementare alla stregua delle disposizioni della Carta quali parametri interposti per giudicare della legittimità costituzionale della legge ai sensi dell'art. 117, comma 1, Cost.; al contrario, l'art. 12 della Carta in connessione col suo articolo E viene richiamato al fine di stigmatizzare un asserito ritardo amministrativo nell'attuazione della disciplina legislativa e sulla base di un presunto effetto diretto che le norme della Carta sociale europea in realtà non possiedono.

 

A ogni modo, ancorché le disposizioni della Carta invocate dai ricorrenti siano prive di effetti diretti, il Collegio ritiene che comunque sia da escludere che il complesso delle disposizioni legislative regolanti lo svolgimento delle procedure di concertazione sindacale nel settore considerato integri una possibile violazione dei menzionati parametri, in quanto la possibilità di situazioni differenziate tra i comparti della difesa e pubblica sicurezza e gli altri comparti del pubblico impiego quanto ai sistemi di previdenza complementare, una volta devoluta l'istituzione e attuazione di tali sistemi al metodo della contrattazione/concertazione collettiva, è una evenienza del tutto fisiologica e normale della libertà negoziale delle parti sociali e dei diritti sindacali riconosciuti dalla legge e tutelati dall'art. 5 della Carta, la cui rubrica reca "Diritti sindacali", e prevede che: "Per garantire o promuovere la libertà dei lavoratori e dei datori di lavoro di costituire organizzazioni locali, nazionali o internazionali per la protezione dei loro interessi economici e sociali ed aderire a queste organizzazioni, le Parti s'impegnano affinché la legislazione nazionale non pregiudichi questa libertà né sia applicata in modo da pregiudicarla. La misura in cui le garanzie previste nel presente articolo si applicheranno alla polizia sarà determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale. Il principio dell'applicazione di queste garanzie ai membri delle forze armate e la misura in cui sarebbero applicate a questa categoria di persone è parimenti determinata dalla legislazione o dalla regolamentazione nazionale".

 

Dalla disciplina normativa nazionale prima richiamata risulta altresì evidente, come chiarito in giurisprudenza (v. Cons. Stato, 20.12.2021 n. 8440 e Sez. II, 08.04.2022 n. 2593), che non sussiste alcun autonomo obbligo di provvedere in capo alle Amministrazioni pubbliche, in assenza della definizione della materia in sede di contrattazione collettiva e, nel caso dei militari, delle specifiche procedure di concertazione, ai sensi del D.Lgs. n. 195 del 1995, non potendo esse unilateralmente disciplinare la materia né, peraltro, sono previsti termini nei quali debba essere data attuazione alla detta previdenza complementare.

 

Nessun potere in ordine all'avvio e alla conduzione delle procedure di negoziazione per il personale del comparto sicurezza e difesa volte ad istituire le forme pensionistiche complementari previste dalla legge può essere infine ravvisato in capo alle Amministrazioni resistenti. Invero, l'obbligo di avviare il procedimento di concertazione, ai sensi dell'art. 7 del D.Lgs. n. 195 del 1995, è rimesso al Ministro per la Pubblica Amministrazione (il quale non è stato neppure chiamato in giudizio), non già ai singoli Ministeri datori di lavoro e neppure alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. In ogni caso, come condivisibilmente rilevato dal Consiglio di Stato nella fondamentale decisione n. 8440/21, "si tratterebbe eventualmente di un obbligo di avvio del procedimento e non di conclusione dello stesso, da cui non potrebbe derivare, quindi, né la possibilità di agire con il rito del silenzio né una responsabilità, ai sensi dell'art. 2 bis della L. n. 241 del 1990".

 

L'assenza, nella materia de qua, di un obbligo di provvedere da parte delle Amministrazioni resistenti e di termini tassativi per la definizione della propedeutica e imprescindibile procedura di concertazione sindacale impediscono, pertanto, di riconoscere un ritardo imputabile, foriero di responsabilità risarcitoria, in capo alle predette Amministrazioni.

 

Infine, nel caso di specie, non vi è prova di un danno effettivo alla posizione pensionistica degli odierni istanti, concretamente apprezzabile in termini di attualità e di concretezza, visto che, come è noto, in base al D.Lgs. n. 252 del 2005, i trattamenti pensionistici integrativi maturano in parallelo al diritto alla pensione e i ricorrenti, al contrario, sono tutti dipendenti in servizio. Il danno è altresì generico, indeterminato e congetturale, perché non si può stabilire allo stato quali forme di previdenza complementare saranno concretamente istituite all'esito della procedura di concertazione prevista dalla legge né si possono fare previsioni fondate sull'adesione o meno, e a quali condizioni, dei ricorrenti a forme di previdenza attualmente inesistenti.

 

Vi è da considerare, inoltre, l'intrinseca incertezza e aleatorietà legata ai costi e ai rendimenti dei fondi pensione che potrebbero essere introdotti nello specifico comparto e che rendono vieppiù ardua la possibilità di determinare attualmente il danno, all'uopo distinguendosi i fondi a prestazione definita (i quali garantiscono un risultato predeterminato, ma esigono il versamento di contributi in misura variabile secondo l'andamento della gestione) dai fondi a contribuzione definita, i quali richiedono dall'assicurato dazioni in misura fissa, ma pagano prestazioni parametrate al risultato finanziario (che in ipotesi potrebbe anche essere negativo) conseguito da chi li amministra.

 

A ogni modo, anche a voler assumere quale riferimento le prestazioni attualmente garantite dal fondo di previdenza complementare "ESPERO" (non potendosi certo prevedere il livello di rendimento del fondo per il futuro fino al tempo in cui i ricorrenti andranno in pensione), il Collegio deve prendere atto che i ricorrenti non hanno fornito - come era loro onere - alcun dato retributivo e contabile da cui potere desumere e calcolare, del caso tramite CTU, il danno secondo i criteri prospettati.

 

Infine, in un'ottica di contenimento del danno "futuro" astrattamente allegato, resta, comunque, ferma la possibilità di sottoscrivere forme di previdenza complementare su base volontaria, usufruendo dei benefici anche di carattere fiscale previsti dalla legge, potendo in tal modo i ricorrenti premunirsi contro il danno temuto per la propria posizione pensionistica.

 

Il ricorso, per tutte le considerazioni esposte, è quindi infondato e deve essere rigettato, non essendovi prova né dell'an né del quantum del pregiudizio lamentato e constando l'insussistenza del nesso di causalità con la condotta omissiva asseritamente imputabile alle Amministrazioni resistenti, oltre alla mancanza dei requisiti dell'antigiuridicità della condotta produttiva di danno e dell'ingiustizia di quest'ultimo.

 

Le spese del giudizio, ai sensi degli artt. 26 c.p.a. e 91 c.p.c., seguono la soccombenza e si liquidano, ai sensi del D.M. n. 55 del 2014, nella misura quantificata in dispositivo, tenuto conto del valore indeterminabile della controversia, della media complessità delle questioni giuridiche affrontate, avendo riguardo ai minimi tariffari in ragione della concreta attività difensiva svolta limitata alla fase studio, alla fase introduttiva e a quella decisionale; non si procede alla liquidazione della fase istruttoria/trattazione, in quanto nessuna attività difensiva rilevante è stata concretamente spesa.

P.Q.M.

 

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo rigetta.

 

Condanna i ricorrenti in solido tra loro a rifondere alle Amministrazioni resistenti le spese del giudizio, che liquida in € 3.500,00 (tremilacinquecento/00) per compensi, oltre spese forfettarie, IVA e CPA come per legge.

 

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

 

Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2023 con l'intervento dei magistrati:

 

Guglielmo Passarelli Di Napoli, Presidente

 

Bartolo Salone, Referendario, Estensore

 

Mario Bonfiglio, Referendario

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